Archivi giornalieri: 22 febbraio 2024

L’abuso dei decreti legge e le incognite di una riforma costituzionale Riforme istituzionali

L’abuso dei decreti legge e le incognite di una riforma costituzionale Riforme istituzionali

Mentre il governo Meloni segna nuovi record in tema di decreti legge, in parlamento si discute di una proposta di riforma che estenderebbe a 90 giorni il tempo massimo per la conversione. Un’eventualità che però rischia di comprimere ancora di più le prerogative delle camere.

 

Ci siamo occupati spesso in passato del ricorso eccessivo fatto dagli esecutivi allo strumento del decreto legge (Dl). Una dinamica che con il governo Meloni sta raggiungendo nuovi picchi. L’attuale esecutivo infatti riporta il dato più alto per quanto riguarda il numero medio di decreti legge emanati al mese.

L’abuso di questo strumento porta a diverse conseguenze negative. Il parlamento infatti ha solo 60 giorni per convertire in legge i decreti governativi. Un tempo adatto ad affrontare occasionalmente questioni urgenti e specifiche ma che diventa insufficiente se l’esecutivo tende a ricorrere ai decreti con frequenza eccessiva, per affrontare temi anche molto complessi e articolati. Una modalità che peraltro lascia pochissimo spazio alle camere per dedicarsi ad altro che non siano le proposte di legge di iniziativa governativa. Questo ha portato gli esecutivi a ricoprire un ruolo sempre più centrale anche per quanto riguarda l’iter legislativo.

Data questa situazione, ai parlamentari rimangono pochi margini di manovra e spesso l’unico modo che hanno per intervenire è quello di proporre emendamenti alle leggi di conversione. Una pratica però che porta ad altri problemi, come quello dei cosiddetti decreti omnibus di cui ci siamo occupati anche recentemente.

55 i decreti legge pubblicati dal governo Meloni, di cui 5 tra gennaio e febbraio 2024.

In questo contesto, il centrodestra ha presentato recentemente due proposte di revisione costituzionale che punterebbero ad estendere i tempi per la conversione dei decreti a 90 giorni in modo da fornire più tempo alle camere per esaminare i Dl e presentare eventuali proposte di modifica.

Se da una parte risulta indispensabile la previsione che il Governo possa intervenire tempestivamente in situazioni urgenti con provvedimenti legislativi emergenziali, d’altra parte il termine perentorio di sessanta giorni in cui il Parlamento può apportare le opportune modifiche al decreto risulta eccessivamente stringente. Questa tempistica ha infatti prodotto più volte, nel corso degli anni, il risultato di depotenziare il ruolo del Parlamento portandolo ad esaminare il decreto in una sola delle due Camere per avere certezza del rispetto dei termini di approvazione.

Si possono comprendere le ragioni che hanno portato a questa proposta che però al contempo presenta gravi criticità. Tale impostazione infatti andrebbe nella direzione di trasformare in maniera definitiva il decreto legge da strumento emergenziale ad atto ordinario a cui il governo può fare ricorso per dare più rapida attuazione alle proprie iniziative.

Così come la riforma del premierato anche in questo caso ci si muove quindi nella direzione di un rafforzamento dei poteri dell’esecutivo. Come ha fatto notare anche la giurista Vitalba Azzolini, infatti tale riforma anziché tutelare il parlamento andrebbe e legittimare l’abuso dei decreti legge fatto dai governi comprimendo ancora di più le prerogative delle camere. Da questo punto di vista il prolungamento del tempo per la conversione dei decreti appare più come un tentativo dei parlamentari di salvare il salvabile piuttosto che intervenire con una riforma che renda più agevole e rapido il ricorso all’iter legislativo ordinario. Riforma però più complessa e su cui sarebbe più difficile trovare consenso tra le varie forze politiche.

I numeri del governo Meloni e il confronto con i suoi predecessori

Prima di andare a vedere più nel dettaglio le proposte di riforma in discussione, è utile passare in rassegna i dati riguardanti l’uso e abuso dei decreti legge. Questi dati infatti ci aiutano a capire perché il tema è così rilevante nell’attuale dibattito sulle riforme costituzionali.

Il governo Meloni ha già pubblicato ben 55 decreti legge dal suo insediamento a palazzo Chigi nell’ottobre del 2022. In termini assoluti, considerando le ultime 4 legislature, possiamo osservare che solo 3 esecutivi riportano un valore più elevato. Si tratta dei governi Berlusconi IV (80), Draghi (64) e Renzi (56). Il dato dell’attuale esecutivo risulta particolarmente significativo se si considera che quelli appena citati sono comunque rimasti in carica per più tempo.

