Archivi giornalieri: 12 maggio 2023

Santi Nereo e Achilleo

Santi Nereo e Achilleo


Santi Nereo e Achilleo

autore: Ottavio Vannini e Domenico Passignano anno: XVI sec. titolo: Martirio di Nereo e Achilleo luogo: Chiesa di Santa Maria Maddalena de’Pazzi, Firenze
Nome: Santi Nereo e Achilleo
Titolo: Martiri
Ricorrenza: 12 maggio
Martirologio: edizione 2004
Tipologia: Commemorazione
Sono due martiri gloriosi, molto venerati dal popolo cristiano.

Da un frammento dell’epigrafe composta dal Papa S. Damaso e posta sulla tomba dei martiri si sa che i erano pretoriani di Nerone ed eseguivano le uccisioni che il tiranno loro imponeva. Dice l’epigrafe: « Nereo ed Achilleo martiri si erano ascritti alla milizia ed esercitavano l’ufficio crudele di attendere gli ordini del tiranno, pronti ad eseguirli, perché il terrore ve li costringeva. Miracolo della fede! Essi depongono all’istante il furore, si convertono, abbandonano il campo dello scellerato loro duce, gettano via gli scudi e le corazze, i dardi insanguinati e confessano la fede di Cristo, si rallegrano di testimoniare il trionfo… Apprendete quanto possa la gloria di Cristo! ».

I loro atti ci dicono che furono convertiti da S. Pietro: difatti i pretoriani ebbero più volte relazioni con gli Apostoli. Probabilmente il martire Nereo è quello stesso che S. Paolo nella lettera ai Romani (c. XXI, 15) dice di salutare.

Appena convertiti, dal servizio dall’imperatore passarono a quello di Flavia Domitilla, nobile vergine romana, nipote del console Flavio Clemente, anch’egli martire per la fede e parente dell’imperatore Domiziano. E con essa i due dopo le faccende domestiche s’intrattenevano nella preghiera e in discorsi spirituali.

Scoperti cristiani, furono mandati in esilio con la nobile loro padrona nell’isola di Ponza, ove continuarono la pratica della penitenza e della preghiera. Si fabbricarono tre cellette in attesa del martirio che presentivano non lontano.

Salito al trono Traiano, questi richiamò a Roma molti cristiani esiliati da Domiziano, tra cui S. Domitilla e Nereo ed Achilleo suoi domestici, per costringerli a sacrificare agli dei. Ma la matrona romana e i due servi ricusarono. Perciò furono condannati a morte e subirono il martirio a Terracina, Nereo e Achilleo furono decapitati e Flavia arsa viva. I loro corpi furono trasportati nel cimitero della via Ardeatina a mezzo miglio da Roma nei possedimenti di Flavia Domitilla.

PRATICA. Dice S. Gregorio Magno in un panegirico: «Questi santi… hanno disprezzato il mondo perchè aspiravano a beni migliori ed eterni». Imitiamoli se vogliamo giungere alla felicità eterna.

PREGHIERA. La confessione dei tuoi santi martiri Nereo, Achilleo deh! Signore, ti riesca gradita e ci renda degni del tuo servizio.

MARTIROLOGIO ROMANO. Santi Néreo e Achílleo, martiri, che, come riferisce il papa san Damaso, si erano arruolati come soldati e, spinti da timore, erano pronti ad obbedire agli empi comandi del magistrato, ma, convertitisi al vero Dio, gettati via scudi, armature e lance, lasciarono l’accampamento e, confessando la fede in Cristo, godettero del suo trionfo. In questo giorno a Roma i loro corpi furono deposti nel cimitero di Domitilla sulla via Ardeatina.

Emergenza alluvione Emilia-Romagna del 1° maggio: domande CIGO e CISOA

Emergenza alluvione Emilia-Romagna del 1° maggio: domande CIGO e CISOA

Dal 1°maggio dichiarato lo stato di emergenza per la Regione Emilia–Romagna

Pubblicazione: 11 maggio 2023

In conseguenza dei gravi eventi metereologici che, a partire dal 1° maggio 2023, hanno colpito il territorio delle province di Reggio-Emilia, Modena, Bologna, Ferrara, Ravenna e Forlì-Cesena, il Consiglio dei ministri, nella seduta del 4 maggio 2023, ha deliberato lo stato di emergenza per la Regione Emilia–Romagna.

Pertanto l’Istituto, con il messaggio 10 maggio 2023, n. 1699, fornisce indicazioni in merito alle modalità di presentazione delle domande per l’accesso al trattamento ordinario di integrazione salariale (CIGO), di assegno di integrazione salariale, nonché di cassa integrazione speciale operai agricoli (CISOA), da parte dei datori di lavoro colpiti dall’alluvione e rientranti nel campo di applicazione della CIGO, della CISOA, del Fondo di integrazione salariale (FIS) e dei Fondi di solidarietà bilaterali.

Per le domande di CIGO e di assegno di integrazione salariale, i datori di lavoro interessati devono utilizzare la causale “Incendi – crolli – alluvioni”, che rientra tra quelle riferibili al verificarsi di eventi oggettivamente non evitabili (cosiddetta EONE).

I datori di lavoro colpiti dagli eventi alluvionali, che avessero già inviato la domanda di accesso ai citati trattamenti utilizzando una differente causale, dovranno annullare la suddetta istanza e presentarne una nuova.

