Archivi giornalieri: 28 dicembre 2022

La vulnerabilità dei Rom in Europa Europa

La vulnerabilità dei Rom in Europa Europa

I Rom sono la minoranza etnica più numerosa in Europa ma anche uno dei gruppi più vulnerabili. L’incidenza del rischio povertà è quattro volte quello degli autoctoni e il tasso di occupazione raggiunge livelli molto più bassi.

 

Quando si parla di “Rom” si fa riferimento a un insieme di gruppi tra cui i Sinti, gli Ashkali, gli Yenish e numerosi altri popoli nomadi. Si tratta della minoranza etnica più numerosa d’Europa, contando diversi milioni di membrima anche di uno dei gruppi più vulnerabili. In primis dal punto di vista socio-economico.

6 milioni i Rom residenti in Europa, secondo le stime della commissione europea (2020).

Una cifra che arriva ai 10-12 milioni contando anche le persone senza cittadinanza.

Le iniziative Ue per l’inclusione dei rom

La commissione europea si è impegnata a tutelare i diritti dei rom e a prevenirne la discriminazione. Dal 2011 al 2020 le istituzioni si sono concentrate esclusivamente sull’aspetto socio-economico. Più recentemente, con l’implementazione del framework strategico dell’Ue per l’uguaglianza, inclusione e partecipazione dei Rom, lo scopo è stato esteso, comprendendo anche gli ambiti della partecipazione civile e della discriminazione.

In tale contesto la commissione fissa 7 obiettivi da raggiungere entro il 2030. In primo luogo, combattere e prevenire l’antiziganismo e la discriminazione. Segue la riduzione della povertà e dell’esclusione sociale, che prevede di colmare il divario con i cittadini autoctoni. Altro obiettivo prefissato è quello di promuovere la partecipazione dei Rom nella società civile, come di aumentare la parità di accesso a istruzione e occupazione. Infine, prevede di migliorare la salute e l’accesso ai servizi sanitari e agli alloggi. Non ci si riferisce soltanto all’adeguatezza della condizione abitativa ma anche a ridurre la segregazione, per favorire l’inclusione.

Se relativamente a tali traguardi occorre conseguire progressi minimi entro il 2030, lo scopo a lungo termine resta quello di garantire un’uguaglianza efficace e di colmare il divario tra i Rom e il resto della popolazione.

Uno degli strumenti utilizzati per monitorare il progresso in vista di tali obiettivi è il sondaggio dell’agenzia europea per i diritti fondamentali (Fra, acronimo inglese di European union agency for fundamental rights).

Le tematiche analizzate sono, rispecchiando i sopracitati obiettivi, lo status socio-economico delle comunità Rom, la loro percezione di discriminazione, i livelli di occupazione e di educazione, e la questione dell’alloggio e dell’accesso all’assistenza sanitaria.

Le condizioni socio-economiche dei rom in Europa

Dal sondaggio emerge che i Rom spesso vivono in condizioni di estrema fragilità. Sono più esposti alla povertà e all’esclusione sociale e svolgono meno frequentemente un lavoro retribuito. Il divario con i cittadini autoctoni è molto ampio.

80% delle famiglie rom in Europa (nei 10 paesi coperti dal sondaggio Fra) è a rischio povertà (2021).

La media della popolazione generale è invece pari al 17% (con un divario quindi di oltre 60 punti percentuali). Se si considerano soltanto i minori, la quota è ancora più elevata. Si tratta dell’83%, contro il 20% dei minori tra la popolazione generale.

GRAFICO
DA SAPERE

I dati provengono da un sondaggio condotto dall’agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali (Fra) sui Rom in 10 paesi dei quali 8 membri dell’Unione europea, a cui si sono aggiunte rilevazioni sostenute dalla Fra a livello nazionale in Bulgaria e Slovacchia. Con “a rischio povertà” si intende la quota di persone che percepiscono un reddito familiare disponibile mensile (al netto delle tasse, diviso per il numero di membri) inferiore al 60% del reddito mediano nazionale (con il 2020 come anno di riferimento). I dati italiani e slovacchi sono riferiti al 2020, quelli bulgari al 2019. Per quanto riguarda la popolazione generale, il dato viene invece dai sondaggi Eu-Silc e dallo European community household panel survey, e risale al 2020 (aggiornato al 10 febbraio 2022). A eccezione di quello italiano, relativo al 2019.

FONTE: elaborazione openpolis su dati Fra
(consultati: mercoledì 21 Dicembre 2022)

 

In quattro paesi su 10 (Portogallo, Italia, Spagna e Grecia) oltre il 90% dei Rom intervistati risulta essere a rischio povertà. Negli altri stati che hanno partecipato al sondaggio il dato risulta comunque molto elevato, aggirandosi tra l’86% della Croazia e il 71% della Bulgaria.

