Nanni Moretti, palma in alto

Nanni Moretti, palma in alto

 
 ROBERTO SILVESTRI – CANNES 

Nanni Moretti, palma in alto
ROBERTO SILVESTRI – CANNES

Ha fatto bene Nanni Moretti ad alzare le braccia e a stringere i pugni in segno di vittoria, come fosse Sotomajor. Il cinema non è sport, ma questa volta è stato davvero il migliore. Cronometricamente, nella misura raggiunta, nel gioco di squadra, per canestri realizzati, come evoluzione tecnica. Se Cannes fosse “salto in alto” lui è il primo che abbandona la sforbiciata della rumena Balasz per passare allo scavalcamento ventrale di John Thomas e Valerij Brumel…Non deve ringraziare, però, un solo uomo invece della giuria, Moretti. E’ tutto merito suo e del suo gruppo creativo, non del “cinema italiano” e non di Berlusconi, il trionfo. Come Haneke non deve ringraziare Haider, da lui molto combattuto, per i tre premi ricevuti, per la sua sonata acida un po’ troppo lacché dei francesi, e a mostrare una giuria conflittuale nella quale non bastava all’ex autarchico un amico e discepolo (Mimmo Calopresti) per vincere in tutta tranquillità.
La palma d’oro a Cannes, riconquistata da La stanza del figlio, tanti anni dopo L’albero degli zoccoli di Olmi, vendicando Tornatore e Benigni che solo Hollywood avrebbe poi risarciti, è andata al film che ha ricevuto il consenso quasi plebiscitario del pubblico e della critica e l’approvazione a maggioranza della giuria. Certo, si può essere asincronici, e trovare la forma narrativa decronologica sperimentata da Lynch, Straub-Hillet e Godard più fertile, e polemizzare come fa “Liberation” perché mancava in gara il francese Trouble every day di Claire Denis, ancora più duro e dolce della cosa di Moretti.Però. Mai premio è stato accolto con tanto entusiasmo tra gli addetti ai lavori, e sono 22 anni che ne siamo testimoni, e – a differenza del successo di un altro primo della classe, Lars von Trier – mai erano stati chiamati al finale di coppa della Croisette film produttivamente, stilisticamente e filosoficamente così simili. E anche piacevoli, rispetto a passerelle d’essai più estenuanti e ombelicali. Lo diceva Spielberg: i premi ai film, che controsenso! Però mi piacerebbe confrontarmi con i miei colleghi solo sulla base di uno stessa ossessione tematica, per esempio l’esodo, o la mutazione biologica o…l’elaborazione del lutto. E, quasi scontato, il primo festival del nuovo millennio ha trattato proprio questo argomento. A millennio morto. Il dolore che provoca la fine del grande sogno, quando non solo gli strumenti per il cambiamento del mondo, ma la voglia stessa della transizione comunista deperiscono. Pensiamo alle opere di Moretti, De Oliveira, Sokurov, Recha, Kore-eda, Tsai Ming Liang, Sean Penn, Omirbaev, Hou Hsiao Hsien. E il dolore dell’immagine che muore risucchiata dal visivo virus televisivo (i media francesi, a Cannes, cercavano un antidoto alla diabolica ipnosi di massa provocata da “Loft Story”, cioé dallo shockante “Il grande fratello” transalpino); e a questo lutto che separa i sopravvissuti, sottolineato dal baratro generazionale nel rapporto genitori/figli, genitori/figlie, adulti/teenager (The pledgeLa pianistaDesert Moon).
“Non solo i film di Cannes parlano della stessa cosa nello stesso tempo – scrive giustamente Liberation – ma oltretutto tendono sempre più a somigliarsi”. Già. Il festival di Cannes è il festival di Studio Canal e del nuovo mostro mediatico franco-americano Vivendi (che proprio ieri s’è comprato il gigante musicale on line Mp3). Ed è anche su questo terreno che Moretti ha regolato i suoi simili, film tutti cofinanziati dalla Francia, dai Lynch ai Godard, dagli Haneke ai Makhmalbaf, dai Kore-eda ai Coen, dagli inuit ai bosniaci…Certo che ha vinto la Francia. Giocava solo lei (i trucchi e la combine, l’alterazione della performances nell’epoca dell’economia-mondo, sono altre cose che il cinema ha in comune con lo sport..).
Ma cosa aveva di speciale il film di Nanni? Ha costruito un’esperienza cinematografica inusuale. Con poco. E secondo la ricetta dimenticata dei film di Rossellini e di De Sica che ha raccontato Scorsese nel magnifico Il mio viaggio in Italia. La leggerezza e precisione cronometrica del tocco. Ha fabbricato un denso grumo emozionale che va al di là della commozione e anche al di là della “stanza del figlio” e della “stanza buia del cinema”. Ha toccato il pubblico, nonostante quel clima irritante da “bobos” di provincia, da famigliola diesse. Lo ha fatto indicando brechtianamente, cioè criticamente, forma e sostanza dell’espressione. Ha costruito uno spettacolo di devastante potenza, annichilendo gli stessi modi di produzione del cinema ipnotico e coinvolgente, distanziandoci con la semplicità della passione autentica dalla “trappola di luce vellutata”. Non di politica, ma di cinema del piacere Moretti parlava quando ha attaccato furiosamente Bertinotti, come Robert Downey jr. avrebbe fatto con Nader. Non fa che parlare di Bertinotti da quando girò in super 8 La sconfitta, appunto. Satira della nuova sinistra che si mette a pensare e a agire peggio della vecchia, inebriandosi di parole autocelebrative che si ancorano a realtà defunte, scomparse. Mentre il nostro psicoanalista si assume la colpa del suo delitto. Aver voluto uccidere anti-edipicamente il figlio. E muore come psicoanalista. Rinascendo altro. Non rifondando mai più la psicoanalisi. Né rubando più fossili.

Nanni Moretti, palma in altoultima modifica: 2023-05-26T09:08:33+02:00da vitegabry
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