Archivi giornalieri: 19 settembre 2013

Gli intellettuali federalisti italiani e sardi


L’Unità d’Italia, un’unità biecamente centralista e accentrata, si realizzerà a dispetto del pensiero della gran parte degli intellettuali italiani che durante il “Risorgimento” e dopo furono federalisti e non unitaristi.

Di questi i libri di storia non parlano, per molti non vi è neppure un cenno: evidentemente per loro non vi è spazio, questo infatti è occupato per intero dai Cavour, Mazzini, Garibaldi. Eppure sono molti e di grande spessore culturale e politico. Un bel volumetto (1) degli storici Renzo Del Carria e Claudio de Boni documenta con puntigliosità e rigore che erano federalisti la gran parte degli intellettuali dell’Italia preunitaria (da Cattaneo a Ferrari, da Mamiani a Rosmini, da Cernuschi a Balbo e Gioberti, da Durando ad Amari, da Perez a Ferrara, da Montanelli a Busacca, da Matteucci a Busi, da Lambruschini ad Alberi e Ridolfi) come dell’Italia postunitaria (da Anelli a Bovio, da Mario a Salvemini, da Trentin ai sardi Umberto Cao, Egidio Pilia, Camillo Bellieni, Emilio Lussu). Di cui non conosciamo niente o quasi. Sono moderati altri democratici e progressisti ma tutti sono uniti da una comune analisi: la penisola italiana non era una realtà unitaria, perché dalla protostoria agli albori del Risorgimento, era stata sempre un’entità geografica e mai un’entità politica. E anche quando negli ultimi 500 anni era diventata un’entità culturale, lo era stata solo per una ristretta èlite, per la quale il toscano filtrato dallo “stil nuovo”, da Dante, Petrarca e Boccaccio, era diventata la lingua letteraria <franca>, in graduale sostituzione del precedente latino.

   Ma fino agli albori del ‘700 i vari popoli della penisola italiana costituivano delle <etnie regionali> fra loro ben distinte per usi, costumi, lingue, storia e geografia. E’ questo il motivo principale che porta la gran parte degli intellettuali dell’Italia preunitaria a sposare le tesi federaliste e non quelle unitariste e centraliste, convinti com’erano che solo la forma statuale federalista avrebbe salvaguardato l’autonomia, la diversità e la particolarità di ogni etnia, oltre che la libertà di ogni singolo cittadino.

   Fra i moderati, uno degli esponenti più lucidi è Cesare Balbo che scrive (2) :”La Confederazione è l’ordinamento più conforme alla natura e alla storia italiana perché la penisola raccoglie da sé, da Settentrione a Mezzodì, province e popoli quasi così diversi fra di loro, come sono i popoli settentrionali e più meridionali d’Europa, ondechè fu e sarà sempre necessario un governo distinto per ciascuna di tutte o quasi tutte queste province”.    Sullo stesso versante si muove Giacomo Durando: noi siamo sette nazioni o, se si vuole, sette subnazionalità provinciane. Concentrarsi in una sola non è possibile…l’italiano insulare non è lo stesso che l’eridanio o l’apennino. Il siciliano e il sardo sono, se così posso esprimermi, di una pasta differente da quella di un lombardo”.

   Sulla divisione storica si sofferma anche Terenzio Mamiani: “L’Italia è da secoli divisa e rotta in più stati e ha fra essi poca o veruna comunanza di vita politica, per la qualcosa non potendosi togliere di mezzo le divisioni e volendo pure che l’Italia sia una quanto è fattibile mai, rimane che noi ci acconciamo a quella forma di unità che sola può coesistere con la pluralità degli stati, cioè a una confederazione”.

