Archivi giornalieri: 2 febbraio 2024

SENTENZA N. 4 ANNO 2024

Processo costituzionale

SENTENZA N. 4

ANNO 2024

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta da: Presidente: Augusto Antonio BARBERA; Giudici : Franco MODUGNO, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 51, comma 3, della legge 23 dicembre 2000, n. 388, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2001)», promosso dal Consiglio di Stato, sezione seconda, nel procedimento vertente tra L. B. e altri e il Ministero della difesa e altri, con ordinanza del 3 maggio 2023, iscritta al n. 76 del registro ordinanze 2023 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 24, prima serie speciale, dell’anno 2023.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 6 dicembre 2023 il Giudice relatore Marco D’Alberti;

deliberato nella camera di consiglio del 6 dicembre 2023.

Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza del 3 maggio 2023, iscritta al n. 76 del registro ordinanze 2023, il Consiglio di Stato, sezione seconda, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, primo comma, 102, 111, commi primo e secondo, e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 51, comma 3, della legge 23 dicembre 2000, n. 388, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2001)».

La disposizione censurata dispone che «[l]’articolo 7, comma 1, del decreto-legge 19 settembre 1992, n. 384, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 novembre 1992, n. 438, si interpreta nel senso che la proroga al 31 dicembre 1993 della disciplina emanata sulla base degli accordi di comparto di cui alla legge 29 marzo 1983, n. 93, relativi al triennio 1° gennaio 1988 – 31 dicembre 1990, non modifica la data del 31 dicembre 1990, già stabilita per la maturazione delle anzianità di servizio prescritte ai fini delle maggiorazioni della retribuzione individuale di anzianità. È fatta salva l’esecuzione dei giudicati alla data di entrata in vigore della presente legge».

1.1.– Il Consiglio di Stato espone di dover decidere sull’appello contro la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione prima bis, 1° settembre 2014, n. 9255, che ha respinto il ricorso proposto da seicentocinquantotto dipendenti del Ministero della difesa per il riconoscimento di maggiorazioni della retribuzione individuale di anzianità (RIA), ai sensi dell’art. 9, commi 4 e 5, del decreto del Presidente della Repubblica 17 gennaio 1990, n. 44 (Regolamento per il recepimento delle norme risultanti dalla disciplina prevista dall’accordo del 26 settembre 1989 concernente il personale del comparto Ministeri ed altre categorie di cui all’art. 2 del decreto del Presidente della Repubblica 5 marzo 1986, n. 68).

Il giudice rimettente riferisce che i ricorrenti avevano agito dinanzi al TAR Lazio per l’accertamento del relativo diritto alle maggiorazioni della RIA maturate negli anni 1991, 1992 e 1993, facendo valere la proroga al 31 dicembre 1993 dell’efficacia dell’intero d.P.R. n. 44 del 1990, la quale era stata disposta dall’art. 7, comma 1, del decreto-legge 19 settembre 1992, n. 384 (Misure urgenti in materia di previdenza, di sanità e di pubblico impiego, nonché disposizioni fiscali), convertito, con modificazioni, nella legge 14 novembre 1992, n. 438.

Il TAR Lazio, nella menzionata sentenza n. 9255 del 2014, ha rigettato le pretese dei ricorrenti dando atto della sopravvenienza, nelle more del giudizio, della disposizione oggetto dell’odierno incidente di costituzionalità (art. 51, comma 3, della legge n. 388 del 2000), la quale ha espressamente escluso che la proroga al 31 dicembre 1993 dell’intera disciplina contenuta nel d.P.R. n. 44 del 1990 potesse estendere anche il termine per la maturazione dell’anzianità di servizio ai fini dell’ottenimento della maggiorazione della RIA.

Avverso tale decisione hanno proposto appello dinanzi al Consiglio di Stato novantadue ricorrenti, i quali hanno contestato, tra l’altro, l’erronea applicazione della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo sulle leggi aventi efficacia retroattiva, chiedendo, in via subordinata, che venisse sollevata questione di legittimità costituzionale dell’art. 51, comma 3, della legge n. 388 del 2000, poiché la disposizione avrebbe interferito con la funzione giurisdizionale e con il diritto di agire e di difendersi in giudizio, ponendosi altresì in contrasto con i principi della necessaria ragionevolezza delle scelte legislative, del divieto di ingiustificate disparità di trattamento, della tutela dell’affidamento e della certezza del diritto.

1.2.– Il Consiglio di Stato ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 51, comma 3, della legge n. 388 del 2000, ritenendo che la disposizione censurata, «sebbene formulata in termini astratti, appare in realtà preordinata a condizionare, con l’efficacia propria delle disposizioni interpretative, l’esito dei giudizi ancora in corso in quella materia».

In particolare, il rimettente ha precisato che prima dell’adozione della disposizione censurata, si era affermato un orientamento giurisprudenziale secondo cui l’art. 7, comma 1, del d.l. n. 384 del 1992, come convertito, – avendo prorogato l’efficacia dell’intera disciplina di cui al d.P.R. n. 44 del 1990 – aveva modificato anche la data originariamente stabilita per la maturazione dell’anzianità di servizio ai fini della maggiorazione della RIA, con conseguente riconoscimento del diritto dei dipendenti pubblici ad ottenere tale maggiorazione pure in caso di raggiungimento dell’anzianità di servizio successivamente al 31 dicembre 1990 (è richiamata, tra le altre, la sentenza del Consiglio di Stato, sezione quarta, 17 ottobre 2000, n. 5522).

Alla luce di tale orientamento, e stante la pendenza di diversi ricorsi collettivi promossi da dipendenti pubblici per il riconoscimento del diritto alla maggiorazione della RIA, ad avviso del giudice rimettente l’art. 51, comma 3, della legge n. 388 del 2000, sarebbe intervenuto al fine di «negare il beneficio a coloro che avessero maturato le anzianità necessarie per il computo delle maggiorazioni successivamente alla data del 31 dicembre 1990 anche per chi avesse già un giudizio in corso, facendo salva solo l’esecuzione dei giudicati già formatisi alla data della sua entrata in vigore».

In ragione di ciò, la disposizione oggetto dell’odierno incidente di costituzionalità si porrebbe in contrasto con i principi costituzionali relativi ai rapporti tra potere legislativo e potere giurisdizionale, nonché con le disposizioni costituzionali che riconoscono il diritto ad un equo processo e il principio della parità delle parti in giudizio. In particolare, il giudice rimettente ha richiamato la giurisprudenza costituzionale che – in linea con gli orientamenti della Corte EDU – ha precisato i limiti per l’adozione di leggi con efficacia retroattiva, dando anche rilievo ad una serie di elementi sintomatici dell’uso distorto della funzione legislativa, sia in relazione al metodo, sia in relazione alle tempistiche dell’intervento del legislatore (sono citate le sentenze n. 174 del 2019 e n. 12 del 2018).

Proprio sulla base di tali orientamenti, ad avviso del Consiglio di Stato, la disposizione censurata violerebbe i parametri costituzionali evocati, essendo intervenuta nove anni dopo l’entrata in vigore dell’art. 7, comma 1, del d.l. n. 384 del 1992, come convertito, al fine specifico di condizionare l’esito dei ricorsi collettivi pendenti e sulla base di mere ragioni finanziarie di contenimento della spesa.