Se ci soffermiamo ad analizzare il dato medio dei decreti legge pubblicati per mese – in modo da poter fare un confronto omogeneo tra esecutivi che hanno avuto durate diverse – vediamo che il governo Meloni sale al primo posto con una media di 3,44 Dl emanati nei suoi primi 16 mesi. Un dato superiore anche a quelli dei governi Draghi (3,2) e Conte II (3,18) che però hanno dovuto fronteggiare le fasi più concitate della pandemia.

Significativo da questo punto di vista il fatto che il governo Meloni abbia sopravanzato il Conte II anche in valori assoluti. L’esecutivo giallorosso infatti si era fermato a 54 Dl emanati in 17 mesi.

Proposte di riforma

Non sempre le iniziative portate avanti dai governi richiederebbero un’azione rapida ed emergenziale. Spesso però si preferisce comunque adottare un Dl sia per velocizzare l’iter parlamentare sia per limitare eventuali tentativi di modificare il dispositivo. Ed è proprio su questo secondo aspetto che vanno ad intervenire le proposte di riforma costituzionale presentate.

In realtà i Ddl depositati sarebbero 4. Due provengono dalla maggioranza e due dall’opposizione. Questi ultimi però non hanno ancora iniziato l’iter legislativo. I primi firmatari sono Vittoria Baldino del Movimento 5 stelle e Andrea Giorgis del Partito democratico. In entrambi i casi non è disponibile il testo completo della proposta di legge. Non è quindi possibile conoscere nel dettaglio la posizione di questi schieramenti.

Le proposte di riforma puntano a un allungamento dei tempi per la conversione dei decreti legge.

Qualcosa di più si sa invece a proposito delle due proposte di riforma presentate dalla maggioranza. Queste hanno già iniziato il loro iter e risultano in discussione nella commissione affari costituzionali del senato. La prima delle due proposte è stata presentata da Adriano Paroli di Forza Italia. In questo caso il Ddl dispone semplicemente l’ampliamento a 90 giorni del tempo a disposizione per le camere per la conversione in legge dei decreti governativi.

L’altra proposta invece porta la prima firma di Paolo Tosato della Lega. Anche in questo caso si prevede l’estensione massima per la conversione a 90 giorni ma viene aggiunto un dettaglio in più. La camera che inizia la discussione sul Ddl avrebbe al massimo 60 giorni di tempo per concludere l’iter, di modo che alla seconda resti almeno un mese di tempo per fare altrettanto.

Entrambe le proposte figurano ai primi passi dell’iter. L’ultima occasione in cui se ne è discusso in commissione infatti risale al 30 novembre scorso. In questa circostanza si è deciso di procedere all’analisi congiunta delle due proposte, data la loro somiglianza. Il seguito della discussione è però stato rinviato e da allora non è ancora ripreso. Verosimilmente quindi tali proposte potranno eventualmente concludere il loro percorso nella parte finale della legislatura. Ciò alla luce del fatto che la stessa commissione sta affrontando anche la riforma sul premierato presentata dal governo.

Trattandosi di riforme costituzionali infatti sono necessarie due votazioni distinte per camera a distanza di almeno 3 mesi.

I decreti legge pubblicati nel 2024

Soffermandoci sul periodo più recente, possiamo osservare che sono già 5 i decreti legge che il governo ha pubblicato dall’inizio dell’anno. Tra i primi provvedimenti adottati troviamo il Dl 5/2024 che riguarda la presidenza italiana del G7. In questo caso si dispone la nomina di un commissario straordinario e alcune semplificazioni in tema di appalti, con l’obiettivo di velocizzare le opere da realizzare in vista dei vertici dei capi di stato e di governo che si terranno nel nostro paese.

Nel corso di questi primi due mesi, il governo ha pubblicato anche il decreto legge 7/2024 che introduce alcune misure in vista delle elezioni europee, regionali e amministrative. Tra gli interventi contenuti in questo decreto c’è anche la possibilità per i sindaci dei comuni con popolazione compresa tra 5mila e 10mila abitanti di ricandidarsi per un terzo mandato. Viene invece eliminato ogni limite per i territori con popolazione inferiore ai 5mila abitanti.

