Archivi giornalieri: 4 luglio 2021

Green pass: le regole per i viaggi in Italia e all’estero, anche con bambini

Green pass: le regole per i viaggi in Italia e all’estero, anche con bambini

Si può viaggiare in Italia e all’estero o dagli altri Stati verso il nostro Paese? ecco quando serve il green pass.
green pass

Il Green pass consente la partecipazione ad eventi pubblici e a feste derivanti da cerimonie, ma anche per andare a trovare persone che risiedono in case di riposo o di assistenza medica situati in zona rossa o arancione.

 

Dal 1° luglio 2021 il certificato verde è valido come UE digital Covid certificate, consentendo di viaggiare tra gli Stati UE. In realtà, è permesso viaggiare in Europa anche senza il Green Pass fino al 12 agosto 2021, ma presentando i certificati che attesta la vaccinazione ricevuta, la guarigione dal Covid-19 o l’avvenuto test rilasciato dalle strutture sanitarie, farmacie autorizzate e medici.

Viaggi in Italia: i bimbi e il green pass

I bambini di età inferiore ai 6 anni non necessitano di certificazione per spostarsi all’interno dell’Italia, infatti, non è previsto neanche l’effettuazione del test antigienico o molecolare.

Si può viaggiare all’estero senza aver ricevuto al seconda dose di vaccino?

La Commissione Europea ha fatto sapere che recarsi negli altri Paesi membri UE, è possibile a seconda delle condizioni imposte dallo Stato ospitante. Anche se il green pass viene rilasciato dopo un certo periodo di tempo che decorre dalla prima dose di vaccino ricevuta (in Italia dopo 14 giorni), l’ingresso in un altro Stato membro dipende dalle restrizioni stabilite da quest’ultimo.

In realtà, il regolamento della Commissione Europea prevede che tutti i Paesi dell’UE si adeguino a quanto indicato dal certificato UE Covid-19.

Per quanto concerne le persone che hanno completato il ciclo vaccinale, quindi, con la somministrazione di entrambe le dosi, la Commissione UE ha proposto ai Paesi membri di revocare le eventuali restrizioni relative ai viaggi.

I Paesi Ue possono decidere se somministrare una sola dose per coloro che sono guarite dal Covid-19. In tal caso, il certificato UE attesterà il completamento del ciclo vaccinale (una dose per i guariti dal virus) che consentirà loro di viaggiare.

In conclusione, la Commissione Europea non obbliga ad effettuare la doppia vaccinazione (se il vaccino prevede due dosi) per viaggiare anche all’estero nell’area UE, ma lascia che siano i Paesi stessi a decidere se sia necessaria la doppia somministrazione per accedervi.

E chi viene in Italia dall’estero?

Chi è in possesso del green pass e proviene dagli Stati UE e dagli altri Paesi dell’area Schengen può entrare in Italia a patto che il viaggiatore abbia completato il ciclo vaccinale da almeno 14 giorni, oppure che sia guarito dal Covid-19 (la validità del certificato di guarigione è pari a 180 giorni dalla data del primo tampone positivo). O ancora se ha fatto un test antigienico o molecolare con esito negativo entro le 48 ore antecedenti l’ingresso in Italia (minori di 6 anni esenti).

Il viaggiatore munito di certificazioni emesse da altri Paesi, come Israele, USA, Giappone e Canada può entrare in Italia. I vaccini che rientrano nel novero delle certificazioni sono solo quelli approvati dall’EMA: Pfizer, Moderna, AstraZeneca, Johnson & Johnson.

Assegno familiare

L’ASSEGNO AL NUCLEO FAMILIARE RIMANE PER TUTTO IL 2021

16 Giugno 2021

Con l’entrata in vigore del nuovo Assegno Unico per le famiglie con figli minori, l’Assegno al Nucleo Familiare (ANF) non viene eliminato ma continua ad essere erogato almeno per tutto l’anno 2021. Su molti giornali e vari media le informazioni su questo argomento non sono sempre corrette. Se percepisci l’ANF ricordati che devi comunicare all’INPS i dati reddituali del 2020.