Quanto infine alla rilevanza delle questioni, il giudice rimettente – dopo aver verificato in sede istruttoria l’attestazione, da parte dei ricorrenti, delle anzianità di servizio utili alla maturazione della maggiorazione della RIA – ritiene che, sulla base dell’orientamento giurisprudenziale formatosi anteriormente all’entrata in vigore della disposizione censurata, il ricorso di primo grado sarebbe almeno in parte da ritenersi fondato.

2.– Con atto depositato in data 4 luglio 2023, è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili o comunque non fondate.

2.1.– Viene innanzitutto eccepita l’inammissibilità della questione di legittimità costituzionale per difetto di rilevanza o, comunque, per difetto di motivazione sulla rilevanza.

Secondo l’Avvocatura dello Stato, infatti, il Consiglio di Stato, nel corso del giudizio, aveva rilevato «non solo la mancanza di prova circa la maturazione dell’anzianità di servizio necessaria per beneficiare della maggiorazione della R.I.A. in relazione a ciascun ricorrente, ma, previamente, la mancata allegazione di tale presupposto nel ricorso introduttivo sempre con riferimento alla posizione di ciascun ricorrente». Tuttavia, ad avviso dell’interveniente, a seguito dell’esecuzione degli incombenti istruttori da parte degli appellanti, il giudice rimettente non avrebbe dimostrato in che modo la questione processuale, di per sé idonea a definire il giudizio d’appello con una pronuncia di inammissibilità, «sia stata ritenuta superata tanto da potere dare ingresso all’esame del merito e, con essa, alla questione di costituzionalità sollevata». Ciò in contrasto con la giurisprudenza costituzionale che richiede, anche in relazione alla sussistenza delle condizioni dell’azione nel giudizio a quo, una motivazione non implausibile da parte del giudice rimettente (sono richiamate, tra le altre, le sentenze n. 262 del 2015, n. 34 del 2010 e n. 50 del 2004).

2.2.– In ogni caso, l’Avvocatura dello Stato ritiene le questioni di legittimità costituzionale non fondate.

In relazione alla denunciata violazione degli artt. 3, 24, primo comma, e 102 Cost., rileva l’interveniente che la norma censurata si sarebbe limitata ad assegnare alla disposizione oggetto di interpretazione uno dei possibili significati normativi ad essa attribuibili. Ciò impedirebbe di configurare una lesione dell’affidamento dei destinatari, posto che «il testo originario rendeva plausibile una lettura diversa da quella che i destinatari stessi avevano ritenuto di privilegiare» (è richiamata la sentenza di questa Corte n. 170 del 2008). D’altra parte, ad avviso del Presidente del Consiglio dei ministri, la prospettazione da parte del legislatore di una determinata interpretazione costituisce una «espressione della potestà ad esso attribuita e, di conseguenza il suo esercizio non può, ad ogni buon conto, considerarsi lesivo della sfera riservata al potere giudiziario», muovendosi i due poteri su piani differenti: il legislatore, infatti, agisce sul piano delle fonti, mentre il giudice opera sul piano della concreta applicazione della norma (è richiamata la sentenza di questa Corte n. 150 del 2015).

Quanto alla lamentata violazione del principio della parità delle parti in giudizio e del diritto a un equo processo (ai sensi degli artt. 111, commi primo e secondo, e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 6 CEDU), l’interveniente richiama l’orientamento della giurisprudenza costituzionale che consente al legislatore di attribuire efficacia retroattiva alla legge, là dove ciò sia necessario per tutelare principi, diritti e beni di rilievo costituzionale (sono menzionate, tra le altre, le sentenze n. 46 del 2021, n. 156 del 2014 e n. 78 del 2012). D’altra parte, la stessa giurisprudenza della Corte EDU consentirebbe l’adozione di leggi retroattive allorché «vengano in rilievo imperative ragioni di interesse generale».

Nel caso in esame, secondo l’Avvocatura dello Stato, l’art. 51, comma 3, della legge n. 388 del 2000, sarebbe peraltro intervenuto per «circoscrivere il beneficio a favore di coloro che avessero maturato le anzianità necessari[e] per il computo delle maggiorazioni entro la data del 31 dicembre 1990, data di scadenza originaria dell’accordo sindacale, così eliminando la disparità di trattamento che, con una diversa interpretazione del termine di maturazione, si sarebbe venuta a creare in particolare in relazione al personale che tale anzianità avesse maturato successivamente».

In ragione di tutto ciò, non sussisterebbe la lamentata violazione dei parametri costituzionali denunciati dal Consiglio di Stato nell’ordinanza di rimessione.

Considerato in diritto

1.– Il Consiglio di Stato, sezione seconda, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, primo comma, 102, 111, commi primo e secondo, e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 6 CEDU, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 51, comma 3, della legge n. 388 del 2000.

2.– La disposizione censurata ha previsto che l’art. 7, comma 1, del d.l. n. 384 del 1992, come convertito, «si interpreta nel senso che la proroga al 31 dicembre 1993 della disciplina emanata sulla base degli accordi di comparto di cui alla legge 29 marzo 1983, n. 93, relativi al triennio 1° gennaio 1988 – 31 dicembre 1990, non modifica la data del 31 dicembre 1990, già stabilita per la maturazione delle anzianità di servizio prescritte ai fini delle maggiorazioni della retribuzione individuale di anzianità», facendo «salva l’esecuzione dei giudicati alla data di entrata in vigore della presente legge».

3.– Il rimettente denuncia la violazione dei principi costituzionali relativi ai rapporti tra potere legislativo e potere giurisdizionale, nonché del diritto ad un equo processo e alla parità delle parti in giudizio. La disposizione censurata, infatti, pur essendo formulata in termini astratti, risulterebbe in realtà preordinata a condizionare l’esito dei ricorsi collettivi pendenti, a fronte di un orientamento giurisprudenziale che si era consolidato in senso sfavorevole alle amministrazioni pubbliche. Tanto le tempistiche, quanto le concrete modalità di adozione della legge renderebbero evidente l’utilizzo distorto della funzione legislativa, in contrasto con la giurisprudenza costituzionale e con gli orientamenti della Corte EDU in materia di leggi retroattive.

4.– In via preliminare, occorre esaminare l’eccezione di inammissibilità formulata dall’Avvocatura dello Stato per difetto di rilevanza delle questioni di legittimità costituzionale o, comunque, per difetto di motivazione sulla rilevanza.

4.1.– L’eccezione è priva di fondamento.

Secondo la giurisprudenza costituzionale, «la valutazione dell’interesse a ricorrere e degli altri presupposti concernenti la legittima instaurazione del giudizio a quo è riservata al giudice rimettente, mentre la verifica di questa Corte è meramente esterna e strumentale al riscontro di una adeguata motivazione in punto di rilevanza della questione di legittimità costituzionale, con la conseguenza che il vaglio del rimettente sull’esistenza delle condizioni dell’azione può essere sindacato solo laddove implausibile» (così la sentenza n. 193 del 2022; nello stesso senso, anche le sentenze n. 150 del 2022, n. 240 del 2021, n. 224 e n. 168 del 2020).

Nel caso in esame, l’ordinanza di rimessione ha illustrato in maniera adeguata che, a seguito di richiesta istruttoria, tutti gli appellanti hanno attestato in giudizio le anzianità di servizio necessarie ai fini dell’applicazione della disciplina riguardante le maggiorazioni retributive, ad eccezione di uno di essi per il quale è stata rilevata, in via d’ufficio, l’inammissibilità del ricorso di primo grado, con conseguente parziale riforma della sentenza appellata.

