Archivi giornalieri: 16 dicembre 2022

Aumentano le temperature nei comuni italiani Ambiente

Aumentano le temperature nei comuni italiani Ambiente

Uno degli effetti principali del cambiamento climatico è l’innalzamento delle temperature – con pesanti conseguenze sugli equilibri degli ecosistemi naturali. In Italia la temperatura media del periodo 2009-2018 ha superato di oltre 2 gradi quella degli anni 1961-1970.

 

Uno degli effetti più nocivi della presenza umana sulla terra è il riscaldamento dell’atmosfera. Questo avviene in particolare attraverso una serie di attività come la produzione e il consumo di energia, ma anche l’agricoltura e i processi industriali, che causano l’emissione di sostanze inquinanti nell’aria e l’accumulo di calore.

L’aumento delle temperature poi a sua volta altera gli equilibri naturali, rendendo gli ecosistemi fragili e sconvolgendo i ritmi di chi li abita. Minando così anche la biodiversitàContenere l’aumento delle temperature è infatti uno degli obiettivi cruciali della strategia climatica europea e globale.

Ci sono vari metodi per misurare l’aumento delle temperature.

Ci sono diversi modi con cui si può quantificare il riscaldamento globale. In approfondimenti precedenti abbiamo parlato ad esempio degli estremi di temperature, come le notti tropicali e le ondate di calore. O ancora degli effetti del caldo intenso, come la siccità e gli incendi. Ma gli istituti di ricerca sul clima individuano anche dei valori di riferimento (di lungo o medio periodo) per vedere quanto è cambiata la temperatura media nel tempo.

I dati comunali sulle temperature medie

Grazie ai dati dell’Osservatorio Balcani Caucaso (Obct), che insieme allo European data journalism network (Edjnet) ha elaborato una piattaforma a livello europeo su questo fenomeno, possiamo analizzare quanto le temperature medie sono aumentate nei comuni italiani rispetto agli anni ’60.

L’aumento ha interessato tutti i comuni della penisola per cui sono disponibili i dati. L’incremento in media è stato pari a 2,2 gradi centigradi. In molti casi l’aumento è stato decisamente più marcato.

673 i comuni italiani in cui le temperature medie sono aumentate di oltre 3 gradi centigradi.

Tra queste una serie di capoluoghi di provincia: Roma, Sondrio, Taranto, Cagliari, Udine, Reggio di Calabria, Milano, Lecce, Biella, Bari, L’Aquila e Gorizia.

Mentre in 4.558 comuni (la fascia più ampia) l’incremento si è attestato tra i 2 e i 3 °C, e in 2.536 tra 1 e 2 °C. In 131 casi l’aumento è stato inferiore al grado, ma in nessun comune la temperatura si è abbassata, né si è mantenuta invariata. A livello europeo, secondo i rilevamenti di Obct e Edjnet, solo 73 degli oltre 100mila comuni d’Europa hanno registrato un calo. E si tratta sempre di cifre molto contenute.

 

In 5 comuni, di cui 4 a nord (Novate Mezzola, Samolaco, Berbenno di Valtellina e Buglio in Monte) e uno a sud (Brindisi) l’aumento è stato superiore a 4 °C.

Ci sono aree del paese in cui la temperatura è aumentata di più. Cifre particolarmente elevate si possono riscontrare in certe aree del settentrione (Trentino-Alto Adige, Lombardia e Friuli-Venezia Giulia), del centro-sud (Lazio meridionale, Abruzzo e Molise), in alcune zone del meridione (tra cui la Basilicata e le punte della Calabria e della Puglia) e in parte delle isole (sud della Sardegna e nord della Sicilia).

Le zone in cui gli aumenti sono stati più contenuti si trovano nel centro nord (Emilia-Romagna, Toscana e Marche), ma si registrano incrementi minori anche nell’area meridionale del Piemonte, la Liguria, il nord della Sardegna, il sud della Sicilia e alcune aree interne del centro-sud della penisola.

L’aumento delle temperature nelle grandi città

A risultare maggiormente interessate dall’aumento delle temperature sono però le grandi città. Anche se complessivamente le città più popolose sono in linea con la media nazionale da questo punto di vista, ci sono delle specificità. Negli ambienti densamente abitati e urbanizzati si osservano infatti fenomeni particolari che acuiscono l’accumulo di calore. Come ad esempio il consumo di suolo, il traffico veicolare e la scarsità di verde pubblico.

