Archivi giornalieri: 12 settembre 2013

Immigrazione

Immigrazione: il Tar del Lazio accoglie il ricorso collettivo promosso da Cgil, Inca e Federconsumatori

Finalmente una sentenza che censura i ritardi cronici della pubblica amministrazione nel rilascio dei permessi di soggiorno CE di lungo periodo. Nonostante i limiti della legge sulla class action, il Tar del Lazio accoglie le istanze di tanti immigrati. E’ questo il commento a caldo di Cgil, Inca e Federconsumatori alla sentenza del Tar del Lazio del 9 settembre scorso che ha imposto al ministero degli interni l’obbligo di garantire agli immigrati richiedenti, entro 90 giorni, così come prevede la legge, di concludere la procedura di riconoscimento del titolo di soggiorno.

Nell’esprimere soddisfazione per l’accoglimento della class action da loro stessi promossa, Cgil, Inca e Federconsumatori richiamano, in particolare,  il passaggio della sentenza, laddove  impone al ministero dell’interno un anno  di tempo per porre rimedio a quello che il Tribunale amministrativo del Lazio definisce una “generalizzata violazione dei termini di conclusione del procedimento di rilascio del permesso di soggiorno di lungo periodo”, di cui all’art. 9 del Testo Unico  sull’immigrazione.

“Ora non ci sono più alibi ai ritardi – chiariscono i promotori della class action -. La sentenza obbliga l’amministrazione pubblica ad adottare gli opportuni provvedimenti, anche se nei  limiti delle risorse strumentali, finanziarie ed umane già assegnate in via ordinaria e senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica”.

Si tratta di un primo significativo risultato – affermano Cgil, Inca e Federconsumatori – che certamente non risolve del tutto le tante difficili situazioni in cui sono costrette le persone stranieri presenti in Italia. Resta irrisolto, per esempio, il problema di come le prefetture nei territori agiscano in modo disomogeneo  e discrezionale rispetto alle richieste dei nuovi cittadini. Una eterogeneità che, a volte, sembrano atti discriminatori intollerabili. Su questo specifico punto – osservano i promotori dell’iniziativa legale – il Tar non ha ritenuto di potersi pronunciare, considerandolo un elemento su cui deve intervenire il legislatore.

“Una puntualizzazione che sarebbe auspicabile venisse raccolta dal Parlamento – aggiungono Cgil, Inca e Federconsumatori – per rendere più chiare le norme in materia di immigrazione garantendo, con una uniformità di comportamento delle prefetture, il diritto di stare in Italia ai tanti immigrati che vi vivono e vi lavorano”. 

Cgil, Inca e Federconsumatori  ricordano, infine, che attendono con fiducia un’altra sentenza del Tar sul diritto di cittadinanza da loro stessi promossa utilizzando la stessa modalità di class action con l’auspicio che possano essere accolte le istanze di tanti cittadini stranieri.   

Immigrazione

Immigrazione: il Tar del Lazio accoglie il ricorso collettivo promosso da Cgil, Inca e Federconsumatori

Finalmente una sentenza che censura i ritardi cronici della pubblica amministrazione nel rilascio dei permessi di soggiorno CE di lungo periodo. Nonostante i limiti della legge sulla class action, il Tar del Lazio accoglie le istanze di tanti immigrati. E’ questo il commento a caldo di Cgil, Inca e Federconsumatori alla sentenza del Tar del Lazio del 9 settembre scorso che ha imposto al ministero degli interni l’obbligo di garantire agli immigrati richiedenti, entro 90 giorni, così come prevede la legge, di concludere la procedura di riconoscimento del titolo di soggiorno.

Nell’esprimere soddisfazione per l’accoglimento della class action da loro stessi promossa, Cgil, Inca e Federconsumatori richiamano, in particolare,  il passaggio della sentenza, laddove  impone al ministero dell’interno un anno  di tempo per porre rimedio a quello che il Tribunale amministrativo del Lazio definisce una “generalizzata violazione dei termini di conclusione del procedimento di rilascio del permesso di soggiorno di lungo periodo”, di cui all’art. 9 del Testo Unico  sull’immigrazione.