L’assegno al nucleo familiare (ANF)
È la prestazione più richiesta da parte dei lavoratori dipendenti e dai pensionati ex-dipendenti. L’importo mensile varia in base al numero dei componenti e al reddito della famiglia. L’assegno è erogato direttamente dall’INPS sulla pensione o dal datore di lavoro insieme allo stipendio.
Per il 2021 sarà erogato ancora fino al 31 dicembre e, secondo le informazioni emanate dal Governo, da gennaio 2022 tutta la partita dei trattamenti di famiglia sarà riformata, riforma che, già dal 1° luglio 2021, ha mosso i primi passi con l’introduzione dell’Assegno Unico per le famiglie con figli minori che non hanno diritto all’ANF.

La composizione del nucleo familiare
Il nucleo di riferimento per questa prestazione sono i coniugi – o coloro che si sono uniti civilmente -, anche non conviventi, i figli, ed equiparati, i minorenni e i maggiorenni studenti o inabili assoluti.
Ai fini dell’assegno al nucleo familiare rientrano nella composizione anche i fratelli, le sorelle, i nipoti diretti, minorenni o maggiorenni, inabili ed orfani di entrambi i genitori e non coniugati.

Anche gli stranieri, se residenti nel nostro Stato con la propria famiglia, possono chiedere l’assegno al nucleo familiare. In caso di poligami, la prestazione è prevista solo per la prima moglie ed i suoi figli.

Come richiedere l’assegno al nucleo familiare
La richiesta può essere fatta o direttamente tramite il servizio online presente sul sito dell’INPS, utilizzando il proprio SPID, oppure tramite i Patronati. Per chi non avesse mai percepito l’ANF per gli anni passati, è possibile chiedere gli arretrati fino a cinque anni.

Redditi da dichiarare e documentazione necessaria
Quali documenti sono necessari per la richiesta?
I dati da dichiarare per percepire l’assegno al nucleo familiare dal 1° luglio 2021 al 31 dicembre 2021 sono:
• i dati anagrafici ed i codici fiscali di tutti i componenti del nucleo familiare
• i redditi dei componenti del nucleo familiare percepiti nel 2020
– quelli assoggettati all’IRPEF (quindi servono le dichiarazioni dei redditi – Mod. 730 o UNICO 2021 o la Certificazione Unica – ex
CUD 2021, nel caso non si sia obbligati a presentare la dichiarazione)
– i redditi esenti da imposta, o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta o imposta sostitutiva (ad esempio assegni e indennità per i non vedenti, sordomuti e invalidi civili, pensioni sociali, assegni accessori per le pensioni privilegiate, interessi bancari e postali, premi del lotto e dei concorsi pronostici, rendite da buoni del tesoro, ecc.)

Quali sono i redditi che non si dichiarano?
È importante sapere quali sono i redditi da non dichiarare per la richiesta o il rinnovo dell’Assegno al Nucleo Familiare, perché la prestazione è determinata in base all’ammontare complessivo dei redditi della famiglia. Laddove venissero erroneamente dichiarati importi che invece non rilevano per tale determinazione, l’assegno sarebbe di importo inferiore.
Tra i redditi ininfluenti rientrano tutti i trattamenti di famiglia e di sostegno alla natalità. Non si devono dichiarare, ad esempio:
• il Premio alla nascita di 800 euro per la nascita o adozione
• il “Bonus Bebè”, ovvero l’Assegno di natalità, consistente in un assegno mensile, determinato sulla base dell’ISEE.

Oltre a queste prestazioni, vi sono molte altre tipologie di redditi che non devono essere dichiarati: per questo è importante farsi assistere dagli operatori del Patronato ACLI che sono a disposizione per una corretta esposizione dei dati e per la trasmissione telematica della richiesta.