Tra le città metropolitane, Roma è quella che ha registrato l’aumento di temperatura media più marcato.

+3,67 gradi centigradi, l’aumento della temperatura media a Roma.

In sei delle 14 città metropolitane d’Italia la temperatura media è aumentata di oltre 3 gradi. Prima tra tutte Roma, con una variazione di 3,67 °C. Mentre solo a Catania e Torino la variazione è stata inferiore a 1 grado.

Foto: Ludwig Thalheimer – licenza

 

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La spesa delle amministrazioni centrali dello Stato 2023

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Segnalazione da UO Studi e analisi compatibilità

La Ragioneria Generale dello Stato pubblica i dati sulla spesa delle Amministrazioni centrali dello Stato in serie storica a partire dal 2008 e in formato elaborabile. I dati consentono di seguire l’evoluzione delle risorse stanziate, impegnate e pagate dal bilancio dello Stato, distinte secondo la finalità delle politiche pubbliche (per missioni e programmi), la natura economica della spesa (per titolo e categoria economica), la natura dell’autorizzazione legislativa (per tipo di autorizzazione) e l’amministrazione responsabile dell’attuazione e della gestione (per amministrazione). RGS ha pubblicato un database con i dati di previsione in serie storica riclassificati in base alla struttura in missioni e programmi del disegno di legge di bilancio 2023-2025 presentato alle Camere, per agevolare la confrontabilità tra le previsioni di spesa del nuovo triennio e quelle degli esercizi precedenti. La struttura del bilancio 2023-2025 ha subito alcuni cambiamenti rispetto all’esercizio 2022, in termini sia del numero dei programmi sia del loro contenuto, che hanno interessato alcuni stati di previsione. Per una disamina dettagliata delle modifiche alla struttura per missioni, programmi e azioni, intervenute tra legge di bilancio 2022 e disegno di legge di bilancio 2023, si rimanda al documento “La struttura per missioni e programmi del bilancio dello Stato 2023-2025”.

 

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Enti ed organismi pubblici – bilancio di previsione per l’esercizio 2023 – Circolare del 7 dicembre 2022, n. 42

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Segnalazione da UO Studi e analisi compatibilità

La Ragioneria ha pubblicato la circolare che fornisce alle Amministrazioni centrali ed agli enti ed organismi vigilati uno strumento in grado di orientare gli stessi nella programmazione del bilancio di previsione e nell’adozione di criteri operativi volti alla riduzione e alla razionalizzazione della spesa pubblica, nonché di integrare il quadro delle indicazioni per una corretta impostazione contabile del bilancio previsionale. Pertanto, gli enti interessati, nel predisporre il Bilancio di previsione 2023, dovranno tenere conto sia delle norme di contenimento della spesa pubblica sia di quelle introdotte dalle altre disposizioni normative vigenti e riepilogate nel quadro sinottico allegato alla circolare.

 

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Le prospettive per l’economia italiana nel 2022-2023

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Segnalazione da UO Studi e analisi compatibilità

Il Pil italiano è atteso crescere a ritmi ancora sostenuti nel 2022 (+3,9%) per poi rallentare significativamente nel 2023 (+0,4%). Nel biennio di previsione, l’aumento del Pil verrebbe sostenuto dal contributo della domanda interna al netto delle scorte (rispettivamente +4,2 e +0,5 punti percentuali) mentre la domanda estera netta fornirebbe un apporto negativo in entrambi gli anni (-0,5 e -0,1 punti percentuali). Nel 2022 le scorte dovrebbero fornire un marginale contributo positivo +0,2 p.p. a cui ne seguirebbe uno nullo nel 2023. La prolungata fase di crescita dei prezzi, sostenuta dall’eccezionale aumento di quelli dei beni energetici, è attesa riflettersi sull’andamento del deflatore della spesa delle famiglie residenti sia nell’anno corrente (+8,2%) sia, in misura più contenuta, nel 2023 (+5,4%). Lo scenario previsivo è caratterizzato da ipotesi particolarmente favorevoli sul percorso di riduzione dei prezzi nei prossimi mesi e sulla completa attuazione del piano di investimenti pubblici previsti per il prossimo anno.

