Archivi giornalieri: 8 dicembre 2022

In Danimarca il divario più ampio tra giovani e media

In Danimarca il divario più ampio tra giovani e media

La quota di lavoratori poveri, in media e nella fascia 18-24 anni, nei paesi Ue (2021)

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DESCRIZIONE

La Romania è il paese Ue con la quota più elevata di lavoratori a rischio povertà, sia come media nazionale (15,2%) che specificamente nella fascia dei più giovani (21,1%). Il divario più ampio tuttavia è quello della Danimarca (14,2 punti percentuali). Seguono in questo senso Bulgaria (8,2 punti) e Lussemburgo (7,3). Sono pochi gli stati membri in cui il divario è invece a vantaggio dei giovani: prima da questo punto di vista la Lettonia (5 punti percentuali).

DA SAPERE

Con “lavoratori poveri” si intende le persone con un impiego, che risultano essere a rischio povertà. Sono considerate occupate le persone che hanno svolto un lavoro per almeno metà anno. Non è disponibile il dato slovacco relativo al 2021.

 

La povertà lavorativa è ancora una realtà in Europa Europa

La povertà lavorativa è ancora una realtà in Europa Europa

La povertà tra chi lavora è un fenomeno diffuso in Europa ed è anzi rimasto sostanzialmente stabile negli ultimi 10 anni. Riguarda anche le famiglie ad alta intensità lavorativa e colpisce soprattutto i più giovani.

 

Le discussioni in parlamento in materia di salario minimo e povertà lavorativa

La scorsa settimana si è tornato a parlare, in parlamento, di salario minimo. Si tratta di un tema che in Italia si discute da anni, ma su cui ancora non sono state prese decisioni vincolanti. La posizione delle nuove camere in materia si è espressa nei giorni scorsi, quando sono state respinte una serie di mozioni presentate da Andrea Orlando (Pd), Giuseppe Conte (M5s), Matteo Richetti (Iv) e da Marco Grimaldi (Avs) in favore all’introduzione del salario minimo. Invece l’unica mozione approvata è stata quella della maggioranza, firmata da Chiara Tenerini (FI), contraria al salario minimo e favorevole al ricorso a misure alternative per tutelare i lavoratori.

A oggi l’Italia è uno dei pochi stati membri dell’Unione europea a essere sprovvisto di una misura di salario minimo. Infatti nel nostro paese il livello minimo dei salari viene stabilito tramite contrattazione collettiva, a seconda del settore. Uno dei principali problemi legati all’assenza di un salario minimo per tutti è la cosiddetta povertà lavorativa. Ovvero quando una persona, nonostante sia occupata talvolta anche a tempo pieno, percepisce un salario inferiore alla soglia di povertà.

Il fenomeno della povertà lavorativa in Europa

Nonostante l’Unione europea la consideri un fenomeno da arginare, è ancora ampiamente diffusa, e l’Italia è uno degli stati membri con più lavoratori a rischio. Prevenire tale condizione fa parte di un progetto più ampio, ovvero della strategia comunitaria per arginare la povertà.

I lavoratori hanno diritto a una retribuzione equa che offra un tenore di vita dignitoso. Sono garantite retribuzioni minime adeguate […]. La povertà lavorativa va prevenuta.

Si definisce povertà lavorativa il fenomeno per cui persone regolarmente occupate che risultano essere a rischio povertà, ovvero che hanno un reddito disponibile equivalente al di sotto della soglia di povertà relativa (fissata al 60% del reddito mediano nazionale).

Ci sono una serie di fattori che incidono su questa condizione, ad esempio la cittadinanza (gli stranieri sono quasi ovunque più esposti a questo fenomeno). Ma anche l’età (a scapito dei giovani) e il livello di educazione (l’incidenza è maggiore tra chi non possiede un titolo di studio terziario).

Un altro elemento importante è l’intensità lavorativa. In tutti i paesi Ue tranne Belgio, Irlanda e Finlandia oltre il 20% degli adulti parte di nuclei familiari a bassa intensità lavorativa è a rischio povertà, come evidenzia Eurostat. In 6 stati tra cui l’Italia il dato supera il 40%, con la cifra più elevata registrata dal Portogallo (54%).

Tuttavia anche tra chi lavora intensamente l’incidenza è elevata. Il 9,4% delle famiglie a elevata intensità lavorativa è a rischio povertà, con picchi del 19,8% in Romania e del 14,3% in Lussemburgo. In Italia, è a rischio povertà il 40,2% delle famiglie a bassa intensità lavorativa, il 25,7% di quelle a intensità media e l’8,3%% dei nuclei a intensità lavorativa alta.

Quanto incide la povertà tra i lavoratori negli stati Ue

Nel 2021, quasi un decimo di tutti i lavoratori, mediamente nell’Unione europea, è a rischio povertà.

8,9% dei lavoratori in Ue è a rischio povertà (2021).

Si tratta di un dato che nel corso dell’ultimo decennio è rimasto sostanzialmente invariato, registrando solo lievi oscillazioni ma attestandosi sempre tra l’8% e il 10%. Mentre da paese a paese la situazione risulta fortemente differenziata.

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DA SAPERE

I dati si riferiscono alle persone di età tra i 18 e i 64 anni con un impiego, che risultano essere a rischio povertà, nel 2021. Sono considerate occupate le persone che hanno svolto un lavoro per almeno metà anno. Il dato della Slovacchia è relativo al 2020.

FONTE: elaborazione openpolis su dati Eurostat
(pubblicati: venerdì 11 Novembre 2022)

 

La Romania riporta il dato più elevato d’Europa, con il 15,2% dei lavoratori che risultano essere a rischio povertà. Seguono il Lussemburgo (13,5%) e la Spagna (12,7%) e, al quarto posto, l’Italia (11,7%).

Nel corso dell’ultimo decennio, il miglioramento più pronunciato si è verificato in Grecia (che nel 2012 arrivava quasi al 14%) e in Romania (dove nello stesso anno sfiorava il 19%). Mentre in 10 paesi membri c’è stato un peggioramento, significativo soprattutto in Lussemburgo (+3,2 punti percentuali) e Bulgaria (+2,6). Mediamente in Ue non c’è stato alcun cambiamento.

In Italia, il picco è stato raggiunto nel 2017 e nel 2018 (12,3%). Ma nel complesso la quota di lavoratori a rischio povertà è leggermente aumentata nel corso dell’ultimo decennio: nel 2012 si attestava all’11,1%.

La povertà lavorativa colpisce sproporzionatamente i giovani

Tra le categorie più esposte alla povertà lavorative ci sono in particolar modo le persone più giovani, di età compresa tra i 18 e i 24 anni.

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DA SAPERE

Con “lavoratori poveri” si intende le persone con un impiego, che risultano essere a rischio povertà. Sono considerate occupate le persone che hanno svolto un lavoro per almeno metà anno. Non è disponibile il dato slovacco relativo al 2021.

FONTE: elaborazione openpolis su dati Eurostat
(pubblicati: giovedì 1 Dicembre 2022)

 

La Romania è il paese Ue con la quota più elevata di lavoratori a rischio povertà, sia come media nazionale (15,2%) che specificamente nella fascia dei più giovani (21,1%).

Il divario più ampio tuttavia è quello della Danimarca (14,2 punti percentuali). Seguono in questo senso Bulgaria (8,2 punti) e Lussemburgo (7,3). Sono pochi gli stati membri in cui il divario è invece a vantaggio dei giovani: prima da questo punto di vista la Lettonia (5 punti percentuali).

Foto: Maarten van den Heuvel – licenza

 

La povertà lavorativa è ancora una realtà in Europa Europa

La povertà lavorativa è ancora una realtà in Europa Europa

La povertà tra chi lavora è un fenomeno diffuso in Europa ed è anzi rimasto sostanzialmente stabile negli ultimi 10 anni. Riguarda anche le famiglie ad alta intensità lavorativa e colpisce soprattutto i più giovani.

 

Le discussioni in parlamento in materia di salario minimo e povertà lavorativa

La scorsa settimana si è tornato a parlare, in parlamento, di salario minimo. Si tratta di un tema che in Italia si discute da anni, ma su cui ancora non sono state prese decisioni vincolanti. La posizione delle nuove camere in materia si è espressa nei giorni scorsi, quando sono state respinte una serie di mozioni presentate da Andrea Orlando (Pd), Giuseppe Conte (M5s), Matteo Richetti (Iv) e da Marco Grimaldi (Avs) in favore all’introduzione del salario minimo. Invece l’unica mozione approvata è stata quella della maggioranza, firmata da Chiara Tenerini (FI), contraria al salario minimo e favorevole al ricorso a misure alternative per tutelare i lavoratori.

A oggi l’Italia è uno dei pochi stati membri dell’Unione europea a essere sprovvisto di una misura di salario minimo. Infatti nel nostro paese il livello minimo dei salari viene stabilito tramite contrattazione collettiva, a seconda del settore. Uno dei principali problemi legati all’assenza di un salario minimo per tutti è la cosiddetta povertà lavorativa. Ovvero quando una persona, nonostante sia occupata talvolta anche a tempo pieno, percepisce un salario inferiore alla soglia di povertà.