Per le domande di cassa integrazione speciale operai agricoli (CISOA), i datori di lavoro interessati dovranno presentare un’apposita domanda con la specifica causale “Calamità naturali o avversità atmosferiche – cod. evento 08 (art. 21, comma 4, L.n.223/1991)”

Il workshop sulla disuguaglianza salariale in Italia: i dati dell’INPS

Il workshop sulla disuguaglianza salariale in Italia: i dati dell’INPS

L’incontro dello scorso 9 maggio organizzato da INPS in collaborazione con l’Associazione Italiana Economia del Lavoro (AIEL).

Lo scorso martedì 9 maggio si è tenuto a Palazzo Wedekind il workshop dal titolo “Disuguaglianza salariale: uno sguardo a diverse determinanti con i dati amministrativi dell’INPS”, organizzato in collaborazione con l’Associazione Italiana Economia del Lavoro (AIEL).

I lavori sono stati aperti dai saluti di Gianfranco Santoro (Direttore D.C. Studi e Ricerche) e di Lorenzo Cappellari (Presidente AIEL). Ha moderato l’evento Maurizio Franzini, economista e professore ordinario presso la facoltà di Economia della Sapienza.

Nella prima parte dell’incontro è stato affrontato il tema della disuguaglianza salariale in Italia attraverso alcuni contributi realizzati nell’ambito del Programma “VisitINPS Scholars”.

I lavori sono poi proseguiti con una tavola rotonda e si sono conclusi con l’intervento del Presidente dell’INPS Pasquale Tridico.

Il workshop è stato anche trasmesso in streaming ed è fruibile a questo link: Disuguaglianza salariale: uno sguardo a diverse determinanti con i dati amministrativi dell’INPS.

Quanta energia elettrica si consuma in Italia Ambiente

Quanta energia elettrica si consuma in Italia Ambiente

L’andamento di produzione, richiesta e consumo di energia elettrica è cambiato significativamente negli ultimi due anni, soprattutto a causa della pandemia. Ricostruiamo la situazione grazie ai dati pubblicati da Terna, rilevando anche le differenze a livello regionale.

 

L’energia ha un ruolo fondamentale nel cambiamento climatico. È infatti praticamente impossibile produrla, trasportarla o consumarla senza inquinare l’atmosfera o le acque o produrre rifiuti, come evidenzia la European environmental agency (Eea). Pertanto è importante, oltre a promuovere parallelamente metodi di produzione che utilizzino fonti di tipo rinnovabile, anche agire direttamente sui consumi, per ridurli.

All’interno del segmento energetico, ci sono tre componenti principali: elettricità, trasporti e riscaldamento. Ciascuno può essere supportato tramite un mix energetico di risorse rinnovabili ed estrattive. Vai a “Come funzionano la produzione e il consumo di energia”

Nel corso del periodo pandemico i consumi, così come anche la produzione e la richiesta di energia, hanno subito importanti variazioni. Durante il lockdown infatti molte attività associate a un elevato consumo energetico sono state temporaneamente sospese. Mentre nel 2021 c’è stata una ripresa che ha segnato un marcato incremento della richiesta e dei consumi. Grazie ai dati recentemente forniti da Terna possiamo ricostruire l’andamento, negli ultimi anni, del settore dell’energia elettrica.

Richiesta e produzione di energia elettrica in Italia

Con produzione si intende il processo di estrazione della risorsa e della sua trasformazione in un prodotto utilizzabile – due fasi che non necessariamente avvengono nello stesso stato. Con richiesta invece si intende il fabbisogno registrato.

Nel 2021 la richiesta di energia elettrica è stata pari a circa 320 migliaia di gigawattora (Gwh), registrando un aumento del 6,2% rispetto all’anno precedente, quando si era attestata sui 301mila Gwh circa.

Rispetto al 2020, periodo segnato dal lockdown, nel 2021 sono infatti riprese tutte le attività che erano state precedentemente sospese e questo ha provocato un aumento sia nella richiesta che, conseguentemente, nella produzione. Tuttavia rispetto all’anno precedente lo scarto tra le due è aumentato.

Sia la produzione che la richiesta di energia elettrica hanno avuto un andamento oscillante nell’ultimo ventennio. La richiesta è sempre maggiore rispetto alla produzione, ma la distanza tra le due è stata più o meno pronunciata di anno in anno. Nel 2021 lo scarto è stato di quasi 31mila Gwh (contro i 20,6mila del 2020). La produzione lorda a livello nazionale ha quindi coperto circa il 90% della richiesta. Una quota che però scende leggermente se consideriamo il dato al netto dei consumi dei servizi ausiliari e dei pompaggi.

86,6% della richiesta di elettricità è coperta dalla produzione nazionale, nel 2021.

Importante è sottolineare che si tratta soltanto di una delle tre componenti del settore energetico, il quale è composto da elettricità, trasporti e riscaldamento. Nel complesso l’Italia è ancora soggetta a una forte dipendenza energetica. A coprire il resto del fabbisogno italiano di elettricità (13,4%) sono state le importazioni dall’estero.

Quanta elettricità si consuma nelle regioni italiane

Nel complesso in Italia sono stati consumati, nel 2021, quasi 301mila Gwh di energia elettrica (300,9 miliardi di kilowattora). Con un aumento del 6% rispetto al 2020, che ha riguardato soprattutto il settore industriale (+8,2%).

Il settore industriale registra i consumi più elevati.