 

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Parere sul documento programmatico di bilancio aggiornato dell’Italia per il 2023

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Segnalazione da UO Studi e analisi compatibilità

Nel contesto del semestre europeo, la Commissione formula ogni anno pareri sui documenti programmatici di bilancio degli Stati membri della zona euro. Spetterà poi all’Eurogruppo discutere il parere della Commissione sul documento programmatico di bilancio. Il Parlamento nazionale dovrebbe quindi tenere conto di questa discussione prima di adottare il bilancio per il 2023. La Commissione ha adottato il suo parere sul documento programmatico di bilancio aggiornato dell’Italia per il 2023 ritenendo che, nel complesso il documento programmatico di bilancio aggiornato dell’Italia è in linea con le raccomandazioni del Consiglio del luglio 2022 l’Italia limita la crescita della spesa primaria corrente finanziata a livello nazionale e prevede di finanziare investimenti pubblici per le transizioni verde e digitale e per la sicurezza energetica. L’Italia ha rapidamente attuato misure in risposta all’aumento dei prezzi dell’energia, ma è importante — come raccomandato a tutti gli Stati membri — che queste vengano concentrate sempre di più sulle famiglie più vulnerabili e sulle imprese esposte, in modo da preservare gli incentivi volti a ridurre la domanda di energia. La Commissione ritiene inoltre che l’Italia non abbia ancora compiuto progressi per quanto riguarda la parte strutturale delle raccomandazioni di bilancio contenute nelle raccomandazioni del Consiglio del luglio 2022, che invitavano l’Italia ad adottare e attuare adeguatamente la legge delega sulla riforma fiscale per ridurre ulteriormente le imposte sul lavoro e aumentare l’efficienza del sistema fiscale. Il documento programmatico di bilancio aggiornato dell’Italia comprende altresì misure che non sono coerenti con la parte strutturale delle precedenti raccomandazioni di bilancio, in particolare nell’ambito delle pensioni e dell’evasione fiscale, anche per quanto riguarda l’uso obbligatorio dei pagamenti elettronici e le soglie legali per i pagamenti in contanti.

 

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Sezione Lavoro Sentenza n. 19773 del 20/6/2022 Impiego pubblico – comparto enti Pubblici non economici – mansioni superiori – differenze retributive – indennità di posizione e responsabilità specifica – rigetto ricorso

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Segnalazione da U.O. Monitoraggio contratti e legale

La Corte di Cassazione respinge il ricorso presentato dall’I.N.P.S. nei confronti di un suo dipendente che si era visto accertare dai giudici di merito il diritto alle differenze retributive comprensive dell’indennità di posizione e di responsabilità specifica per aver svolto di fatto e ininterrottamente compiti di mansioni superiori correlate alla posizione organizzativa che le prevedeva. La Suprema Corte dichiara l’infondatezza dei motivi del ricorrente   chiarendo che  in materia di pubblico impiego contrattualizzato il diritto al compenso per lo svolgimento di fatto di mansioni superiori, nella misura indicata nel D.Lgs n. 165/2001, art. 525, non è condizionato alla sussistenza dei presupposti di legittimità di assegnazione delle mansioni o alle previsioni dei contratti collettivi (Accordo Quadro 22/10/2001, CCNL Enti pubblici non economici 1998-2001) , né all’operatività del nuovo sistema di classificazione del personale introdotto dalla contrattazione collettiva, “posto che una diversa interpretazione sarebbe contraria all’intento del legislatore di assicurare comunque al lavoratore una retribuzione proporzionata alla qualità del lavoro prestato, in ossequio al principio di cui all’art. 36 Cost.“. La Corte infatti specifica che ove il dipendente venga assegnato a svolgere le mansioni proprie di una posizione organizzativa, previamente istituita dall’ente e ne assuma tutte le connesse responsabilità, la mancanza o l’illegittimità del provvedimento formale di attribuzione non esclude il diritto a percepire l’intero trattamento economico corrispondente alle  mansioni di fatto espletate, ivi compreso quello di carattere accessorio, che è diretto a commisurare l’entità della retribuzione alla qualità della prestazione resa.