Una simile differenziazione tra le posizioni dei diversi appellanti dimostra chiaramente che il giudice rimettente ha risolto positivamente la questione concernente la sussistenza delle condizioni dell’azione nel giudizio di primo grado, sulla base di una motivazione non implausibile.

5.– L’ordinanza di rimessione ha mancato di fare riferimento a quattro ordinanze di questa Corte che avevano dichiarato la manifesta infondatezza di questioni di costituzionalità aventi ad oggetto la medesima disposizione oggi censurata (ordinanze n. 440 e n. 263 del 2002, n. 181 e n. 10 del 2003). È, tuttavia, evidente la volontà del giudice rimettente di prospettare la questione in ordine a profili e sulla scorta di argomenti nuovi, facendo esplicito riferimento ai più recenti orientamenti di questa Corte e della Corte EDU in materia di leggi retroattive (sono ampiamente citate le sentenze n. 174 del 2019 e n. 12 del 2018).

D’altra parte, appare significativo che l’ordinanza di rimessione abbia fatto riferimento a parametri costituzionali (art. 111, commi primo e secondo, e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 6 CEDU), i quali non erano stati evocati nei precedenti incidenti di costituzionalità aventi ad oggetto la medesima disposizione.

6.– Nel merito, le questioni sono fondate in riferimento agli artt. 3, 111, commi primo e secondo, e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 6 CEDU.

7.– Occorre innanzitutto evidenziare che, diversamente da quanto sostenuto dall’Avvocatura dello Stato, la disposizione censurata è priva dei caratteri della legge di interpretazione autentica, avendo invece la portata di una legge innovativa con efficacia retroattiva.

7.1.– Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, «la disposizione di interpretazione autentica è quella che, qualificata formalmente tale dallo stesso legislatore, esprime, anche nella sostanza, un significato appartenente a quelli riconducibili alla previsione interpretata secondo gli ordinari criteri dell’interpretazione della legge» (sentenza n. 133 del 2020). Diversamente, nel caso in cui «la disposizione, pur autoqualificantesi interpretativa, attribuisce alla disposizione interpretata un significato nuovo, non rientrante tra quelli già estraibili dal testo originario della disposizione medesima, essa è innovativa con efficacia retroattiva (sentenze n. 61 del 2022, n. 133 del 2020, n. 209 del 2010 e n. 155 del 1990)» (sentenza n. 104 del 2022).

7.2.– Nel caso in esame, l’art. 51, comma 3, della legge n. 388 del 2000, lungi dall’aver assegnato all’art. 7, comma 1, del d.l. n. 384 del 1992, come convertito, uno dei possibili significati normativi ad esso attribuibili, ha conferito allo stesso un nuovo significato che non era ricavabile dal testo della legge.

7.2.1.– Sul punto, occorre premettere che l’istituto della RIA era stato disciplinato dal d.P.R. n. 44 del 1990, il quale aveva recepito l’accordo sindacale del 26 settembre 1989 concernente il personale dei Ministeri e degli altri enti di cui all’art. 2 del decreto del Presidente della Repubblica 5 marzo 1986, n. 68 (Determinazione e composizione dei comparti di contrattazione collettiva, di cui all’art. 5 della legge-quadro sul pubblico impiego 29 marzo 1983, n. 93).

In particolare, l’art. 9, comma 4, del d.P.R. n. 44 del 1990 aveva riconosciuto alcune maggiorazioni della RIA in favore del personale che «alla data del 1° gennaio 1990» avesse «acquisito esperienza professionale con almeno cinque anni di effettivo servizio» o che avesse maturato «detto quinquennio nell’arco della vigenza contrattuale»; nel successivo comma 5 era stato previsto il raddoppio o la quadruplicazione delle somme dovute a titolo di maggiorazione della RIA al personale che, «nell’arco della vigenza contrattuale», avesse maturato, rispettivamente, «dieci o venti anni di servizio, previo riassorbimento delle precedenti maggiorazioni».

L’art. 7, comma 1, del d.l. n. 384 del 1992, come convertito, – tenendo «ferma sino al 31 dicembre 1993 la vigente disciplina emanata sulla base degli accordi di comparto di cui alla legge 29 marzo 1983, n. 93, e successive modificazioni e integrazioni» – ha prorogato al triennio 1991-1993 l’efficacia dell’intero d.P.R. n. 44 del 1990, la cui scadenza originaria era fissata al 31 dicembre 1990 (art. 1, comma 1, del d.P.R. citato).

Alla luce di tale proroga legislativa, l’«arco della vigenza contrattuale» – cui facevano riferimento i citati commi 4 e 5 dell’art. 9 di tale d.P.R. ai fini della maturazione delle anzianità di servizio per il riconoscimento della maggiorazione della RIA – doveva chiaramente intendersi come riferito al nuovo termine di efficacia dello stesso d.P.R. (31 dicembre 1993) e non già al termine originariamente previsto (31 dicembre 1990).

D’altra parte, come rilevato dalla giurisprudenza amministrativa, la disciplina di origine pattizia contenuta in tale decreto rappresentava un «unicum indivisibile» (Consiglio di Stato, sezione quarta, 17 ottobre 2000, n. 5522). Proprio in ragione di tale indivisibilità, l’eventuale volontà del legislatore di escludere dalla proroga alcuni istituti retributivi contenuti nel d.P.R. n. 44 del 1990 – come quelli legati alle maggiorazioni della RIA – avrebbe richiesto una esplicita previsione normativa, come è peraltro avvenuto con riferimento alla disposizione che ha espressamente impedito, per esigenze di contenimento della spesa, l’operatività degli automatismi stipendiali per il solo anno 1993 (art. 7, comma 3, del d.l. n. 384 del 1992, come convertito).

7.2.2.– In definitiva, stante l’assenza nell’art. 7, comma 1, del d.l. n. 384 del 1992, come convertito, di qualsiasi dato testuale da cui potesse ricavarsi la volontà del legislatore di impedire l’operatività della disciplina sulla RIA nel triennio 1991-1993, l’art. 51, comma 3, della legge n. 388 del 2000 – nell’escludere che la proroga del d.P.R. n. 44 del 1990 al 31 dicembre 1993 potesse estendere anche il termine per la maturazione delle anzianità di servizio ai fini delle maggiorazioni della RIA – ha attribuito retroattivamente alla disposizione originaria un nuovo significato, non rientrante tra quelli estraibili dal suo testo.

8.– Una volta esclusa la natura autenticamente interpretativa della disposizione, dinanzi a leggi aventi efficacia retroattiva questa Corte è chiamata ad esercitare uno scrutinio particolarmente rigoroso: ciò in ragione della centralità che assume il principio di non retroattività della legge, «inteso quale fondamentale valore di civiltà giuridica, non solo nella materia penale (art. 25 Cost.), ma anche in altri settori dell’ordinamento (sentenze n. 174 del 2019, n. 73 del 2017, n. 260 del 2015 e n. 170 del 2013)» (sentenza n. 145 del 2022).

Il controllo di costituzionalità diviene ancor più stringente qualora l’intervento legislativo retroattivo incida su giudizi ancora in corso, specialmente nel caso in cui sia coinvolta nel processo un’amministrazione pubblica. Infatti, tanto i principi costituzionali relativi ai rapporti tra potere legislativo e potere giurisdizionale, quanto i principi concernenti l’effettività della tutela giurisdizionale e la parità delle parti in giudizio, impediscono al legislatore di risolvere, con legge, specifiche controversie e di determinare, per questa via, uno sbilanciamento tra le posizioni delle parti coinvolte nel giudizio (tra le altre, sentenze n. 201 e n. 46 del 2021, n. 12 del 2018 e n. 191 del 2014).