   Fra i democratici, Carlo Cattaneo insieme a Ferrari, è l’esponente che con maggiore coerenza sviluppa il suo pensiero ponendo l’accento sul nesso inscindibile fra federalismo e libertà. Così scrive: “Non potersi conservare la libertà se il popolo non vi tiene le mani sopra. Sì, ogni popolo in casa sua sotto la sicurtà e la vigilanza degli altri tutti….io credo che il principio federale, come conviene agli stati, conviene anche agli individui. Ognuno deve conservare la sua sovranità personale, ossia la sua libera espressione…la federazione è la sola unità possibile in Italia…è la pluralità dei centri viventi ed è meglio vivere amici in dieci case che vivere discordi in una sola. Dieci famiglie ben potrebbero farsi il brodo a un solo focolare, ma v’è nell’animo umano e negli affetti domestici qualche cosa che non si appaga con la nuda aritmetica e col brodo”.

   Nella polemica con gli unitaristi e i centralisti insiste Giuseppe Ferrari secondo cui: “L’unità italiana non esiste se non nelle regioni della poesia e della letteratura e in queste regioni non si trovano popoli e non si può ordinare verun governo…la realtà italiana è la divisione storica degli stati, il diritto di ogni italiano è di vivere libero nei propri stati. E a ogni stato la sua assemblea, il suo governo, i suoi ministri, la sua costituzione. La rivoluzione conduce necessariamente le repubbliche a una federazione repubblicana”. E a fronte delle accuse di <divisione> Ferrari rispondeva: ”Fu sparso l’errore che la Federazione volesse dire divisione, dissociazione, separazione. Ma la parola federazione viene da foedus, vuol dire patto, unione, reciproco legame”.

 Sullo stesso terreno, polemizzando con Cavour, Enrico Cernuschi afferma: “Improvvisata in Italia l’unità, col sopprimere gli stati, sopprime tutti quanti i centri di emulazione, non ne vuole che uno solo, fittizio e odiato da tutti; essa offende gli interessi, le consuetudini e i sentimenti; scompone, in una parola, tutto intero il paese senza poterlo ricomporre perché ci vuole lentezza assimilante o violenza decisa a ricomporre unpaese…la federazione invece mantiene le autonomie, lascia ogni stato padrone del proprio governo, vivifica le emulazioni, acqueta gli interessi”. 

Per il sicilianoFrancesco Ferrara: ”La Sardegna è una specialità alla quale ciò che di più pernicioso può farsi è il volerla costringere ad una assimilazione completa di forme, contrastate a ogni passo dalla natura. Il Piemonte nella sua condizione di possessore di un’isola, può dirsi già fortunato dell’avere incontrato nel buon senso dei Sardi una docilità, anzi una vogliosità di fusione, che non è molto agevole rinvenire nell’indole dell’isolano; ma non ci illudiamo perciò: una nota di gratitudine, uno slancio di patriottismo non bastano a mutare il suolo, il clima, il carattere, i bisogni, le attitudini individuali e produttive, il dialetto, le conseguenze di un lungo passato.

   La grande utopia del secolo è questa delle fusioni: nulla di più agevole che congiungere e assimilare in belle frasi scappate nel calore di una improvvisazione politica….ma nulla di più puerile che l’illudersi sull’effetto reale delle belle frasi. Nella natura materiale non si combinano che molecole affini. Nella natura umana, se vi ha mezzo di combinare due popoli, è quello di non sforzarne le specialità”.

Infine i federalisti sardi.  Per tutti e quattro (Pilia e Cao, Lussu e Bellieni) la lotta contro il centralismo politico si traduce anche in critica del decentramento fino ad allora praticato, perché illusorio oppure limitato al solo momento amministrativo, senza respiri di politica regionale che sorgano dal basso e non siano mere concessioni alla “periferia” provenienti dall’alto.

   Scrive Cao: “La compartecipazione politica della Sardegna nello stato italiano, non dovrà essere limitata all’opera insufficiente di una scarsa dozzina di emissari, ineluttabilmente destinata a disperdersi nella baraonda parlamentare, ad essere irrisa e travolta nella corrotta burocrazia della capitale e vinta dalla sopraffazione dell’affarismo politico degli industriali e degli agrari….occorrerà il ristabilimento di speciali ordinamenti regionali, consoni alla loro natura etnica e allo sviluppo secolare del loro diritto”. E tutto ciò – per Cao – sarà possibile solo “con l’annientamento dell’attuale stato sfruttatore, parassitario, apoplettico, soffocatore”.