 

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Sentenza sez. I n.1887-2022 Università – Professore ordinario – Autorizzazione attività esterna

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Segnalazione da U.O. Monitoraggio contratti e legale

I magistrati amministrativi, in relazione alla legittimità del diniego ad un docente universitario a tempo pieno dell’autorizzazione a svolgere l’incarico di presidente di una fondazione, ritengono sia illegittimo il diniego dell’autorizzazione a ricoprire l’incarico medesimo, ove motivato in base alla mera incompatibilità tra il ruolo di docente a tempo pieno e l’incarico stesso; ciò in quanto “ai sensi dell’art. 6, comma 10, secondo periodo, della l. n. 240 del 2010, i docenti in regime di impegno a tempo pieno hanno la facoltà di svolgere compiti istituzionali e gestionali senza vincolo di subordinazione presso enti pubblici e privati senza scopo di lucro, pur previa autorizzazione del Rettore, al fine di verificare la compatibilità dell’incarico con le attività didattiche, scientifiche e gestionali loro affidate dall’Università e l’assenza di una situazione di conflitto di interessi, anche potenziale, con l’Ateneo”.

 

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Direttiva 2022/2041 relativa a “salari minimi adeguati nell’Unione Europea”

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Segnalazione da U.O. Monitoraggio contratti e legale

E’ stata pubblicata in data 25 ottobre la Direttiva 2022/2041 dell’Unione Europea e del Consiglio sui salari minimi adeguati. La volontà che emerge dal testo della direttiva è quella di garantire salari minimi adeguati, salvaguardando, però, l’autonomia delle parti sociali, nonché il loro diritto a negoziare e concludere contratti collettivi La direttiva prevede, in particolare, un quadro di regole volte, al contempo, a promuovere la contrattazione collettiva sulla determinazione dei salari, a garantire l’adeguatezza dei salari minimi stabiliti per legge (ove esistenti), nonché a favorire l’effettivo accesso dei lavoratori al salario minimo, sia esso legale o contrattuale. In particolare, l’art. 5 stabilisce che: “Gli Stati membri in cui sono previsti salari minimi legali istituiscono le necessarie procedure per la determinazione e l’aggiornamento dei salari minimi legali. Tale determinazione e aggiornamento sono basati su criteri stabiliti per contribuire alla loro adeguatezza, al fine di conseguire un tenore di vita dignitoso, ridurre la povertà lavorativa, promuovere la coesione sociale e una convergenza sociale verso l’alto e ridurre il divario retributivo di genere. Gli Stati membri definiscono tali criteri conformemente alle rispettive prassi nazionali, nel pertinente diritto nazionale, nelle decisioni degli organi competenti o in accordi tripartiti. I criteri sono definiti in modo chiaro. Gli Stati membri possono decidere il peso relativo di tali criteri, compresi gli elementi di cui al paragrafo 2 tenendo conto delle rispettive condizioni socioeconomiche nazionali”.

 

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La cooperazione e la prima legge di bilancio del governo MeloniCooperazione

In questi giorni il parlamento sta lavorando sul primo disegno di legge di bilancio del governo Meloni. Le decisioni assunte saranno fondamentali per consolidare la crescita delle risorse destinate alla cooperazione. Una crescita che invece rischia di essere episodica.

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Progetto


In questi giorni il parlamento ha iniziato ad analizzare la prima legge di bilancio del governo Meloni. Anche per il settore della cooperazione, la legge ha probabilmente ricalcato in gran parte quanto già programmato dall’esecutivo precedente. Ciò non toglie che sarà la nuova maggioranza a dover approvare il testo assumendosi, assieme al governo, la responsabilità di questo passaggio politico.

Le risorse per la cooperazione negli ultimi anni

Per comprendere l’impatto che la legge di bilancio avrà sul settore della cooperazione è utile conoscere l’andamento che l’aiuto pubblico allo sviluppo (Aps) ha avuto negli ultimi anni. I dati preliminari sul 2022 saranno pubblicati da Ocse solo ad aprile 2023, ma nel frattempo è possibile consultare quelli degli anni precedenti.