I paesi dell’Europa meridionale sono i primi anche se si considera il divario con gli autoctoni, che in Portogallo arriva a 80 punti percentuali. Ultima da questo punto di vista è ancora una volta la Bulgaria, che è anche lo stato con la quota più elevata di cittadini autoctoni considerati a rischio (qui lo scarto è pari a 47 punti).

Più contenuti ma comunque elevati anche i divari dal punto di vista della partecipazione al mondo del lavoro. Se infatti l’80% dei Rom è a rischio povertà, il 43% però dichiara di avere una qualche forma di impiego retribuito.

GRAFICO
DA SAPERE

I dati provengono da un sondaggio condotto dall’agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali (Fra) sui Rom in 10 paesi dei quali 8 membri dell’Unione europea, a cui si sono aggiunte rilevazioni sostenute dalla Fra a livello nazionale in Bulgaria e Slovacchia. Le quote si riferiscono alle persone intervistate, di età compresa tra i 20 e i 64 anni, che hanno riportato come proprio principale status di attività il “lavoro retribuito” (categoria che include il lavoro sia a tempo pieno che part-time, i lavori ad hoc, autonomi o occasionali, nonché qualsiasi attività lavorativa svolta nelle ultime 4 settimane precedenti alla rilevazione). Il dato relativo alla popolazione generale risale al 2020.

FONTE: elaborazione openpolis su dati Fra
(consultati: mercoledì 21 Dicembre 2022)

 

Ungheria e Italia sono i due paesi Ue in cui la quota più elevata di Rom dichiara di svolgere un qualche tipo di lavoro (rispettivamente il 62% e il 61%). Agli ultimi posti invece la Spagna con il 25% e il Portogallo (31%).

Quanto al divario con i cittadini autoctoni, è ancora una volta il Portogallo a registrare quello più marcato (44 punti percentuali). Seguono la Spagna e la Slovacchia, entrambe con scarti superiori ai 40 punti. Ultima l’Italia, con una differenza pari ad appena 2 punti.

Foto: Banca mondiale

 

Pensionati: 3 agevolazioni da non perdere (la terza è la migliore!)

Pensionati: 3 agevolazioni da non perdere (la terza è la migliore!)

Giugno 2022

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Chi nomina i prefetti

Chi nomina i prefetti

I prefetti sono nominati dal ministro dell’interno, da cui dipendono direttamente e con cui devono mantenere rapporti di fiducia e piena collaborazione indipendentemente dal colore politico del ministro e del governo in carica.

Definizione

La nomina a prefetto e’ conferita con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell’interno

Quella di prefetto è la qualifica più alta in grado dei funzionari di carriera prefettizia. La nomina avviene con decreto del presidente della repubblica. Si tratta tuttavia di un atto solo formalmente presidenziale ma sostanzialmente governativo.

Il ministro dell’interno ha un ampio margine di discrezionalità nella nomina dei dirigenti alla carica di prefetto.

La nomina infatti fa seguito a una deliberazione del consiglio dei ministri che si esprime su proposta del ministro dell’interno. È questa figura a disporre di un ampio margine di discrezionalità sulla nomina dei prefetti. Il procedimento inizia con una commissione consultiva che individua i funzionari con la carica di viceprefetto ritenuti idonei alla nomina, in base a valutazioni sul percorso di carriera. In seguito a questa valutazione viene stilato un elenco di funzionari pari ad almeno il doppio dei posti disponibili. Alcuni posti in lista sono inoltre riservati a dirigenti della polizia di stato. A questo punto il ministro dell’interno, in vista della proposta al consiglio dei ministri, sceglie tra i funzionari presenti nella lista.

La qualifica di prefetto permette di ricoprire incarichi di vertice presso il ministero dell’interno, ma anche altri ruoli come il capo o vicecapo della polizia di stato. Inoltre i prefetti possono essere nominati alla guida di una prefettura – ufficio territoriale del governo. Anche questo incarico è conferito con decreto del presidente della repubblica, previa deliberazione del consiglio dei ministri, su proposta del ministro dell’interno. Tuttavia in questo caso la scelta del ministro avviene tra il personale che già detiene il titolo di prefetto.