Raffaele DE LEO

Assegno ordinario di invalidità e Naspi, come scegliere cosa conviene di più?

Assegno ordinario di invalidità e Naspi, come scegliere cosa conviene di più?

Il lavoratore disoccupato può scegliere tra il trattamento maggiormente conveniente tra assegno ordinario di invalidità e indennità di disoccupazione.
Prolungamento Naspi e Dis Coll

L’assegno ordinario di invalidità non è compatibile con la Naspi. Di fatto, quindi, quando il lavoratore dipendente che perde involontariamente il lavoro ed è anche titolare di assegno ordinario di invalidità, non può percepire contestualmente l’AOI e l’indennità di disoccupazione.

Assegno ordinario di invalidità e Naspi

L’incumulabilità delle due misure sta al lavoratore scegliere quale tra i due trattamenti sia il più conveniente da ricevere. Il lavoratore, di fatto, può non richiedere la Naspi e continuare a fruire dell’AOI se quest’ultimo è maggiormente conveniente economicamente tenendo presente, però, che il periodo indennizzato con la Naspi è coperto da contribuzione e si rinuncia all’indennità si perde anche la contribuzione figurativa.

Se, invece, almeno inizialmente appare maggiormente conveniente la Naspi, essendo anche coperta da contributi figurativi, il lavoratore può sospendere temporaneamente la fruizione dell’assegno ordinario per fruire della Naspi. Ovviamente al termine della Naspi l’assegno ordinario di invalidità si ripristina ed il lavoratore continuerà a fruirne.

Ma il lavoratore può anche decidere di scegliere la Naspi fintanto che la misura è maggiormente conveniente e poi interrompere l’indennità di disoccupazione per ripristinare l’assegno ordinario di invalidità.

La novità è illustrata nella circolare 138 del 2011 nella quale l’INPS precisa che “i lavoratori che abbiano esercitato la facoltà di opzione per l’indennità di disoccupazione, possono rinunciare all’indennità in qualsiasi momento ottenendo il ripristino del pagamento dell’assegno di invalidità. La rinuncia, che ha valore dalla data in cui viene effettuata, ha carattere definitivo e il lavoratore che l’ha esercitata non può più essere ammesso a percepire la parte residua di disoccupazione”.

Pensioni

Riforma delle pensioni entro fine anno, quando scadrà Quota 100. Interessante analisi del sito www.donnesulweb.it. Ecco le sei possibili ipotesi per le pensioni dopo Quota 100.

 

Riforma pensioni 2022 cosa cambia

Il destino della riforma pensionistica è ancora lontana dall’essere definito. Tuttavia esistono già 6 idee o proposte che il governo Draghi prenderà sicuramente in considerazione, prima di fare un scelta definitiva.

Di seguito quali sono e in cosa consistono le possibili novità per accedere alla pensione anticipata dal primo gennaio 2022.

1) Pensione anticipata a 64 anni

Si tratta di una proposta arrivata direttamente dalla Corte dei Conti, per garantire ancora flessibilità in uscita dal lavoro. In sostanza per andare in pensione sarebbero necessari il compimento di 64 anni di età e il versamento di almeno 20 anni contributivi. A patto però di aver già raggiunto un importo pari a 2,8 volte quello dell’assegno sociale.

2) Quota 41 per tutti

E’ l’idea avanzata dalle parti sociali, per permettere a tutti i lavoratori di accedere al prepensionamento al raggiungimento dei 41 anni di contributi, a prescindere dall’età anagrafica. Attualmente questa misura è riservata solo ai lavoratori precoci. Ma estenderla a tutti rischia di avere costi insostenibili per le casse dello stato, come confermato dalla Corte dei conti.