Il fenomeno della povertà lavorativa in Europa

Nonostante l’Unione europea la consideri un fenomeno da arginare, è ancora ampiamente diffusa, e l’Italia è uno degli stati membri con più lavoratori a rischio. Prevenire tale condizione fa parte di un progetto più ampio, ovvero della strategia comunitaria per arginare la povertà.

I lavoratori hanno diritto a una retribuzione equa che offra un tenore di vita dignitoso. Sono garantite retribuzioni minime adeguate […]. La povertà lavorativa va prevenuta.

Si definisce povertà lavorativa il fenomeno per cui persone regolarmente occupate che risultano essere a rischio povertà, ovvero che hanno un reddito disponibile equivalente al di sotto della soglia di povertà relativa (fissata al 60% del reddito mediano nazionale).

Ci sono una serie di fattori che incidono su questa condizione, ad esempio la cittadinanza (gli stranieri sono quasi ovunque più esposti a questo fenomeno). Ma anche l’età (a scapito dei giovani) e il livello di educazione (l’incidenza è maggiore tra chi non possiede un titolo di studio terziario).

Un altro elemento importante è l’intensità lavorativa. In tutti i paesi Ue tranne Belgio, Irlanda e Finlandia oltre il 20% degli adulti parte di nuclei familiari a bassa intensità lavorativa è a rischio povertà, come evidenzia Eurostat. In 6 stati tra cui l’Italia il dato supera il 40%, con la cifra più elevata registrata dal Portogallo (54%).

Tuttavia anche tra chi lavora intensamente l’incidenza è elevata. Il 9,4% delle famiglie a elevata intensità lavorativa è a rischio povertà, con picchi del 19,8% in Romania e del 14,3% in Lussemburgo. In Italia, è a rischio povertà il 40,2% delle famiglie a bassa intensità lavorativa, il 25,7% di quelle a intensità media e l’8,3%% dei nuclei a intensità lavorativa alta.

Quanto incide la povertà tra i lavoratori negli stati Ue

Nel 2021, quasi un decimo di tutti i lavoratori, mediamente nell’Unione europea, è a rischio povertà.

8,9% dei lavoratori in Ue è a rischio povertà (2021).

Si tratta di un dato che nel corso dell’ultimo decennio è rimasto sostanzialmente invariato, registrando solo lievi oscillazioni ma attestandosi sempre tra l’8% e il 10%. Mentre da paese a paese la situazione risulta fortemente differenziata.

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DA SAPERE

I dati si riferiscono alle persone di età tra i 18 e i 64 anni con un impiego, che risultano essere a rischio povertà, nel 2021. Sono considerate occupate le persone che hanno svolto un lavoro per almeno metà anno. Il dato della Slovacchia è relativo al 2020.

FONTE: elaborazione openpolis su dati Eurostat
(pubblicati: venerdì 11 Novembre 2022)

 

La Romania riporta il dato più elevato d’Europa, con il 15,2% dei lavoratori che risultano essere a rischio povertà. Seguono il Lussemburgo (13,5%) e la Spagna (12,7%) e, al quarto posto, l’Italia (11,7%).

Nel corso dell’ultimo decennio, il miglioramento più pronunciato si è verificato in Grecia (che nel 2012 arrivava quasi al 14%) e in Romania (dove nello stesso anno sfiorava il 19%). Mentre in 10 paesi membri c’è stato un peggioramento, significativo soprattutto in Lussemburgo (+3,2 punti percentuali) e Bulgaria (+2,6). Mediamente in Ue non c’è stato alcun cambiamento.

In Italia, il picco è stato raggiunto nel 2017 e nel 2018 (12,3%). Ma nel complesso la quota di lavoratori a rischio povertà è leggermente aumentata nel corso dell’ultimo decennio: nel 2012 si attestava all’11,1%.

La povertà lavorativa colpisce sproporzionatamente i giovani

Tra le categorie più esposte alla povertà lavorative ci sono in particolar modo le persone più giovani, di età compresa tra i 18 e i 24 anni.

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DA SAPERE

Con “lavoratori poveri” si intende le persone con un impiego, che risultano essere a rischio povertà. Sono considerate occupate le persone che hanno svolto un lavoro per almeno metà anno. Non è disponibile il dato slovacco relativo al 2021.

FONTE: elaborazione openpolis su dati Eurostat
(pubblicati: giovedì 1 Dicembre 2022)

 

La Romania è il paese Ue con la quota più elevata di lavoratori a rischio povertà, sia come media nazionale (15,2%) che specificamente nella fascia dei più giovani (21,1%).

Il divario più ampio tuttavia è quello della Danimarca (14,2 punti percentuali). Seguono in questo senso Bulgaria (8,2 punti) e Lussemburgo (7,3). Sono pochi gli stati membri in cui il divario è invece a vantaggio dei giovani: prima da questo punto di vista la Lettonia (5 punti percentuali).

Foto: Maarten van den Heuvel – licenza

 

In 8 stati Ue oltre un decimo dei lavoratori è a rischio povertà

In 8 stati Ue oltre un decimo dei lavoratori è a rischio povertà

I lavoratori a rischio povertà negli stati Ue (2021)

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DESCRIZIONE

La Romania riporta il dato più elevato d’Europa, con il 15,2% dei lavoratori che risultano essere a rischio povertà. Seguono il Lussemburgo (13,5%), la Spagna (12,7%) e l’Italia (11,7%).

DA SAPERE

I dati si riferiscono alle persone di età tra i 18 e i 64 anni con un impiego, che risultano essere a rischio povertà, nel 2021. Sono considerate occupate le persone che hanno svolto un lavoro per almeno metà anno. Il dato della Slovacchia è relativo al 2020.

 

La povertà lavorativa è ancora una realtà in Europa Europa

La povertà lavorativa è ancora una realtà in Europa Europa

La povertà tra chi lavora è un fenomeno diffuso in Europa ed è anzi rimasto sostanzialmente stabile negli ultimi 10 anni. Riguarda anche le famiglie ad alta intensità lavorativa e colpisce soprattutto i più giovani.

 

Le discussioni in parlamento in materia di salario minimo e povertà lavorativa

La scorsa settimana si è tornato a parlare, in parlamento, di salario minimo. Si tratta di un tema che in Italia si discute da anni, ma su cui ancora non sono state prese decisioni vincolanti. La posizione delle nuove camere in materia si è espressa nei giorni scorsi, quando sono state respinte una serie di mozioni presentate da Andrea Orlando (Pd), Giuseppe Conte (M5s), Matteo Richetti (Iv) e da Marco Grimaldi (Avs) in favore all’introduzione del salario minimo. Invece l’unica mozione approvata è stata quella della maggioranza, firmata da Chiara Tenerini (FI), contraria al salario minimo e favorevole al ricorso a misure alternative per tutelare i lavoratori.

A oggi l’Italia è uno dei pochi stati membri dell’Unione europea a essere sprovvisto di una misura di salario minimo. Infatti nel nostro paese il livello minimo dei salari viene stabilito tramite contrattazione collettiva, a seconda del settore. Uno dei principali problemi legati all’assenza di un salario minimo per tutti è la cosiddetta povertà lavorativa. Ovvero quando una persona, nonostante sia occupata talvolta anche a tempo pieno, percepisce un salario inferiore alla soglia di povertà.

Il fenomeno della povertà lavorativa in Europa

Nonostante l’Unione europea la consideri un fenomeno da arginare, è ancora ampiamente diffusa, e l’Italia è uno degli stati membri con più lavoratori a rischio. Prevenire tale condizione fa parte di un progetto più ampio, ovvero della strategia comunitaria per arginare la povertà.

I lavoratori hanno diritto a una retribuzione equa che offra un tenore di vita dignitoso. Sono garantite retribuzioni minime adeguate […]. La povertà lavorativa va prevenuta.

Si definisce povertà lavorativa il fenomeno per cui persone regolarmente occupate che risultano essere a rischio povertà, ovvero che hanno un reddito disponibile equivalente al di sotto della soglia di povertà relativa (fissata al 60% del reddito mediano nazionale).

Ci sono una serie di fattori che incidono su questa condizione, ad esempio la cittadinanza (gli stranieri sono quasi ovunque più esposti a questo fenomeno). Ma anche l’età (a scapito dei giovani) e il livello di educazione (l’incidenza è maggiore tra chi non possiede un titolo di studio terziario).

Un altro elemento importante è l’intensità lavorativa. In tutti i paesi Ue tranne Belgio, Irlanda e Finlandia oltre il 20% degli adulti parte di nuclei familiari a bassa intensità lavorativa è a rischio povertà, come evidenzia Eurostat. In 6 stati tra cui l’Italia il dato supera il 40%, con la cifra più elevata registrata dal Portogallo (54%).

Tuttavia anche tra chi lavora intensamente l’incidenza è elevata. Il 9,4% delle famiglie a elevata intensità lavorativa è a rischio povertà, con picchi del 19,8% in Romania e del 14,3% in Lussemburgo. In Italia, è a rischio povertà il 40,2% delle famiglie a bassa intensità lavorativa, il 25,7% di quelle a intensità media e l’8,3%% dei nuclei a intensità lavorativa alta.