Dati

Dei prefetti attualmente a capo delle 103 prefetture – uffici territoriali del governo (Utg) più i due commissariati del governo (nelle province autonome) sono 21 quelli nominati dall’attuale ministro Matteo Piantedosi. Un numero considerevole se si tiene conto che, al momento della stesura di questo articolo il ministro è in carica da appena 2 mesi. Quasi tutti i rimanenti (76) invece risultano nominati dall’ex ministra Luciana Lamorgese. Comunque, nonostante Lamorgese abbia ricoperto l’incarico per oltre 3 anni, risultano ancora in carica 7 prefetti nominati dal ministro Matteo Salvini e addirittura 1 nominato da Marco Minniti. Ovvero il prefetto a capo del commissariato del governo di Bolzano.

Osservando il totale delle nomine effettuate dai ministri dell’interno per questo incarico, indipendentemente dal fatto che gli incarichi siano ancora attuali, possiamo rilevare che in media un ministro nomina tra i 40 e i 50 prefetti ogni anno.

 

Da questo punto di vista, risulta particolarmente attivo l’ex ministro Salvini che in appena 1 anno e 3 mesi trascorsi al Viminale, ha nominato ben 70 prefetti al vertice di un ufficio territoriale del governo.

Analisi

Quello di prefetto è un incarico di carriera ma allo stesso tempo prevede un rapporto di fiducia e stretta collaborazione con il ministro dell’interno, da cui dipende direttamente. Questo vale per i prefetti con ruoli dirigenziali presso il ministero ma a maggior ragione per coloro che sono capo degli uffici territoriali. I prefetti infatti devono uniformarsi alle direttive dell’esecutivo e godere della fiducia del governo, che può revocargli l’incarico in qualsiasi momento.

Guardando ad esempio alla carriera di Matteo Piantedosi emerge chiaramente come gli siano stati attribuiti incarichi di rilievo da ministri provenienti da aree politiche molto diverse.

Nel 2017 infatti è stato nominato prefetto di Bologna dall’allora ministro del Partito democratico Marco Minniti. Successivamente, con la nascita del primo governo Conte (2018) il ministro Salvini (Lega) lo ha chiamato a ricoprire il fondamentale incarico di capo di gabinetto.

Nonostante la crisi di governo e la nascita del secondo governo Conte, inizialmente la ministra Luciana Lamorgese lo ha mantenuto nell’incarico per poi assegnarli il vertice della prefettura più importante d’Italia, quella di Roma (2020). Incarico che ha ricoperto fino alla nascita del governo Meloni, quando è stato nominato ministro.

Una volta ricevuto l’incarico politico Piantedosi ha nominato un nuovo capo di gabinetto (Maria Teresa Sempreviva). È interessante notare tuttavia, che come aveva fatto Lamorgese proprio con Piantedosi, anche il precedente capo di gabinetto del Viminale (Bruno Frattasi) è stato poi destinato dal nuovo ministro alla prefettura di Roma. Un incarico che, come abbiamo detto, è molto importante ma in cui forse non è necessario lo stesso allineamento politico con il ministro che deve invece avere il suo capo di gabinetto.

 

Chi sono i prefetti

Chi sono i prefetti

Sono funzionari del ministero dell’interno al massimo livello di carriera. Hanno grandi responsabilità nella gestione dell’ordine pubblico e del buon funzionamento delle istituzioni statali e locali.

Definizione

Il prefetto rappresenta il livello di carriera più elevato a cui possono ambire i “funzionari di carriera prefettizia” del ministero dell’interno. In base al decreto legislativo 139/2000 questi sono selezionati tramite concorso pubblico ed iniziano la loro carriera con il rango di consigliere. Da sottolineare che, in base all’articolo 42 della legge 121/1981, anche i dirigenti della polizia possono diventare prefetti.

147 il numero totale di funzionari con titolo di prefetto previsti dalla legge.

L’incarico più noto (ma non l’unico) che può ricoprire un prefetto è quello di essere destinato alla gestione di uno dei 103 uffici territoriali del governo (Utg) distribuiti su tutto il territorio nazionale. L’area di competenza di queste strutture ricalca a grandi linee quella delle province con alcune differenze.

Le province sono infatti 107. Questo perché in Valle d’Aosta le funzioni prefettizie sono svolte dal presidente della regione, per la provincia del Sud Sardegna è competente la prefettura di Cagliari, mentre nelle province di Trento e Bolzano hanno sede dei commissariati del governo.

Dati

Quello di titolare di un Utg è un incarico soggetto ad una frequente turnazione. Ogni anno infatti vengono nominati circa 40-50 prefetti al vertice di un Utg. Tra quelli attualmente in carica risultano 38 donne (36,19%) e 67 uomini (63,81%). L’età media è di 61 anni e complessivamente oscilla tra i 54 e i 66 anni.