8.1.– Con riguardo al sindacato di costituzionalità delle leggi retroattive incidenti su giudizi in corso, ha assunto un rilievo sempre più decisivo la giurisprudenza della Corte EDU (tra le altre, sentenze 24 giugno 2014, Azienda agricola Silverfunghi sas e altri contro Italia, paragrafo 76; 25 marzo 2014, Biasucci e altri contro Italia, paragrafo 47; 14 gennaio 2014, Montalto e altri contro Italia, paragrafo 47). Ciò in virtù della «funzione interpretativa eminente che gli Stati contraenti hanno riconosciuto alla Corte europea» (sentenza n. 348 del 2007).

Come chiarito da questa Corte, infatti, nel sindacato di costituzionalità delle leggi retroattive si è ormai pervenuti alla costruzione di una «solida sinergia fra principi costituzionali interni e principi contenuti nella CEDU», che consente di leggere in stretto coordinamento i parametri interni con quelli convenzionali «al fine di massimizzarne l’espansione in un “rapporto di integrazione reciproca”» (sentenza n. 145 del 2022).

Sulla base di tale sinergia, questa Corte è chiamata innanzitutto a verificare se l’intervento legislativo retroattivo sia effettivamente preordinato a condizionare l’esito di giudizi pendenti. A tal fine, assumono rilievo – sulla scorta della giurisprudenza della Corte EDU – alcuni «elementi, ritenuti sintomatici dell’uso distorto della funzione legislativa» e riferibili principalmente al «metodo e alla tempistica seguiti dal legislatore» (così, sentenza n. 12 del 2018; nello stesso senso, sentenze n. 145 del 2022 e n. 174 del 2019). Occorre dunque effettuare una verifica di legittimità costituzionale che – in maniera non dissimile dal sindacato sull’eccesso di potere amministrativo mediante l’impiego di figure sintomatiche – assicuri una particolare estensione e intensità del controllo sul corretto uso del potere legislativo.

8.2.– Tra gli elementi sintomatici dell’uso distorto del potere legislativo, appare innanzitutto significativo il fatto che «lo Stato o l’amministrazione pubblica» siano «parti di un processo già radicato» e che l’intervento legislativo si collochi «a notevole distanza dall’entrata in vigore delle disposizioni oggetto di interpretazione autentica» (sentenza n. 174 del 2019).

Nel caso in esame, l’art. 51, comma 3, della legge n. 388 del 2000 è entrato in vigore il 1° gennaio 2001 e, quindi, ben nove anni dopo l’art. 7, comma 1, del d.l. n. 384 del 1992, come convertito, quando erano pendenti diversi giudizi promossi da dipendenti nei confronti di amministrazioni pubbliche.

8.3.– È altresì rilevante, come elemento sintomatico, il fatto che – lo si è anticipato supra, al punto 7.2.2. – la disposizione censurata, pur essendosi “auto-qualificata” come interpretativa, abbia in realtà introdotto un significato che non si poteva in alcun modo evincere dal testo dell’art. 7, comma 1, del d.l. n. 384 del 1992, come convertito.

Come chiarito da questa Corte, la stessa erroneità della «autoqualificazione della disposizione censurata quale norma di interpretazione autentica» può costituire un sintomo di un uso improprio della funzione legislativa (sentenza n. 145 del 2022). Tale uso improprio dello strumento della legge interpretativa, ove questa incida sul contenzioso pendente, concorre a disvelare la volontà del legislatore di incidere retroattivamente sui rapporti in essere e di condizionare i giudizi in corso.

8.4.– Ma, soprattutto, risulta decisivo il fatto che il legislatore abbia adottato la disposizione censurata per superare un orientamento giurisprudenziale consolidato, al fine specifico di incidere su giudizi ancora pendenti in cui era parte l’amministrazione pubblica, fatta salva la sola esecuzione dei giudicati già formatisi alla data di entrata in vigore della disposizione medesima.

Va infatti evidenziato che, nell’ambito di controversie promosse da dipendenti pubblici ai fini del riconoscimento delle maggiorazioni della RIA ai sensi dell’art. 9, commi 4 e 5, del d.P.R. n. 44 del 1990, il Consiglio di Stato aveva chiaramente affermato che la proroga legislativa dell’efficacia del d.P.R. n. 44 del 1990 al triennio 1991-1993 (disposta dall’art. 7, comma 1, del d.l. n. 384 del 1992, come convertito) avesse modificato anche il termine utile ai fini del calcolo delle anzianità di servizio necessarie alla maturazione di tali maggiorazioni: con la conseguenza che i dipendenti pubblici – sino all’entrata in vigore della disposizione censurata – si sono visti riconoscere le maggiorazioni sulla base di anzianità di servizio maturate successivamente al 31 dicembre 1990 (tra le altre, si veda Consiglio di Stato, sezione quarta, 17 ottobre 2000, n. 5522).

In un simile contesto, il legislatore è intervenuto, con la disposizione censurata, al fine specifico di superare tale orientamento giurisprudenziale, nella consapevolezza della grande diffusione del contenzioso promosso dai dipendenti pubblici per il riconoscimento delle maggiorazioni della RIA in relazione al triennio 1991-1993. Tale finalità emerge in maniera incontrovertibile dalla documentazione predisposta dagli uffici parlamentari a illustrazione dei contenuti dell’art. 51, comma 3, della legge n. 388 del 2000, ove si sottolinea che «[l]’iniziativa è giustificata dalla considerazione che è intervenuta una giurisprudenza del Consiglio di Stato […] ormai consolidata che riconosce l’ultrattività al 31 dicembre 1992 degli accordi di comparto ai fini della maturazione dell’anzianità di servizio utile per il conseguimento del beneficio, la quale, laddove è [e]stesa alla generalità del personale interessato, comporterebbe rilevanti effetti di spesa per la corresponsione del beneficio, avente per altro decorrenza retroattiva».

8.5.– Né, infine, può ritenersi che l’intervento legislativo in questione trovasse una ragionevole giustificazione nell’esigenza di tutelare principi, diritti e beni costituzionali, posto che, come ha chiarito la Corte EDU, solo imperative ragioni di interesse generale possono consentire un’interferenza del legislatore su giudizi in corso; i principi dello stato di diritto e del giusto processo impongono che tali ragioni «siano trattate con il massimo grado di circospezione possibile» (sentenza 14 febbraio 2012, Arras contro Italia, paragrafo 48).

8.5.1.– In ragione di ciò, come evidenziato dalla giurisprudenza costituzionale, la Corte EDU ha ritenuto compatibili con l’art. 6 CEDU alcuni interventi legislativi retroattivi incidenti su giudizi in corso, là dove «i soggetti ricorrenti avevano tentato di approfittare dei difetti tecnici della legislazione (sentenza 23 ottobre 1997, National & Provincial Building Society e Yorkshire Building Society contro Regno Unito, paragrafo 112), o avevano cercato di ottenere vantaggi da una lacuna della legislazione medesima, cui l’ingerenza del legislatore mirava a porre rimedio (sentenza del 27 maggio 2004, OGIS-Institut Stanislas, OGEC Saint-Pie X, Blanche de Castille e altri contro Francia, paragrafo 69)» (sentenza n. 145 del 2022). In un altro caso, è stato valorizzato il fatto che l’intervento legislativo retroattivo mirava a risolvere una serie più ampia di conflitti conseguenti alla riunificazione tedesca, al fine di «assicurare in modo duraturo la pace e la sicurezza giuridica in Germania» (20 febbraio 2003, ForrerNiedenthal c. Germania, paragrafo 64).