Questa decisione dell’esecutivo peraltro ha generato un ampio dibattito sul tema dei limiti al numero di rielezioni possibili per i sindaci uscenti. Da questo punto di vista alcune forze politiche (la Lega in particolare) vorrebbero estendere la possibilità di un terzo mandato anche ai presidenti di regione. Mentre il presidente dell’associazione nazionale dei comuni italiani, Antonio Decaro (Pd) si è esposto sostenendo che la rimozione al limite dei mandati dei sindaci dovrebbe essere estesa anche ai centri più grandi.

Il governo è intervenuto con 2 decreti legge in pochi giorni per gestire la crisi dell’ex Ilva.

Con due distinti Dl poi il governo è intervento per cercare di limitare i danni derivanti dalla situazione di crisi che sta attraversando l’ex Ilva di Taranto. Con il Dl 4/2024 si punta a salvaguardare la continuità aziendale e tutelare i dipendenti delle aziende di grandi dimensioni. Il decreto 9/2024 invece introduce una serie di interventi per tutelare le piccole e medie imprese. Ciò con un particolare occhio di riguardo per quelle realtà che facevano parte dell’indotto dello stabilimento siderurgico.

Infine, tra i decreti di più recente pubblicazione, troviamo il Dl 10/2024 che prevede una serie di interventi finalizzati a velocizzare le opere necessarie per lo svolgimento delle olimpiadi invernali di Milano-Cortina 2026.

Anche da questa breve rassegna emerge chiaramente come non sempre il ricorso ai decreti legge sarebbe indispensabile.

Foto: Governo – Licenza

 

