Archivi giornalieri: 25 luglio 2021

Deledda

DELEDDA: Sarda (e universale)

Di Francesco Casula

Scrive Eric Hobsbawm (lo storico britannico, autore del celebre “Age of the Estremes” tradotto in Italia e pubblicato dalla Rizzoli con il titolo di “Secolo breve”) a proposito di Gramsci: “tu Nino sei stato molto più che un sardo, ma senza la Sardegna è impossibile capirti”.
Mutatis mutandis, la valutazione di Hobsbawm, a mio parere, si attaglia perfettamente anche a un altro gigante sardo: Grazia Deledda: scrittrice certamente “universale” ma ben ancorata alla Sardegna, di cui racconta l’humus più profondo e la sua identità, ad iniziare da quella linguistica. Tanto che per comprendere bene la lingua che utilizza la Deledda nei suoi scritti occorre partire da questa premessa: la lingua sarda non è un dialetto italiano – come purtroppo ancora molti affermano e pensano, in genere per ignoranza – ma una vera e propria lingua. Noi sardi dunque, siamo bilingui perché parliamo contemporaneamente il Sardo e l’Italiano. Anche la Deledda era bilingue. Era una parlante sarda e i suoi testi in Italiano rispecchiano, quale più quale meno le strutture linguistiche del sardo, non tanto o non solo in senso tecnico quanto nei contenuti valoriali, nei giudizi, nei significati esistenziali, nelle struttura di senso magari inespresse ma presenti nel corso della narrazione. Voglio sostenere che la Deledda struttura il suo vissuto personale, la fenomenologia delle sue sensazioni e del profondo in lingua sarda ma lo riversa nella lingua italiana che risulta così semplice lingua strumentale. In tal modo opera un transfert del suo universo interiore nuorese, dell’inconscio, della fantasmatica.
Poteva non operare tale transfert e scrivere in Sardo? Certamente. Se non lo ha fatto è stato perché non vi era in quel momento storico (siamo a fine Ottocento-inizio Novecento) la cultura, la sensibilità, l’abitudine da parte degli scrittori, specie di romanzi, di utilizzare il sardo. Prima con i Savoia e poi con lo Stato unitario e ancor più con il fascismo, la lingua sarda viene infatti proibita negata criminalizzata.
Non c’è quindi da meravigliarsi che, una volta negata e proibita, gli scrittori – anche per avere una maggiore visibilità e diffusione delle loro opere – scrivano in italiano: la Deledda come tanti altri.
Ma – dicevo – Deledda rimane bilingue: pensa in sardo e traduce, nei suoi romanzi come nei Racconti, spesso meccanicamente in italiano, soprattutto nel parlare dialogico come in :”Venuto sei? – che traduce il sardo: Bennidu ses?; o “Trovato fatto l’hai? – Accatadu fattu l’as?; o ancora “A Luigi visto l’hai? –A Luisu bidu l’as?; o “Quando è così, andiamo – Cando est gai, andamus.
E ancora: “Venuti a parole” (‘ennios a paraulas); “Già, da appena l’aveva conosciuta” (giai apenas l’aiat connota).
Vi sono poi frasi intere in sardo: Teracas chi signoras bos cheries…serve-domestiche che pensate di essere delle signore); frate meu (fratello mio), Santu Franziscu bellu (San Francesco bello), su bellu mannu (il bellissimo, letteralmente il bello grande), su cusinu mizadu (il borghese con calze), a ti paret? (ti sembra?), corfu ‘e mazza a conca (colpo di mazza in testa), ancu non ch’essas prus (che tu non ne esca più :è un’imprecazione).
Ugugualmente in sardo un bizzarro testamento (in un suo Racconto): “Deo, sutta-iscritta, Donna Maria Rughe M***, viuda de Don Gavinu M***, declaro de lasciare in testamentu a su nepode de sa fiza de Rosannedda R***, fiza de Rosanna R*** e de su biadu de maridu meu, su tesoro cuadu sutta s’alveru pius mannu de su buscu de Santu Matteu, su primu chi si aghatat a deghe passos dae su riu; e chi andet a lu reguglire sa die 20 de maiu de s’annu 1878, poite si no non bi aghattat nudda, e chi preghet pro s’anima mea, e faghat narrer missas de suffragiu”.
E persino una quartina (sempre in un suo Racconto):