All’infuori di tali ragioni imperative di interesse generale, la Corte EDU ha ritenuto che «le considerazioni finanziarie non possono, da sole, autorizzare il potere legislativo a sostituirsi al giudice nella definizione delle controversie» (sentenza 29 marzo 2006, Scordino e altri contro Italia, paragrafo 132; sentenza 11 aprile 2006, Cabourdin c. Francia, paragrafo 37). Anche questa Corte ha sottolineato che, in linea di principio, «i soli motivi finanziari, volti a contenere la spesa pubblica o a reperire risorse per far fronte a esigenze eccezionali, non bastano a giustificare un intervento legislativo destinato a ripercuotersi sui giudizi in corso (sentenze n. 174 e n. 108 del 2019, e n. 170 del 2013)» (sentenza n. 145 del 2022).

8.5.2.– Nel caso in esame non emerge, né dai lavori preparatori, né dalle relazioni tecnica e illustrativa, alcuna ulteriore ragione giustificatrice dell’intervento legislativo retroattivo rispetto all’esigenza di assicurare un risparmio della spesa pubblica, in considerazione di orientamenti giurisprudenziali che stavano riconoscendo tutela alle pretese economiche dei dipendenti nei confronti delle amministrazioni pubbliche di appartenenza.

Come chiarito nella sopramenzionata documentazione predisposta dagli uffici parlamentari e nella stessa relazione illustrativa, la disposizione censurata mirava ad evitare gli aggravi di spesa conseguenti all’estensione, alla generalità del personale interessato dal d.P.R. n. 44 del 1990, della giurisprudenza del Consiglio di Stato sui termini per la maturazione dell’anzianità di servizio utile ai fini del conseguimento della maggiorazione della RIA. A riprova di ciò, nella relazione tecnica è stato evidenziato che l’approvazione della disposizione impugnata avrebbe determinato un risparmio, posto che alcune amministrazioni avevano già «tenuto conto nelle previsioni tendenziali di spesa delle maggiori esigenze derivanti dal consolidamento dell’indirizzo giurisprudenziale».

8.5.3.– In ultimo, non può neanche ritenersi, come sostenuto dall’Avvocatura dello Stato, che l’intervento legislativo fosse giustificato dalla finalità di eliminare una disparità di trattamento tra i dipendenti che avrebbero maturato le anzianità di servizio prima del 31 dicembre 1990 (data originariamente prevista dall’art. 1, comma 1, del d.P.R. n. 44 del 1990) e coloro che avrebbero potuto maturare tali anzianità di servizio anche dopo tale data.

Infatti, alla luce della proroga dell’intera disciplina contrattuale contenuta nel d.P.R. n. 44 del 1990 sino al 31 dicembre 1993, la possibilità per i dipendenti di maturare l’anzianità di servizio necessaria alla maggiorazione della RIA anche nel corso del nuovo periodo di vigenza del d.P.R. n. 44 del 1990 (1991-1993) rispondeva pienamente a ragioni di eguaglianza e di giustizia del sistema retributivo. Semmai, è stata la disposizione censurata ad aver causato una ingiustificata differenziazione retributiva a danno di quei dipendenti pubblici che, diversamente da quanto avvenuto in relazione al triennio 1988-1990, non hanno potuto valorizzare l’anzianità di servizio maturata nel successivo triennio 1991-1993 ai fini delle maggiorazioni della RIA.

9.– In ragione di tutto ciò, la disposizione censurata, avendo introdotto una norma innovativa ad efficacia retroattiva, al fine specifico di incidere su giudizi pendenti in cui era parte la stessa amministrazione pubblica, e in assenza di ragioni imperative di interesse generale, si è posta in contrasto con i principi del giusto processo e della parità delle parti in giudizio, sanciti dagli artt. 111, commi primo e secondo, e 117, primo comma, Cost, quest’ultimo in relazione all’art. 6 CEDU, nonché con i principi di eguaglianza, ragionevolezza e certezza dell’ordinamento giuridico di cui all’art. 3 Cost.

10.– Sono assorbite le ulteriori questioni sollevate in riferimento agli artt. 24, primo comma, e 102, Cost.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 51, comma 3, della legge 23 dicembre 2000, n. 388, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2001)».

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 dicembre 2023.

F.to:

Augusto Antonio BARBERA, Presidente

Marco D’ALBERTI, Redattore

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria l’11 gennaio 2024

Il Direttore della Cancelleria

F.to: Roberto MILANA

La versione anonimizzata è conforme, nel testo, all’originale
 

Il sistema pensionistico italiano

Il sistema pensionistico italiano si basa su un patto tra generazioni. In questo sistema, i pensionati ricevono il loro assegno grazie ai contributi versati dai lavoratori attivi. Vediamo come funziona in dettaglio:

  1. Criterio della Ripartizione: Il sistema pensionistico pubblico italiano si fonda sul criterio della ripartizione. Ecco come funziona:
    • Contributi in Entrata: I lavoratori e le aziende versano contributi mensili agli enti di previdenza.
    • Assegni Pensionistici in Uscita: Gli assegni pensionistici vengono erogati a coloro che hanno lasciato l’attività lavorativa.
    • In parole semplici, i figli pagano le pensioni ai genitori. Non è previsto un accumulo di capitali per le pensioni future; i flussi in entrata e in uscita devono essere quantomeno in equilibrio.
    • Tuttavia, negli anni ’90, il sistema previdenziale pubblico ha dovuto affrontare nuove sfide, come il calo demografico, le crisi economiche e la precarizzazione del lavoro.
  2. Passaggio dal Metodo Retributivo a Quello Contributivo: Nel calcolo degli assegni pensionistici, si è passati dal metodo retributivo (basato sugli stipendi dell’ultimo periodo lavorativo) al metodo contributivo. Quest’ultimo considera i contributi versati durante l’intera vita lavorativa.
  3. Previdenza Complementare: Oltre al sistema pubblico, è importante considerare la previdenza complementare. Questo è il secondo grande pilastro del nostro sistema pensionistico. La previdenza complementare offre un meccanismo di capitalizzazione individuale, che si affianca al sistema della ripartizione.
  4. Fondo Pensione Negoziale: Un vantaggio derivante dall’adesione a una forma di previdenza complementare è rappresentato dal fondo pensione negoziale.

In sintesi, il sistema pensionistico italiano richiede misure sistemiche e personali per sostenersi, soprattutto in un contesto di cambiamenti demografici ed economici. È importante pianificare attentamente la propria previdenza per garantire una pensione adeguata in età avanzata1.

Sei milioni di profughi palestinesi necessitano di maggiore protezione Accoglienza

Sei milioni di profughi palestinesi necessitano di maggiore protezione Accoglienza

Viste le condizioni catastrofiche della striscia di Gaza, la corte di giustizia dell’Ue ha affermato che la protezione dell’Unrwa non basta più e che i palestinesi potranno richiedere lo status di rifugiati. L’Europa potrà decidere se seguire il modello virtuoso applicato agli ucraini.