A registrare i consumi più elevati è il settore industriale, che costituisce il 45% del totale. Seguono i servizi con circa il 30% e il settore domestico (22%). Ultima l’agricoltura con il 2%. L’industria è anche il settore che ha registrato il maggior incremento dei consumi tra 2020 e 2021: +8,2%. Al secondo posto agricoltura e servizi, entrambe con un aumento pari al 6,4%. Mentre il settore domestico è ultimo in questo senso con appena l’1,3%, probabilmente per via del fatto che durante il lockdown le persone hanno dovuto trascorrere più tempo in casa ma che, allo stesso tempo, l’inverno del 2020 è stato particolarmente mite.

5.095 kwh pro capite il consumo medio di elettricità in Italia nel 2021.

Rispetto al 2011 il dato è rimasto sostanzialmente invariato, con un calo dello 0,1%. I consumi risultano più elevati al nord e nel centro della penisola (rispettivamente 6.341 e 4.453 kwh) e più bassi al sud (3.756).

Più contenute invece le differenze macroregionali se consideriamo esclusivamente i consumi domestici. In questo caso il consumo medio si attesta su 1.135 kwh per abitante, -0,2% rispetto al 2011. Si rileva un lieve aumento dei consumi al sud (+0,3%) e un calo al nord (-0,3%) e soprattutto al centro (-0,7%).

Il Friuli Venezia Giulia è la regione con i consumi pro capite più elevati (8.556 kwh), seguita dalla Valle d’Aosta (7.608) e da altre regioni settentrionali. Ultima invece la Calabria con meno di 3mila Gwh per abitante. Sotto questo aspetto le differenze da regione a regione sono molto pronunciate.

Per quanto riguarda invece i consumi legati specificamente all’ambito domestico, come accennato, si attenuano fortemente. La prima regione da questo punto di vista è la Sardegna (con 1.475 khw per abitante), seguita da Valle d’Aosta (1.264) e Sicilia (1.240). Ultime Molise e Basilicata con meno di mille Khw per persona.

Foto: Rodion Kutsaiev – licenza

 

Il decreto Cutro e il commissariamento dei centri di accoglienza Centri d’Italia

Il decreto Cutro e il commissariamento dei centri di accoglienza Centri d’Italia

Il parlamento ha convertito in legge il decreto seguito alla strage di febbraio. Sono molte le novità che presentano criticità. Tra queste, il commissariamento delle strutture deputate all’accoglienza.

 
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Una delle novità contenute nel cosiddetto “decreto Cutro” riguarda il commissariamento dei centri di accoglienza da parte delle prefetture, qualora le ispezioni rilevassero gravi inadempienze nella gestione delle strutture. Ma non sono del tutto chiare le motivazioni che hanno portato a questa norma. Persistono, inoltre, ancora forti lacune sulle informazioni circa le ispezioni nei centri.

La scorsa settimana il parlamento ha convertito in legge, con diverse modificazioni, il decreto 20/2023, che ha comunemente preso il nome della strage che lo scorso febbraio causò quasi cento morti a largo delle coste calabresi.

Sono molti gli ambiti toccati dal decreto: da misure relative alla programmazione dei flussi di ingresso legale dei migranti, alla stretta sulla protezione speciale passando per importanti modifiche alle norme sui centri di accoglienza. Modifiche che reintroducono molti degli elementi che già si trovavano nxel decreto sicurezza, ma che erano poi stati almeno in parte successivamente superati e le cui conseguenze negative abbiamo analizzato nei nostri rapporti.

Ciascuno di questi temi merita un approfondimento e una riflessione a sé. Per il momento quindi ci limiteremo a un aspetto specifico del decreto. Ovvero la possibilità che i centri di accoglienza vengano commissariati in seguito a ispezioni che abbiano fatto emergere “gravi inadempimenti”.

Cosa si sa delle ispezioni

Dei controlli che il ministero dell’interno è tenuto per legge a svolgere nei centri di accoglienza ci siamo recentemente occupati in Centri d’Italia. Il vuoto dell’accoglienza.

Il Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del Ministero dell’interno svolge, anche tramite le prefetture, attività di controllo e monitoraggio della gestione delle strutture di accoglienza.

Alcune informazioni sulle ispezioni effettuate dal ministero nel 2019 erano state a suo tempo diffuse nella relazione annuale del ministero dell’interno sul sistema di accoglienza. Si trattava tuttavia di informazioni aggregate, non sufficienti a svolgere analisi indipendenti e complete.

Abbiamo ottenuto dati sulle ispezioni dopo una lunga battaglia in tribunale.

Per questo abbiamo inoltrato una richiesta di accesso agli atti al dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione. Dopo un iniziale diniego da parte del ministero è iniziato un percorso fatto di richieste di riesame e ricorsi di fronte alla giustizia amministrativa. Un percorso che, dopo quasi 2 anni, ha visto il consiglio di stato darci ragione, ordinando al ministero il rilascio dei dati sulle ispezioni dei centri di accoglienza.

I dati ottenuti ci hanno permesso di analizzare sia la situazione generale sia il caso specifico delle ispezioni nel territorio di Roma nel 2019.

Dall’analisi generale è emerso come nella maggior parte dei casi i controlli abbiano effettivamente portato a delle contestazioni. Queste ovviamente possono essere di diversa natura e gravità e solo in alcuni casi hanno comportato ammende.

70,6% la quota di controlli effettuati nel 2019 in cui è stata mossa almeno una contestazione.