Ricordando Giovanni Maria Angioy a 216 anni dalla sua morte

Ricordando Giovanni Maria Angioy a 216 anni dalla sua morte
di Francesco Casula
1. La figura di Giovanni Maria Angioy La sua figura – scrive lo storico sassarese Federico Francioni (1)- nella storia del suo tempo è stata a lungo oggetto di controversie, a volte di esaltazioni, a volte di accuse, spesso condizionate da un dibattito politico contingente, che prendevano particolarmente di mira sue indecisioni e «doppiezze». Oggi invece è necessario cercare di capire nel profondo le ragioni dei dubbi ed anche delle ambiguità che, ad un primo esame, sembrano le fasi e le caratteristiche piú marcate della biografia angioyna. Ma è indispensabile, prima di tutto, indagare sulle origini delle lotte antifeudali con le quali giunsero a maturazione istanze comuni sia al mondo delle campagne che ai gruppi della nascente borghesia isolana. È essenziale, inoltre, non perdere di vista il quadro in cui vanno collocati gli avvenimenti sardi: il drammatico scenario dominato dal crollo dell’ancien régime, dalle attese quasi messianiche di emancipazione delle masse rurali, dall’azione di élites audaci ed intransigenti e dagli «alberi della libertà». Solo così sarà possibile rimettere in discussione stereotipi – in larga parte ancora vigenti – su una Sardegna tagliata fuori, sempre e comunque, da tutte le grandi correnti rivoluzionarie, politiche, culturali ed intellettuali dell’Europa moderna. 2. Angioy coltivatore ed imprenditore, professore di diritto canonico, giudice della Reale Udienza. La vita dell’Angioy non è solo una traccia, un frammento, nella storia sotterranea delle longues durées e dei processi di trasformazione che hanno attraversato la società sarda. La sua vicenda politica ed umana assume infatti un valore emblematico perché riflette la parabola di un’intera generazione di sardi, vissuta fra le realizzazioni del «riformismo» sabaudo, un decennio di sconvolgimenti rivoluzionari e la spietata restaurazione dei primi anni dell’Ottocento. In quel contesto si inserisce anche l’attività di Angioy, nato a Bono il 21 ottobre 1751, dopo aver studiato a Sassari nel Collegio Campoleno ed essersi addottorato in Legge, nel 1773 a Cagliari inizia la pratica forense. Imprenditore agrario e manifatturiero oltre che professore di diritto canonico, è un alto funzionario dello Stato (fra l’altro giudice della Reale Udienza) colto ed efficiente, oltre che intellettuale aperto agli stimoli e agli influssi dei “lumi” e delle riforme. Come giudice della Reale Udienza fa parte della Giunta stamentaria costituita di due membri di ciascuno dei bracci parlamentari. Pur rimanendo nell’ombra negli anni delle sommosse cittadine e dei moti antipiemontesi, – anche se il Manno, cercando di metterlo in cattiva luce, insinua che egli tramasse dietro le quinte anche in quelle circostanze e dunque fosse coinvolto nella cacciata dei piemontesi- secondo molti storici sardi – ad iniziare dal Sulis – si affermerebbe come il capo più autorevole del Partito democratico e come l’esponente più importante di un gruppo di intellettuali largamente influenzato dall’illuminismo e dal Giacobinismo: fra i più importanti Gioachino Mundula, Gavino Fadda, Gaspare Sini, il rettore di Semestene Francesco Muroni con il fratello speziale Salvatore, il rettore di Florinas Gavino Sechi Bologna e altri. 3. Angioy e i moti del 1795. I moti del 1795 – scrive ancora Francioni – a differenza di quelli del 1793, che in genere erano stati guidati da gruppi interni ai villaggi, sono preceduti da un’intensa attività di propaganda non solo antifeudale ma anche politica. Infatti insieme alle ribellioni nelle campagne si darà vita ai cosiddetti “strumenti di unione” ovvero a “patti” fra ville e paesi – per esempio fra Chiesi, Bessude, Brutta e Cheremule il 24 novembre 1795 e in seguito fra Bonorva, Semestene e Rebeccu nel Sassarese. In essi le persone giuravano di “non riconoscere più alcun feudatario”. Lo sbocco di questo ampio movimento – autenticamente rivoluzionario e sociale perchè metteva radicalmente in discussione i capisaldi del sistema vigente nelle campagne – fu l’assedio di Sassari – scrivono gli storici Lorenzo e Vittoria Del Piano (2). Con cui si costrinse la città alla resa dopo uno scambio di fucilate con la guarnigione. I capi, il giovane notaio cagliaritano Francesco Cilocco e Gioachino Mundula arrestarono il governatore Santuccio e l’arcivescovo Della Torre mentre i feudatari erano riusciti a fuggire in tempo rifugiandosi in Corsica prima e nel Continente poi. Dentro questo corposo movimento antifeudale, di riscatto economico, sociale e persino culturale-giuridico dei contadini e delle campagne si inserisce il ”rivoluzionario” Giovanni Maria Angioy. 4. Angioy “Alternos”. Mentre nel capo di sopra divampa l’incendio antifeudale, con le agitazioni che continuano e si diffondono in paesi e ville del Sassarese, gli Stamenti propongono al viceré Vivalda di nominare l’Angioy alternos con poteri civili, militari e giudiziari pari a quelli del viceré. Il canonico Sisternes si sarebbe poi vantato di aver proposto il nome dell’Angioy per allontanarlo da Cagliari e indebolire il suo partito. Certo è che il suo nome venne fatto perché persona saggia e perché solo lui, grazie al potere e al prestigio che disponeva nonché alla competenza in materia di diritto feudale ma anche perché originario della Sardegna settentrionale, avrebbe potuto ristabilire l’ordine nel Logudoro. L’intellettuale di Bono accettò, ritenendo che con quel ruolo avrebbe rafforzato le proprie posizioni ma anche quelle della sua parte politica incentrate sicuramente nella abolizione del feudalesimo in primis. Il viaggio a Sassari fu un vero e proprio trionfo: seguaci armati ed entusiasti si unirono con lui nel corso del viaggio, vedendolo come il liberatore dall’oppressione feudale. E giustamente. Anche perché riuscì a comporre conflitti e agitazioni, a riconciliare molti personaggi, a liberare detenuti che giacevano – scrive Vittorio Angius “in sotterranee oscure fetentissime carceri”. 