Archivi giornalieri: 23 settembre 2013

Cassazione

Cassazione – Antenne telefoniche nocive alla salute vanno rimosse

 

La Corte di Cassazione con la sentenza n.  20340/2013 ha stabilito che gli impianti di telefonia che causano immissioni potenzialmente pericolose per la salute umana vanno rimossi.

La Suprema Corte ha ricordato l’esistenza di una specifica normativa relativa ai valori limite di esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici connessi al funzionamento e all’esercizio dei sistemi fissi delle telecomunicazioni e radiotelevisivi operanti nell’intervallo di frequenza compresa tra 1000 kHz e 300 GHz, normativa, quindi che ha riguardo alla fondamentale finalità della prevenzione delle malattie, con lo scopo di impedire qualsiasi comportamento contrastante.

Inoltre gli Ermellini hanno, nella stessa sentenza, affermato che il traliccio su cui vengono installate le antenne non può essere considerato una pertinenza, perché equiparato ad una “nuova costruzione” peraltro abusiva.

ILO

Ilo, 168 milioni di bambini al lavoro nel 2012

 

Nel 2012 c’erano quasi 168 milioni di minori al lavoro (il 10,6% della fascia di età tra i 5 e i 17 anni), 73 dei quali con meno di 11 anni: è quanto emerge dal Rapporto dell’Ilo sul lavoro minorile secondo il quale c’è stato comunque un calo del 32% rispetto ai 246 milioni di minori in fabbrica e nei campi segnato nel 2000 (il 16% del totale).

”Il contrasto al lavoro minorile è sulla strada giusta – segnala l’organizzazione internazionale del Lavoro – ma di questo passo l’obiettivo dell’eliminazione delle sue peggiori forme entro il 2016 non sarà raggiunto. La direzione è giusta ma ci stiamo muovendo troppo lentamente – ha dichiarato il direttore generale Guy Rider – se vogliamo porre fine a questo flagello nel prossimo futuro dobbiamo raddoppiare gli sforzi”. I progressi più consistenti si sono avuti tra il 2008 e il 2012 con il calo da 215 (il 13,6% delle persone tra i 5 e 17 anni)  a 168 milioni (il 10,6%). L’attività è particolarmente pericolosa per 85 milioni di bambini (il 5,4%) dato in calo rispetto ai 170,5 milioni del 2000 (l’11,1% della popolazione infantile).

La situazione più grave è nell’Africa sub sahariana con il 21,4% dei bambini al lavoro (oltre 59 milioni) mentre nell’area Asia Pacifico il numero dei bambini al lavoro e’ più alto (77,7 milioni) ma la percentuale sul totale dei minori è al 9,3%. In America latina e Caraibi lavorano l’8,8% dei bambini tra i 5 e i 17 anni (12,5 milioni) mentre in medio Oriente e Nord Africa lavora l’8,4% dei minori (9,2 milioni).

Tra i bambini più piccoli (tra i 5 e gli 11 anni) lavorano in 73 milioni, l’8,5% delle persone in questa fascia di età. Per 18,5 milioni di bambini con meno di 11 anni il lavoro consiste in una attività pericolosa. Tra i 12 e i 14 anni lavorano oltre 47,3 milioni di bambini (il 13,1%) mentre tra i 15 e i 17 anni lavorano il 13% dei minori (47,5 milioni di persone). Il 58% dei minori è utilizzato in agricoltura, il 7,2% nell’industria e il 32,3% nei servizi (in forte aumento rispetto al 25,6% del 2008).

La maggioranza dei bambini lavoratori è maschio (99,7 milioni a fronte di 68,2 milioni di femmine). Ma le differenze di genere si annullano tra i bambini più piccoli con 36,3 milioni di bambini maschi e 36,7 milioni di bambine al lavoro.

Tra i 15 e i 17 anni l’80% dei minori lavoratori e’ maschio (38,7 milioni) e appena il 19% femmina (8,8 milioni).    Secondo il rapporto Ilo tra i minori al lavoro ci sono 5,5 milioni di bambini in ”lavoro forzato”, un quarto delle vittime totali del lavoro forzato. Tra questi 960.000 sono coinvolti in situazione di sfruttamento sessuale.

Salvaguardati

Tar Lombardia: controversie “salvaguardati” appartengono giurisdizione Tribunale del lavoro

 

Le controversie concernenti l’illegittimità dei provvedimenti di rigetto delle istanze di accesso ai benefici di cui all’art. 24 decreto legge 06.12.2011, n. 214 in favore dei cosiddetti salvaguardati appartengono alla giurisdizione del giudice ordinario.