Quanto incide la povertà tra i lavoratori negli stati Ue

Nel 2021, quasi un decimo di tutti i lavoratori, mediamente nell’Unione europea, è a rischio povertà.

8,9% dei lavoratori in Ue è a rischio povertà (2021).

Si tratta di un dato che nel corso dell’ultimo decennio è rimasto sostanzialmente invariato, registrando solo lievi oscillazioni ma attestandosi sempre tra l’8% e il 10%. Mentre da paese a paese la situazione risulta fortemente differenziata.

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DA SAPERE

I dati si riferiscono alle persone di età tra i 18 e i 64 anni con un impiego, che risultano essere a rischio povertà, nel 2021. Sono considerate occupate le persone che hanno svolto un lavoro per almeno metà anno. Il dato della Slovacchia è relativo al 2020.

FONTE: elaborazione openpolis su dati Eurostat
(pubblicati: venerdì 11 Novembre 2022)

 

La Romania riporta il dato più elevato d’Europa, con il 15,2% dei lavoratori che risultano essere a rischio povertà. Seguono il Lussemburgo (13,5%) e la Spagna (12,7%) e, al quarto posto, l’Italia (11,7%).

Nel corso dell’ultimo decennio, il miglioramento più pronunciato si è verificato in Grecia (che nel 2012 arrivava quasi al 14%) e in Romania (dove nello stesso anno sfiorava il 19%). Mentre in 10 paesi membri c’è stato un peggioramento, significativo soprattutto in Lussemburgo (+3,2 punti percentuali) e Bulgaria (+2,6). Mediamente in Ue non c’è stato alcun cambiamento.

In Italia, il picco è stato raggiunto nel 2017 e nel 2018 (12,3%). Ma nel complesso la quota di lavoratori a rischio povertà è leggermente aumentata nel corso dell’ultimo decennio: nel 2012 si attestava all’11,1%.

La povertà lavorativa colpisce sproporzionatamente i giovani

Tra le categorie più esposte alla povertà lavorative ci sono in particolar modo le persone più giovani, di età compresa tra i 18 e i 24 anni.

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DA SAPERE

Con “lavoratori poveri” si intende le persone con un impiego, che risultano essere a rischio povertà. Sono considerate occupate le persone che hanno svolto un lavoro per almeno metà anno. Non è disponibile il dato slovacco relativo al 2021.

FONTE: elaborazione openpolis su dati Eurostat
(pubblicati: giovedì 1 Dicembre 2022)

 

La Romania è il paese Ue con la quota più elevata di lavoratori a rischio povertà, sia come media nazionale (15,2%) che specificamente nella fascia dei più giovani (21,1%).

Il divario più ampio tuttavia è quello della Danimarca (14,2 punti percentuali). Seguono in questo senso Bulgaria (8,2 punti) e Lussemburgo (7,3). Sono pochi gli stati membri in cui il divario è invece a vantaggio dei giovani: prima da questo punto di vista la Lettonia (5 punti percentuali).

Foto: Maarten van den Heuvel – licenza

Agevolazione prima casa: rinuncia al diritto di abitazione e tassazione dell’atto di rinuncia

Agevolazione prima casa: rinuncia al diritto di abitazione e tassazione dell’atto di rinuncia

 

L’Agenzia delle Entrate, Divisione Contribuenti, Direzione Centrale Persone fisiche, lavoratori autonomi ed enti non commerciali, con la risposta 525/2022, ha enucleato una serie di chiarimenti in materia di agevolazione prima casa e conseguente tassazione in caso di rinuncia al diritto di abitazione.  La rinuncia al diritto di abitazione a titolo gratuito rappresenta condizione per l’applicazione dell’imposta sulle donazioni e delle imposte ipotecaria e catastale. L’agevolazione prima casa non è attuabile agli atti a titolo gratuito.

    Indice

1. Il caso di specie

Nel caso in scrutinio, l’istante, successivamente alla scomparsa del coniuge, ha ricevere in eredità il 50% della proprietà dell’abitazione coniugale, mentre l’altro 50% è stato ereditato dalla figlia. Intervenuta la successione sono state applicate le agevolazioni riguardanti la prima casa disciplinate dall’art 69 (rubricato Norme in materia di imposta sulle successioni e sulle donazioni) della Legge 21 novembre 2000, n. 342 – Misure in materia fiscale -.

Nella vicenda in commento, l’intenzione dell’istante è quella di pervenire all’acquisto pieno della proprietà di un immobile nuovo presso il medesimo Comune dove si trova ubicato l’immobile ereditato, da adibire a casa di abitazione e nel quale trasferire la propria residenza anagrafica, fiscale e il domicilio.

In merito al suddetto acquisto, l’istante intende chiedere i benefici prima casa sostenendo che il solo vincolo ostativo è rappresentato dalla titolarità esclusiva ex lege del diritto di abitazione sulla ex casa coniugale.

In proposito, il richiedente intende rinunciare al diritto di abitazione a titolo gratuito e, quindi, chiede all’Agenzia delle Entrate se:

  • la rinuncia debba essere formale o tacita; in tale ultimo caso se “sia sufficiente il solo trasferimento della residenza e il domicilio in altro immobile perché si abbia il venir meno automatico del diritto di abitazione” dichiarando in fase di rogito per l’acquisto del nuovo immobile il proprio impegno a trasferirvi entro 18 mesi la propria residenza e se la rinuncia sia soggetta a trascrizione;
  • la rinuncia sia assoggettata a tassazione ai fini delle imposte indirette e, in tal caso, se le imposte debbano essere calcolate per il 50 per cento del loro ammontare totale, posto che «la rinuncia al diritto di abitazione comporterebbe infatti la ricostituzione della piena proprietà dell’immobile non solo dell’altro proprietario superficiario, ma anche dello stesso» rinunciante.
  • chiarimenti relativamente alle imposte, eventualmente, gravanti sulla figlia a fronte del predetto atto di rinuncia a titolo gratuito e se la stessa possa giovare dell’agevolazione “prima casa” di cui all’articolo 69 della summenzionata legge n. 342 del 2000 in presenza dei requisiti di legge.
  • conclusivamente, si chiede, nell’ipotesi di successione per decesso del padre, se la figlia possa giovare nuovamente del beneficio della “prima casa” e, in tal circostanza, se sia vincolata a richiedere l’agevolazione in scrutinio per l’immobile per il quale è stata fatta la rinuncia, o se possa tra i due immobili (l’ex casa coniugale o la nuova abitazione acquistata dal padre) richiedere l’agevolazione in dichiarazione di successione.

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2. Il parere dell’Agenzia delle Entrate

L’Agenzia delle Entrate, con la risposta in commento, fa presente che ai sensi dell’art. 1350 del c.c. (rubricato “Atti che devono farsi per iscritto”), la rinuncia al diritto di abitazione deve, necessariamente, farsi per atto pubblico o per scrittura privata, a pena di nullità. Tale atto deve essere trascritto ai sensi dell’art. 2643, co. 1, c.c. (rubricato “Atti soggetti a trascrizione”), in quanto avente ad oggetto un diritto reale immobiliare.

Per quanto concerne l’aspetto fiscale, l’atto di rinuncia a titolo gratuito è valutato come “trasferimento”, in virtù del dettato normativo di cui al co. 2 dell’art. 1 del decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346 – Testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta sulle successioni e donazioni, che statuisce “Si considerano trasferimenti anche la costituzione di diritti reali di godimento, la rinunzia a diritti reali o di credito e la costituzione di rendite o pensioni.” A tal proposito giova ricordare l’ordinanza n. 2252/2019 della Corte di Cassazione la quale statuisce che: “ai fini fiscali, pertanto, la rinuncia ai diritti reali si considera alla stregua di un trasferimento, in quanto generativa di un arricchimento nella sfera giuridica altrui, come tale soggetta a imposta ipo-catastale”. Sicché, la rinuncia, a titolo gratuito, rappresenta presupposto per l’applicazione dell’imposta sulle donazioni. In più, sono dovute le imposte ipotecaria e catastale rispettivamente nella misura proporzionale dell’1% e del 2%. La base imponibile su cui calcolare le summenzionate imposte è determinata dal valore del diritto di abitazione oggetto di rinuncia alla data dell’atto, nella misura del 50% correlato alla quota di proprietà dell’abitazione della figlia.

L’Agenzia delle Entrate puntualizza che il beneficio prima casa non è applicabile agli atti a titolo oneroso, dato che, l’art 69 (rubricato Norme in materia di imposta sulle successioni e sulle donazioni) della Legge 21 novembre 2000, n. 342 – Misure in materia fiscale -, è applicabile solamente agli acquisti derivanti da successioni o donazioni e che le norme speciali non sono suscettibili di interpretazione estensiva.

