dall’Osservatore Romano

Servono 
coraggio e solidarietà

  ​L’Europa di fronte all’immigrazione ·

12 settembre 2015

 

 

Il vertice dei ministri degli Esteri e della Giustizia dei ventotto Paesi dell’Unione europea, in programma lunedì, rappresenta un appuntamento decisivo per capire il nodo cruciale attorno al quale ruota l’attuale confronto sul tema dell’immigrazione. L’architettura politico-finanziaria costruita dai Trattati si sta rivelando inadeguata a fronte di quella che è una delle peggiori emergenze umanitarie dalla seconda guerra mondiale. Finora era stata la crisi economica a mettere in seria difficoltà quest’architettura, tant’è che più volte negli ultimi anni gli Stati membri hanno discusso la possibilità di modifiche radicali di Maastricht.

Nel suo discorso sullo stato dell’Unione il presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, ha parlato di un piano per la ridistribuzione di 160.000 rifugiati basato su uno schema obbligatorio, con quote permanenti e una lista comune dei Paesi di provenienza «sicuri», i cui provenienti non hanno motivo per chiedere asilo. Pochi tuttavia hanno notato che questo piano, se verrà accettato, comporterà non solo notevoli modifiche dei Trattati, ma anche serie spaccature tra gli Stati membri.
Nel dettaglio, la Commissione propone di ridistribuire i profughi arrivati in Grecia (50.400), Italia (15.600) e Ungheria (54.000) secondo un criterio di ripartizione obbligatorio che terrà conto del volume della popolazione, del pil (prodotto interno lordo), della media delle domande di asilo presentate in passato e del tasso di disoccupazione. Il piano andrà a integrare le misure già prese in passato. La novità è che questo meccanismo di ridistribuzione automatico diventerà permanente, da attivare ogniqualvolta si presenti una crisi umanitaria che mette sotto pressione uno Stato membro. A ciò si aggiunge poi un nuovo criterio per i rimpatri con l’intenzione di armonizzare i diversi sistemi in vigore.

Il rischio di spaccature è dunque dietro l’angolo. I Paesi del Gruppo di Visegrád (Polonia, Ungheria, Repubblica ceca e Slovacchia) hanno criticato duramente Berlino per le recenti aperture del cancelliere Merkel e puntano a rafforzare i controlli ai confini esterni dell’Unione. La sicurezza — per questi Paesi — è l’obiettivo primario, anche a causa del focolaio ucraino. Su una linea meno rigida si pongono invece Gran Bretagna, Danimarca e Irlanda, che invece restano aperte all’idea di una maggiore assistenza umanitaria, ma chiedono anche più garanzie. 
La partita è delicata. L’impressione è che il dibattito in Europa torni sempre allo stesso punto: insieme, ma a che prezzo? Come ha detto il presidente del Parlamento Ue, Martin Shultz, «il gioco di scaricare le colpe non ci aiuterà a trovare soluzioni. Queste verranno con il coraggio e la solidarietà». 

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dall’Osservatore Romanoultima modifica: 2015-09-13T18:47:06+02:00da vitegabry
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