Il Tribunale amministrativo della Lombardia ha declinato la propria giurisdizione con tre sentenze coeve rese su ricorso di altrettanti lavoratori patrocinati dall’Inca di Milano. Esponendo di avere titolo all’inserimento nell’elenco dei lavoratori salvaguardati ai sensi del decreto interministeriale 1 giugno 2012 i ricorrenti lamentavano che la Commissione istituita presso la Direzione territoriale del lavoro di Milano avesse illegittimamente respinto le loro istanze per pretese irregolarità nella allegazione della documentazione probante la sussistenza dei requisiti.

L’argomento su cui si fondano le decisioni è costituito dal rilievo che la definizione della controversia comporta l’attuazione di parametri predeterminati di fonte legislativa, che configurano veri e propri diritti soggettivi sicché l’Amministrazione è vincolata al mero riscontro delle eventuali condizioni di accesso ai benefici fissate dalla legge, “senza che residui alcuno spazio di valutazione discrezionale suscettibile di affievolire o comprimere quel diritto”.

Le controversie, attenendo dunque alle condizioni previste dalle norme per l’insorgenza del diritto alla prestazione previdenziale rivendicata dai ricorrenti debbono essere decise dal giudice ordinario in funzione di giudice del lavoro. La scelta di adire il giudice amministrativo è stata dettata dall’intento di evitare, in via di sperimentazione e di mera prudenza, in assenza di pronunce sul punto, di incorrere nella decadenza dei 60 giorni dall’adozione del provvedimento contestato prevista per l’introduzione dei ricorsi avanti al Tar ove avesse preso corpo l’opposto orientamento.

Le decisioni richiamate paiono dunque pienamente convincenti e permettono di tracciare con rafforzate certezze il percorso per la tutela in via giudiziaria dei diritti spettanti ai lavoratori cd “salvaguardati “. (Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, sez. IV, Pres ed Est. Giordano del 27 giugno 27.6.2013).

nota a cura Consulenza legale Inca nazionale

F.P.-Cgil, subito legge su responsabilità medici

F.P.-Cgil, subito legge su responsabilità medici

 

La sentenza della corte di Cassazione, emessa dalla terza sezione civile, secondo cui il medico non deve fidarsi per la diagnosi dell’anamnesi fatta dal paziente rende ancora più necessaria una legge sulla responsabilità dei medici.

Lo afferma Massimo Cozza, Segretario Nazionale dell’Fp-Cgil Medici, che rivolge un appello al ministro Lorenzin perché acceleri l’iter di questo provvedimento.
”L’applicazione del principio della Cassazione -spiega Cozza – mina l’appropriatezza dei percorsi diagnostici, costringendo i sanitari a sottoporre i cittadini a un innumerevole numero di esami. Si tratta di un ulteriore mattone che completa il muro della medicina difensiva per la quale sono stati stimati oltre 10 miliardi di sprechi di spesa sanitaria”.

A questo punto, afferma il sindacalista, serve un provvedimento che definisca le regole entro cui possono muoversi i medici. ”Chiediamo alla Ministra della Salute Beatrice Lorenzin – aggiunge Cozza – di rompere ogni indugio e di presentare subito una legge sulla responsabilità professionale in sanità, in base al confronto avuto con le organizzazioni sindacali mediche. Vanno definiti in modo completo tutti gli aspetti in gioco, consentendo ai medici e agli operatori sanitari di operare serenamente sulla base di norme eque, chiare e uniformi”.

ansa

ILO

Convenzione Ilo sui diritti delle lavoratrici e dei lavoratori domestici

 

Condizioni di lavoro difficili, sfruttamento, abusi. Questi alcuni dei problemi con cui devono confrontarsi quotidianamente molti lavoratori domestici. In tutto il mondo sono almeno 53 milioni, un numero in costante aumento formato per l’83% da donne, cui vanno sommati i circa 10 milioni e mezzo di minorenni impiegati nelle stesse mansioni. Per promuovere i loro diritti, nel 2011 l’Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo) ha adottato la Convenzione 189, entrata in vigore lo scorso 5 settembre come legge internazionale vincolante, che prevede orari ragionevoli, riposo settimanale di almeno 24 ore consecutive e informazioni chiare sulle condizioni di impiego.

L’Italia figura tra gli otto Stati che finora hanno ratificato la Convenzione, insieme a Bolivia, Mauritius, Nicaragua, Paraguay, Filippine, Sud Africa e Uruguay. Il processo di ratifica è in corso anche in molti altri Paesi, tra cui Germania e Costa Rica, mentre alcuni Stati dopo l’adozione della Convenzione hanno approvato nuove leggi o regolamenti per migliorare i diritti del lavoro e i diritti sociali dei lavoratori domestici. È il caso di Venezuela, Bahrain, Filippine, Thailandia, Spagna e Singapore. Riforme legislative analoghe, inoltre, sono state avviate anche in Finlandia, Namibia, Cile e negli Stati Uniti.
 