 

Alcuni giorni fa Nicholas Emiliou, avvocato generale della corte di giustizia europea, ha affermato che i profughi palestinesi avranno diritto a richiedere lo status di rifugiati, visto che l’agenzia Onu creata appositamente (l’Unrwa) non può da sola gestire la catastrofe in corso nella striscia di Gaza e garantire agli abitanti sicurezza e protezione.

Sono parole che assumono un peso ancora maggiore oggi che almeno 11 paesi tra cui anche l’Italia hanno sospeso i finanziamenti all’Unrwa a seguito delle accuse mosse da Israele, secondo cui alcuni membri dell’agenzia sarebbero stati coinvolti nell’attacco di Hamas del 7 ottobre scorso.

Da quando Israele ha attaccato la striscia di Gaza, oltre 26mila palestinesi, quasi tutti civili, hanno perso la vita. Tra di loro, oltre 10mila bambini e quasi 80 giornalisti. Pressoché la totalità della popolazione di questo paese, oggi uno dei più densamente abitati del mondo, è sfollata e al momento è in corso una crisi umanitaria senza precedenti, con risorse del tutto insufficienti a garantire la sopravvivenza delle persone. A cominciare dalla più essenziale, l’acqua.

L’Unrwa e la protezione dei profughi palestinesi

Data l’unicità e la prominenza della questione palestinese, si è creata una istituzione apposita per gestirla. Si tratta dell’Unrwa, un’agenzia delle Nazioni unite che si occupa specificamente dei profughi di nazionalità palestinese presenti nel vicino oriente.

Istituita nel 1949, dopo la guerra arabo-israeliana, essa si occupa sia della gestione delle emergenze che della protezione e inserimento, educativo, sociale ed economico, dei profughi palestinesi e dei loro discendenti. Fornisce beni di prima necessità, gestisce 58 campi per rifugiati e più di 700 scuole, oltre a occuparsi di sanità e assistenza sociale.

In totale, l’agenzia si occupa di quasi 6 milioni di persone e riceve (l’ultimo dato è relativo al 2022) fondi pari a 1,17 miliardi di dollari provenienti da governi nazionali, associazioni e fondazioni private e dalle stesse Nazioni unite. Nel 2022, in termini assoluti i donatori principali erano gli Stati Uniti (circa 344 milioni di dollari). Seguono Germania (202 milioni) e Unione europea (114 milioni).

L’Unrwa fornisce protezione a tutti coloro che hanno risieduto in Palestina tra il primo giugno 1946 e il 15 maggio del 1958 e ai loro discendenti. Normalmente i palestinesi possono accedere a questo tipo di protezione, il che comporta anche che non hanno accesso ad altre forme, come il normale status di rifugiato. La convenzione di Ginevra infatti non si applica a chi già riceve protezione o assistenza da un’agenzia Onu (che non sia l’Unhcr, l’agenzia per la protezione di profughi e rifugiati).

5,9 milioni i profughi palestinesi sotto la protezione dell’Unrwa, al 25 gennaio 2023.

Dal 2000 al 2023 il numero di profughi palestinesi è costantemente aumentato e all’ultimo aggiornamento (che non può ancora cogliere le devastanti conseguenze della recente guerra) se ne contano quasi 6 milioni soltanto nei paesi confinanti, con un aumento di oltre due milioni di persone in poco più di 20 anni. Il maggior aumento si è registrato negli stessi territori palestinesi (+74%). Si tratta di circa 2 milioni e mezzo di persone, ovvero il 42% di tutti i rifugiati di nazionalità palestinese presenti nel vicino oriente. Seconda è la Giordania, che ospita quasi 2,4 milioni di profughi (il 40%) e poi Siria e Libano con circa mezzo milione di persone ognuna.

+2,1 milioni di profughi palestinesi sfollati nel vicino oriente tra il 2000 e il 2023.

L’accoglienza dei palestinesi dopo il 7 ottobre

Vista l’esistenza di un’agenzia Onu apposita, sono pochi i palestinesi che richiedono altre forme di protezione. In tutti e 27 i paesi dell’Unione europea, nel 2022 (l’ultimo dato disponibile) hanno fatto richiesta di asilo in meno di 7mila. Parliamo di meno dello 0,8% di tutte le richieste presentate da cittadini extra-comunitari.

Tuttavia la situazione è cambiata negli ultimi tempi, con l’improvvisa escalation delle ostilità che ha portato all’invasione della striscia di Gaza da parte di Israele.

Dal 2016 fino all’ottobre scorso sono state uccise 287 persone tra i cittadini di Gaza e 174 in Cisgiordania. Nei quattro mesi successivi invece, con lo scoppio della guerra e l’invasione da parte di Israele, i morti sono stati più di 20mila soltanto nella striscia di Gaza. Il mese più sanguinoso è stato ottobre 2023.

Contestualmente all’improvviso aggravarsi della situazione, la già citata opinione della corte europea pubblicata l’11 gennaio ha stabilito che l’operato dell’Unrwa non può più essere considerato sufficiente. Il caso giuridico riguardava due persone di nazionalità palestinese cui era stata rigettata la domanda di asilo da parte delle autorità bulgare. La corte ha dato ragione ai primi. Affermando che i richiedenti palestinesi oggi possono sostenere che non c’è più protezione da parte dell’Unrwa, alla luce della gravità della situazione a Gaza.

La “cessazione” della protezione che fino a quel momento poteva essere garantita determina automaticamente che non sussiste più l’esclusione a cui si accennava sopra: i palestinesi possono richiedere lo status di rifugiati.

Se tale protezione o tale assistenza cessa per un motivo qualsiasi senza che la sorte di queste persone sia stata definitivamente regolata conformemente alle risoluzioni prese in merito dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, esse fruiscono di tutti i diritti derivanti dalla presente Convenzione.

Questa decisione potrebbe essere cruciale nell’accoglienza dei palestinesi. Al momento l’Europa non ha fatto nulla per sostenere questa popolazione vessata da decenni, se non incrementando i propri impegni finanziari per gestire la crisi umanitaria. Impegni che ora si ridurranno, dato l’attuale screditamento dell’Unrwa. Nessuno si è adoperato per proteggere i profughi stessi.

Un approccio molto diverso da quello che si è applicato in seguito allo scoppio della guerra in Ucraina. In altri approfondimenti abbiamo parlato di come l’Italia, al pari degli altri stati Ue, si sia presa la responsabilità di garantire ai profughi ucraini protezione e accoglienza, mostrando come un impegno maggiore sia possibile.

Lo stesso non sta avvenendo per i palestinesi. Se infatti da un lato si annunciano aiuti umanitari di varia natura, dall’altro è attivo un fronte di cooperazione con l’Egitto, con lo scopo di incrementare il controllo lungo le frontiere esterne dell’Europa.

Foto: Unrwa

 

Pensioni 2024, Inps: quota 100 e 102 non sono cumulabili con reddito da lavoro

Pensioni 2024, Inps: quota 100 e 102 non sono cumulabili con reddito da lavoro

Pensioni 2024, Inps: quota 100 e 102 non sono cumulabili con reddito da lavoro

(Adnkronos) – Per le pensioni con quota 100, 102 e per quelle anticipate flessibili è prevista, a partire dal primo giorno dalla decorrenza della pensione, e fino a quando non si maturano i requisiti per la pensione di vecchiaia, la non cumulabilità con i redditi provenienti sia da lavoro dipendente che autonomo. Il chiarimento arriva dall’Inps che ricorda come l’istituto provveda ad informare i propri utenti sul regime di incumulabilità della pensione con i redditi da lavoro, al momento in cui comunica il provvedimento di liquidazione della pensione, in applicazione del principio di trasparenza dell’azione amministrativa.