In merito all’interpello riguardante il caso di successione per decesso del medesimo istante, ovvero se la figlia possa giovarsi, nuovamente, dei benefici prima casa e se, in tal senso, sia obbligata a richiedere i benefici per l’immobile per il quale è stata fatta la rinuncia da parte dell’istante, l’Agenzia precisa che il contribuente può interpellare l’Amministrazione finanziaria per ottenere una risposta riguardante fattispecie concrete e personali inerenti l’applicazione delle disposizioni tributarie, quando vi sono condizioni di obiettiva incertezza sulla corretta interpretazione di tali disposizioni e la corretta qualificazione di fattispecie alla luce delle disposizioni tributarie applicabili alle medesime, laddove sussistano le condizioni di obiettiva incertezza. L’obiettiva incertezza della caso sottoposto ad interpello è una condizione immanente dell’istituto in questione. La finalità dell’interpello è quella di tutelare il contribuente nella fase dell’interpretazione della norma tributaria quando vi sono condizioni di obiettiva incertezza.

All’uopo, si rammenta che l’Agenzia delle Entrate, con la circolare 2001 n. 44/E, ha chiarito che in caso di trasferimento per successione o donazione di più immobili in presenza di un solo beneficiario, il beneficio deve essere riferito solamente ad un’unica unità immobiliare e alle relative pertinenze. Sicché, ad avviso dell’Agenzia delle Entrate l’interpello è da considerarsi inammissibile dato che  non rappresenta una fattispecie concreta e personale sulla quale sussistono condizioni di obiettiva incertezza.

 

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Regime IVA dei servizi internazionali o connessi agli scambi internazionali

Regime IVA dei servizi internazionali o connessi agli scambi internazionali

L’Agenzia delle Entrate, Direzione Centrale Grandi contribuenti e internazionale, con la risposta n. 514/2022, ha fornito delle spiegazioni in materia di trattamento IVA per i trasporti inerenti beni in importazione di cui all’art. 9 (rubricato servizi internazionali o connessi agli scambi internazionali), co. 3 del Decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 -Istituzione e disciplina dell’imposta sul valore aggiunto -. Il regime di non imponibilità IVA non è ascrivibile alle prestazioni di trasporto internazionale che un vettore principale, incaricato di trasportare la merce all’estero dall’esportatore, dall’importatore o dal destinatario della medesima, commissiona ad un vettore terzo (c.d. subvezione).

>>>Leggi la Risposta AE n. 514 del 14 ottobre 2022<<<

     Indice

1. Il caso concreto

Nel caso di specie, la società istante, in possesso della qualifica di operatore economico autorizzato (A.E.O.) e pertanto in grado di gestisce le pratiche doganali di importazione per conto del destinatario delle merci nonché specializzata nella movimentazione (quindi carico e scarico) di “merce containerizzata”, riceve la richiesta da un cliente stabilito in Italia di servizi terminalistici, operazioni doganali di importazione e di trasporto delle merci dal porto di sbarco in Italia fino al terminal. Dato che la società non possiede mezzi propri, provvede ad affidare a terzi l’esecuzione del trasporto addebitando a carico del destinatario (ovvero il proprio cliente) non solo i propri servizi doganali e terminalistici ma anche il costo del trasporto. Per quanto concerne il valore delle merci dichiarato alla dogana al momento dell’importazione la normativa di riferimento è da ricercare nell’art. 69 (rubricato determinazione dell’imposta) del D.P.R. n. 633/1972 che testualmente statuisce: “L’imposta è commisurata, con le aliquote indicate nell’articolo 16, al valore dei beni importati  determinato ai sensi delle disposizioni in materia doganale, aumentato dell’ammontare dei diritti  doganali dovuti, ad eccezione dell’imposta sul valore aggiunto, nonché dell’ammontare delle spese di inoltro fino al luogo di destinazione (all’interno  del territorio della Comunità) che figura sul documento di trasporto sotto la cui scorta i beni sono introdotti nel territorio medesimo. Per i supporti informatici, contenenti programmi per elaboratore prodotti in serie, concorre a formare il valore imponibile anche quello dei dati e delle istruzioni in essi contenuti. Per i beni che prima dello sdoganamento hanno formato oggetto nello Stato di una o più cessioni, la base imponibile è costituita dal corrispettivo dell’ultima cessione. Fatti salvi i casi di applicazione dell’articolo 68, lettera e), per i beni nazionali reimportati a scarico di temporanea esportazione la detrazione  prevista negli articoli 207 e 208 del testo unico approvato con decreto  del  Presidente  della Repubblica 23 gennaio 1973,  n.  43, e l’esenzione prevista nell’articolo 209 dello stesso testo unico  si applicano, ai fini dell’imposta sul valore aggiunto, soltanto se i beni vengono reimportati dal soggetto che li aveva esportati o da un terzo per conto del medesimo e se lo scarico della temporanea esportazione avviene per identità.”

La società istante chiede all’Amministrazione finanziaria spiegazioni in merito al regime IVA attuabile al riaddebito al destinatario delle merci del servizio di trasporto riguardante la tratta dal porto di sbarco al terminal, nonché allo stesso servizio di trasporto che il terzo fornitore rende alla società medesima.

2. Il parere dell’Agenzia delle Entrate

L’Agenzia delle Entrate, nel caso in scrutinio, evidenzia che i servizi di trasporto, territorialmente rilevanti in Italia e relativi agli scambi internazionali, possono beneficiare della non imponibilità IVA solo se resi direttamente a “soggetti qualificati”, quali (art. 9 co. 3 D.P.R. n. 633/1972):

  • l’esportatore;

  • il titolare del regime del transito;

  • l’importatore;

  • il destinatario dei beni;

  • il prestatore dei servizi di spedizione relativi ai trasporti internazionali di beni e i servizi relativi alle operazioni doganali.

Giova ricordare che i servizi di trasporto oltre a collaborare alla realizzazione concreta di un’operazione di esportazione o di importazione di beni, devono anche essere forniti direttamente, a seconda del caso, all’esportatore, all’importatore o al destinatario dei beni. Sicché, il regime riguardante la non imponibilità IVA, non è più adottabile alle attività di trasporto internazionale che un vettore principale, incaricato di trasportare la merce all’estero dall’esportatore, dall’importatore o dal destinatario della stessa, affida ad un vettore terzo (c.d. subvezione).

Evidenzia l’Agenzia delle Entrate che l’attività di trasporto dal porto di sbarco fino al terminal è da ricondurre all’ambito applicativo del regime di non imponibilità (di cui all’art. 9, co. 1 n. 2, D.P.R. n. 633/1972), poiché i corrispettivi della merce, comprendenti del costo del trasporto, sono stati soggetti ad IVA all’atto dello sdoganamento della merce ed inoltre il servizio di trasporto viene effettuato dalla società istante direttamente al destinatario finale della merce.

Ulteriormente, potrà beneficiare del sistema di non imponibilità anche l’attività di trasporto che il terzo fornitore rende, direttamente, a favore della società istante. Nella vicenda in scrutinio assume rilievo il ruolo di operatore economico autorizzato (A.E.O.) assunto dalla società istante.

Sul presupposto che  la società istante opera in qualità di rappresentante doganale diretto del destinatario della merce ad espletare gli adempimenti formali pertinenti all’importazione della merce presso le dogane, il servizio di trasporto viene reso dal terzo fornitore nei riguardi di un soggetto (ovvero la società istante) che si qualifica prestatore dei servizi relativi alle operazioni doganali.

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L’IVA nelle operazioni con l’estero

L’opera contiene un’analisi sistematica della legislazione IVA relativa agli scambi con l’estero e prende in esame le relative problematiche doganali e logistiche.

La rigorosa trattazione della materia e i puntuali e costanti riferimenti alla normativa e ai documenti di prassi guidano gli operatori del settore alla corretta e documentata applicazione delle disposizioni. Ciascun paragrafo evidenzia i richiami e i collegamenti alle altre sezioni correlate del testo, rendendo immediata la consultazione trasversale dei vari aspetti relativi ad ogni singolo argomento trattato.

I numerosi casi esaminati, i molteplici esempi proposti, l’ampia analisi di adempimenti ed aspetti procedurali conferiscono al volume un taglio fortemente operativo, che lo rende un indispensabile supporto alla soluzione dei problemi che si presentano nella pratica aziendale e professionale quotidiana.

 

Questa edizione è aggiornata con tutte le disposizioni legislative, le sentenze e la prassi amministrativa emanata fino al termine del 2015, fra cui si segnalano:

›  la Legge di Stabilità per il 2016 (Legge 28 dicembre 2015, n. 208) che è intervenuta in materia di regime fiscale agevolato per lavoratori autonomi, con efficacia decorrente dal 1° gennaio 2016;

›  il D.Lgs. 24 settembre 2015 n. 158, contenente la riforma del sistema sanzionatorio, che ha operato una completa revisione delle sanzioni applicabili alle violazioni del regime di reverse charge, già applicabili a decorrere dal 1° gennaio 2016;

›  il Codice Doganale dell’Unione (CDU) – in vigore dal 1° maggio 2016, che si propone di semplificare le procedure doganali attraverso l’impiego di procedure informatiche per “tutti gli scambi di informazioni, quali dichiarazioni, richieste o decisioni, tra autorità doganali nonché tra operatori economici ed autorità doganali, e l’archiviazione di tali informazioni”;

›  le più recenti pronunce della Corte di Cassazione, tra cui si evidenzia  la n. 23761 del 20 novembre 2015, che ha ridefinito il concetto di unitarietà del contratto di appalto.