Tra 2018 e 2020 le risorse destinate dall’Italia alla cooperazione hanno visto un calo continuo. Il 2021 ha rappresentato invece un’inaspettata inversione di tendenza che ha portato il nostro paese a raggiungere un valore pari allo 0,28% nel rapporto tra Aps e reddito nazionale lordo (Rnl). Un dato ben distante dall’obiettivo di arrivare allo 0,70% Aps/Rnl entro il 2030 ma comunque decisamente maggiore rispetto allo 0,22% raggiunto solo l’anno precedente.

Una buona notizia insomma che tuttavia va letta alla luce delle considerazioni fatte dal comitato per l’aiuto allo sviluppo dell’Ocse (Dac).

Il comitato infatti indica chiaramente come le risorse aggiuntive siano legate, oltre che a operazioni di cancellazione del debito, all’aumento delle risorse destinate ai rifugiati nel paese donatore e alle spese sostenute in campo multilaterale per contrastare la pandemia.

L’aiuto multilaterale riguarda le risorse destinate a organizzazioni internazionali per svolgere attività volte a promuovere lo sviluppo. Vai a “Cosa sono il canale bilaterale e il canale multilaterale”

Già in un precedente approfondimento abbiamo visto come questi due ultimi elementi possano essere considerati aiuto gonfiato. Ovvero risorse che, pur essendo correttamente rendicontate come Aps secondo le regole del comitato per lo sviluppo (Dac) dell’Ocse, non sono in senso stretto legate a progetti di cooperazione. Considerando solo l’aiuto genuino come definito da Concord infatti le risorse destinate alla cooperazione risultano sostanzialmente stagnanti tra 2020 e 2021.

Le risorse in aumento inoltre non hanno un carattere strutturale. Per questo dunque non è affatto scontato che in futuro gli stanziamenti crescano ancora e neanche che rimangano stabili.

Le incongruenze tra le leggi di bilancio e le risorse rendicontate

Come accennato la crescita dell’Aps nel 2021 è stata una buona notizia abbastanza inaspettata. D’altronde dalla legge di bilancio 2021 non emergeva un aumento di questa portata. Una discrepanza spiegata dal fatto che esiste uno scostamento tra le risorse messe a preventivo nella legge di bilancio e quelle effettivamente rendicontate in sede Ocse.

Una parte delle voci che compongono l’Aps in effetti non può rientrare nella legge di bilancio per varie ragioni. Come il fatto che una parte della spesa, per quanto piccola, non sia di competenza dello stato centrale ma degli enti locali, o che un’altra parte rientri invece nel bilancio di cassa depositi e prestiti.

Come denunciato dalle organizzazioni della società civile in molte occasioni, l’incongruenza più lampante è rappresentata dalle risorse inserite in legge di bilancio dal ministero dell’interno per la gestione dell’accoglienza dei migranti (circa 1 miliardo e mezzo) e le risorse effettivamente rendicontate dall’Ocse a questo scopo (che negli ultimi 2 anni hanno oscillato tra i 201 e i 470 milioni di euro). Una differenza molto consistente che rende le previsioni di spesa del Viminale nel settore della cooperazione del tutto inaffidabili. Questo tuttavia non sembra interessare il ministero che ogni anno ripropone cifre del tutto simili. Senza considerare dunque né che solo una parte della spesa per l’accoglienza dei migranti può essere rendicontata come Aps né le variazioni dei flussi migratori e delle presenze nei centri di accoglienza.

Tra le risorse destinate all’Aiuto pubblico allo sviluppo può essere rendicontata anche una parte specifica della spesa sostenuta per l’accoglienza dei rifugiati. Vai a “Che cos’è il capitolo di spesa “rifugiati nel paese donatore””

Nel 2021 si è aggiunto un altro elemento. Si tratta, come abbiamo visto, delle spese sostenute per la lotta alla pandemia passate da meno di 86 milioni nel 2020 a oltre 565 nel 2021. La ragione per cui tali importi non rientravano, almeno integramente, nella legge di bilancio 2021 è probabilmente dovuta da un lato al fatto che determinate decisioni (come i contributi straordinari alle agenzie Onu impegnate nel contrasto al Covid) sono state assunte dopo l’approvazione della legge. E dall’altro dal fatto che la donazione di vaccini avanzati (inizialmente acquistati per l’Italia), non poteva ovviamente rientrare in questo tipo di partita contabile.