Dei 2.223 centri ispezionati nel corso dell’anno, 1.203 (circa il 54%) non hanno subito alcuna contestazione. Tuttavia è interessante notare come dei rimanenti solo una parte ha subito un’unica contestazione (398), mentre 622 hanno subito due o più contestazioni: il 28% delle strutture controllate.

Il numero e gli esiti dei controlli variano molto da provincia a provincia. Nei territori di 13 prefetture, tra cui due (Trapani e Agrigento) vicine a luoghi di sbarco di migranti, non si registrano ispezioni nel periodo considerato.

In altri invece i controlli sono stati molti. Come per esempio nel caso di Salerno dove nel corso del 2019 sono state effettuate ben 492 ispezioni, senza però che emergesse neanche una contestazione. Molto alto anche il numero di controlli ordinati nella provincia di Pesaro-Urbino (347), dove però sono state mosse 129 contestazioni.

La provincia con il maggior numero di contestazioni invece è Caserta: 238 in 116 controlli all’interno delle 91 strutture visitate.

493mila € le sanzioni pecuniarie e i pagamenti non effettuati ai gestori di centri di accoglienza a seguito di ispezioni effettuate nel 2019.

Le contestazioni possono avere due tipi di ricadute economiche sugli enti gestori dei centri: sanzioni pecuniarie oppure pagamenti non effettuati da parte delle prefetture, per effetto delle contestazioni stesse. La somma di queste due categorie, nel 2019, ammontava a quasi 500mila euro, di cui 283mila per penali comminate in seguito ai controlli e 209mila per pagamenti non effettuati per effetto delle contestazioni.

La situazione insomma appare piuttosto varia, oltre che disomogenea a seconda della prefettura. In diversi casi le contestazioni si sono risolte in modo semplice e a un secondo controllo non sono emerse più irregolarità. In altre situazioni invece le irregolarità sono rimaste e talvolta si è arrivati a un qualche tipo di sanzione nei confronti dei gestori.

Ispezioni e commissariamenti: cosa prevede il decreto

A questo il “decreto Cutro” ha aggiunto la possibilità che, in caso di “gravi inadempimenti”, si possa arrivare a un commissariamento della gestione dei centri. La ratio dovrebbe essere quella di dare alla prefettura la possibilità di estromettere un gestore inadempiente senza al contempo chiudere un servizio di pubblica utilità.

Nell’ordinamento commissariamenti di questo tipo sono già previsti dal D.Lgs 90/2014 (art. 32) a cui il decreto fa esplicito riferimento (articolo 6). In quei casi però i commissariamenti avvengono per ragioni molto gravi legate a fenomeni di corruzione. Inoltre nel citato decreto sono precisamente elencate le ipotesi che possono dare inizio a un commissariamento.

Non è chiaro il perimetro che porterebbe al commissariamento di un centro.

La semplice formula “gravi inadempimenti” non sembra invece sufficientemente chiara a delimitare il perimetro di un provvedimento estremamente severo. Questo peraltro senza contare che, come abbiamo visto, le prassi seguite dalle prefetture nella gestione delle ispezioni sono spesso molto diverse. È lecito attendersi quindi che possa variare anche l’interpretazione di cosa si debba intendere per “gravi inadempimenti”.

Il monitoraggio della qualità del servizio è fondamentale in un settore come quello dell’accoglienza, coincidendo con l’esercizio di un diritto dei migranti. Allo stesso tempo, però, a meno che il disservizio non sia per inadempienza rispetto al contratto o causato da una situazione di malaffare, non è chiaro perché dei funzionari prefettizi senza esperienza di gestione di servizi sociali dovrebbero meglio riuscire al ripristino di una corretta gestione. E questo a maggior ragione visto che i commissari potranno essere chiamati a rispondere della loro gestione solo nei casi di dolo o colpa grave (in virtù del richiamato Dl 90/2014, art. 32 comma 4).

Ma se anche queste perplessità risultassero eccessive e fosse individuato dalla Prefettura un commissario che dimostri adeguatezza al ruolo, resta da capire perché la norma preveda il ricorso all’affidamento diretto per assegnare di nuovo il contratto.

Contestualmente all’adozione della misura di cui al comma 1, il prefetto avvia le procedure per l’affidamento diretto di un nuovo appalto

È utile ricordare come il prefetto possa già ricorrere agli affidamenti diretti facendo leva su varie norme. Non è chiaro dunque quale sia la necessità di obbligare il prefetto ad agire in questo modo, quando invece potrebbe avvalersi della gestione commissariale proprio per avere il tempo di assegnare il bando con una procedura a evidenza pubblica. E questo nonostante sia proprio la trasparenza e la pubblicità delle procedure la miglior garanzia per l’assegnazione di un servizio pubblico.

L’importanza del monitoraggio

Resta il fatto che queste norme sono ormai parte dell’ordinamento e da ora il commissariamento sarà una possibilità a disposizione dei prefetti. Per verificare se questi e altri elementi si riveleranno o meno dei problemi effettivi sarà ancora più importante una concreta azione di monitoraggio, che dovrebbe innanzitutto portare avanti la pubblica amministrazione, in modo da migliorare la propria azione attraverso l’analisi delle politiche in corso.

Tuttavia, se attività di questo tipo fossero state effettivamente svolte, sarebbero poi state riportate nella relazione annuale del ministero dell’interno al parlamento sulla gestione del sistema di accoglienza nel 2021. Invece qui si trova solo un breve accenno alle ispezioni. Un passo indietro notevole rispetto alla relazione sul 2019, che dedicava diverse pagine a questo tema.