3) Rafforzare i contratti di espansione

Questa ipotesi mira a favorire un ricambio generazionale nelle aziende con molti dipendenti, con prepensionamenti dei più anziani e successive assunzioni. In pratica con questi contratti le aziende stringe accordi volontari con i lavoratori a cui mancano 60 mesi alla pensione di vecchiaia. Chi li accetta riceve un’indennità fino al raggiungimento dei 67 anni e poi un assegno pensionistico di importo minore, rispetto a quello pieno.

4) Proroga opzione donna

Opzione donna, lo scivolo che permette alle lavoratrici di accedere alla pensione anticipata, potrebbe diventare strutturale. Se così fosse sarebbe possibile andare in pensione con un assegno calcolato con il metodo contributivo, a 58 anni (59 per le autonome) e 35 anni di contributi.

5) Proroga Ape Sociale

Anche in questo caso sarebbe una proroga, che garantirebbe l’uscita anticipata dal lavoro (a 63 anni) per le categorie lavorative svantaggiate, che ne fanno richiesta. L’Ape sociale prevede un assegno pagato dallo Stato fino ai 67 anni, per un importo massimo di 1.500 euro su 12 mesi.

6) Pensione anticipata lavori gravosi

L’ultima idea del Mef è quella di rendere più agevole l’accesso alla pensione pe le categorie lavorative impiegate in mansioni usuranti (lavoratori notturni, conducenti di veicoli eccetera). In questo caso potrebbe bastare un’età di 61 anni e 7 mesi uniti a 35 anni di contributi versati per uscire anticipatamente dal lavoro.

Queste in sintesi le 6 idee su cui stanno ragionando il Ministro del lavoro Orlando e l’intero esecutivo. Con il trascorrere del tempo queste possibilità si fanno sempre più concrete, ma non si possono escludere novità completamente diverse quando la discussione della riforma pensioni entrerà nel vivo. Probabilmente in autunno.

il manifesto

L’Arma Pericolosa. Il giorno dopo la sentenza di condanna dei Carabinieri la sparata. Amnesty: preoccupante