 

Guido Costa

Dottore Commercialista e Revisore legale. Partner dello Studio Ciruzzi Costa & Associati di Milano. Esperto in fiscalità nazionale e internazionale e in diritto societario. Consulente Tecnico presso il Tribunale di Milano. Già membro della Commissione Controllo Legale dei Conti dell’Ordine di Milano. Ricopre cariche in Collegi Sindacali e Consigli di Amministrazione di varie società, anche controllate da enti quotati o da Istituti di credito, nonché in Fondi Pensione.

 

Paola Costa

Dottore Commercialista e Revisore legale. Esperta in diritto societario e fiscale, si dedica principalmente alla consulenza e al contenzioso tributario presso lo Studio Ciruzzi Costa & Associati di Milano. Mediatore civile presso la Camera Arbitrale e di Conciliazione della Fondazione dei Dottori Commercialisti di Milano. Autrice di testi in materia fiscale pubblicati da Maggioli Editore, collabora anche con il sito di aggiornamento professionale www.fiscoetasse.com.

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Superbonus: ostacoli da superare ed errori da evitare

Superbonus: ostacoli da superare ed errori da evitare

 

Mentre il perimetro delle possibili modifiche alle norme sul superbonus ha iniziato a definirsi sono ancora molti i condomini che voglio fruire della maxi agevolazione per le ristrutturazioni dei caseggiati. È fondamentale però evitare errori o lungaggini che facciano rischiare di perdere l’agevolazione allungando i tempi di avvio dei lavori.

    Indice

  1. La mancanza del fondo spese: delibera Superbonus invalida
  2. Superbonus e ostacolo ponteggi nelle proprietà private: la possibilità di ricorre al provvedimento di urgenza
  3. Superbonus e abusi edilizi

1. La mancanza del fondo spese: delibera Superbonus invalida

L’assemblea che delibera opere di manutenzione straordinaria e innovazioni deve costituire obbligatoriamente un fondo speciale di importo pari all’ammontare dei lavori; se i lavori devono essere eseguiti in base a un contratto che ne prevede il pagamento graduale in funzione del loro progressivo stato di avanzamento, il fondo può essere costituito in relazione ai singoli pagamenti dovuti (art. 1134, comma 1, n. 4).

L’esame della disposizione suddetta denota come la ratio della norma sia quella di circoscrivere l’esposizione dei singoli condomini verso fornitori e appaltatori del condominio in caso di delibere relative ad interventi implicanti significativi impegni economici.

L’articolo 1135 c.c. consente ai condomini di stabilire in delibera che il contratto da stipulare con l’appaltatore dei lavori di manutenzione straordinaria o delle opere di innovazione preveda un pagamento collegato agli stati di avanzamento, nel qual caso il fondo speciale può essere costituito in relazione ai pagamenti dovuti di volta in volta.

Molto spesso però si dimentica che l’obbligatorietà del fondo speciale induce a ritenere che, senza la sua costituzione, non si possa dare il via ai lavori. In particolare, la mancata costituzione del fondo rende la delibera nulla, con tutte le conseguenze del caso in termini di incertezze e rischi economici per la collettività condominiale e questo non può che valere, necessariamente, anche per il caso dei lavori da eseguirsi con il beneficio del Superbonus. In ogni caso il fondo speciale condominiale è relativo esclusivamente alle spese inerenti alle parti comuni e non certo a quelle relative alle proprietà esclusive (si pensi ad opere trainate come l’installazione degli infissi o delle caldaie autonome, interventi di cui si deve occupare il singolo condomino con separata contrattazione e separata fatturazione).


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2. Superbonus e ostacolo ponteggi nelle proprietà private: la possibilità di ricorre al provvedimento di urgenza

In linea generale il condomino è obbligato a consentire l’accesso e il passaggio nella sua proprietà per l’esecuzione dei lavori deliberati dall’assemblea. Merita di essere segnato che gli interessi commerciali del negoziante oscurato dai ponteggi sono recessivi a fronte di quello collettivo all’esecuzione dei lavori necessari alla manutenzione e messa in sicurezza di un immobile. In ogni caso l’accesso ed il passaggio del vicino nel fondo altrui devono essere sempre consentiti purché l’attività di immissione nell’altrui proprietà sia essenzialmente temporanea e giustificata dall’esigenza di non poter altrimenti eseguire la riparazione del bene comune.

Il Tribunale di Firenze, con provvedimento ex art. 700 c.p.c. del 19 settembre 2022, ha ordinato al proprietario di una unità immobiliare, posta al piano seminterrato di un edificio condominiale, di consentire il montaggio dei ponteggi necessari all’esecuzione dei lavori di manutenzione straordinaria del fabbricato rientranti tra quelli assistiti da vantaggi fiscali Superbonus 110% e bonus facciate, approvati dall’assemblea ed affidati ad un’impresa appaltatrice.

Come ha notato il giudice toscano, infatti, il trascorrere del tempo necessario per agire in via ordinaria potrebbe comportare la perdita per il condominio della possibilità di avvalersi dei suddetti benefici fiscali, con conseguente grave danno per le casse dello stesso, nonché per lo stesso condomino contrario all’installazione dei ponteggi. Di conseguenza il Tribunale ha disposto l’obbligo del condomino resistente a consentire l’accesso e il passaggio nella sua proprietà per l’installazione della ponteggiatura necessaria alla realizzazione delle opere deliberate.

3. Superbonus e abusi edilizi

Come è noto, a partire dal 1° giugno 2021 tutti gli interventi che ricadono nel perimetro del Superbonus, con la sola esclusione di quelli comportanti la demolizione e ricostruzione dell’edificio, devono essere avviati a seguito di presentazione di Cilas al Comune.

Per non cadere in errore bisogna, ricordare che, per gli interventi che prevedono contemporaneamente opere soggette al Superbonus 110% e altre opere non rientranti in tali beneficio, occorre comunque presentare sia la Cilas sia attivare il procedimento edilizio relativo alle opere non comprese, anche contemporaneamente.

Nel caso in cui l’intervento previsto riguardi contemporaneamente lavori agevolati con il Superbonus e lavori diversi, come ad esempio la modifica dimensionale delle aperture, le deroghe previste per il Superbonus servono a poco, dovendosi comunque certificare la regolarità edilizia dell’immobile per legittimare le altre opere.

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Come difendersi dai reati connessi al Superbonus 110%

 

Covid ed obbligo vaccinale: la consulta si è pronunciata

Covid ed obbligo vaccinale: la consulta si è pronunciata

 

A seguito delle ordinanze di rimessione di legittimità costituzionale dell’obbligo vaccinale in ambito lavorativo, la Consulta si è finalmente pronunciata, al termine delle udienze programmate per il 30 novembre 2022.

    Indice

  1. La questione 
  2. La decisione
  3. Conclusioni

1. La questione

Sono state fissate al 30 novembre le discussioni sulle dodici ordinanze di legittimità costituzionale sollevate da cinque organi giurisdizionali per decidere sulla compatibilità con i principi costituzionali – e non solo – dell’obbligo sanitario introdotto dal Decreto Legge 01/04/2021 n. 44 (convertito, con modificazioni, dalla legge 28 maggio 2021, n. 76) e Decreto Legge 24/03/2022 n. 24.

Fissate per la mattinata le udienze pubbliche relative alle seguenti ordinanze: 1) CGA Sicilia del 22.03.2022, n. 351, pubblicata in G.U. del 27.4.2022 n. 17 al numero di registro 38; 2) TAR Lombardia del 30.3.2022, pubblicata in G.U. del 4.5.2022 n. 18 con il numero di registro 42; 3) Trib. Brescia del 22.3.2022, in G.U. del 11.5.2022, n. 19, al n. 47; 4) Trib. Brescia del 09.5.2022, in G.U. del 22.6.2022, n. 25, al n. 71; 5) Trib. Padova del 28.4.2022 e Tribunale di Brescia del 31.5.2022, in G.U. del 06.7.2022, n. 27, al n. 76 e 77; 6) Tribunale di Brescia del 22.8.2022 e del 16.08.2022, in G.U. del 5.10.2022, n. 40, ai nn. 107 e 108. Nel pomeriggio, la volta delle udienze in camera di consiglio vertenti sulle ordinanze del: 7) Tribunale di Catania del 14.3.2022, in G.U. 22.6.2022, n. 25, al numero 70; 8) TAR Lombardia del 16.6.2022, in G.U. del 24.08.2022, n. 34, al numero 86; 9) Tribunale di Brescia del 22 e 23 luglio, in G.U. del 28.09.2022, n. 39, ai numeri 101 e 102.

Oggetto dell’impugnazione è l’art. 4 del citato Decreto Legge in tema di previsione di obblighi vaccinali per gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario, sotto l’aspetto della mancata adibizione del soggetto a mansioni anche diverse che non implichino il contatto con i pazienti, e alla previsione che l’atto di accertamento dell’inadempimento dell’obbligo vaccinale de quo determina l’immediata sospensione dal diritto di svolgere l’attività lavorativa e che per il periodo di sospensione non sono dovuti né la retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominati.