Analisi

Quella del prefetto è una figura che raramente trova spazio nel dibattito pubblico ma che invece ricopre una posizione centrale all’interno della pubblica amministrazione, con grandi poteri e responsabilità. Non bisogna dimenticare infatti che nelle facoltà dei prefetti ci sono, tra gli altri, anche poteri sostitutivi in caso di inerzia degli amministratori locali, oltre al fatto che ricoprono un ruolo di primo piano nei commissariamenti per mafia.

Non a caso, il percorso di carriera per arrivare al rango di prefetto è molto lungo. Dopo aver superato il concorso, seguono infatti due anni di preparazione nella scuola superiore dell’amministrazione dell’interno, terminati i quali i consiglieri ottengono l’incarico di viceprefetto aggiunto e possono iniziare a lavorare nei vari uffici che fanno capo al ministero.

Devono poi trascorrere almeno 9 anni e 6 mesi e la valutazione positiva di una apposita commissione di avanzamento prima che un viceprefetto aggiunto possa essere promosso al rango di viceprefetto.

A questo punto, il passaggio per diventare prefetto non è automatico. Questa nomina infatti è a totale discrezione del ministero e si basa sulle capacità dimostrate dai candidati nel corso della loro carriera.

Con la riforma apportata dal decreto legislativo 29/2004 al prefetto sono stati attribuiti compiti di coordinamento anche al fine di garantire l’attuazione del principio di leale collaborazione tra lo stato e le autonomie territoriali.

In un quadro istituzionale ancora in movimento fra scenari di federalismo, più o meno spinto, e nuove ipotesi di regionalismo (…), si svela insopprimibile l’esistenza di un’autorità che eserciti funzioni di regolazione giusta e saggia dei processi e delle relazioni e svolga compiti di mantenimento dell’equilibrio del sistema

Oggi il prefetto è un polo di aggregazione e centro di imputazione di responsabilità che deve facilitare il dialogo e la coesione sociale ed istituzionale tra i soggetti che operano a livello periferico.

 

Com’è organizzato il ministero dell’interno

Com’è organizzato il ministero dell’interno

Il ministero dell’interno è una delle strutture chiave dell’organizzazione dello stato. Si occupa infatti di vari settori fondamentali come la sicurezza pubblica ma anche la rappresentanza del governo presso le amministrazioni locali.

Definizione

Il ministero dell’interno è uno dei dicasteri più antichi dello stato italiano derivando direttamente dal Regno di Sardegna. Proprio la decisione di mantenere dopo l’unificazione il modello fortemente accentrato dello stato sabaudo ha reso fondamentale per l’unità nazionale questa struttura e in particolare le sue articolazioni periferiche.

La sua sede è, dal 1925, il palazzo del Viminale. Qui per molto tempo sono stati ospitati gli uffici della presidenza del consiglio che solo nel 1961 si sono spostati a palazzo Chigi. Un dato che testimonia l’importanza di questo dicastero che negli anni ha svolto molte funzioni anche di diversa natura. Ad oggi in ogni caso le sue attribuzioni sono stabilite dall’articolo 14 del decreto legislativo 300/1999.

2. Il ministero svolge in particolare le funzioni e i compiti di spettanza statale nelle seguenti aree funzionali:
a) garanzia della regolare costituzione degli organi elettivi degli enti locali e del loro funzionamento, finanza locale, servizi elettorali, vigilanza sullo stato civile e sull’anagrafe e attività di collaborazione con gli enti locali;
b) tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica e coordinamento delle forze di polizia;
c) amministrazione generale e supporto dei compiti di rappresentanza generale di governo sul territorio;
d) tutela dei diritti civili, ivi compresi quelli delle confessioni religiose, di cittadinanza, immigrazione e asilo;
d-bis) organizzazione e funzionamento delle strutture centrali e periferiche dell’amministrazione[…].
3. Il ministero svolge attraverso il corpo nazionale dei vigili del fuoco anche gli altri compiti ad esso assegnati dalla normativa vigente.

Queste competenze vengono gestite tramite i 5 dipartimenti di cui è composto il ministero al cui vertice sono posti necessariamente dei prefetti.

Al dipartimento per gli affari interni e territoriali competono i servizi elettorali, l’attività di supporto alle attività di governo locale, la finanza locale e la vigilanza sullo stato civile e sull’anagrafe.

Il dipartimento della pubblica sicurezza si occupa della gestione dell’ordine e della sicurezza pubblica e del coordinamento delle forze di polizia oltre che della direzione e dell’amministrazione della polizia di stato. Per questa ragione il capo del dipartimento è allo stesso tempo il capo della polizia.