La caserma dei carabinieri di Piacenza
 La caserma dei carabinieri di Piacenza

Il giorno dopo le condanne in primo grado di cinque dei sei carabinieri di Piacenza accusati di spaccio e tortura per la vicenda della caserma Levante (il sesto ha scelto il rito ordinario), il sottosegretario al Ministero dell’Interno della Lega Nicola Molteni arriva in città. «Chi sbaglia paga», dice Molteni. Poi però aggiunge dell’altro: «Detto ciò esprimo vicinanza e solidarietà all’Arma perché è un corpo sano. Dobbiamo tutelare anche l’incolumità delle forze dell’ordine per questo credo che a breve sarà consentito l’utilizzo del taser». Viene da chiedersi che cosa avrebbero potuto fare quei carabinieri col taser in mano. L’intera caserma, e un fatto del genere non era mai successo in Italia, fu messa sotto sequestro nell’estate 2020 dopo di indagini e pedinamenti che hanno raccontato di militari che si credevano boss di quartiere.
È passato un anno, la caserma è ormai tornata operativa, e il sottosegretario Molteni a una manciata di ore dalle condanne sceglie di annunciare i taser per tutti. «Benissimo dire che ‘chi sbaglia paga’ – commenta il portavoce di Amnesty International Riccardo Noury – Però a quelle tre parole il sottosegretario ne ha aggiunte altre 200, compreso l’annuncio dei taser, cosa che ci preoccupa molto». «Le condanne di Piacenza – conclude Noury – sono un segnale importante perché riconoscono che è successo qualcosa di molto grave».
A prendere posizione in maniera netta di fronte alla sentenza di primo grado è l’Arma dei Carabinieri. «Con responsabilità accertata, non ci saranno sconti per nessuno – si legge in una nota – Chi sbaglia pagherà oltre che sul piano penale anche su quello civile (anche con risarcimento dei danni economici) e disciplinare». L’Arma si è costituita parte civile e annuncia la creazione di «una struttura con compiti di audit, per rafforzare la costante attività di verifica sul funzionamento dei reparti sino a livello di stazione e adottate iniziative per la formazione del personale».
A chiedere trasparenza e controllo è anche la Cgil. La ricetta del sindacato è però diversa da quella dell’Arma, perché la Cgil chiede di separare «le funzioni del controllore da quelle del controllato». Come si fa? «Con interventi profondi capaci di conquistare trasparenza e vivere democratico e di rendere pienamente esigibile, con i limiti che la Costituzione indica, l’agire sindacale», scrive il responsabile nazionale Legalità e Sicurezza della Cgil, Luciano Silvestri, che nel ragionamento mette in fila proprio le condanne di Piacenza, il raid punitivo degli agenti carcerari di Santa Maria Capua Vetere, e anche la morte di Stefano Cucchi. «Se ci fosse stato un esercizio sindacale minimamente democratico queste cose non sarebbero accadute», spiega Silvestri, che racconta di un processo di sindacalizzazione nell’Arma ancora agli albori, iniziato dopo una sentenza della Corte costituzionale del 2018 e per ora solo sulla carta, tant’è che le varie sigle non hanno rappresentanza sui territori e non vengono nemmeno convocate. Un sindacato che funziona, è invece il ragionamento, può garantire standard di controllo e trasparenza sul posto di lavoro, anche in una caserma dei carabinieri dove la gerarchia è ferrea e gli ordini non si discutono. Al momento però «resta ancora tutto da fare”, in attesa di una riforma parlamentare complessiva della materia “che però speriamo non peggiori la situazione visti i testi in discussione tra Camera e Senato».
Soddisfatti dalle condanne di primo grado i neonati sindacati di categoria, che nel processo appena concluso hanno trovato – attraverso un tribunale e la sua sentenza – uno dei loro primissimi riconoscimenti essendo stati accettati come parti civili. «Viene confermato il ruolo del sindacato quale presidio dei valori democratici ed il suo compito a tutela della legalità e soprattutto del rispetto dei diritti e della dignità dei lavoratori, anche nel contesto del lavoro militare», dice Corrado Bortoli, segretario generale del Silca, il sindacato lavoratori carabinieri.

ilmanifesto

ITALIA

Violenze e punizioni rituali contro i detenuti pestati

Carcere di Santa Maria Capua Vetere. Il Dap sapeva dal 26 aprile della «perquisizione» ma nessun provvedimento è stato preso per oltre un anno rispetto al personale coinvolto

Un'immagine della videosorveglianza del carcere di S. M. Capua Vetere, pubblicata da Domani
 Un’immagine della videosorveglianza del carcere di S. M. Capua Vetere, pubblicata da Domani

Sono stati in sei, ieri, a sostenere l’interrogatorio di garanzia con il gip Sergio Enea, 32 in totale gli indagati già sentiti sui 52 destinatari di misure di garanzia (8 sono in carcere, 18 ai domiciliari, 3 con obbligo di dimora) per l’inchiesta sui pestaggi ai danni dei detenuti nel carcere di Santa Maria Capua Vetere del 6 aprile 2020. La maggior parte ha scelto di non rispondere, alcuni hanno reso dichiarazioni spontanee. Per adesso sono due le tesi difensive: «Le modalità di intervento sono state decise dai miei superiori» ma c’è chi ha scaricato la responsabilità sugli agenti arrivati a supporto da Secondigliano, agenti che non è stato possibile identificare perché col viso coperto e ignoti ai detenuti. I 52 sono stati sospesi dal servizio: il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria ha disposto la misura martedì scorso, solo dopo i provvedimenti del gip. Sospese da venerdì ulteriori 25 persone, ancora sotto indagine. Per oltre un anno sono rimasti tutti al loro posto di lavoro.