5. L’Angioy a Sassari Accolto a Sassari dal popolo festante ed entusiasta – persino i monsignori lo ricevettero nel Duomo al canto del Te Deum di ringraziamento – in breve tempo riordinò l’amministrazione della giustizia e della cosa pubblica, creò un’efficiente polizia urbana e diede dunque più sicurezza alla città, predispose lavori di pubblica utilità creando lavoro per molti disoccupati, si fece mandare da Cagliari il grano che era stato inutilmente richiesto quando più vivo era il contrasto fra le due città: per questa sua opera ottenne una vastissima popolarità. Nel frattempo i vassalli, impazienti nel sospirare la liberazione dalla schiavitù feudale (ovvero“de si bogare sa cadena da-e su tuiu” come diceva il rettore Murroni, amico e sostenitore di Angioy) e di ottenere il riscatto dei feudi, proseguirono nella stipulazione dei patti dell’anno precedente: il 17 marzo 1796 ben 40 villaggi del capo settentrionale, confederandosi, giuravano solennemente di non riconoscere più né voler dipendere dai baroni. Angioy non poteva non essere d’accordo con loro e li riconobbe: in una lettera spedita il 9 giugno 1796 al viceré da Oristano, nella sfortunata marcia su Cagliari che tra poco intraprenderà cercò di giustificare l’azione degli abitanti delle ville e dei paesi riconoscendo la drammaticità dell’oppressione feudale che non era possibile più contenere e gestire e assurdo e controproducente cercare di reprimere. Non faceva però i conti con la controparte: i baroni. Che tutto voleva fuorché l’abolizione dei feudi: ad iniziare dal viceré. Tanto che i suoi nemici organizzarono durante la sua stessa permanenza a Sassari una congiura, scoperta ad aprile. Si decise perciò di “impressionare gli stamenti con una dimostrazione di forza, che facesse loro comprendere come il moto antifeudale era seguito da tutta la popolazione e che era ormai inarrestabile” (3). Lasciò dunque Sassari e si diresse a Cagliari. 6. L’Angioy e la marcia verso Cagliari, la sua fine e la fine di un sogno… Il 2 Giugno 1896 l’Alternos si dirige verso Cagliari, accompagnato da gran seguito di dragoni, amici e miliziani: nel Logudoro si ripetono le scene di consenso entusiastico dell’anno precedente. A Semestene però ebbe una comunicazione da Bosa circa i preparativi che erano in atto per fronteggiare ogni sua mossa e a San Leonardo, “fatta sequestrare la posta diretta a Sassari, ebbe conferma delle misure che venivano prese contro di lui” (4). Difatti a Macomer popolani armati, sobillati pare da ricchi proprietari, cercarono di impedirgli il passaggio, sicchè egli dovette entrare con la forza. Poiché anche Bortigali gli si mostrava ostile, si diresse verso Santu Lussurgiu e l’8 giugno giunse in vista di Oristano. Nella capitale la notizia che un esercito si avvicinava spaventò il viceré che radunò gli Stamenti. Tutti furono contro l’Angioy: anche quelli che erano stati suoi partigiani come il Pintor, il Cabras, il Sulis. Ahimè ritornati subito sotto le grandi ali del potere in cambio di prebende e uffici. Sardi ancora una volta pocos, locos y male unidos: l’antica maledizione della divisione pesa ancora su di loro. Questa volta per qualche piatto di lenticchie. Così il generoso tentativo dell’Angioy si scontra con gli interessi di pochi: fu rimosso dalla carica di Alternos, si posero 1.500 lire di taglia sulla sua testa e da leader prestigioso e carismatico, impegnato nella lotta antifeudale, per i diritti dei popoli e, in prospettiva nella costruzione in uno stato sardo repubblicano, divenne un volgare “ricercato”. Occorre infatti dire e sostenere con chiarezza che l’Angioy aveva in testa – come risulta dal suo Memoriale (5)- non solo la pura e semplice abolizione del feudalesimo ma una nuova prospettiva istituzionale: la trasformazione dell’antico Parlamento in Assemblea Costituente e uno stato sardo indipendente che “doveva comporsi di quattro dipartimenti (Sassari, Oristano, Cagliari e Orani) suddivisi a loro volta in cantoni ricalcanti le micro-regioni storiche dell’Isola”(6). Riferimenti bibliografici 1. Federico Francioni, Giommaria Angioy nella storia del suo tempo, Editore Della Torre, Cagliari 1985 2. Lorenzo e Vittoria Del Piano, Giovanni Maria Angioy e il periodo rivoluzionario 1793-1812,Edizioni C. R, Quartu, 2000 3. Natale Sanna op. cit. 4. Lorenzo e Vittoria Del Piano op. cit. 5. II testo integrale in francese del memoriale angioiano, con il titolo Mémoire sur la Sardaigne, si trova in La Sardegna di Carlo Felice e il problema della terra, a cura di C. Sole, Cagliari, 1967, sp. pp. 181-182. Di esso aveva già fornito un sunto J. F. Mimaut, Histoire de Sardaigne ou la Sardaigne ancienne et moderne considérée dans ses loìs, sa topographìe, ses productìons et sa moeurs, t. II, Paris, 1825, pp. 248-253. Tradotto in italiano si può leggere in A. Boi, Giommaria Angioy alla luce di nuovi documenti, Sassari, 1925 (v. sp. p. 80). 6. Antonello Mattone, Le radici dell’autonomia. Civiltà locale ed istituzioni giuridiche dal Medioevo allo Statuto speciale, in La Sardegna cit., 2, pp. 19-20; vedi, anche La Sardegna di Carlo Felice cit., pp. 194-196; C. Ghisalberti, Le costituzioni «giacobine» 1796-1799, Milano, 1973.
 