Tiligherta, tiligherta
mamma tua est in gherta,
babbu tou est morinde,
tiligherta baetinde…
Innumerevoli poi sono i vocaboli tipicamente sardi e solamente sardi che Deledda inserisce quando attengono ai nomi dei personaggi (Paska Devaddis, Bantine Fera, Berte Sirca, Zio Franziscu, Pride Fenu Tottoi,. Peppe Longu, Compare Batò, Bellia, Gabina, Nanneddu, Pedru,Gavinu, Arrosa, Peppa, Manzela, Bustianeddu);ai toponimi:Funtana ‘e litumonte di Santu Janne, Marreri, Sa Serra, alle esclamazioni (peuh).
Vi sono poi innumerevoli vocaboli tipicamente sardi e solamente sardi che Deledda inserisce nelle sue opere quando attengono all’ambiente sardo: pensiamo a leppa ((coltello a serramanico), pezzas (cinquanta centesimi), Iscavanada (schiaffo), Tanca (podere chiuso), Tilipirche (cavalletta), Cussorgia (zona adibita a pascolo), bandidare (fare il bandito), bardana (razzia), tanca (terreno di campagna chiuso da un recinto fatto in genere di sassi), socronza, usatissima in Elias Portolu (consuocera), corbula (cesta), bertula (bisaccia), tasca (tascapane), roba (bestiame, ma riferito soprattutto ai greggi ovini e caprini), cumbessias o muristenes (stanzette tipiche delle chiese di campagna un tempo utilizzate per chi dormiva là per le novene della Madonna o di Santi), domos de janas (tombe rupestri e letteralmente “case delle fate”).
Vi sono persino sardismi puri: come dormito (per addormentato) e entrata (per significare il “ricavato”, in un caso specifico per indicare il formaggio fresco e la ricotta prodotta giornalmente).
Qualche volta Deledda ricorre a frasi italiane storpiate in sardo o frasi sarde storpiate in italiano:Come ho ammaccato questo cristiano così ammaccherò te (…) o Avete compriso?”.
Occorre però chiarire che i sardismi linguistici della Deledda, non solo lessicali ma anche sintattici, non derivano dalla sua incapacità di utilizzare correttamente la lingua italiana.
Scrive a questo proposito una valente critica sarda, Paola Pittalis: ”L’uso dei “sardismi” linguistici da parte della Deledda anche nelle opere della maturità – è il caso di Elias Portolu – è consapevole e voluto. Rappresenta anzi una chiara e decisa scelta di linguaggio letterario, di canone stilistico e fa parte del suo essere “bilingue”. Ciò non significa che in questa scelta non sia stata condizionata da fenomeni letterari e culturali esterni, – come il verismo – che prevedevano la raffigurazione oggettiva della realtà da parte dello scrittore che doveva riportare fedelmente il linguaggio popolare e “dialettale” dei personaggi”.
A questo proposito occorre secondo molti critici liquidare risolutamente il luogo comune della “cattiva lingua” e della “mancanza di stile” appoggiato alla valutazione di intellettuali di prestigio da Dessì (le “sgrammaticature” di Deledda) a Cecchi (la sua lingua “spampanata”).
Si tratta invece – secondo Paola Pitzalis – “di forme nate dall’incontro fra dialetto e italiano nel momento di formazione delle varietà designate oggi come « italiani regionali»”.
Prosegue la Pitzalis:”L’uso di vocaboli dialettali, sardismi sintattici e atti linguistici frequenti in Sardegna è intenzionale, tanto è vero che scompaiono quando l’interesse di Deledda si sposta dal romanzo italiano «verista» e «regionale» al romanzo «psicologico» e «simbolico» (dopo il 1920). La sintassi prevalentemente paratattica, non equivale alla mancanza di stile; deriva dal trasferimento nella scrittura di modalità anche linguistiche di costruzione del racconto orale (è questo un percorso suggestivo sul quale da tempo lavora con esiti personali Leonardo Sole). Ed è il contributo modernizzante di Deledda allo snellimento della lingua letteraria italiana costruita sul modello della frase manzoniana…” [Paola Pittalis, Il ritorno alla Deledda, «Ichnusa», rivista della Sardegna, anno 5, n.1 Luglio-Dicembre 1986, pag.81].