   Sostiene Pilia: ”La forma federale repubblicana apparve allora ai migliori dei nostri l’unica che potesse conciliare le esigenze della libertà e indipendenza sarda con le ragioni del movimento unitario italiano; e le pagine immortali del Tuveri e del Brusco-Onnis sono la prova di questo stato d’animo diffuso nell’Isola nei primi decenni dopo l’Unità d’Italia”

   Per Bellieni il riordinamento in senso autonomistico della regione deve dar luogo all’instaurazione di uno stato federale perché “la macchina statale del presente ci soffoca e ci opprime”. 

Lussu infine scrive che “Non basta più dire <autonomia> bisogna dire <federazione>. ”Il Federalismo non è certo una miracolosa <acqua di catrame> fatta per sanare tutti i mali, ma non v’è ombra di dubbio che la cosiddetta crisi della democrazia moderna, è in gran parte prodotto del centralismo statale….e il centralismo statale ha fatto fallimento nel nostro Paese”.

 

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

1)Renzo Del Carria-Claudio De Boni, “Gli Stati Uniti d’Italia” ed. D’Anna, Ancona-Mressina 1991

2) Questa citazione come tutte le altre che seguiranno sono tratte dal volume citato al punto 1di Del Carria-De Boni

Crisi

Crisi: primo ok Pe aiuti 3,7 mln a Italia per ex lavoratori

 

La commissione bilancio dell’Europarlamento ha dato il primo ok a 3,7 milioni di euro per gli ex lavoratori della De Tomaso, Jabil e Anovo dal Fondo Ue di aggiustamento per la globalizzazione. Lo stanziamento, proposto a fine giugno dalla Commissione Ue, deve ora ricevere il via libera definitivo dalla plenaria del Parlamento europeo e poi dal Consiglio Ue prima di poter essere sborsato.

In particolare, a beneficiarne saranno 1.010 ex dipendenti della De Tomaso, produttrice di automobili di fascia elevata nelle province di Torino e Livorno fallita nel luglio 2012, che beneficeranno di circa 2,6 milioni per il loro reinserimento professionale. Gli altri 1,1 milioni andranno invece a 480 ex lavoratori di Jabil e Anovo, produttori di computer e parti elettroniche in Lombardia.

Crisi

Crisi: primo ok Pe aiuti 3,7 mln a Italia per ex lavoratori

 

La commissione bilancio dell’Europarlamento ha dato il primo ok a 3,7 milioni di euro per gli ex lavoratori della De Tomaso, Jabil e Anovo dal Fondo Ue di aggiustamento per la globalizzazione. Lo stanziamento, proposto a fine giugno dalla Commissione Ue, deve ora ricevere il via libera definitivo dalla plenaria del Parlamento europeo e poi dal Consiglio Ue prima di poter essere sborsato.

In particolare, a beneficiarne saranno 1.010 ex dipendenti della De Tomaso, produttrice di automobili di fascia elevata nelle province di Torino e Livorno fallita nel luglio 2012, che beneficeranno di circa 2,6 milioni per il loro reinserimento professionale. Gli altri 1,1 milioni andranno invece a 480 ex lavoratori di Jabil e Anovo, produttori di computer e parti elettroniche in Lombardia.

Povertà

Lotta alla povertà, arriva il piano Giovannini

 

Tra mille sigle ne arriva una nuova: Sia, ovvero Sostegno per l’inclusione attiva. Un aiuto economico per i poveri e per le famiglie in difficoltà, un contributo per permettere a tutti di acquistare beni e servizi “ritenuti decorosi sulla base degli stili di vita prevalenti”. Così il ministro del Welfare, Enrico Giovannini, presenta in Senato la proposta redatta da un gruppo di esperti costituito ad hoc per la costruzione di un istituto nazionale di contrasto alla povertà.