Nonostante la nostra vittoria al consiglio di stato il ministero non ci ha inviato dati utilizzabili.

D’altronde non è un caso se anche nelle nostre analisi i dati si fermano al 2019. Nonostante la vittoria al Consiglio di stato, infatti, non siamo riusciti a ottenere informazioni successive a questa data che avessero uno standard minimo di qualità e completezza.

Prima il ministero si è opposto alla nostra richiesta e in seguito ci ha fornito una serie di documenti prodotti da prefetture diverse, con formati e perimetri temporali differenti. Senza contare che mancavano del tutto informazioni su un numero considerevole di prefetture. Malgrado tutto, però, il ministero ha esplicitato chiaramente che le informazioni rilasciate fossero, almeno a livello di dettaglio, le sole di cui era in possesso.

Al momento quindi sembra che si sia avviata una severa politica di commissariamenti basati sulle ispezioni nei centri. Questo però senza che sulle ispezioni esista una regia e un monitoraggio organico e strutturale a livello ministeriale.

Ancora una volta si procede con cambiamenti continui della normativa, senza alcuna programmazione e senza una valutazione delle politiche e delle procedure precedentemente in vigore. 

Foto: ministero dell’interno

 

1. Come il Pnrr interverrà sulla sanità territoriale italiana

1. Come il Pnrr interverrà sulla sanità territoriale italiana

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Nelle difficoltà dei mesi di pandemia, è apparso in tutta evidenza quanto sia importante l’investimento sulla prevenzione e in particolare su una rete di assistenza e sanità capillare sul territorio.

Un’esigenza che il progressivo invecchiamento della popolazione, con il prevedibile incremento dell’incidenza delle malattie croniche, renderanno improrogabile nei prossimi anni. Si stima che nel 2050 gli italiani con almeno 65 anni saranno il 34,9% della popolazione, a fronte del 23,5% attuale.

Un incremento di ben 11 punti percentuali, ma che colpisce anche se letto in termini assoluti. Oggi sono poco meno di 14 milioni i residenti anziani nel nostro paese, rispetto a un totale di circa 60 milioni di abitanti. Nel 2050, pur con una popolazione complessiva molto ridotta – nello scenario di previsione mediano circa 54 milioni di persone – gli ultra 65enni potrebbero essere quasi 19 milioni.

L’investimento del Pnrr sulla sanità territoriale

Questo scenario, e l’esperienza ancora viva delle difficoltà nell’emergenza Coronavirus, hanno portato a destinare una parte dei fondi del piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) sul capitolo sanitario, e in particolare sulla rete territoriale di assistenza.

8,2% le risorse del Pnrr destinate al potenziamento del sistema sanitario.

La missione 6 del piano è infatti dedicata alla salute. Si tratta di 15,63 miliardi di euro divisi in due componenti. La prima, da 7 miliardi di euro, si concentra sul rafforzamento dell’assistenza sanitaria territoriale. In particolare sulle reti di prossimità, la telemedicina e la cura domiciliare. La seconda, 8,63 miliardi, prevede progetti di digitalizzazione e innovazione del sistema sanitario, insieme ad investimenti sulla ricerca.

La componente rivolta al rafforzamento della sanità territoriale si basa su una strategia in 2 tempi. Il primo, è l’approvazione di una riforma dell’intero sistema di assistenza, con l’obiettivo di riorganizzarlo, renderlo omogeneo in tutto il paese e stabilire così un nuovo assetto dell’offerta territoriale. Una scadenza prevista per la metà del 2022, attuata nel maggio dello scorso anno con l’approvazione del decreto ministeriale 77/2022.

 

Il secondo tempo dell’attuazione è il rafforzamento della rete presente sul territorio. Con la costituzione a livello locale dei presidi e delle strutture sanitarie previsti dalla riforma approvata.

La nuova sanità territoriale si basa su un insieme articolato di strutture.

A partire dalle case della comunità – luoghi di prossimità a cui i cittadini possono accedere per l’assistenza primaria – cui il Pnrr destina 2 miliardi di euro. Vi è poi l’istituzione degli ospedali di comunità – piccole strutture (20 posti letto ogni 100mila abitanti) per consentire un’accoglienza intermedia tra il ricovero a casa e quello in ospedale (1 miliardo di euro). I restanti 4 miliardi, sono rivolti all’investimento sulla telemedicina, in modo da rendere la casa del paziente un vero e proprio luogo di cura, e alla creazione delle centrali operative territoriali. Parliamo di oltre 600 presidi, uno per distretto sanitario, con la funzione di coordinare i servizi domiciliari con gli altri servizi sanitari, assicurando l’interfaccia con gli ospedali e la rete di emergenza-urgenza.

Case e ospedali di comunità: i nuovi capisaldi del sistema

In questo nuovo assetto, case e ospedali di comunità sono chiamati a rappresentare il primo presidio della sanità territoriale rivolta al paziente.

In particolare le prime, le case della comunità: un presidio fisico di facile individuazione al quale i cittadini possono accedere per i bisogni di assistenza sanitaria. Si distinguono tra hub (quelle principali che erogano servizi di assistenza primaria, attività specialistiche e di diagnostica di base) e spoke, che offrono unicamente servizi di assistenza primaria.