Il dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione si occupa di immigrazione, asilo, cittadinanza, confessioni religiose. In questo ambito dunque compete al capo del dipartimento, tramite le prefetture, la gestione del sistema di accoglienza per richiedenti asilo e rifugiati.

Il dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile svolge le funzioni non attribuite alla presidenza del consiglio in materia di soccorso pubblico, prevenzione incendi e altre attività assegnate al corpo dei vigili del fuoco. Contrariamente a quanto previsto per il dipartimento di pubblica sicurezza, in questo caso il capo dei vigili del fuoco è il vice capo del dipartimento, mentre al vertice della struttura siede comunque un prefetto.

Il dipartimento per l’amministrazione generale, per le politiche del personale dell’amministrazione civile e per le risorse strumentali e finanziarie infine si occupa dell’organizzazione delle strutture centrali e periferiche dell’amministrazione civile.

Oltre a queste strutture principali, all’amministrazione centrale dell’interno fanno capo anche l’Agenzia nazionale per l’amministrazione dei beni sequestrati alla criminalità, il comitato nazionale per l’ordine e la sicurezza pubblica e varie altre autorità, commissari straordinari, osservatori, comitati e istituti di formazione.

Sono 3 invece le articolazioni periferiche del ministero dell’interno, ovvero:

  • le prefetture, cioè gli Uffici territoriali del governo (Utg);
  • le questure, ovvero le strutture responsabili della pubblica sicurezza sul territorio;
  • le direzioni regionali e i comandi provinciali dei vigili del fuoco.
Le prefetture, o uffici territoriali del governo, sono articolazioni territoriali del ministero dell’interno a cui è attribuita la rappresentanza generale del governo. Vai a “Chi sono i prefetti”

Le prefetture fanno direttamente capo al ministro mentre le questure e le direzioni dei vigili del fuoco fanno rispettivamente capo al dipartimento della pubblica sicurezza e a quello dei vigili del fuoco.

Quanto agli uffici di diretta collaborazione, sono organizzati in modo simile agli altri ministeri. In questo caso però gli incarichi più importanti sono riservati, come nei dipartimenti, al personale della carriera prefettizia, e in particolare ai funzionari con la qualifica di prefetto. Nello specifico il decreto legislativo 139/2000 stabilisce che ai prefetti siano riservate le posizioni di capo di gabinetto e capo dell’ufficio legislativo.

Gli uffici di diretta collaborazione sono strutture preposte ad aiutare ciascun ministro a svolgere l’attività di indirizzo politico-amministrativo del dicastero che dirige. Vai a “Che cosa sono gli uffici di diretta collaborazione dei ministri”

Dati

A capo dei 5 dipartimenti siedono altrettanti prefetti, nominati direttamente dal ministro. Di solito si tratta di prefetti con un’ampia esperienza, non a caso ad oggi tutti i capi dipartimento, a parte il capo della polizia, sono stati in precedenza al vertice di uffici territoriali del governo di città capoluogo di regione.

Ma oltre alla guida dei dipartimenti sono molte le funzioni attribuite in via esclusiva a dei prefetti come anche agli altri appartenenti alla carriera prefettizia.

1.411 i funzionari di carriera prefettizia presenti nella dotazione organica del ministero dell’interno.

Piano triennale dei fabbisogni di personale dell’Amministrazione civile 2021/2023

L’amministrazione generale del ministero è retta però anche da molti funzionari civili, tuttavia questi non possono ricoprire gli incarichi di vertice riservati al personale della carriera prefettizia.

Da un punto di vista finanziario la spesa di competenza prevista per il ministero nel 2022 ammonta a oltre 35 miliardi di euro.

35,6 miliardi il rendiconto del ministero dell’interno per il 2021 (conto competenza).

Al dipartimento per gli affari interni e territoriali sono destinate oltre la metà delle risorse (59,86%), ovvero 21,3 miliardi. Ciò a causa dei fondi che da questo dipartimento sono erogati agli enti locali.

Il secondo dipartimento in ordine di spesa è quello della pubblica sicurezza, che tra le altre cose finanzia l’attività della polizia di stato, con 8,7 miliardi (24,32%).

A seguire il dipartimento dei vigili del fuoco, con 2,9 miliardi (8%), quello delle libertà civili e l’immigrazione, 1,5 miliardi (4,2%) e quello dell’amministrazione generale, 1 miliardo (2,8%).

Analisi

Il ministero dell’interno è una delle strutture chiave dello stato italiano sia per i compiti inerenti alla sicurezza pubblica sia per quelli di rappresentanza del governo presso gli enti locali.