La Convenzione appena entrata in vigore, insieme alla Raccomandazione 201 che la accompagna, rappresenta un significativo riconoscimento del valore economico e sociale del lavoro domestico e un’esortazione ad affrontare il problema rappresentato dall’esclusione di chi lo svolge dalle forme di protezione sociale. Secondo uno studio dell’Ilo pubblicato in gennaio, i lavoratori domestici, infatti, spesso sono impiegati in abitazioni private senza chiari contratti di impiego, sono esclusi dal campo di applicazione della legge e dal diritto nazionale del lavoro, con stipendi inferiori rispetto ai lavoratori che svolgono mansioni simili, anche se lavorano più ore. In particolare, solo il 10% è risultato essere coperto dalle leggi nazionali sul lavoro nella stessa misura garantita agli altri lavoratori, mentre oltre un quarto è completamente escluso da qualsiasi forma di protezione legislativa.
 
“Un punto di partenza per l’elaborazione di nuove politiche”. Per Manuela Tomei, direttrice del dipartimento Ilo sulle condizioni di lavoro e l’uguaglianza, le iniziative intraprese dai vari Stati dimostrano che “la Convenzione e la Raccomandazione hanno già cominciato a giocare il loro ruolo di catalizzatori del cambiamento, fungendo da punto di partenza per l’elaborazione di nuove politiche che riconoscono la dignità e il valore del lavoro domestico in un numero sempre maggiore di Paesi”. Per Tomei, l’entrata in vigore della Convenzione è un “segnale potente” inviato ai milioni di lavoratori domestici di tutto il mondo ed è auspicabile che spinga anche “sempre più Stati membri dell’Ilo a impegnarsi per la protezione dei loro diritti”.

ILVA

Ilva: Italia nel mirino Ue per violazione norme ambiente

 

L’Italia finisce nuovamente nel mirino di Bruxelles, questa volta a causa della vicenda dell’Ilva di Taranto, e un altro problema rischia di aggiungersi presto ai tanti che già incombono sulla sorte dell’impianto siderurgico e dei suoi lavoratori. Il commissario Ue all’ambiente Janez Potocnik è infatti pronto a chiedere l’apertura di una procedura d’infrazione contro il  governo per non aver fatto tutto il necessario per obbligare la società siderurgica a rispettare le norme europee sulla salvaguardia dell’ambiente.

L’iniziativa di Potocnik – a quanto si è appreso – potrebbe approdare sul tavolo del collegio dei commissari già mercoledì prossimo e, in caso di approvazione, sarà ufficializzata giovedì 26. Ma diverse fonti sottolineano che la partita è ancora aperta. E che un intervento da parte del governo – probabilmente attraverso il ministro dell’Ambiente Andrea Orlando – potrebbe forse riuscire ancora a convincere Potocnik quanto meno a rinviare l’apertura della procedura.

Al ministero dell’Ambiente, che è in costante contatto con la Commissione Ue sui vari temi ambientali, al momento non è ancora arrivata nessuna comunicazione ufficiale. Però, secondo quanto si è apprende, già nelle prossime ore il ministro Orlando invierà una lettera al commissario Potocnik, con tutti gli aggiornamenti inerenti la salvaguardia ambientale dell’Ilva, resi possibili dal commissariamento dell’azienda. Orlando e
Potocnik dovrebbero poi incontrarsi la prossima settimana a New York, durante la sessione dell’assemblea generale dell’Onu dedicata al clima e all’ambiente.

A sollecitare l’intervento di Bruxelles in nome della difesa del diritto alla salute dei lavoratori e del rispetto dell’ambiente sono state anche di recente diverse organizzazioni non governative. E l’apertura di quella che burocraticamente si chiama ”procedura d’informazione” risale al marzo del 2012. Data a partire dalla quale ha preso il via un fitto carteggio tra la Commissione e l’Italia finalizzato all’acquisizione, da parte di Bruxelles, delle informazioni necessarie a valutare la situazione.

Le risposte italiane alle domande degli uomini di Potocnik date finora non sono però bastate a rassicurare la Commissione sul rispetto delle norme europee in materia di ambiente. Tanto che la proposta di avvio della procedura d’infrazione ha superato la fase istruttoria ed è ora pronta per essere esaminata dal collegio dei commissari. In una versione che punta il dito contro le autorità italiane in quanto responsabili del rilascio de permessi che consentono all’Ilva di Taranto di svolgere la sua attività. Ed soprattutto ”colpevoli” di non aver effettuato tutti i controlli dovuti per verificare il rispetto degli obblighi a carico della società siderurgica.

Se la proposta Potocnik sarà approvata dalla Commissione, l’Italia riceverà una lettera di messa in mora – prima tappa della procedura – alla quale dovrà rispondere entro 60 giorni. Successivamente Bruxelles, nel caso in cui ritenesse che l’Italia continui a violare le norme Ue, potrà emettere un parare motivato e deferire il nostro Paese alla Corte di giustizia dell’Unione.