Le disposizioni che vengono in rilievo ai fini della riscontrata violazione con le norme di rango superiore sono essenzialmente gli artt. 2, 3 e 4 Cost., nonché i principi in tema di retribuzione e diritto al lavoro, ex art. 35, 36 e 41 Cost., unitamente all’art. 32, in punto di libera scelta e autodeterminazione dell’individuo in materia sanitaria e trattamenti sanitari.


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2. La decisione

Dopo la “maxi-udienza”, l’attesa è finita.

In data 01 dicembre, in corrispondenza della giornata mondiale per la lotta contro l’AIDS – la cui Legge 135 del 1990 recante “Programma di interventi urgenti per la prevenzione e la lotta contro l’AIDS” sancisce il divieto di divulgare la diagnosi di AIDS riscontrata in sede di accertamento sanitario (confermato dai successivi interventi del Garante della privacy del 31 luglio 1998; del 07 gennaio 1999; 15 luglio 1999; 16 febbraio 2000) – ma anche dello scadere dei 180 giorni per giustificare il mancato adempimento all’obbligo vaccinale che dà il via alle sanzioni contro coloro che non si sono sottoposti all’intero ciclo vaccinale, per complessivi 1,9 milioni di persone over 50 o appartenenti alle categorie professionali tra cui forze dell’ordine, docenti e personale sanitario che si sono sottratte alle dosi, è giunto il responso.

Una data destinata ad entrare nella storia, che conferma come in nome della salute, tutto è permesso.

Il Comunicato dell’Ufficio Stampa, recante il titolo “Obbligo Vaccinale a tutela della salute”, rende noto che “La Corte ha ritenuto inammissibile, per ragioni processuali, la questione relativa alla impossibilità, per gli esercenti le professioni sanitarie che non abbiano adempiuto all’obbligo vaccinale, di svolgere l’attività lavorativa, quando non implichi contatti interpersonali.

Sono state ritenute invece non irragionevoli, né sproporzionate, le scelte del legislatore adottate in periodo pandemico sull’obbligo vaccinale del personale sanitario.

Ugualmente non fondate, infine, sono state ritenute le questioni proposte con riferimento alla previsione che esclude, in caso di inadempimento dell’obbligo vaccinale e per il tempo della sospensione, la corresponsione di un assegno a carico del datore di lavoro per chi sia stato sospeso; e ciò, sia per il personale sanitario, sia per il personale scolastico.”

Tuttavia, per conoscerne le ragioni, si dovrà attendere il deposito delle motivazioni.

3. Conclusioni

Gli auspici non presagivano un finale diverso; ad ogni modo, la macroscopica disparità di trattamento fondata, da un lato, sul dato soggettivo del destinatario della legge, individuato sulla base dell’età (obbligo imposto per gli over 50) e sulla professione esercitata rispetto alla platea dei cittadini; e, dall’altro, sul dato oggettivo di applicazione ai soli casi di SARS-CoV-2 e non (anche) ad altre malattie o infezioni virali; nonché l’elevato e inconsueto numero di provvedimenti che ne ravvisavano la violazione costituzionale – oltre alle decisioni cautelari e di merito di reintegra del lavoratore – lasciava ragionevolmente aperta la possibilità di assistere ad “un colpo di coda” alle scelte legislative adottate.

Il punto di vista emanato, se pur non porta alcun cambiamento nei fatti – avendo confermato l’attuale disciplina, e, pertanto, le sanzioni comminate – è un radicale punto di svolta nell’ordinamento interno che suscita forti interrogativi sui temi giuridici affrontati. Primo fra tutti: si  può ancora parlare di salute se non vi è più un lavoro, e, dunque, una retribuzione? In altre parole, se il soggetto viene privato dello stipendio e dell’esercizio della professione, e fermo restando che la retribuzione non è sufficiente ma comunque necessaria al sostentamento proprio e di chi, da esso, ne dipende, conserva ancora il diritto alla salute oppure questo viene corroso?

E, quindi, cosa si intende per “diritto alla salute”? Consiste solo nel diritto “alla cura”, garantito in Italia attraverso il SSN anche ai meno abbienti, oppure la scelta da chi, come e per cosa farsi curare? Tornando alla legge sull’AIDS, è garantito l’anonimato e la non discriminazione per i sieropositivi e la volontarietà di sottoporsi al test HIV (art. 5 L. 135/1990); parimenti, nessun obbligo di profilassi è imposto quale requisito per esercitare un’attività lavorativa sul territorio nazionale, né il mancato adempimento per avvenuta immunizzazione a seguito di malattia naturale comporta sanzioni pecuniarie e professionali.

La soluzione adottata fa, dunque, sorgere il dubbio sul perché all’infezione da COVID-19 sia stato riservato un trattamento speciale, senza precedenti, e tale da calpestare i diritti tutelati per altre malattie, quali la privacy in tema di dati personali, l’autodeterminazione alle cure e il diritto al lavoro.

Sulla scorta dei precedenti giurisprudenziali che hanno riconosciuto la legittimità dell’obbligo de quo, si possono individuare i probabili argomenti a sostegno, fra i quali la tutela della salute pubblica sia ai fini della prevenzione del contagio e riduzione della diffusione della malattia, sia ai fini del decongestionamento del sistema sanitario nazionale; e i dati scientifici a supporto della dedotta sicurezza del vaccino, che rende tollerabile nei limiti della normalità l’accettazione dei rischi e degli eventi avversi che generalmente conseguono alla somministrazione di tutti i trattamenti sanitari (cfr. Corte costituzionale, 18 gennaio 2018, n. 5; 14 dicembre 2017, n. 268), superando lo scoglio dell’autorizzazione in via d’urgenza dei vaccini in esame e dell’immissione in commercio c.d. condizionata, facendo leva sulle certificazioni eseguite da un Organo tecnico e indipendente – quale l’AIFA – preposto all’attività di controllo e farmacovigilanza.

E’, però, al contempo innegabile che altrettanti dati scientifici consegnano un quadro preoccupante, portando alla luce una realtà diversa da quella che si è prefissata la norma: i) sia i vaccinati che i non vaccinati sono “portatori sani” del virus, ed hanno le stesse probabilità di ammalarsi e contagiare gli altri; ii) nonostante oltre il 90% della popolazione abbia concluso il ciclo vaccinale (dati diffusi dal Ministero della Salute e Presidenza del consiglio), il virus non è stato ancora debellato e ogni giorno si registrano nuovi contagiati che superano i 100.000 e i 500 decessi, e i reparti Covid di terapia intensiva non si sono mai svuotati; iii) solo di recente vengono avviati studi approfonditi sugli effetti dei vaccini commercializzati dalle maggiori case farmaceutiche, ed in particolare i rischi cardiaci a seguito del costante aumento di casi sospetti anche fra giovanissimi.

In attesa di conoscere le motivazioni, la decisione appena emessa lascia irrisolto il dubbio di come possa superare il vaglio di proporzionalità e ragionevolezza una previsione così apertamente discriminatoria e manifestamente contraddittoria con i dati reali, e segna, dunque, “l’alba di una nuova era” in cui – forse – sarà stravolto l’art. 1 della Costituzione per cui la Repubblica italiana non sarà (più) fondata sul lavoro, bensì sulla salute, e il “tramonto” della libera autodeterminazione e della tutela dei dati sensibili.

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Gli aspetti giuridici dei vaccini

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La necessità di dare una risposta a una infezione sconosciuta ha portato a una contrazione dei tempi di sperimentazione precedenti alla messa in commercio che ha suscitato qualche interrogativo, per non parlare della logica impossibilità di conoscere possibili effetti negativi a lungo termine.

Il presente lavoro intende fare chiarezza, per quanto possibile, sulle questioni più discusse in merito alla somministrazione dei vaccini, analizzando aspetti sanitari, medico – legali e professionali, anche in termini di responsabilità.

 

Fabio M. Donelli
Specialista in Ortopedia e Traumatologia, Medicina Legale e delle Assicurazioni e in Medicina dello Sport. Profes­sore a contratto presso l’Università degli Studi di Milano nel Dipartimento di Scienze Biomediche e docente presso l’Università degli Studi della Repubblica di San Marino. Già docente nella scuola di Medicina dello Sport dell’Uni­versità di Brescia, già professore a contratto in Traumatologia Forense presso l’Università degli Studi di Bologna e tutor in Ortopedia e Traumatologia nel corso di laurea in Medicina Legale presso l’Università degli Studi di Siena. Responsabile della formazione per l’Associazione Italiana Traumatologia e Ortopedia Geriatrica. Promotore e coordinatore scientifico di corsi in ambito ortogeriatrico, ortopedico-traumatologico e medico-legale.

Mario Gabbrielli
Specialista in Medicina Legale. Già Professore Associato in Medicina Legale presso la Università di Roma La Sapienza. Professore ordinario di Medicina Legale presso la Università di Siena. Già direttore della UOC Me­dicina Legale nella Azienda Ospedaliera Universitaria Senese. Direttore della Scuola di Specializzazione in Me­dicina Legale dell’Università di Siena, membro del Comitato Etico della Area Vasta Toscana Sud, Membro del Comitato Regionale Valutazione Sinistri della Regione Toscana, autore di 190 pubblicazioni.