 
 
 
 
 
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Risarcimento del triplo della pensione sociale se reddito è instabile

Risarcimento del triplo della pensione sociale se reddito è instabile

risarcimento del dannoIl danno alla capacità di lavoro si liquida col triplo della pensione sociale non se la vittima ha un reddito esiguo, bensì se ha un reddito che non esprime la sua reale capacità lavorativa.

Questo è quanto ha stabilito la Corte di cassazione, sez. II civile, con la sentenza 4 febbraio 2020, n. 2463 (testo in calce).

Sommario

Il fatto

Si discute se possa farsi ricorso alla presunzione di legge di cui all’art. 137 del cod. ass. secondo la quale il danno patrimoniale non può essere liquidato al di sotto del triplo della pensione sociale, ogni qual volta il reddito sia inferiore a detta soglia (potendo, ragionando al contrario, lecitamente dubitarsi che il danneggiato non avrebbe mai potuto guadagnare di più ed in tal caso l’applicazione del triplo della pensione sociale costituirebbe un illecito arricchimento), ovvero solo quando il reddito sia, sì, inferiore a detta soglia, ma, al contempo, sia destinato a crescere, perché non rappresenta il massimo frutto possibile delle potenzialità produttive del danneggiato.

La decisione

Il danno da riduzione della capacità di guadagno deve essere liquidato in base al triplo della pensione sociale (c.d. «assegno sociale»), quando la misura assai modesta del reddito comprovato dalle prodotte buste paga è tale da rendere la situazione del danneggiato parificabile a quella di un disoccupato. Il fondamento normativo non sarebbe individuato dall’art. 137 cod. ass. – che si riferirebbe solo all’azione diretta del danneggiato nei confronti dell’assicuratore e non anche all’azione nei confronti del responsabile (Cass. 21/02/2001 n. 2512; Cass. 11/02/1999 n. 1166; Cass. 11/06/1990 n. 5672) – quanto invero dall’art. 1226 cod. civ., che impone al giudice di liquidare il danno con valutazione equitativa, quando lo stesso non possa essere provato nel suo preciso ammontare.

L’accertamento di postumi incidenti sulla capacità lavorativa specifica non comporta l’automatico obbligo del danneggiante di risarcire il pregiudizio patrimoniale, dovendosi, invero, dimostrare che il soggetto leso svolgesse – o presumibilmente avrebbe svolto – un’attività produttiva di reddito. Tale principio è però temperato dal rilievo per cui il ricorso al triplo della pensione sociale può essere consentito quando il giudice di merito accerti che la vittima al momento dell’infortunio godeva, sì, un reddito, ma questo era talmente modesto o sporadico da rendere la vittima sostanzialmente equiparabile ad un disoccupato (Cass. 12/10/2018 n. 25370); tuttavia questo sotto-principio va correttamente interpretato. La Cassazione (sentenza del 04/05/2016 n. 8896) aveva indicato che l’art. 137 cod. ass. non contiene alcuna regola secondo la quale se il reddito della vittima è modesto, il danno si liquida col triplo della pensione sociale; anche un reddito modesto, infatti, può essere stabile e permanente, e costituire effettivamente il massimo frutto possibile delle potenzialità produttive del danneggiato. Quindi, il corretto principio in iure sarebbe un altro: il reddito modesto o saltuario può costituire un fatto noto, dal quale risalire al fatto ignorato che il danneggiato, se fosse rimasto sano, non avrebbe continuato a percepire quel reddito per tutta la vita, ma avrebbe prima o poi beneficiato di un reddito maggiore.

In tal senso era orientata anche la Corte costituzionale, nella sentenza n. 445 del 24 ottobre 1995.

La Cassazione, confermando precedente orientamento (Cass. n. 8896 del 2016), detta quindi la regula iuris che non è … “il danno alla capacità di lavoro si liquida col triplo della pensione sociale se la vittima è un lavoratore dal reddito esiguo”, bensì è la seguente: “il danno alla capacità di lavoro si liquida col triplo della pensione sociale quando la vittima al momento del sinistro ha un reddito che non esprime la reale capacità lavorativa della vittima, e sia quindi impossibile stabilire o presumere il reddito reale della vittima”.