I pensionati con quota 100, quota 102 o pensione anticipata flessibile, comunque, prosegue la nota, prima del compimento dell’età prevista per il pensionamento di vecchiaia, sono tenuti a dichiarare all’Inps eventuali redditi da lavoro, sia dipendente che autonomo, che potrebbero influire sull’incumulabilità della pensione. In caso di mancato rispetto del regime di non cumulabilità, l’Inps, conclude la nota, è tenuta a sospendere la pensione e a recuperare le mensilità pagate indebitamente.

 

Unica eccezione, quella per i redditi da lavoro autonomo occasionale purché non superino i 5.000 euro di compensi lordi annui. Ma aggiunge, la nota ricordando le circolari n. 11 del 2019 e n. 117 del 2019 ( a cui si rinvia per tutti gli approfondimenti), ai fini del calcolo del limite dei 5.000 euro lordi si considerano tutti i redditi annuali derivanti da lavoro autonomo occasionale, anche quelli riconducibili all’attività svolta nei mesi dell’anno precedente la decorrenza della pensione e/o successivi al compimento dell’età richiesta per la pensione di vecchiaia.

—economiawebinfo@adnkronos.com (Web Info)

 

Lavorare con Quota 102 e 103: nuovi chiarimenti Inps

Lavorare con Quota 102 e 103: nuovi chiarimenti Inps

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L’Inps ribadisce che la pensione anticipata con Quota 102 e Quota 103 non è cumulabile con altri redditi da lavoro dipendente o autonomo.

pensione lavoro
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31 Gennaio 2024agggiornato alle 15:00
a cura di Mirco Galbusera

Le pensioni con “Quota 102” e “Quota 103” sono misure temporanee introdotte dopo la fine di “Quota 100” nel 2021. Consentono l’uscita anticipata rispettivamente con 64 anni di età e 38 di contributi e 62 anni di età e 41 di contributi senza possibilità di lavorare. Quest’ultima opzione, che ha sostituito Quota 102, è stata prorogata fino alla fine del 2024 con restrizioni per chi vi accede.

In particolare l’accesso a Quota 103 è limitato al pagamento di una pensione non superiore a quattro volte l’importo del trattamento minimo fino al raggiungimento dei 67 anni di età.

La rendita è calcolata solo con il metodo contributivo e i tempi di attesa (finestra mobile) si sono allungati a 7 mesi per i lavoratori privati e 9 mesi per quelli pubblici. E’ inoltre prevista l’incumulabilità coi redditi da lavoro.

Pensione e lavoro con Quota 102 e Quota 103

In base alla normativa vigente, la pensione anticipata quota 102 e quota 103 non è cumulabile con i redditi da lavoro, sia dipendente che autonomo. L’unica eccezione è rappresentata dai redditi da lavoro autonomo occasionale entro il limite di 5.000 euro lordi annui. Lo ribadisce l’Inps in una nota richiamando l’attenzione delle circolari n. 11 e 117 del 2019.

Non solo. Anche la Corte costituzionale, con sentenza n. 234 del 24 novembre 2022, ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate avverso il divieto di cumulo della pensione Quota 100 con i redditi da lavoro. La Corte ha ritenuto che il divieto sia proporzionato e necessario per garantire la sostenibilità del sistema pensionistico.

In base a tale sentenza, quindi, il divieto di cumulo della pensione Quota 100 (e di conseguenza anche con Quota 102 e Quota 103) con i redditi da lavoro continuerà a essere in vigore. Pertanto, i lavoratori che accedono alla pensione Quota 102 e Quota 103 devono interrompere l’attività lavorativa o, se continuano a lavorare, devono accettare una riduzione della pensione.

Divieto di cumulo con redditi fino a 67 anni

La pensione anticipata, quindi, non è cumulabile con i redditi da lavoro, sia dipendente che autonomo.

L’unica eccezione è rappresentata dai redditi da lavoro autonomo occasionale entro il limite di 5.000 euro lordi annui. Soglia che vale solo per il periodo compreso tra la decorrenza della pensione anticipata con le quote e il compimento dell’età pensionabile per il trattamento di vecchiaia.A parte il lavoro, tutte le altre fonti di reddito sono cumulabili con la pensione ottenuta con Quota 102 e Quota 103. Il beneficiario avrà solo l’obbligo di dichiarali al fisco mediante la denuncia annuale con modello 730 o persone fisiche e pagare le relative imposte previste dalla legge. Non vi è quindi alcun divieto in tal senso.

E’ importante che di questi redditi sia data comunicazione all’Inps in tempo al fine di evitare che, a seguito di controlli, arrivino brutte sorprese per il pensionato. Se, ad esempio, il beneficiario di Quota 102 superasse i 5.000 euro lordi annui di reddito da lavoro occasionale senza dirlo all’Inps, l’Istituto, dapprima sospenderà l’erogazione della pensione e poi procederà al recupero degli indebiti. Cosa che potrebbe avere delle ripercussioni anche sui pagamenti futuri della pensione di vecchiaia.

Riassumendo…

  • I redditi da lavoro sono cumulabili con Quota 102 e Quota 103 solo se occasionali e nel limite di 5.000 euro all’anno.
  • Il pensionato è tenuto a comunicare all’Inps eventuali variazioni di cumulabilità.
  • In caso di violazione dei limiti, l’Inps procede al recupero degli indebiti anche sulla pensione di vecchiaia futura.
 

Lavorare in Germania

Lavorare in Germania

Cultura d’impresa, stipendi e norme di lavoro

 
 
 
 
Lavorare in Germania

 Molti stranieri hanno bisogno di qualche tempo per adattarsi al modo di lavorare tedesco. La gente non lavora molte ore; in molti uffici, soprattutto nel settore pubblico, la giornata finisce alle 16.

Tuttavia, si dà molta importanza all’efficenza, si cerca di essere il più produttivi possibile e c’è poco tempo, o quasi nullo, per socializzare o parlare ad eccezione delle ore di pausa che sono di solito di 15 minuti con 45 minuti per mangiare.

La cultura d’impresa in Germania è generalmente abbastanza gerarchica. Ai tedeschi piace lavorare basandosi su piani prestabiliti e prendono decisioni basate su fatti. Le riunioni, organizzate e ben pianificate, rappresentano il passo per prendere decisioni con il consenso generale di gruppo. Ci si aspetta la puntualità e non vengono tollerati i ritardi. Quindi fa attenzione, specialmente se vieni da un paese in cui il ritardo è molto diffuso!

Stipendi

Gli stipendi ( Lohn/Gehalt) in Germania sono tra i più alti del mondo. La maggior parte dei lavori per i laureati pagano 30.000€ /anno. I lavori per gli studenti in cui non è richiesta una laurea vengono pagati 6/15 € /ora. Di solito, quando si parla di stipendi, si parla di stipendio lordo cioè prima della deduzione delle tasse e della previdenza sociale. Tieni presente che le tasse, a seconda del tuo stipendio, possono arrivare ad essere il 50% del tuo stipendio lordo. Quindi cerca di non confondere gli stipendi lordi e netti!