Con i contributi di: Maria Grazia Cusi, Matteo Benvenuti, Tommaso Candelori, Giulia Nucci, Anna Coluccia, Giacomo Gualtieri, Daniele Capano, Isabella Mercurio, Gianni Gori Savellini, Claudia Gandolfo.

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Decreto Aiuti quater: le nuove misure di Welfare

Decreto Aiuti quater: le nuove misure di Welfare

 

La pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del Decreto Legge n. 176/2022, cosiddetto Decreto Aiuti quater, recante “Misure urgenti di sostegno nel settore energetico e di finanza pubblica”, conferma l’entrata in vigore delle ulteriori misure stanziate dal Governo al fine di contrastare gli effetti dell’eccezionale aumento del costo della vita.

Ritenuta, infatti, la straordinaria necessità e l’urgenza di adottare misure ad hoc per contenere gli effetti derivanti dall’aumento del costo dell’energia e dei carburanti, nonché interventi in materia di efficienza, sicurezza energetica e incremento della produzione di gas naturale, oltre a disposizioni specifiche in materia di finanza pubblica, con il Decreto Aiuti quater sono state in parte prorogate alcune delle misure già previste nei precedenti provvedimenti ed in parte inserite interessanti novità a supporto delle famiglie.

Vediamo insieme le previsioni contenute nel Decreto Aiuti quater, con particolare riferimento alle misure di sostegno disposte per fronteggiare il caro bollette.

    Indice

  1. Imprese: possibilità di rateizzare le bollette
  2. Fringe benefit: estesa la soglia a 3.000 euro

1. Imprese: possibilità di rateizzare le bollette

Con l’art. 3 del Decreto Aiuti quater recante “Misure di sostegno per fronteggiare il caro bollette”, così come previsto al comma 1, le imprese con utenze collocate in Italia e ad esse intestate avranno la possibilità di rateizzare il pagamento degli importi dovuti a titolo di corrispettivo per la componente energetica, di elettricità e gas naturale, utilizzato per usi diversi da quelli termoelettrici ed eccedenti l’importo medio contabilizzato, a parità di utilizzo rispetto al periodo di riferimento 2021, per i consumi effettuati dal 1° ottobre 2022 al 31 marzo 2023 e fatturati entro il 30 settembre 2023.

A tal fine, le imprese interessate potranno formulare apposita richiesta di rateizzazione (previste fino ad un massimo di 36 rate) ai propri fornitori, secondo modalità semplificate che saranno stabilite a breve con apposito decreto del Ministro delle imprese e del made in Italy, di concerto con il Ministro dell’ambiente e della sicurezza energetica.

2. Fringe benefit: estesa la soglia a 3.000 euro

Sempre all’art. del 3 del Decreto Aiuti quater, recante “Misure di sostegno per fronteggiare il caro bollette”, sono contenute, al comma 10, le nuove disposizioni relative ai fringe benefit.

In particolare, con il testo del nuovo decreto pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 18 novembre 2022 viene innalzato per l’anno in corso da 600,00 a 3.000 euro, il tetto per l’esenzione fiscale dei cosiddetti “fringe benefit. Si tratta di una importante misura di welfare aziendale volta ad agevolare i lavoratori, che potranno vedersi rimborsare nel proprio stipendio dal datore di lavoro anche il costo delle utenze domestiche, acqua, luce e gas, fino all’importo massimo di euro 3.000.

Ricordiamo che già con il Decreto Legge n. 115/2022, cosiddetto Decreto Aiuti bis, era stata innalzata la soglia di non imponibilità dei fringe benefit, passando da quella standard di euro 258,23 annui ad euro 600,00. Adesso, con l’entrata in vigore del nuovo provvedimento, il limite per il 2022 viene eccezionalmente portato ad euro 3.000, consentendo quindi ai datori di lavoro di riconoscere ai propri dipendenti, fino a questa soglia massima, l’eventuale rimborso di spese legate alle utenze domestiche.

Sulle modalità, le tipologie di spese, i destinatari e tutte le specifiche legate al provvedimento (rimborso utenze domestiche) era già intervenuta, agli inizi di novembre, l’Agenzia delle Entrate, al fine di fornire i dovuti chiarimenti, tramite la Circolare 35/E recante “Misure fiscali per il welfare aziendale – Articolo 12 del decreto-legge 9 agosto 2022, n. 115”.

Come noto, i fringe benefit possono essere riconosciuti dal datore di lavoro come forma di retribuzione premiale, appunto benefit, con il vantaggio per il lavoratore che, fino a quella soglia, non è prevista alcuna tassazione ai fini IRPEF. A tal fine, sono regolati dall’articolo 51 del TUIR (Testo Unico Imposte sui Redditi), per il quale la misura in oggetto viene pertanto ricompresa in via eccezionale “attesa la straordinaria necessità e urgenza di adottare misure per contenere il costo dell’energia elettrica e del gas naturale nonché per contrastare l’emergenza idrica”. Inoltre, per il datore di lavoro, si tratta di importi completamente deducibili dal reddito d’impresa e riconoscibili anche al singolo dipendente.

Sempre l’Agenzia delle Entrate, nel testo della Circolare 35/E del 4 novembre 2022, aveva già chiarito inoltre che la misura legata al rimborso delle utenze domestiche, limitatamente all’anno di imposta 2022, rappresenta un’agevolazione ulteriore, diversa e autonoma, rispetto al “bonus carburante” di cui all’articolo 2 del decreto-legge 21 marzo 2022, n. 21, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 maggio 2022, n. 5111, al quale si somma. Di conseguenza, a seguito della modifica intervenuta al regime dell’articolo 51, comma 3, del TUIR, al fine di fruire dell’esenzione da imposizione, i beni e i servizi erogati nel periodo d’imposta 2022 dal datore di lavoro a favore di ciascun lavoratore dipendente possono raggiungere un valore di euro 200 per uno o più buoni benzina ed un valore di euro 3.000, così come da nuova disposizione contenuta del Decreto Aiuti quater, per l’insieme degli altri beni e servizi.

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Guardasigilli illustra le linee programmatiche del Ministero

Guardasigilli illustra le linee programmatiche del Ministero

 

Il 6 dicembre 2022, presso la Commissione giustizia del Senato, il Guardasigilli Nordio ha illustrato le linee programmatiche del ministero della Giustizia.

Indice

1. Le linee programmatiche al Senato

Il neo Ministro Nordio, in Commissione Giustizia del Senato, ha proceduto a illustrare le linee programmatiche del Ministero da lui preseduto, precisando che nel sistema complessivo il lavoro preliminare è già iniziato, col progetto di istituire le opportune commissioni e i gruppi di lavoro ma poiché alcune riforme richiederanno una revisione costituzionale, i tempi saranno meno brevi.

2. Giustizia civile

Nell’ambito della giustizia civile, che oltre a costituire un fattore essenziale di tutela dei diritti e delle persone soprattutto più deboli ha un rilevantissimo impatto nell’economia, ha evidenziato che una giustizia efficiente garantisce la protezione dei diritti di proprietà e dei crediti e favorisce dunque la commutazione del capitale, il finanziamento delle imprese, l’efficiente allocazione delle risorse, la competitività e il potenziale di crescita di un territorio. L’eccessiva durata dei processi civili in Italia agisce ancora come un freno per l’economia e quindi, appare cruciale la riduzione dei tempi di definizione perché a ogni 10% in meno di durata dei processi corrisponde un aumento di dimensione delle imprese. L’amministrazione della giustizia darà dunque il suo massimo impegno nell’attuazione degli obiettivi previsti dal piano nazionale di ripresa e di resilienza entro il 30 giugno del 2023, pur se risulta già attiva una strategia finalizzata ad anticipare i tempi. Verranno infatti adottati i decreti attuativi della riforma del processo civile, verrà data inoltre piena attuazione alla riforma costitutiva dell’ufficio per il processo attraverso la definizione della relativa disciplina organica e il completamento del piano di assunzione degli addetti assegnati ai vari distretti e alla Corte di Cassazione. Continuerà inoltre l’azione di coordinamento di monitoraggio delle iniziative. Sono state poste in essere per il miglioramento del sistema giustizia per l’abbattimento dell’arretrato e la riduzione del disposition time nei termini convenuti con l’Unione Europea. Particolare attenzione sarà posta al monitoraggio effettuato, anche in raccordo con il Consiglio Superiore della Magistratura, e con gli altri uffici giudiziari, del contributo fornito dagli addetti all’ufficio per il processo e dal personale tecnico assunto durante il 2022.

3. Codice crisi impresa e insolvenza

Nella medesima prospettiva di tutela del tessuto economico nazionale si inserisce la riforma delle norme sull’insolvenza, che persegue l’obiettivo di offrire nuovi e più efficaci strumenti agli imprenditori per sanare quelle situazioni di squilibrio economico e patrimoniale che appaiono reversibili grazie al ricorso della composizione negoziata della crisi, che è il vero cuore della nuova normativa dell’insolvenza.