Secondo le ultime statistiche, nel nostro Paese ci sono circa 5 milioni di persone in povertà assoluta e 9,5 milioni in povertà relativa (il 12,7% delle famiglie). Il Sia non è una forma di reddito di cittadinanza, spiega il documento, ma un patto tra cittadini in difficoltà economica e lo Stato. Il sostegno è condizionato dall’impegno del beneficiario a “perseguire concreti obiettivi di inclusione sociale e lavorativa”, un “patto di reciproca responsabilità tra il beneficiario e l’amministrazione pubblica, che si impegna a offrire adeguati servizi di accesso e di sostegno”.

Un programma rivolto a tutti i cittadini (inclusi gli immigrati legalmente residenti o quelli stabilmente residenti secondo le direttive comunitarie) che si trovano ad affrontare un periodo di crisi economica, non solo quelli appartenenti a una determinata categoria. Una misura, è stato sottolineato, “universale”. Una scelta che risponde prima di tutto al principio di equità: “L’uguaglianza di fronte al bisogno”.

L’ammontare del sostegno varierà dunque da caso a caso. Composizione e situazione del nucleo familiare, differenze territoriali del costo della vita e delle disponibilità di servizi collettivi, sono solo alcuni elementi della valutazione. Il Sia, ribadiscono gli esperti, “è un sostegno rivolto ai poveri, identificati come tali da una prova dei mezzi”. Fondamentale a questo proposito è l’implementazione dell’imminente riforma dell’Isee, “che in un Paese caratterizzato da una diffusa evasione fiscale e dal lavoro nero dovrebbe rappresentare un significativo avanzamento nella capacita’ di accelerare efficacemente la capacità economica delle famiglie”.

Secondo il progetto, l’erogazione dell’aiuto va demandata all’Inps e potrebbe essere effettuata “anche mediante una carta di debito”. La regia è affidata invece ai Comuni che si dovranno avvalere “della collaborazione dei centri per l’impiego, delle istituzioni scolastiche, delle Asl”. Difficile, oggi, calcolare quanto costerà finanziare il Sia. La stima è di circa 7 miliardi di euro “che potrebbero diminuire in presenza di una ripresa della crescita economica”.

“È urgente l’adozione di uno strumento di contrasto alla povertà, anche a fronte dell’insostenibile aumento, a causa della lunga e perdurante crisi, delle persone e delle famiglie in condizione di povertà assoluta e di povertà relativa”.

Così il segretario confederale della Cgil, Vera Lamonica, commenta la proposta presentata oggi dal ministro. La dirigente sindacale valuta che “l’intervento debba essere di carattere universale per chi è in condizione di povertà, che va definito come un livello essenziale, che la sua realizzazione preveda l’integrazione dei vari livelli istituzionali, dei servizi sociali, di inserimento lavorativo, di istruzione e formazione”. Inoltre, aggiunge Lamonica, “riteniamo positiva la centralità che si attribuisce alla funzione di monitoraggio dell’implementazione e dei risultati dell’intervento nonché allo scambio e alla integrazione dei sistemi informativi”.

Il segretario confederale della Cgil esprime però “forte preoccupazione per le modalità di reperimento delle risorse: non può essere ‘una partita di giro’ tra i fondi (pochi) destinati al sociale. Sono necessari investimenti adeguati che ne garantiscano la funzionalità a regime e un segnale forte a partire dalla prossima legge di bilancio. Un provvedimento così rilevante e complesso ha bisogno di un confronto serio con il sindacato e tutti i soggetti interessati, perciò – conclude Lamonica – chiediamo che si apra subito uno specifico tavolo di confronto”.