Lo stipendio nel tuo contratto è mensile. Nel contratto dovrebbero essere indicati anche remunerazioni speciali, bonus e revisioni dello stipendio. Molte imprese hanno 13 paghe l’anno. Di solito si riceve lo stipendio a dicembre per Natale o viene diviso tra Natale e l’estate. Per alcuni lavori di dirigenza ci sono 14 paghe l’anno.

È difficile sapere a quanto ammonta lo stipendio per lavori o posti specifici anche se ti risulterebbe più facile saperlo per contrattare il tuo stipendio. Personalmarket ( www.personalmarket.de) ti offre, previo pagamento, un’analisi dello stipendio basandosi sul settore, educazione, esperienza professionale e zona geografica. Questo può essere di gran aiuto quando dovrai negoziare il tuo stipendio.

Legge di lavoro

Per lavorare hai bisogno di un permesso di lavoro (Arbeitsgenehmigung o Arbeitserlaubnis) o di un permesso di residenza che ti permetta di lavorare (consulta la nostra sezione sui permessi di lavoro). Hai anche bisogno di una tessera fiscale (Lohnsteuerkarte) e di un numero della previdenza sociale (Sozialversicherungsnummer). Le tessere fiscali vengono emesse dall’autorità che corrisponde alla città/regione in cui sei registrato. I numeri della Previdenza Sociale sono emessi dalle istituzioni delle assicurazioni pensionistiche.

Quando un lavoratore lavora per la prima volta, l’impresa di solito lo registra ed emette un numero di previdenza sociale e una carta d’identità. Nel caso tu avessi domande o richieste, dovresti dirigerti direttamente alla tua impresa, alla tua compagnia di assicurazioni sanitarie o la tua istituzione di assicurazioni statale.

Normativa lavorativa

La Germania ha uno dei mercati lavorativi più regolati del mondo, con le sue leggi sul lavoro disegnate per proteggere i lavoratori. Che ci sia o meno un contratto di lavoro, i lavoratori hanno diritti di base:

● vacanze

● stipendio per malattia

● poter scegliere di lavorare a tempo parziale

● ricevere una formazione

● ferie per maternità/paternità e relativa protezione professionale

I periodi di preavviso seguono delle regole ma le compagnie possono concordare periodi di preavviso più lunghi nel caso di lavori collettivi o individuali. Le condizioni di lavoro al di sotto dello standard minimo legale stabilito non sono permesse e non sono legalmente vincolanti.

Accordi di lavoro collettivo

C’è anche una legge per il lavoro collettivo che nasce dalle leggi che proteggono gli accordi lavorativi collettivi e i diritti dei lavoratori sul posto di lavoro (Betriebsverfassungsrecht). Le leggi che governano gli accordi collettivi permettono ad entrambe le parti (sindacati e federazioni patronali o impresari individuali) di creare i loro propri accordi lavorativi. Gli accordi lavorativi regolano gli stipendi, ore lavorative, ferie e periodi di preavviso. La maggior parte degli impiegati lavorano con un accordo lavorativo anche se negli ultimi anni sempre più imprese sono state esentate dal negoziare accordi propri.

I diritti del lavoratore

Il Betriebsverfassungsrecht regola la relazione tra lavoratore ed impresa sul posto di lavoro. Gli impiegati sono rappresentati dal Consiglio di Lavoro (Betriebsrat) i cui membri vengono scelti dai lavoratori. Tra le altre cose, è responsabile della protezione dei diritti dei lavoratori sul posto di lavoro. La direzione deve consultare il Betriebsrat in relazione a questioni sul personale o l’impresa. Se hai problemi sul posto di lavoro, devi consultare il tuo Betriebsrat e chiedere consiglio o aiuto.

Nelle imprese con più di 2.000 impiegati, viene applicata la co-determinazione del 1976 o Legge della Partecipazione dei Lavoratori (Mitbestimmungsgesetz). Questa legge richiede che il consiglio supervisore dell’impresa abbia un certo numero di impiegati rappresentanti. Il principio di co-determinazione dice che i sindacati e gli impiegati hanno voce e diritto di voto nelle politiche dell’impresa, oltre che avere la responsabilità della stessa.

Ulteriori letture

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VisitINPS Scholars: conferimento incarico di Responsabile scientifico

VisitINPS Scholars: conferimento incarico di Responsabile scientifico

A Tommaso Nannicini l’incarico di Responsabile scientifico del programma di ricerca VisitINPS Scholars.

Pubblicazione: 2 febbraio 2024

Con la determinazione del Direttore Generale 23 novembre 2023, n. 237 (registrazione della Corte dei Conti – Ufficio di controllo – del 24 gennaio 2024, n. 146), è stato conferito l’incarico di Responsabile scientifico del programma di ricerca VisitINPS Scholars al prof. Tommaso Nannicini, per la durata di due anni dalla data di sottoscrizione del contratto avvenuta il 29 gennaio 2024 e, pertanto, fino al 29 gennaio 2026.

Presentazione delle nuove domande telematiche di pensione 2024

 
 

Presentazione delle nuove domande telematiche di pensione 2024

Il nuovo servizio per la presentazione delle domande telematiche di pensione anticipata flessibile e pensione anticipata Opzione donna.

Pubblicazione: 2 febbraio 2024

Con il messaggio 1° febbraio 2024, n. 454, l’INPS comunica che il sistema di gestione delle domande di pensione è stato implementato per consentire:

  • la presentazione della domanda di pensione anticipata flessibile;
  • la presentazione della domanda di pensione anticipata Opzione donna;
  • l’inserimento, da parte delle lavoratrici interessate, del numero dei figli in fase di invio dell’domanda di pensione anticipata.

Le istanze possono essere presentate attraverso i seguenti canali:

Bonus mamme: pubblicata la circolare INPS con le modalità operative

Bonus mamme: pubblicata la circolare INPS con le modalità operative

L’esonero della contribuzione previdenziale è destinato alle lavoratrici che hanno almeno tre figli a carico. Nel 2024, in via sperimentale, è attribuito anche in presenza di due figli.

Pubblicazione: 1 febbraio 2024

La legge di bilancio 2024 ha previsto il “Bonus mamme”: l’esonero della contribuzione previdenziale (9,19% della retribuzione), fino a un massimo di 3.000 euro annui da riparametrare su base mensile, per le lavoratrici che hanno almeno tre figli a carico.

Per il 2024, in via sperimentale, il bonus è attribuito anche in presenza di due figli a carico.

L’agevolazione riguarda tutte le dipendenti del settore pubblico e privato (anche agricolo, in somministrazione e in apprendistato) con contratto a tempo indeterminato. Sono escluse, invece, le lavoratrici domestiche. 

Le madri, in possesso dei requisiti a gennaio 2024, hanno diritto all’esonero dal mese di gennaio. Se la nascita del secondo figlio interviene in corso d’anno, il bonus sarà riconosciuto dal mese di nascita fino al compimento del decimo anno del bambino.

Nel 2025 e nel 2026, invece, il beneficio è assegnato dalla nascita del terzo figlio e si conclude con il compimento del diciottesimo anno dell’ultimo figlio.

Le lavoratrici interessate all’agevolazione possono rivolgersi ai propri datori di lavoro oppure utilizzare la funzionalità che sarà resa disponibile sul portale, dalla data e con le modalità che saranno rese note con uno specifico messaggio. 

Per ulteriori approfondimenti, è possibile consultare la circolare INPS 31 gennaio 2024, n. 27