Una competenza quest’ultima che è rimasta cruciale anche dopo la riforma del titolo V (legge costituzionale 3/2001) della costituzione con cui è stato completamente rivisto il sistema delle autonomie locali attribuendo a queste ultime molte nuove funzioni, poteri e responsabilità. Il decreto legislativo 29/2004 infatti attribuisce ai prefetti il compito di assicurare la leale collaborazione tra gli uffici territoriali del governo e gli enti locali.

Durante l’emergenza coronavirus sono state attribuite alle prefetture le competenze più diverse.

D’altronde anche l’emergenza covid-19 ha fatto emergere con chiarezza l’importanza degli uffici territoriali del governo. In questa fase infatti sono state attribuite ai prefetti molte competenze aggiuntive tra le quali: il compito di attivare il centro provinciale di coordinamento dei soccorsi, quello di controllare il rispetto della normativa di emergenza sui luoghi di lavoro ma anche l’autorità su organi dello stato come le forze armate, la polizia municipale e le aziende sanitarie locali.

Forse anche per questa ragione la ministra dell’interno Lamorgese è stata una delle poche figure confermate con il passaggio dal secondo governo Conte, sostenuto dalla maggioranza giallo rossa, al governo Draghi, sostenuto da una maggioranza di grande coalizione.

Un aspetto apparentemente insolito se si considera che uno dei principali gruppi che sosteneva il governo Draghi, la Lega, fino a quel momento non aveva risparmiato critiche alla ministra dell’interno.

La questione invece appare più comprensibile se si tiene conto del fatto che Luciana Lamorgese è stata sì ministra di un governo politico, come quello presieduto da Conte, ma pur sempre nella veste di una figura tecnica. Prima di ricoprire questo incarico infatti Lamorgese ha percorso un’importante carriera prefettizia, nel corso della quale è stata nominata in posizioni importanti sia da governi di centro destra che di centro sinistra.

 

Santi Innocenti

 

Santi Innocenti


Santi Innocenti

autore: Pieter Paul Rubens anno: 1618 titolo: S. Vergine col Bambino circondata dalla corona dei SS. Innocenti
Nome: Santi Innocenti
Titolo: Martiri
Ricorrenza: 28 dicembre
Martirologio: edizione 2004
Tipologia: Festa
Protettore:
bambini

I Santi Innocenti sono quei bambini che furono trucidati in Betlemme e nei dintorni, quando il crudele Erode volle mettere a morte Gesù Cristo. Essi, non con la confessione della voce, ma con l’effusione del loro sangue divennero le prime vittime della fede, le primizie dei Martiri che la terra inviò al cielo dopo la nascita del Salvatore.

Ed ecco quello che racconta il Vangelo riguardo alla strage degli Innocenti.

Adorazione dei Magi

autore Girolamo da Santacroce anno sec. XVI titolo Adorazione dei Magi

Nato Gesù in Betlemme di Giuda al tempo del re Erode, ecco arrivare a Gerusalemme dei Magi dall’Oriente, e domandare: « Dov’è nato il re dei Giudei? Vedemmo la sua stella in Oriente e siamo venuti per adorarlo ». Udito questo, Erode, uomo sospettoso e crudele, rimase turbato e pensò subito di togliere dal mondo questo nuovo re.

Non avendo capito le Sacre Scritture, temeva che Gesù, sovrano del cielo e della terra, venuto al mondo per stabilire un regno spirituale nel cuore degli uomini, lo privasse di quel misero regno temporale ch’egli possedeva.

Per attuare il suo perverso disegno finse di voler anch’egli riconoscere e adorare questo nuovo re, e inviando i Magi a Betlemme, disse loro: « Informatevi diligentemente su questo bambino, e quando l’avrete trovato fatemelo sapere, acciocché venga io pure ad adorarlo ».

Ma Iddio dissipò lo scellerato progetto di questo principe, facendo in modo che i Magi ritornassero nei loro paesi passando per altra via.

Sogno di San Giuseppe

autore Daniele Crespi anno 1620 titolo Sogno di San Giuseppe

Intanto Erode, vedendosi burlato dai Magi, montò sulle furie, e pieno di rabbia prese la barbara risoluzione di fare uccidere tutti i bambini inferiori alla età di due anni nati in Betlemme e nei luoghi circonvicini, credendo di raggiungere così anche il nato re dei Giudei che egli temeva. Ma questo bambino riuscì a scampare dalle mani dei crudeli, poiché un Angelo aveva detto in sogno a Giuseppe: « Levati, prendi il bambino e sua madre e fuggi in Egitto, perché Erode lo cerca per farlo morire ».