“Ora non ci sono più alibi ai ritardi – chiariscono i promotori della class action -. La sentenza obbliga l’amministrazione pubblica ad adottare gli opportuni provvedimenti, anche se nei  limiti delle risorse strumentali, finanziarie ed umane già assegnate in via ordinaria e senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica”.

Si tratta di un primo significativo risultato – affermano Cgil, Inca e Federconsumatori – che certamente non risolve del tutto le tante difficili situazioni in cui sono costrette le persone stranieri presenti in Italia. Resta irrisolto, per esempio, il problema di come le prefetture nei territori agiscano in modo disomogeneo  e discrezionale rispetto alle richieste dei nuovi cittadini. Una eterogeneità che, a volte, sembrano atti discriminatori intollerabili. Su questo specifico punto – osservano i promotori dell’iniziativa legale – il Tar non ha ritenuto di potersi pronunciare, considerandolo un elemento su cui deve intervenire il legislatore.

“Una puntualizzazione che sarebbe auspicabile venisse raccolta dal Parlamento – aggiungono Cgil, Inca e Federconsumatori – per rendere più chiare le norme in materia di immigrazione garantendo, con una uniformità di comportamento delle prefetture, il diritto di stare in Italia ai tanti immigrati che vi vivono e vi lavorano”. 

Cgil, Inca e Federconsumatori  ricordano, infine, che attendono con fiducia un’altra sentenza del Tar sul diritto di cittadinanza da loro stessi promossa utilizzando la stessa modalità di class action con l’auspicio che possano essere accolte le istanze di tanti cittadini stranieri.   

ILVA

Ilva: perde ricorso Cassazione, deve pagare ”tempo tuta”

L’Ilva ha perso in Cassazione la causa di lavoro nella quale chiedeva di non pagare come prestazione straordinaria, agli operai, i venti minuti giornalieri che – in base ai calcoli fatti dai giudici della Corte di Appello di Milano – i lavoratori impiegano per cambiarsi gli abiti “civili” e indossare la tuta e le protezioni a tutela della loro sicurezza, e per percorrere la distanza dagli spogliatoi ai reparti. “Se un lavoratore pretendesse di svolgere le sue mansioni senza aver indossato tuta e dispositivi di protezione individuale – sottolinea il verdetto 20714 – sarebbe esposto al potere disciplinare della società. Di conseguenza, indossare tali indumenti e dispositivi è un obbligo per il lavoratore e svolgere le relative operazioni fa parte della prestazione cui egli è tenuto nei confronti del datore”.

“Né è ragionevole ipotizzare che i lavoratori possano effettuare dette operazioni prima di recarsi sul posto di lavoro”, prosegue la Suprema Corte ritenendo – come già fatto dai giudici milanesi – “materialmente impraticabile” la possibilità per gli operai di uscire dalle loro abitazioni indossando già “la tuta ignifuga, antitaglio, repellente e, soprattutto, gli scarponcini antinfortunistici, il casco e i guanti: il tutto da portare in strada magari nella stagione estiva”. Dunque oltre al corrispettivo per le ”canoniche” otto ore di lavoro, l’Ilva deve rassegnarsi a inserire nelle buste paga anche l’extra per i venti minuti del “tempo tuta”.
Osservano inoltre i supremi giudici, per respingere le ulteriori ”resistenze” dell’Ilva, che quella indicata dalla Corte di
Appello è già da considerarsi come una soluzione “intermedia”, non ulteriormente sforbiciabile, rispetto alle richieste degli operai che volevano che nella paga dello straordinario rientrasse anche il tempo di percorrenza impiegato per andare dall’ingresso dello stabilimento allo spogliatoio e viceversa.

L’unico punto segnato a suo favore dall’Ilva riguarda la base di calcolo della retribuzione del periodo feriale che, contrariamente a quanto avviene per la tredicesima, non deve includere la maggiorazione per lo straordinario.

ansa