FRANCESCO BASENTINI, direttore del Dap all’epoca dei fatti (dimessosi poi ai primi di maggio), al Corriere ha spiegato: «La relazione mandata al Dap è del 26 aprile, prima non ero mai stato informato di quanto avvenuto nelle sezioni». E ancora: «A settembre sono stato interrogato dai magistrati come persona informata dei fatti. Se avessi avuto informazioni su quello che era successo non avrei esitato a disporre provvedimenti cautelari a carico dei responsabili». Almeno dal 26 aprile i fatti stavano venendo fuori ma nessun provvedimento venne preso. A giugno 2020 arrivarono anche gli avvisi di garanzia e ancora nessun provvedimento. Lo scorso ottobre, nella replica dell’allora ministro della Giustizia Bonafede all’interpellanza di Riccardo Magi di +Europa Radicali, si legge: «Con nota 3 luglio 2020, il locale provveditore ha trasmesso al Dap l’elenco del personale nei confronti del quale è stata data formale comunicazione dell’avvio di procedimento penale da parte della procura di S. M. Capua Vetere». Anche allora nulla. Perché sia preoccupante lo spiegano gli atti.

LE MISURE CAUTELARI sono state adottate perché c’è «il concreto pericolo che gli indagati commettano ancora delitti della stessa specie di quelli per cui si procede» ossia torture, maltrattamenti, lesioni, falso, calunnia, favoreggiamento, frode processuale e depistaggio. «L’attività di indagine ha consentito di disvelare un uso diffuso della violenza – scrive il gip – intesa da molti ufficiali e agenti di polizia penitenziaria come l’unico espediente efficace per ottenere la completa obbedienza dei detenuti, tesi inaccettabile in uno stato di diritto». E ancora: «Che la violenza costituisca con tutta probabilità una costante nel rapporto fra gli indagati e i detenuti lo si evince dai filmati di videosorveglianza. Si nota che gli agenti in modo del tutto naturale compiono dei gesti quasi “rituali”, come nel caso in cui si dispongono a formare un “corridoio umano” tutte le volte in cui i detenuti si apprestano a transitare e cominciano a picchiarli con estrema violenza, sebbene inermi».

IL 5 APRILE I DETENUTI avevano protestato temendo il diffondersi del Covid. L’azione era terminata pacificamente. Nelle chat viene fuori «l’assoluta insofferenza di un numero significativo di agenti e ufficiali rispetto al metodo del dialogo che si stava utilizzando con i detenuti in rivolta, tanto da mettere anche in dubbio le capacità di comando». Pasquale Colucci, comandante del nucleo traduzioni e piantonamenti, scrive la notte tra il 5 e il 6: «Il personale di smcv è molto deluso. Si sono raccolti per contestare il comandante».

POI ARRIVA LA DECISIONE di effettuare «la perquisizione» e il tono dei messaggi cambia: «Spero che pigliano tante di quelle mazzate che domani li devono trova tutti ammalati». Ad azione terminata: «Aho ci siano rifatti. 350 passati e ripassati». Il gip scrive: «I pestaggi sono stati pianificati con modalità tale da impedire ai detenuti di conoscere i propri aggressori. Le vittime erano costrette a comminare con la testa rivolta al suolo e nella sala della socialità erano posti con la faccia al muro, mentre venivano picchiati da tergo».

I VERTICI (come il comandante della polizia penitenziaria, Manganelli, e la comandante del Nic di Napoli, Francesca Acerra) hanno contribuito a confezionare falsi documenti e depistaggi. «A seguito del disvelamento dell’indagine – si legge negli atti – si è assistito a una deprimente quanto incessante attività di manipolazione». I filmati della videosorveglianza hanno ripreso solo una parte di quanto accaduto. Uno degli agenti in chat: «Mi hanno potuto vedere che tiravo qualche pugno con le chiavi in testa a D’Avino (un detenuto ndr)». Il collega: «Ma il lato tuo non ci stanno le telecamere». E il primo: «Eh là bravo, quelle già non ci stavano, è là che feci un buco in testa a D’Avino e a quegli altri due».