In conclusione, negli anni in analisi la distanza tra le cifre indicate a monte in legge di bilancio e quelle effettivamente rendicontate a valle dal comitato aiuto allo sviluppo dell’Ocse si è fatta sempre più ampia. Per questa ragione conviene leggere e confrontare le cifre della legge di bilancio in relazione a quelle indicate l’anno precedente. Consapevoli che poi le risorse effettivamente investite nel settore potranno essere verificate solo dopo il rilascio dei dati Ocse. Ad aprile 2023 infatti sono attesi i dati preliminari sul 2022 e in seguito quelli definitivi.

Confronto tra leggi di bilancio

Date queste premesse possiamo confrontare le ultime leggi di bilancio, osservando le differenze e le variazioni in specifici ministeri e specifici capitoli di spesa.

Da un primo confronto tra le cifre riportate per il 2021, per il 2022 e per il 2023 (nelle rispettive leggi di bilancio), emerge un aumento considerevole per il prossimo anno.

Uno dei ministeri che vedono un aumento delle risorse destinate alla cooperazione è quello dell’economia e delle finanze (+296 milioni tra 2022 e 2023). Una struttura questa che finanzia buona parte del canale multilaterale italiano.

Anche in questo caso però non è facile interpretare il dato. Potrebbe infatti trattarsi nuovamente di risorse destinate alla lotta alla pandemia, che dunque sono poi previste in calo per gli anni successivi. Inoltre il canale multilaterale è periodicamente soggetto a oscillazioni dovute alle diverse annualità con cui sono rifinanziati i bilanci delle organizzazioni internazionali a cui prende parte l’Italia. L’aumento potrebbe dunque essere del tutto episodico e in effetti è previsto in calo per gli anni 2024 e 2025.

Un altro ministero che segna una crescita importante è quello dell’ambiente (già ministero della transizione ecologica). Qui infatti è previsto per la prima volta per il 2023 un finanziamento pari a 420 milioni di euro che rappresenta la componente rendicontabile come Aps del Fondo rotativo per il clima (che per intero ammonta a 840 milioni). Si tratta tuttavia di una novità che è entra in vigore nel 2023 ma che era già prevista nella scorsa legge di bilancio.

420 mln € le risorse del Fondo rotativo per il clima che dovrebbero essere rendicontate come aiuto pubblico allo svilupppo.

Si riducono invece le risorse destinate al ministero degli esteri e della cooperazione internazionale (Maeci). È vero che una riduzione era già prevista per il 2023 dalla scorsa legge di bilancio, almeno in alcuni capitoli di spesa del Maeci. Il taglio tuttavia appare più consistente del previsto andando peraltro a incidere su alcuni punti particolarmente importanti.

Tra questi si segnala ad esempio la riduzione di 50 milioni di euro del capitolo di spesa relativo al finanziamento dell’Agenzia italiana per la cooperazione. Si tratta in sostanza di una riduzione degli aumenti previsti per il bilancio dell’agenzia dalla scorsa legge di bilancio. Aumenti che erano stati ampiamente valorizzati dal governo Draghi.

Certo è vero che gli importi sono relativi se confrontati al totale dell’aiuto pubblico allo sviluppo allo sviluppo. Tuttavia è bene tenere a mente la differenza che esiste tra finanziare aspetti specifici, con il rischio che tali interventi risultino episodici, e dotare delle risorse necessarie la struttura a cui è attribuito il compito di rendere il settore organico e funzionale a una vera e propria strategia di cooperazione allo sviluppo.

Le richieste della campagna 070 e delle ong del terzo settore

Partendo dalle considerazioni elencate fin qui la Campagna 070 (promossa da FocsivAoiCini e Link 2007 con il patrocinio di AsvisCaritasForum del terzo settore e Fondazione Missio) segnala la necessità che nella discussione sul disegno di legge di bilancio si dia seguito ad alcuni elementi di grande importanza.

Prima di tutto il ripristino dell’incremento di risorse programmato nella precedente legge di bilancio e destinate all’Agenzia per la cooperazione allo sviluppo. Risorse che nella attuale proposta del governo risultano essere state tagliate in modo progressivo. Su questa questione sono stati presentati emendamenti da vari gruppi, volti a ripristinare gli aumenti previsti. Al momento però sembra che nessuno di questi emendamenti arriverà alla discussione finale. Se così fosse si tratterebbe di un passo indietro che avrebbe effetti molto gravi per il settore della cooperazione allo sviluppo.