1.430 le case della comunità che si prevede di costituire con i fondi Pnrr.

In questi punti, facilmente accessibili sul territorio, il paziente potrà trovare servizi come gli ambulatori di medici di famiglia e pediatri di libera scelta. Ma l’obiettivo è soprattutto costruire un’unica sede fisica dove il cittadino possa essere assistito da un’equipe multidisciplinare, in grado di prenderlo in carico nei diversi bisogni.

Questo gruppo integrato di professionisti, in base a una valutazione trasversale di natura clinica, funzionale e sociale della persona, potrà definire un “progetto di assistenza
individuale integrata (Pai), contenente l’indicazione degli interventi modulati
secondo l’intensità del bisogno” (cfr. con legge di bilancio 2022dossier camera 2023). Sulla carta, una vera e propria rivoluzione in termini di integrazione dei servizi sociali, assistenziali e sanitari che operano sul territorio.

Il Pai individua altresì le responsabilità, i compiti e le modalità di svolgimento dell’attività degli operatori sanitari, sociali e assistenziali che intervengono nella presa in carico della persona, nonché l’apporto della famiglia e degli altri soggetti che collaborano alla sua realizzazione. La programmazione degli interventi e la presa in carico si avvalgono del raccordo informativo, anche telematico, con l’Inps.

Gli standard organizzativi delle case della comunità variano tra hub e spoke, e vanno distinti tra le previsioni obbligatorie (stabilite dall’allegato 2 del Dm 77/2022) e quelle facoltative (allegato 1 dello stesso decreto).

 

I servizi previsti nelle case della comunità

Livello di obbligatorietà Servizi offerti
Obbligatori per CdC hub e spoke – Servizi di cure primarie erogati attraverso équipe multiprofessionali;
– Punto unico di accesso;
– Servizio di assistenza domiciliare;
– Servizi di specialistica ambulatoriale per le patologie ad elevata prevalenza;
– Servizi infermieristici;
– Sistema integrato di prenotazione collegato al Cup aziendale;
– Integrazione con i servizi sociali;
– Partecipazione della comunità e valorizzazione della co-produzione;
– Collegamento con la casa della Comunità hub di riferimento;
– Presenza medica per la CdC hub: H24, 7/7 gg;
– Presenza medica per la CdC spoke: H12, 6/7 gg;
– Presenza infermieristica per la CdC hub: H12, 7/7 gg (fortemente raccomandato H24, 7/7 gg);
– Presenza infermieristica per la CdC spoke: H12, 6/7 gg.
Obbligatori solo per CdC hub – Servizi diagnostici di base;
– Continuità assistenziale;
– Punto prelievi.
Facoltativi nelle CdC hub e spoke – Attività consultoriali e attività rivolta ai minori;
– Interventi di salute pubblica (incluse le vaccinazioni per la fascia 0-18);
– Programmi di screening.
Raccomandati nelle CdC hub e spoke – Servizi per la salute mentale, le dipendenze patologiche e la neuropsichiatria infantile e dell’adolescenza;
– Medicina dello sport.

 

elaborazione openpolis – Cittadinanzattiva su Dm 77/2022 e dossier camera

Il secondo presidio del nuovo sistema di sanità territoriale sono gli ospedali di comunità. Si tratta di strutture pensate per rispondere a una necessità che negli anni si è fatta pressante: avere un luogo intermedio tra le dimissioni al domicilio del paziente e il ricovero ospedaliero.

In base al decreto 77, questi presidi dovrebbero evitare ricoveri impropri e “favorire dimissioni protette in luoghi più idonei al prevalere di fabbisogni sociosanitari, di stabilizzazione clinica, di recupero funzionale e dell’autonomia e più prossimi al domicilio”.

400 gli ospedali di comunità da costruire entro il 2026. I progetti attuali ne prevedono oltre 430.

Si tratta di strutture operative 7 giorni su 7, con un assetto organizzativo di 20 posti letto ogni 100mila abitanti. Ciascun ospedale di comunità dotato di 20 posti dovrà prevedere una serie di dotazioni di tipo tecnologico-strutturale, ad esempio con locali per la riabilitazione, nonché standard minimi di personale. In primo luogo attraverso l’assistenza infermieristica, da garantire 7 giorni su 7, 24 ore su 24, con un numero di infermieri compreso tra 7 e 9, di cui 1 coordinatore. E poi 4-6 operatori sociosanitari, 1-2 unità di altro personale sanitario con funzioni riabilitative e un medico per 4,5 ore al giorno 6 giorni su 7.

Le criticità emerse finora

Il sistema così concepito dovrà accompagnare i bisogni di una popolazione in progressivo invecchiamento. Con tutte le necessità connesse: dalla presa in carico della non autosufficienza alla gestione delle malattie croniche.

Perciò è cruciale che il modello organizzativo stabilito dal Dm 77/2022 trovi un’applicazione omogenea sull’intero territorio nazionale. Questa è la vera sfida da qui al giugno 2026, scadenza europea per l’istituzione di case e ospedali di comunità.

Il senso del presente rapporto è proprio avviare un monitoraggio su questo aspetto, attraverso la collaborazione tra openpolis – fondazione indipendente e senza scopo di lucro che promuove l’accesso a dati e informazioni per l’analisi delle politiche pubbliche, come con il progetto OpenPNRR – e Cittadinanzattiva – organizzazione attiva nella tutela dei diritti dei cittadini, nella cura dei beni comuni e nel sostegno alle persone in condizioni di debolezza. 