CASSAZIONE CIVILE, SENTENZA N. 2463/2020 >> SCARICA IL TESTO

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Speciale Riforma Pensioni

Speciale Riforma Pensioni

 

Per il 2024 la Riforma Pensioni Meloni è contenuta nella Legge di Bilancio e riguarda le nuove formule di uscita flessibile, le aliquote di perequazione per la rivalutazione Istat, lo sblocco delle aspettative di vita per la pensione anticipata, l’importo minimo per quella di vecchiaia, il taglio degli assegni futuri per alcuni dipendenti statali e la relativa decorrenza con finestre mobili.

Ultime notizie

 

La flessibilità in uscita prevede nel 2024 le seguenti opzioni:

  •  Quota 103 (62 anni di età + 41 anni di contributi con requisito minimo di assegno maturato e ricalcolo contributivo),
  •  APE Sociale (63 anni e 5 mesi di età + 30/36 di contributi per 4 categorie di lavoratori),
  •  Opzione Donna (61 anni + 35 di contributi per 3 categorie di lavoratrici, sconti specifici e ricalcolo contributivo),
  •  Pensione anticipata contributiva (64 anni+ 20 anni di contributi effettivi dopo il 1995 e assegno pari a 3/2,8 volte il minimo).

Quota 103 con penalità

In base a quanto previsto dalla Legge di Bilancio e dai decreti collegati, la proroga di Quota 103 vede un peggioramento dei requisiti, con decorrenza più lontana e ricalcolo dell’assegno.

Restano gli incentivi in busta paga per chi preferisce restare al lavoro (Bonus Maroni).

Flessibilità in uscita: APE Sociale e Opzione Donna

L’Opzione Donna e APE Sociale dal 1° gennaio 2024 cambiano requisiti, con un anno in più nel primo caso e 5 mesi in più nel secondo.

Dal primo gennaio scatta poi l’indicizzazione delle pensioni 2024 all’inflazione 2023, ricalcando più o meno le fasce attuali ma con una possibile penalizzazione delle pensioni d’oro.

Rivalutazione pensioni 2024

Nel 2024 si rivalutano al 100% le pensioni fino a quattro volte il minimo. Per gli assegni tra quattro e cinque volte il minimo l’indicizzazione sarà del 85% per poi discendere progressivamente.

Viene confermata la super-rivalutazione per le pensioni minime di coloro che hanno compiuto 75 anni.

Limitati alle pensioni d’oro (sopra 10 volte il minimo) i tagli alla rivalutazione delle pensioni, con indicizzazione ferma al 22%.

Pensione giovani

Viene abolito il vincolo per la pensione di vecchiaia che richiedeva la maturazione di un assegno pari ad almeno 1,5 volte l’assegno sociale: fino ad oggi, in questi casi bisognava aspettare i 70 anni.

Viene introdotto un possibile riscatto agevolato fino a 5 anni di vuoti contributivi, anche non consecutivi.

Pensioni: le priorità di Governo

Le risorse disponibili quest’anno sono poche, pertanto alla spesa previdenziale ne sono state riservate una minima parte, secondo alcune priorità:

  • pensione dei giovani
  • anticipo pensionistico per categorie di lavoratori fragili
  • adeguamento delle pensioni

Per il 2024 resta in vigore anche la Pensione Precoci, per la quale ci vogliono 41 anni di contributi ma senza soglia anagrafica.

Anticipo conguaglio pensioni

Confermato anche l’anticipo del conguaglio sulla mancata rivalutazione 2023. E’ atteso nel cedolino di novembre ed è pari allo 0,8%.

Pensioni in Manovra 2024: novità in pillole

Le misure da inserire nella Legge di Bilancio 2024 sono quindi:

  • proroga con modifiche di Quota 103
  • evoluzione di Opzione Donna verso APE Sociale (con revisione dei requisiti per entrambi)
  • conferma della perequazione annuale degli assegni
  • meno vincoli al pensionamento dei contributivi puri

Su PMI.it trovi tutte le novità di riforma pensioni 2024: guide ed esempi di calcolo, i requisiti per l’accesso alle agevolazioni previdenziali, le controversie della legge sulle pensioni, le ultime notizie su rivalutazione e potere d’acquisto.

Riforma Pensioni Meloni dopo il 2024

L’obiettivo è arrivare ad una Riforma Pensioni condivisa, dopo le proroghe inserite nella Legge di Bilancio 2023 per quanto concerne APe Social ed Opzione Donna.

Garantire la flessibilità di uscita dal mondo del lavoro, mantenendo attiva l’opzione agevolata riservata alle donne e alle categorie svantaggiate con una uscita graduale da Quota 103: è l’obiettivo chiave per la Riforma Pensioni, da avviarsi con la Legge di Bilancio 2024 ma da completarsi nel corso dell’anno.