Badanti finalmente in ferie

Badanti finalmente in ferie, ma il rientro è rebus

Lo scorso anno molte badanti hanno saltato i rientri a casa e molte sono state bloccate in patria, e adesso?
badanti

Lo scorso anno molte badanti hanno saltato i rientri a casa e molte sono state bloccate in patria, e adesso?

La pandemia non da tregua, e si torna a limitazioni e misure di contenimento. Stavolta sono Green pass e vaccini a farla da padrone così come lo scorso anno erano quarantena, lockdown e coprifuoco a farla da padrone. È tempo di vacanze che per decine di migliaia di badanti e colf straniere significa ritorno a casa, nel loro Paese di provenienza. Una cosa scontata questa, tranne che in pandemia. Infatti, lo scorso anno non furono poche le lavoratrici che ebbero problemi. E quest’anno cosa di prevede?

Badanti e colf, tra partenze e rientri

Sono molte le badanti e le colf che lo scorso anno ebbero non pochi problemi di questi tempi. Molte rinunciarono alle ferie, o meglio, ai rientri. C’era da fare quarantena all’arrivo a casa e al ritorno in Italia, c’erano i tamponi e così via. Molte non riuscirono a partire. Molte invece furono bloccate a casa quando erano in procinto di tornare. La pandemia non fece sconti. E non lo fa nemmeno quest’anno a tal punto che si parla di rebus rientri. 

Badanti, vaccini e controlli

Le difficoltà della campagna vaccinale, il Green pass e i controlli. C’è di tutto a preoccupare le badanti. Adesso stanno partendo per i ritorni in Patria. E chi è senza vaccino corre a prenotare tamponi. Infatti l’alternativa al vaccino, per avere il Green pass è un tampone negativo almeno 48 ore prima della partenza. Molte pensano di vaccinarsi in Patria, molte temono per il ritorno in Italia, preoccupate che qualcosa vada storto e che alla fine si possa perdere il lavoro. 

Sul quotidiano “La Nazione”, alcune testimonianze la dicono lunga sulle preoccupazioni. “Contavo di vaccinarimi a casa in Romania, non avevo ancora deciso qui, ma adesso rischio di non poter partire, e soprattutto temo che ci siano problemi al rientro”, questo il pensiero di una badante rumena che probabilmente è il pensiero comune a tante altre colleghe. 
L’anno scorso, c’erano più difficoltà negli spostamenti. E poi c’era l’inevitabile paura di perdere il posto di lavoro. E molte rimasero in Italia. Molte famiglie infatti, avevano paura a fare rientrare in casa le badanti, dopo un viaggio all’estero. Soprattutto le badanti che curano i cosiddetti fragili di fronte al virus. 

“Per questo ho preferito tenermi il lavoro. Ma ora non vedo la mia famiglia da due anni. Certo, oltre alle spese del viaggio, ci sarà da mettere in conto anche il doppio tampone”, questo un altro commento di un’altra lavoratrice. 

Contributi figurativi assegno ordinario di invalidità, spettano solo in determinate circostanze

Contributi figurativi assegno ordinario di invalidità, spettano solo in determinate circostanze

Per l’assegno ordinario di invalidità in alcuni casi sono riconosciuti contributi figurativi utili alla pensione, vediamo le casistiche.
Invalidità e dichiarazioni dei redditi

Per il lavoratore che gode o ha goduto dell’assegno ordinario di invalidità potrebbe esserci il diritto a contribuzione figurativa. Infatti la misura da diritto a contributi figurativi ma solo in determinate circostanze.

Per l’assegno ordinario di invalidità  fruito in assenza di attività lavorativa, vi è il diritto, così come stabilito dall’articolo 1, comma 6 della legge 224 del 1984, di contribuzione figurativa utile solo al raggiungimento dei requisiti necessari per il successivo rinnovo della prestazione.

Per avere diritto all’assegno, infatti, il lavoratore deve aver versato almeno 5 anni di contributi figurativi di cui, almeno 3, nel quinquennio precedente la domanda.

Il riconoscimento di questa contribuzione figurativa, in ogni caso, è valevole solo per i lavoratori dipendenti e non per quelli autonomi.

Contributi figurativi pensione

Inoltre il titolare di assegno ordinario di invalidità può ritenere utile ai fini del riconoscimento della pensione di vecchiaia, per la quale ricordiamo occorrono almeno 20 anni di contributi, i periodi di godimento dell’assegno ordinario di invalidità fruito senza svolgere attività lavorativa come contribuzione figurativa utile solo al raggiungimento dei 20 anni di contributi necessari per l’accesso ma non al calcolo della pensione spettante.

Di fatto, quindi, l’invalido che smette di lavorare prima di aver perfezionato i 20 anni di contributi necessari ma gode dell’assegno ordinario di invalidità può computare ai fini del diritto alla pensione di vecchiaia anche i periodi di godimento dell’assegno ordinario di invalidità per un periodo massimo di 3 anni.
I 3 anni di contributi figurativi vengono riconosciuti d’ufficio dall’INPS ma è da sottolineare che tale contribuzione non comporta alcun beneficio economico ai fini previdenziali visto che la pensione sarà calcolata solo sugli eventuali 17 anni di contributi effettivi.