Inoltre, la campagna 070 sostiene la necessità che l’Italia si doti di strumenti legislativi che avviino una road map specifica per raggiungere l’obiettivo di destinare lo 0,70% dell’Rnl all’aiuto pubblico allo sviluppo entro il 2030. Disporre di chiari obiettivi intermedi è infatti fondamentale per valutare se e come si stia procedendo per raggiungere concretamente questo traguardo. Un percorso che deve partire dal consolidamento dei risultati ottenuti, avanzando progressivamente sia in termini di quantità che di qualità dell’aiuto.

L’articolo è stato redatto grazie al progetto “Cooperazione: mettiamola in Agenda”, finanziato dell’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo. Le opinioni espresse non sono di responsabilità dell’Agenzia.

Foto: Aics

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Nel 2017 cala l’aiuto pubblico allo sviluppo dei paesi Dac Cooperazione

Nel 2017 cala l’aiuto pubblico allo sviluppo dei paesi DacCooperazione

I dati definitivi Ocse per il 2017 mostrano un calo dei fondi destinati all’aps da parte dei paesi del comitato Dac. Una riduzione che, se pur inferiore rispetto a quanto emergeva dai dati preliminari, conferma la fine di un trend di crescita che proseguiva dal 2012.

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Il calo dell’aiuto pubblico allo sviluppo

I dati definitivi per il 2017 certificano che, rispetto al 2016, il livello complessivo dei fondi erogati dai paesi appartenenti al comitato per l’aiuto allo sviluppo dell’Ocse (Dac) si è ridotto invece di aumentare.

I fondi destinati all’aps da parte dei paesi Dac si sono ridotti dello 0,15% tra il 2016 e il 2017. Vai a “Che cosa sono i paesi dac”

Di riduzione dei fondi per la cooperazione si era già parlato ad aprile 2018, quando l’Ocse aveva rilasciato i dati preliminari relativi al 2017. In quell’occasione era emerso di un calo dello 0,60% rispetto al 2016 che nei dati definitivi risulta ridotto allo 0,15%.

In ogni caso si tratta della prima riduzione nel volume di risorse destinate all’aps dal 2012. Un calo che, se non si interviene con un’inversione di rotta potrebbe segnare in maniera ben più incisiva i dati sui prossimi anni, compromettendo il raggiungimento dello 0,70 di aps globale previsto dall’agenda 2030.

Il calo della spesa per i rifugiati nel paese donatore

Secondo il rapporto di Concord Europe Aidwatch 2018, che analizzava i dati preliminari 2017 rispetto ai 28 paesi membri dell’Unione europea, emergeva come il calo nel volume complessivo dell’aps fosse strettamente legato al minore afflusso di rifugiati e  migranti sbarcati sulle coste europee nel corso del 2017.

Da diversi anni infatti la voce rifugiati nel paese donatore incide in maniera significativa sul volume dell’aps complessivo, in particolare in paesi donatori particolarmente esposti come l’Italia, ma non solo.

Tra il 2016 e il 2017 il valore della voce “rifugiati nel paese donatore” presente nell’aps dei paesi Dac è calato del 14%. Vai a “Che cos’è il capitolo di spesa “rifugiati nel paese donatore””
Per la prima volta dal 2012 calano i fondi rendicontati come “spesa per i rifugiati nel paese donatore”.

I dati definitivi per il 2017 confermano che il calo della voce “rifugiati nel paese donatore”, insieme a una flessione del canale multilaterale, rappresenta una delle componenti principali nella riduzione dei fondi per l’aiuto pubblico allo sviluppo (aps). Il calo dei fondi così rendicontati non è di per sé una cattiva notizia visto che la decisione di inserire questa voce all’interno dell’aps è stata da più parti contestata. Il problema però è che questa riduzione non è stata bilanciata dall’allocazioni di risorse  in aps destinate alla lotta alla povertà e lo sviluppo sostenibile.