In cima alla lista delle priorità ci sono anche i giovani: l’esigenza è di assicurare un inserimento nel mondo del lavoro stabile, così da evitare carriere discontinue e stipendi bassi, con effetti sulle future pensioni. Da ripensare anche temi legati al reddito dei pensionati (14esima, rivalutazione assegni ecc.) e alla pensione complementare.

 

Cattedra di San Pietro Apostolo

 

Cattedra di San Pietro Apostolo


Cattedra di San Pietro Apostolo

autore: Guido Reni anno: XVII sec. titolo: La consegna delle chiavi luogo: Museo del Louvre
Nome: Cattedra di San Pietro Apostolo
Titolo: Consegna delle chiavi
Ricorrenza: 22 febbraio
Martirologio: edizione 2004
Tipologia: Festa

Tu sei Pietro, e a te darò le chiavi del regno

* Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Gesù, giunto nella regione di Cesarèa di Filippo, domandò ai suoi discepoli: «La gente chi dice che sia il Figlio dell’uomo?». Risposero: «Alcuni Giovanni il Battista, altri Elìa, altri Geremìa o qualcuno dei profeti».

Disse loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente».

E Gesù gli disse: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli».


S. Pietro, prima di portare il Vangelo a Roma, stabili la sua sede in Antiochia. Era giusto che la capitale dell’Oriente avesse per primo vescovo il Principe degli Apostoli, a cui Gesti aveva detto: « Pasci i miei agnelli, pasci le mie pecorelle ». E colà S. Pietro suscitò in breve tempo una eletta schiera di convertiti che per i primi ebbero l’onore di portare il titolo di Cristiani, ossia seguaci di Cristo.

Non si sa precisamente quanto tempo S. Pietro governasse la Chiesa di questa città. Tuttavia la festa di questa Cattedra è antichissima. Nella primitiva Chiesa i Cristiani e quelli d’Oriente in modo speciale, celebravano l’anniversario della loro rigenerazione spirituale. Non si davano ai diletti corporali, ma rinnovavano solennemente i voti fatti nel Battesimo, e ringraziavano Dio di averli ricevuti per sua misericordia nel novero dei suoi figliuoli. Questo lo chiamavano il giorno della loro rinascita spirituale. I vescovi, conforme a questa pia pratica, celebravano anche l’anniversario della loro consacrazione, e il popolo si univa a loro. Tale fu l’origine delle festa della cattedra di S. Pietro.

« Noi dobbiamo celebrare la festa della Cattedra di S. Pietro, scriveva già S. Leone Papa, colla stessa gioia con cui celebreremo il martirio del Principe degli Apostoli. Con ciò noi richiamiamo alla memoria contemporaneamente e la sua entrata in cielo, e l’innalzamento alla dignità di primo pastore della Chiesa militante ». Nelle lezioni del Breviario sono riportate le belle parole di S. Agostino: « Il Signore ha eletto Pietro a fondamento della sua Chiesa stessa; perciò la Chiesa onora questo fondamento sopra il quale si erige l’altezza dell’edificio ecclesiastico. Onde convenientemente il salmo dice: Lo esalteranno nella Chiesa della plebe e lo loderanno nella cattedra dei seniori”. Sia benedetto il Dio che si degnò di esaltare nella Chiesa il beato Apostolo, poiché è giusto che sia onorato questo fondamento per mezzo del quale si può salire al cielo ».

Sappiamo le parole che il Divino Maestro disse ai Capo degli Apostoli: « Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa ». Commenta S. Agostino: « Sei pietra, perché la mia virtù che ti consolida cosicché quelle cose che sono di mia proprietà sono pure tue per partecipazione ». Ecco la dignità conferita a Pietro, per cui merita tutta la nostra venerazione.

PRATICA. Ricordiamoci nelle nostre preghiere del successore di S. Pietro, il Papa, perché il Signore lo conservi, lo vivifichi, e gli dia la grazia di estendere il suo regno fino ai confini del inondo.

PREGHIERA. Dio, che istruisti la moltitudine delle nazioni con la predicazione del beato Pietro apostolo, fa’ che, come ne veneriamo la memoria, così ne risentiamo il patrocinio presso di Te.

MARTIROLOGIO ROMANO. La Cattedra di san Piétro Apostolo ad Antiochia, dove per la prima volta i discepoli furono chiamati Cristiani.