Si rammenta, infine, che la contribuzione figurativa in oggetto è utilizzabile solo per il raggiungimento dei 20 anni di contributi validi ai fini della pensione di vecchiaia e, quindi, non si possono riconoscere i 3 anni di contributi figurativi per accedere alla pensione anticipata ordinaria o in deroga.

San Giacomo il Maggiore

 
San Giacomo il Maggiore

Nome: San Giacomo il Maggiore
Titolo: Apostolo
Nascita: Betsaida
Morte: 43 circa, Gerusalemme
Ricorrenza: 25 luglio
Tipologia: Commemorazione

S. Giacomo il Maggiore fu uno dei dodici Apostoli. Perchè i Samaritani non avevano voluto ricevere i discepoli mandati da Gesù, Giacomo, col fratello Giovanni, si accostò al Divino Maestro e gli disse: « Signore, vuoi che diciamo al fuoco di discendere dal cielo a consumarli? ».

Ma Gesù benignamente rispose: « Non sapete di che spirito siete. Il Figlio dell’uomo non è venuto a perder le anime, ma a salvarle ». E S. Giacomo mostrò poi d’aver fatto frutto dell’eloquente lezione.

Nacque in Galilea circa dodici anni prima di Gesù. Era fratello di S. Giovanni, figlio di Zebedeo pescatore in Betsaida, sul lago di Tiberiade e di Salome, discepola di Gesù. L’appellativo « maggiore » gli venne dal fatto che la sua chiamata fu antecedente a quella dell’altro S. Giacomo, figlio di Alfeo, che fu detto perciò « minore ».

Chiamato all’apostolato da Gesù stesso, lo segui generosamente, abbandonando le reti e la barca del padre. Questa generosità gli fruttò una speciale benevolenza da parte del Divin Maestro sì da aver parte alle più intime confidenze di Lui: assistette con S. Pietro e S. Giovanni alla risurrezione della figlia di Giàiro, alla tua Trasfigurazione, partecipando pure molto da vicino all’agonia di Gesù nell’orto del Getsemani.

Essendo anch’egli uomo soggetto alle miserie, con S. Giovanni, come narra il Vangelo, consigliò sua madre Salome di domandare a Gesù che essi potessero entrare nel suo regno, e sedere alla destra e alla sinistra di Lui. Ed il Divin Maestro volto a loro disse: « Potete voi bere il calice che sto per bere, ed essere battezzati col battesimo col quale io sarò battezzato? ».

« Si, lo possiamo », risposero in fretta i due Apostoli. Ma Gesù replicò che in effetto essi avrebbero bevuto il suo calice, ma quanto all’essere collocati nei primi posti nel regno dei cieli era cosa spettante al Padre suo.

Disceso lo Spirito Santo nella Pentecoste, S. Giacomo fu uno dei più zelanti predicatori del Vangelo. tanto da spingersi fino in Spagna. Quivi lasciò un’impronta tale che molti secoli dopo, quando i Mori invasero quella terra mettendola a ferro e a fuoco, S. Giacomo era universalmente invocato e più di una volta fu veduto un guerriero celeste su di un cavallo bianco che faceva terribile strage degli infedeli.

Dalla Spagna tornato in Gerusalemme verso il 43, per ordine del re Erode Agrippa che voleva rendersi grato ai Giudei, fu fatto incarcerare e poi decapitare.

L’eroica confessione della sua fede convertì il soldato che l’aveva condotto ai giudici, il quale perciò ebbe anch’egli la grazia di morire martire. Il suo corpo, mèta di continui pellegrinaggi, riposa nella basilica di Compostela in Spagna.

PRATICA. In ogni sventura vediamo noi pure la mano di Dio che ci porge il calice, e diciamo prontamente: «O Signore, sia fatta sempre la tua santa volontà».

PREGHIERA. O Signore, santifica e custodisci il tuo popolo, affinchè, muniti dell’assistenza del tuo apostolo Giacomo, possiamo piacerti con una degna vita, e servirTi con tranquillità di spirito.

MARTIROLOGIO ROMANO Festa di san Giacomo, Apostolo, che, figlio di Zebedeo e fratello di san Giovanni evangelista, fu insieme a Pietro e Giovanni testimone della trasfigurazione del Signore e della sua agonia. Decapitato da Erode Agrippa in prossimità della festa di Pasqua, ricevette, primo tra gli Apostoli, la corona del martirio.