Già oggi sono diversi i motivi che lasciano intravedere forti difficoltà nell’effettiva possibilità di ridurre i divari nell’accesso alle cure. Basta osservare il percorso di approvazione del decreto ministeriale 77/2022: approvato senza intesa in conferenza stato-regioni. Un accordo venuto meno proprio per il dissenso della maggiore regione del mezzogiorno, la Campania, preoccupata per la carenza di risorse necessarie al funzionamento a regime dei nuovi standard di assistenza territoriale.

Un punto critico che non sembra affatto infondato, stando alle analisi della Corte dei conti e dell’ufficio parlamentare di bilancio pubblicate negli ultimi mesi. Entrambi gli organi hanno mosso rilievi sul finanziamento a regime del nuovo sistema.

Complessivamente, il quadro delle risorse correnti utilizzabili appare soggetto a incertezza, soprattutto con riferimento agli anni successivi al periodo di programmazione del Pnrr. Questo è proprio il motivo che ha reso le Regioni diffidenti nei confronti del nuovo Regolamento sugli standard dell’assistenza territoriale.

Il rischio concreto è che l’incertezza sulle risorse, in combinato disposto con un regolamento organizzativo che distingue tra aspetti prescrittivi, da garantire obbligatoriamente, e altri solo facoltativi, conduca a divari molto estesi nell’attuazione del nuovo sistema. Un possibile indice di questa tendenza, come vedremo nel corso del rapporto, emerge nella diversa quota di case della comunità hub e spoke previste dalle diverse regioni. E anche nella distribuzione di questi presidi e degli ospedali di comunità tra città maggiori e territori periferici di una stessa regione.

Divari che peraltro si innesterebbero su disparità già in partenza molto ampie, aggravandole. Una ricognizione dell’ufficio studi della camera dei deputati nel 2021 aveva messo in evidenza come alcune regioni, come Toscana ed Emilia-Romagna, si fossero già mosse sulla strada intrapresa dal Dm 77/2022, avendo istituito negli anni una rete di case della salute propedeutica alla creazione di quelle di comunità. Mentre altre hanno adottato modelli organizzativi diversi e appaiono meno attrezzate per il processo di cambiamento che investirà il sistema sanitario nei prossimi anni.

Anche se non è scontato che tutte le Case della salute possano essere immediatamente trasformate in Case della Comunità, si evidenzia che alcune Regioni, come Emilia-Romagna e Toscana, avrebbero già più strutture di quanto indicato come traguardo dal PNRR, mentre altre non ne hanno affatto. Queste ultime non sono collocate esclusivamente nel Mezzogiorno.

La necessità di un monitoraggio puntuale

Di fronte al rischio di un’applicazione a macchia di leopardo dei nuovi standard di assistenza territoriale, un monitoraggio attento dell’impiego delle risorse del Pnrr appare quanto mai necessario. Un’attività che allo stato attuale delle informazioni non è affatto semplice. E che deve necessariamente essere effettuata opera per opera, come peraltro indicato dal ministero stesso in risposta ai rilievi della Corte dei conti.

(…) il livello di progettazione da raggiungere, affinché un progetto possa qualificarsi “idoneo”, è “strettamente connesso alla strategia di gara individuata dalla stazione appaltante per la realizzazione dell’opera pubblica”.

Da tale consapevolezza nasce la collaborazione tra openpolis e Cittadinanzattiva su questo report. Un lavoro che si è basato sulla raccolta dei dati sui singoli interventi dai contratti istituzionali di sviluppo stipulati dal ministero della salute e dalle singole regioni. Questi sono stati successivamente georeferenziati e arricchiti con ulteriori informazioni estratte da fonte Agenas, l’agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali.

Una attività di analisi che abbiamo condensato in un rapporto nazionale e in 20 allegati con focus sugli interventi previsti, regione per regione.

Dall’istituzione di case della comunità a quella di ospedali di comunità, la cui localizzazione deve essere valutata anche in relazione alle aree interne presenti in ciascun territorio.

Monitorare tali aspetti è quanto mai cruciale per valutare lo stato del sistema sanitario, oggi e soprattutto nei prossimi anni.

Scarica, condividi e riutilizza i dati

I contenuti dell’Osservatorio povertà educativa #conibambini sono realizzati da openpolis con l’impresa sociale Con i Bambini nell’ambito del fondo per il contrasto della povertà educativa minorile. Mettiamo a disposizione in formato aperto i dati utilizzati nell’articolo. Li abbiamo raccolti e trattati così da poterli analizzare in relazione con altri dataset di fonte pubblica, con l’obiettivo di creare un’unica banca dati territoriale sui servizi. Possono essere riutilizzati liberamente per analisi, iniziative di data journalism o anche per semplice consultazione. I dati sugli interventi previsti per case della comunità e ospedali di comunità sono tratti dai contratti istituzionali di sviluppo (Cis) sottoscritti dalle regioni con il ministero della salute.

Foto: Nguyễn Hiệp (Unsplash) – Licenza

 

Traduzione in sardo della “Voce” su Salvatore Satta pubblicata sulla TRECCANI

Traduzione in sardo della “Voce” su Salvatore Satta. pubblicata sulla TRECCANI.