Strage degli innocenti

autore Guido Reni anno 1611 titolo Strage degli innocenti

Pertanto Erode inviò dei soldati a Betlemme che, strapparono dal seno delle loro madri quanti bambini trovarono e li uccisero tutti senza risparmiare alcuno. Allora s’adempì ciò che era stato detto per bocca del profeta Geremia: « Un grido si è udito in Rama di gran pianto e lamento: Rachele che piange i figli suoi e non vuol essere consolata perché non sono più ». Queste parole profetiche rappresentano le amare lacrime che le madri sparsero su quei teneri figliuoletti scannati dalla barbarie di un empio.

Ma se piangevano le madri nel vedersi barbaramente trucidati davanti agli occhi i loro bambini, giubilò il cielo che si vide arricchito di innocenti vittime. Si rallegrarono infine gli Innocenti medesimi poiché si videro liberati dai pericoli del secolo e adorni della preziosa stola del martirio che avevano conseguito per i meriti di Gesù Cristo, in odio del quale erano stati fatti morire. La Chiesa li onora col bel titolo di « fiori dei Martiri », per la loro tenera età e per la loro innocenza.

PRATICA. Rispettiamo sempre l’innocenza dei piccoli e non commettiamo nulla che possa offuscarla.

PREGHIERA. Dio, la cui gloria oggi i Martiri Innocenti hanno conseguito non parlando, ma morendo, mortifica in noi tutti i mali e i vizi, affinchè anche la nostra vita confessi nei costumi quella fede che la nostra lingua esalta.

MARTIROLOGIO ROMANO. A Betlèmme di Giuda il natale dei santi Innocenti Martiri, i quali furono per Cristo uccisi dal Re Eróde.