Quello dei rifugiati è un tema particolarmente rilevante quando si parla dei fondi per l’aps, e sarà necessario monitorarlo da vicino anche nei prossimi anni. Questo perché, almeno per quanto riguarda l’Europa, la riduzione dell’arrivo di richiedenti asilo e migranti è un fenomeno che è iniziato nel 2017 ma che poi è proseguito nel 2018 e risulta confermato dai dati sui primi mesi del 2019. Di conseguenza è lecito attendersi che anche i costi rendicontati per l’accoglienza dei migranti siano destinati a calare e con questi il volume complessivo dell’aps. L’unico modo per evitare questa riduzione è infatti che i governi decidano di investire di più in altri settori della cooperazione incrementando i fondi destinati all’aiuto genuino.

Calano gli aiuti anche dai paesi europei

Concentrando l’analisi sui paesi dell’Unione europea membri del comitato Dac emerge come nel 2017, nella maggior parte dei casi, si sia verificata una riduzione nel rapporto tra investimenti in aiuto pubblico allo sviluppo e reddito nazionale lordo (aps/rnl) rispetto all’anno precedente.

14 dei 20 paesi europei del comitato Ocse-Dac, nel 2017 hanno ridotto il rapporto aps/rnl rispetto all’anno precedente.

La riduzione della quota di risorse destinata all’aps ha coinvolto principalmente paesi come la Spagna, l’Austria e l’Ungheria, mentre in Svezia e Francia si sono visti i principali aumenti. Per una volta anche l’Italia si è trovata nel gruppo dei 6 paesi che, in controtendenza sul dato europeo, hanno accresciuto le risorse destinate alla cooperazione.

Ma non sono solo i paesi europei a ridurrei il proprio impegno in materia di cooperazione. Nel 2017 infatti si è assistito anche a un calo considerevole del contributo delle istituzioni europee all’aiuto pubblico allo sviluppo che è passato da 15,4 miliardi di euro nel 2016 a 14,5 nel 2017 che, in termini reali, rappresenta un calo del 6,7% del proprio contributo.

 

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Sant’ Adelaide

 

Sant’ Adelaide


Nome: Sant’ Adelaide
Titolo: Imperatrice
Nascita: 931, Borgogna
Morte: 16 dicembre 999, Seltz, Francia
Ricorrenza: 16 dicembre
Martirologio: edizione 2004
Tipologia: Commemorazione
«È dovere dei ricchi usare misericordia verso i poveri». Ripeteva spesso questa massima, e soprattutto si sforzava di tradurla in pratica Adelaide di Borgogna, moglie di Ottone I e imperatrice.

Nata nel 931, fin da bambina Adelaide si trovò ad essere una importante pedina della politica europea. Donna di elevate doti intellettuali, dimostrò innata capacità politica e grande pietà cristiana. Sposò a sedici anni Lotario II di Provenza, ma ben presto restò vedova.

Berengario di Ivrea, l’uomo forte del regno d’Italia, la vuole moglie di suo figlio, ma ella rifiuta decisamente e viene tenuta in ostaggio in un castello su le rive del lago di Garda. Riesce a fuggire, forse con l’aiuto di Ottone I, che vuole estendere la sua influenza sull’Italia. I due si sposarono a Pavia il giorno di Natale del 951.

Il matrimonio consolidò il potere del sovrano sassone che nel 962 fu incoronato imperatore. Al suo fianco Adelaide non fu certo inerte. Partecipa attivamente agli affari di Stato ed è generosa verso le mete di pellegrinaggi. Favorisce la riforma cluniacense nelle abbazie imperiali e, come scrivono i contemporanei, è una regina «litteratissima».

Alla morte del marito nel 973 si ritira a Vienne presso suo fratello, ma presto la sua presenza è nuovamente richiesta a corte come tutrice del nipote, Ottone III, ancora minorenne. Per diversi anni Adelaide resse l’impero con rara saggezza, avvalendosi dei consigli di Sant’Adalberto di Magdeburgo, Maiolo e Odilone di Ciuny. Ritiratasi infine nel monastero di Selz, in Alsazia, morì santamente il 16 dicembre 999. La sua vita fu scritta da Sant’Odilone di Cluny.

MARTIROLOGIO ROMANO. A Selz vicino a Strasburgo in Lotaringia, nell’odierna Francia, sant’Adelaide, imperatrice, che mostrò sobria giocondità verso i familiari, decorosa compostezza con gli estranei, instancabile pietà verso i poveri, munifica generosità nell’onorare le chiese di Dio.