Pensioni

Pensioni: Piccinini (presidente patronato Inca Cgil), tema dimenticato dalla politica

 

Sento continuamente parlare di ripresa economica, ma devo dire che non ne vediamo l’ombra, proprio nessun elemento di nostro riscontro”. Non ha dubbi Morena Piccinini, presidente del patronato Inca Cgil, intervistata da Radioarticolo1 nell’approfondimento quotidiano di Italia Parla. In realtà, afferma, “nei nostri uffici continuano, aumentano, le domande di sostegno al reddito da chi ha perso, sta perdendo il lavoro e ancora di più aumenta l’ansia, la disperazione di coloro che stanno rimanendo o sono già rimasti senza nessun ammortizzatore sociale”.

Una situazione di crisi aggravato dal fatto che il tema pensioni non è più all’ordine del giorno. “Se come paese, non come sindacato, gli avessimo rivolto un terzo delle attenzioni che sono state rivolte all’Imu, forse oggi potremmo ragionare anche di qualche proposta in campo. È vero che si ragiona solo dell’emergenza, però anche sugli esodati non siamo ancora alla risposta definitiva”. Il punto vero, a suo giudizio, “è che questo governo pare non voglia accettare la realtà che la legge Fornero produce strutturalmente esodati. Non hanno ancora avuto risposta quelli vecchi, ancora meno oggi ottengono risposta i nuovi espulsi”.

“Ovunque ci giriamo – prosegue Piccinini nel suo ragionamento – si sente parlare di esuberi, ma gli esuberi sono persone ancora lontane dalla pensione che hanno ammortizzatori ridotti e rischiano di non poter accedere alla pensione. Quindi il tema delle pensioni va rimesso assolutamente all’attenzione, e quando noi diciamo che bisogna ripristinare un criterio di flessibilità non è tanto per dire abbiamo bisogno di rimuovere tutto e tornare ai vecchi criteri. È semplicemente per dire che un processo di mercato del lavoro che è iperflessibile in entrata e che sta diventando iperflessibile. Ma senza nessuna garanzia, anche in uscita attraverso le dismissioni, ha bisogno di avere strumenti di sicurezza e gli strumenti di sicurezza possono essere anche quelli di un’uscita calmierata nel tempo meno rigida di quella che è” con le regol attuali.

 Altro tema da affrontare è quello dei giovani stranieri di seconda generazione. “Si parla da mesi di una legge sulla cittadinanza, diciamo che quando arriverà non sarà mai abbastanza presto”, osserva Piccinini, “Di certo deve arrivare, però mi sembra che anche il modo col quale si esercitano attacchi così sconsiderati e così cattivi nei confronti del ministro Kyenge dimostra come questa è diventata una battaglia politica del tutto simbolica che tiene in ostaggio cittadini che dovrebbero avere dei diritti”.

Quanto alla sicurezza sul lavoro, cambiata in parte col decreto del fare, “questa ansia da semplificazione – osserva – in realtà porta a una mancata tutela, alla perdita di vista che le procedure per l’esercizio della sicurezza vanno seguite non come orpello amministrativo, né come lacci alle imprese. Vanno seguite per fare in modo che il diritto alla sicurezza sia garantito. Ogni volta che c’è una morte sul lavoro non è un tragico incidente dato da una fatalità, è un tragico, tragicissimo incidente, dato da qualcosa che non ha funzionato e, per la maggior parte dei casi, non ha funzionato per la mancata predisposizione di adeguate misure di sicurezza o di organizzazione del lavoro”.

Infine una considerazione sul congresso della Cgil che si terrà l’anno prossimo: “Sono appena iniziati i lavori delle commissioni. Naturalmente ci auguriamo che sia veramente unitario, che possa permettere davvero un’affermazione importante dei temi che insieme discuteremo. Le priorità sono un grande dialogo con i lavoratori, una grande partecipazione sull’obiettivo primario che è quello del riconquistare il lavoro, dell’avere ‘Piani del lavoro’ ovunque, in ogni realtà produttiva, in ogni realtà economica”.