LA CIVILTÀ DEI SARDO_NURAGICI E DINTORNI

I
di Francesco Casula
(Ripubblico questo mio Intervento nonostante le contumelie su di esso piovute da parte di faniciomani, archeologi di stato, accademici autodileggiatori e negatori dell’Identità sarda)
La Biblioteca del Quotidiano Repubblica, nel 2005 ha pubblicato e diffuso a migliaia di copie un volume di 800 pagine sulla preistoria nel quale nuraghi e Sardegna non vengono citati, neppure per errore. Un’occasione mancata per la cultura italiana che pur pretende, – e con quale spocchia e albagia – di dominare sull’Isola. Per contro, uno dei redattori più influenti del quotidiano romano, Sergio Frau, da tempo sostiene, producendo una grande messe di indizi e di prove, che al tempo dei nuraghi la Sardegna altro non era se non Atlantide. La tesi, se verificata fino in fondo, sconvolgerebbe la storia del Mediterraneo così come la conosciamo; anche per questo è avversata con veemenza da accademici, sovrintendenti, geologi e antropologi poco disposti a mettere in discussione se stessi e le certezze su cui hanno fondato carriere e fortune. E’ la stessa veemenza usata nel passato contro il dilettante scopritore di Troia, anch’essa come Atlantide considerata un semplice “mito”.
Se il Quotidiano “La Repubblica” ha compiuto un semplice peccato di omissione, qualcuno ha fatto di peggio: certo Gustavo Jourdan, uomo d‘affari francese, deluso per non essere riuscito dopo un anno di soggiorno in Sardegna, a coltivare gli asfodeli per ottenerne alcool, in “l’Ile de Sardaigne” (1861) parla della Sardegna rimasta ribelle alla legge del progresso, terra di barbarie in seno alla civiltà che non ha assimilato dai suoi dominatori altro che i loro vizi.
Mentrel’inglese Donald Harden, archeologo, filologo e storiografo di fama, dopo aver visitato molte contrade della Sardegna, agli inizi del Novecento, tra gli anni ’20 e ‘30, espresse giudizi poco lusinghieri sulla tradizionale cultura del popolo sardo che lo aveva ospitato e in una sua opera “The Fhoenician” parlerà della Sardegna come regione sempre retrograda.
Ma tant’è: accecati dall’eurocentrismo, evidentemente costoro dimenticano che quella nuragica è stata la più grande civiltà della storia di tutto il mediterraneo centro-occidentale del secondo millennio avanti Cristo. Con migliaia di nuraghi (8.000 secondo le fonti ufficiali: l’Istituto geografico militare, che però li censisce secondo modalità militari e non archeologiche; 20.000 secondo Sergio Salvi e 25–30.000 secondo altre fonti non ufficiali) costruzioni megalitiche tronco-coniche dalle volte ogivali con scale elicoidali; pozzi sacri, betili mammellari, terrazze pensili, androni ad arco acuto, innumerevoli dolmens e menhir, migliaia di statuette e di navicelle di bronzo. Con un’economia dell’abbondanza: di carne, pesce, frutti naturali. Che produce oro, argento, rame, formaggi, sale, stoffe, vini. e la musica delle launeddas. Che produce e lavora il vetro. Che conosce la scrittura. E inaugura la grande statuaria molto prima della Grecia con i Giganti di Mont’ ‘e Prama.
Quella Sardegna, (per Omero la Scherìa, la terra dei Feaci, abitanti di un’Isola su tutte felice), posta a Occidente nel mezzo del Mediterraneo, aperta al mondo, che combatte, alleata con i Popoli del mare contro i potenti eserciti dei Faraoni e dei re di Atti che tiranneggiano e opprimono i popoli.
La Sardegna, l’Isola sacra in fondo al mare di Esiodo, l’Isola dalle vene d’argento (Argyròflebs) di Platone poi Ichnusa Sandalia ecc. oltre che Isola “felice” è infatti Isola libera, indipendente e senza stato. Organizzata in una confederazione di comunità nuragiche mentre altrove dominano monarchi e faraoni, tiranni e oligarchi. E dunque schiavitù. Non a caso le comunità nuragiche costruiscono nuraghi, monumenti alla libertà, all’egualitarismo e all’autonomia; mentre centinaia di migliaia di schiavi, sotto il controllo e la frusta delle guardie, sono costretti a erigere decine di piramidi, vere e proprie tombe di cadaveri di faraoni divinizzati.
Per sfuggire alle carestie, alla fame e alla miseria ma anche alle tirannidi e alla schiavitù molti si rifugeranno nell’Isola, che accoglierà esuli e fuggitivi. Venti mila – secondo il linguista sardo Massimo Pittau – scampati alla distruzione della città-stato di Sardeis in Anatolia, da parte degli invasori Hittiti. Altri arriveranno dalla stessa Troia.
Finchè i Cartaginesi non invasero la Sardegna, per fare bardana, depredare e dominare l’Isola. Ma con il dominio romano fu ancora peggio. Fu un etnocidio spaventoso. La nostra comunità etnica fu inghiottita dal baratro. Almeno metà della popolazione fu annientata, ammazzata e ridotta in schiavitù.
Chi scampò al massacro fuggì e si rinchiuse nelle montagne, diventando dunque “barbara” e barbaricina, perché rifiutava la civiltà romana: ovvero di arrendersi e sottomettersi. Quattro-cinque mila nuraghi furono distrutti, le loro pietre disperse o usate per fortilizi, strade cloache o teatri; pare persino che abbiano fuso i bronzetti, le preziose statuine, per modellare pugnali e corazze, per chiodare giunti metallici nelle volte dei templi, per corazzare i rostri delle navi da guerra.
Le esuberanti creatività e ingegnosità popolari furono represse e strangolate. La gestione comunitaria delle risorse, terre foreste e acque, fu disfatta e sostituita dal latifondo, dalle piantagioni di grano lavorate da schiere di schiavi incatenati, dalle acque privatizzate, dai boschi inceneriti. La Sardegna fu divisa in Romanìa e in Barbarìa. Reclusa entro la cinta confinaria dell’impero romano e isolata dal mondo. E’ da qui che nascono l’isolamento e la divisione dei sardi, non dall’insularità o da una presunta asocialità.
A questo flagello i Sardi opposero seicento anni di guerriglie e insurrezioni, rivolte e bardane. La lotta fu epica, anche perché l’intento del nuovo dominatore era quello di operare una trasformazione radicale di struttura “civile e morale”, cosa che non avevano fatto i Cartaginesi. La reazione degli indigeni fu fatta di battaglie aperte e di insidie nascoste, con mezzi chiari e nella clandestinità. “La lunga guerra di libertà dei Sardi – è Lilliu a scriverlo – ebbe fasi di intensa drammaticità ed episodi di grande valore, sebbene sfortunata: le campagne in Gallura e nella Barbagia nel 231, la grande insurrezione nel 215, guidata da Amsicora, la strage di 12.000 iliensi e balari nel 177 e di altri 15.000 nel 176, le ultime resistenze organizzate nel 111 a.c., sono testimonianza di un eroismo sardo senza retorica (sottolineato al contrario dalla retorica dei roghi votivi, delle tabulae pictae, dei trionfi dei vincitori)”.
La Sardegna, a dispetto degli otto trionfi celebrati dai consoli romani, fu una delle ultime aree mediterranee a subire la pax romana, afferma lo storico Meloni. Ma non fu annientata. La resistenza continuò. I sardi riuscirono a rigenerarsi, oltrepassando le sconfitte e ridiventando indipendenti con i quattro Giudicati: sos rennos sardos.