4. Edilizia giudiziaria

Sarà portata a termine l’attività connessa agli interventi di manutenzione straordinaria riqualificazione ed efficientamento nei beni immobili dell’amministrazione della giustizia continuerà ovviamente l’azione di coordinamento e monitoraggio delle iniziative poste in essere per assicurare l’abbattimento dell’arretrato e la riduzione del disposition time dei termini convenuti con l’unione europea

5. Ambito penale

Quanto al sistema penale, per Nordio le criticità della nostra giustizia penale derivano da alcune contraddizioni insanabili: il nostro codice penale, che disciplina le strutture e le fattispecie dei reati del 1930, e nella sua relazione di accompagnamento viene indicato come la più significativa espressione dell’ideologia fascista. Esso, tuttavia, è stato modificato solo in pochi elementi sopprimendo i reati più odiosi, come integrità della stirpe ed altro, e introducendone altri principalmente attraverso leggi speciali non sempre coordinati con la sua struttura. Al contrario il codice di procedura penale che disciplina le indagini del processo è relativamente recente, ed è stato elaborato da un pluridecorato della resistenza, il professor Vassalli. Paradossalmente questo codice è stato oggetto di reiterati interventi non solo da parte del legislatore ma pure della stessa Corte costituzionale che ne ha soppresso alcuni principi contrari alla Carta, che peraltro era stata elaborata quando i suoi autori non immaginavano che quarant’anni dopo sarebbe stato introdotto un sistema processuale accusatorio, opposto a quello col quale, a quel tempo, si confrontava questa contraddizione. Occorre quindi una riforma del codice penale adeguandolo nei suoi principi al dettato costituzionale, e una completa attuazione del codice Vassalli, una riforma garantista e liberale che può essere attuata in parte con leggi ordinarie e, negli aspetti più sensibili, con una revisione della Costituzione.

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Concorso 8171 posti nell’Ufficio del processo: Scorrimento graduatorie

Concorso 8171 posti nell’Ufficio del processo: Scorrimento graduatorie

 

La scelta della sede da parte degli interessati è prevista a partire dal 20 dicembre 2022 (dalle ore 8) fino al 3 gennaio 2023 (alle ore 12.30) tramite apposita piattaforma informatica.

Il concorso pubblico per titoli ed esami per il reclutamento di 8171 addetti all’Ufficio per il processo si era concluso nel febbraio scorso, venendo in seguito integrato da due scorrimenti nelle graduatorie.

Le assunzioni sono a tempo determinato e con un contratto della durata di tre anni. I posti disponibili sono alla Corte di Cassazione e nei distretti delle Corti di Appello.

Vediamo di seguito i termini di quest’ultimo sviluppo.

    Indice:

I posti a concorso

Il concorso si svolge su base distrettuale. Il 30% dei posti disponibili su ogni distretto è riservato prioritariamente ai volontari in ferma breve e ferma prefissata delle Forze armate congedati senza demerito ovvero durante il periodo di rafferma, ai volontari in servizio permanente, nonché agli ufficiali di complemento in ferma biennale e agli ufficiali in ferma prefissata che hanno completato senza demerito la ferma contratta.

I posti saranno suddivisi in base alla disposizione indicata di seguito:

Concorso 8171 addetti Ufficio del processo
Codice Concorso Posti Codice Concorso Posti
Codice CASS – Corte di cassazione 200 Codice  LE  –  Distretto  della  Corte  di  Appello  di  Lecce 303
Codice AN – Distretto della Corte di Appello di Ancona 140 Codice ME –  Distretto  della  Corte  di  Appello  di  Messina 148
Codice  BA  –  Distretto  della  Corte  di  Appello  di  Bari 306 Codice MI  –  Distretto  della  Corte  di  Appello  di  Milano 680
Codice BO –  Distretto  della  Corte  di  Appello  di  Bologna 422 Codice NA  –  Distretto  della  Corte  di  Appello  di  Napoli 956
Codice BS –  Distretto  della  Corte  di  Appello  di  Brescia 248 Codice PA –  Distretto  della  Corte  di  Appello  di  Palermo 410
Codice CA – Distretto  della  Corte  di  Appello  di  Cagliari 248 Codice PG –  Distretto  della  Corte  di  Appello  di  Perugia 107
Codice CL – Distretto della Corte di Appello di  Caltanissetta 106 Codice PZ –  Distretto  della  Corte  di  Appello  di  Potenza 125
Codice CB – Distretto della Corte  di  Appello  di  Campobasso 51 Codice RC – Distretto della Corte di Appello di Reggio Calabria 208
Codice CT –  Distretto  della  Corte  di  Appello  di  Catania 331 Codice  RM  –  Distretto  della  Corte  di  Appello  di  Roma 843
Codice CZ – Distretto della  Corte  di  Appello  di  Catanzaro 304 Codice SA –  Distretto  della  Corte  di  Appello  di  Salerno 218
Codice FI –  Distretto  della  Corte  di  Appello  di  Firenze 446 Codice TO  –  Distretto  della  Corte  di  Appello  di  Torino 401
Codice GE  –  Distretto  della  Corte  di  Appello  di  Genova 251 Codice TS –  Distretto  della  Corte  di  Appello  di  Trieste 141
Codice AQ –  Distretto  della  Corte  di  Appello  dell’Aquila 190 Codice VE –  Distretto  della  Corte  di  Appello  di  Venezia 388

 

Per ogni distretto una parte di posti è destinata ai candidati in possesso della laurea in economia e commercio o in scienze politiche o titoli equipollenti o equiparati. Si rimanda al bando per conoscere con precisione la quota di posti per ogni distretto.

Requisiti

Il concorso è riservato ai laureati in materie giuridiche, anche con laurea triennale, e per una quota anche ai laureati in economia e commercio e scienze politiche o titoli equiparati ed equipollenti. L’elenco dei titoli di studio richiesti è descritto esaustivamente all’articolo 2 del bando.

Per la partecipazione al concorso è inoltre necessario il possesso dei seguenti requisiti:

  • cittadinanza italiana o di uno Stato membro dell’Unione europea. Sono ammessi inoltre i familiari di cittadini italiani o di un altro Stato membro dell’Unione europea, che non abbiano la cittadinanza di uno Stato membro, ma che siano titolari del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente, nonché i cittadini di Paesi terzi titolari del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo o titolari dello status di rifugiato ovvero dello status di protezione sussidiaria;
  • età non inferiore a 18 anni;
  • idoneità fisica all’impiego;
  • qualità morali e di condotta di cui all’art. 35, comma 6, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165;
  • godimento dei diritti civili e politici;
  • non essere stati esclusi dall’elettorato politico attivo;
  • non essere stati destituiti o dispensati dall’impiego presso una pubblica amministrazione per persistente insufficiente rendimento, ovvero non essere stati dichiarati decaduti o licenziati da un impiego statale;
  • non aver riportato condanne penali, passate in giudicato, per reati che comportano l’interdizione dai pubblici uffici;
  • per i candidati di sesso maschile, posizione regolare nei riguardi degli obblighi di leva secondo la vigente normativa italiana.

Come fare domanda

La domanda di partecipazione al concorso può essere presentata per uno solo dei codici sopra descritti ed esclusivamente per via telematica, attraverso il portale Step One 2019.
>> Istruzioni per iscriversi al concorso.

Per l’accesso è richiesto il possesso delle credenziali digitali SPID, mentre per la partecipazione sono richiesti:

  • indirizzo personale di Posta Elettronica Certificata(PEC);
  • pagamento della quota di partecipazione di 10 euro, effettuabile seguendo le indicazioni in fase di presentazione della domanda.

Le domande dovranno essere inviate entro le ore 14,00 del 23 settembre 2021.

>> Clicca qui per scoprire come iscriversi al concorso

Prove concorsuali e valutazione titoli

Il concorso prevede la valutazione dei titoli dei candidati e una sola prova scritta con test a crocette.

La valutazione dei titoli avverrà tramite l’ausilio di piattaforme digitali, sulla base dei titoli dichiarati dai candidati al momento della domanda di ammissione al concorso. Per la valutazione dei titoli potranno essere attribuiti fino a 15 punti, così ripartiti:

  • fino a 6 punti per il voto di laurea (verrà valutato il titolo conseguito con maggior profitto tra quelli presentati);
  • fino a 5 punti per ulteriori titoli universitari in ambiti attinenti al profilo di addetto all’ufficio per il processo;
  • 3 punti per l’abilitazione alla professione di avvocato;
  • 3 punti per l’abilitazione alla professione di dottore commercialista ed alla professione di esperto contabile;
  • 4 punti per lo svolgimento, con esito positivo, del tirocinio presso uffici giudiziari ai sensi dell’art. 73 del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni,
    dalla legge 9 agosto 2013, n. 98;
  • 2 punti per il servizio prestato come research officer presso le sezioni specializzate e/o gli uffici giudiziari in materia di immigrazione, protezione internazionale e liberale circolazione nell’Unione europea, nell’ambito del Piano operativo dell’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo – EASO.

Saranno ammessi alla prova scritta un numero di candidati pari a venti volte il numero dei relativi posti messi a concorso per ciascun distretto, oltre ad eventuali ex aequo.

La prova scritta del concorso sarà unica per tutti i codici e consisterà in un test di 40 quesiti a risposta multipla da risolvere nell’arco di 60 minuti, con un punteggio massimo attribuibile di