Sant’ Elisabetta del Portogallo

 

Sant’ Elisabetta del Portogallo


Nome: Sant’ Elisabetta del Portogallo
Titolo: Regina
Nascita: 1271, Aragona, Spagna
Morte: 1336, Estremoz, Portogallo
Ricorrenza: 4 luglio
Tipologia: Commemorazione

Nacque l’anno 1271 da Pietro III re di Aragona e da Costanza figlia di Manfredi re di Sicilia. Le fu imposto il nome di Elisabetta in memoria di S. Elisabetta regina d’Ungheria, sua prozia.

All’età di otto anni cominciò a recitare l’Ufficio divino e così fece per tutta la vita. Come principessa ella aveva tutta la possibilità di seguire la moda, ma non volle farlo, privandosi anche dei giochi e piaceri leciti. Contratto matrimonio con Dionigi re del Portogallo, non tralasciò gli esercizi di pietà e le buone opere in cui si era fino allora esercitata.

Al mattino si alzava presto, recitava parte dell’Ufficio, assisteva alla S. Messa e poi trascorreva le ore della giornata nell’adempiere i doveri del suo stato, nella lettura della Sacra Scrittura e nel lavoro manuale. Non stava mai oziosa. Da questo sistema non si lasciò smuovere da coloro che le suggerivano una vita più conforme alla sua dignità. Osservava i digiuni imposti dalla Chiesa e se ne imponeva altri; visitava e sollevava i poveri e gli infermi. Verso il marito, di costumi depravati, la pia regina usò ogni preghiera ed esortazione per indurlo alla conversione, e sempre con tutta pazienza e dolcezza, nonostante che le sue premure fossero ricambiate con altri torti ed affronti. Essendo stata accusata di aver eccitato suo figlio alla ribellione contro il re, fu dall’empio sovrano privata dei suoi beni e “relegata nella piccola città di Alaquer. Molti suoi sudditi le offersero armi e truppe per ricuperare il trono dal quale sì ingiustamente era stata scacciata; ma ella nulla accettò ed esortò tutti a mantenersi fedeli al sovrano. Questi ebbe finalmente la grazia di entrare in se stesso; riconobbe l’innocenza di Elisabetta, la richiamò alla corte e perdonò a suo figlio. La santa regina approfittò della conversione del marito per confermarlo nella via della salvezza eterna.

Egli morì nel 1325. Salito al trono Alfonso, figlio di Elisabetta, ella pensò di farsi religiosa nel convento di S. Chiara in Coimbra; ma non essendole stato consentito, visse ritirata in un appartamento contiguo al monastero. Per due volte si recò umilmente e poveramente in pellegrinaggio a Compostella. Di ritorno dal secondo pellegrinaggio, avendo udito che il re suo glio era in discordia con Alfonso VII di Castiglia, si affrettò ad arrivare ad Estremoz per pacificare i due contendenti, ma colta da violenta febbre morì santamente in età di 65 anni. Fu sepolta nel monastero di S. Chiara da lei fondato.

Urbano VIII la canonizzò, fissando la sua festa l’8 luglio. Successivamente la data fu anticipata al 4 luglio.

PRATICA. Impariamo a praticare la preghiera assidua, l’umiltà e la pazienza.

PREGHIERA. — O Dio clementissimo, che tra le altre spiccate virtù decorasti la beata regina Elisabetta della prerogativa di sedare il furore della guerra, concedi a noi, per sua intercessione, che dalla pace di questa vita mortale possiamo passare ai gaudi eterni.

MARTIROLOGIO ROMANO. Ad Estremoz, in Portogàllo, il natale di santa Elisabètta Vedova, Regina dei Portoghesi, la quale, illustre per virtù e per miracoli, dal Sommo Pontefice Urbàno ottavo fu annoverata nel numero dei Santi.