L’amico Nicola Fressura, bonese, persona coltissima e gran conoscitore della lingua sarda, ha tradotto in sardo la “Voce” su Salvatore Satta, che ho scritto per la TRECCANI
SATTA, Sebastiano. – Est naschidu in Nuoro su 21 de maju de su 1867. Su babbu, nuoresu, Antonio, fit un’avvocadu connotu meda; sa mama, Raimonda Gungui de Mamujada, fit una femina pagu istudiada ma prena de una durchesa addolorida. Unu frade, Giuseppino, fit artu funzionariu in su Ministeriu de Grazia e Giustizia.

Su babbu fit mortu in Livorno, uhe fit andadu pro trabagliu, cando Satta haiat appenas lompidu chimbe annos. Restadu orfanu, haiat connotu su bisonzu e sas humiliaziones de sa povertade e sa mama haiat pesadu isse e su frade minore – haiat iscrittu a cua – «cun su fogu de su foghile chi fit pagu ‘e nudda».

In Nuoro Bastianu, comente lu giamaiant sos cumpanzos, haiat fattu sas elementares e su ginnasiu propiu in cuddu tempus chi fit alimentende sa gana de una vida e unu pensamentu diversos pustis de su tumultu de Su Connotu, capitadu in Nuoro su 26 de abrile de su 1868, cun sos rebelles chi haiant assaltadu su Munizipiu pedende de torrare a s’antigu sistema de gestione comunitaria de sos terrinos, eliminadu da s’edittu chi los haiant tancados a muru (1820) antis de s’abolizione de sos derettos de pasculu a cumone a cua, cun legge de su 23 de abrile de su 1865.

Pustis de custa ribellione, su parlamentare Giorgio Asproni haiat sollizitadu su guvernu italianu a avviare un’indagine subra sas cundiziones soziales e economicas de sa Sardigna, caratterizadas da su problema, torradu a biu, de sos bandidos, da s’emigrazione, da sa miseria e da sa malaria. In custa situazione fint bessidos in Nuoro parizzos poetas, giamados sos poetas de su Connotu, totus amigos corales de Satta.

Inter custos, Giovanni Antonio Murru, Pasquale Dessanai, Salvatore Rubeddu, chi haiant attaccadu, cun sa poesia populare issoro e in sardu, sas legges ingiustas chi haiant permissu a pagos privilegiados de s’impossessare de tancas mannas. In su clima de custu rinaschimentu locale si fint affirmados personazos che a Grazia Deledda e Francesco Ciusa, su menzus iscultore sardu, e cun issos Antonio Ballero e Giacinto Satta, pintores e romanzieris a su matessi tempus.

Finidu su ginnasiu, Satta fit andadu dae Nuoro a Tatari pro faghere su lizzeu, uhe a mastru de italianu teniat Giovanni Marradi, carduzzianu. Leada sa lissensia lizzeale haiat lassadu sos istudios pro faghere su sordadu in Bologna (1887-88). In ihe haiat iscrittu sa prima opera poetica, I versi ribelli, leende a modellu Carducci, pubblicada in Tatari su 1893. Finidu su sordadu fit torradu a Tatari uhe fit restadu finas a su 1894, istudiende in s’Universidade e laureendesi in legge. Sunt istados sos annos pius importantes de sa formazione sua, culturale, litteraria e ideologica, in unu logu briosu comente fit cudda zitade repubblicana e radicale, paris cun operadores culturales de valore che a Salvatore Farina, Enrico Costa, Luigi Falchi, Pompeo Calvia, Salvatore Ruju.

Haiat collaboradu cun su cuotidianu tataresu l’Isola, chi haiat fundadu isse etotu paris cun Gastone Chiesi e chi fit duradu pagu (da nadale de su 1893 a triulas de su 1894), ma haiat iscrittu puru in La Nuova Sardegna, Burchiello (unu settimanale goliardicu), in su periodicu tataresu Sardegna letteraria e in su casteddaiu Vita sarda. Sos iscrittos in prosa pro l’Isola fint firmados cun su pseudonimu Povero Jorik, chi teniat un’origine litteraria crara: infatti Povero Jorik est su buffone de su re in s’Amleto de Shakespeare.

De ammentare, paris cun sos cabucronacas ispidientosos, L’Intervista ai banditi, s’articulu pius connotu de issos, chi nd’haiant contadu ispantos e ch’haiat oltrepassadu sos confines de Sardigna e de Italia fit un’intervista a tres bandidos incainados (Francesco Derosas, Pietro Angius e Luigi Delogu). In summa, segundu una prospettiva culturale chi cheriat faghere connoschere sas cundiziones de sa Sardigna, abberrende s’isula a una visione intelletuale pius manna, collaboraiat a cuotidianos e periodicos, che Nuova Antologia, Giornale d’Italia, Il Resto del Carlino, Tempo e Italia del popolo.

De Satta giornalista hat iscrittu Salvatore Manconi: «Contaiat in manera naturale, coloraiat su pensamentu, fit un’artista de sa peraula. In sos iscrittos suos non s’agatat una volgaridade, finas brighende e beffende, fit unu segnore. Comente cronista no bi nd’haiat ateru. Sa cosigheddas pius de nudda li daiant s’occasione pro unu de cuddos cabucronacas, calchiunu in versos, chi l’aiant fattu connoschere e istimare in totu Tatari» (Albo sattiano, 1924, p. 47).

Su 1893 haiat pubblicadu un’atera silloge poetica, Nella terra dei Nuraghes (firmada cun Luigi Falchi e Pompeo Calvia), chi cunteniat otto liricas, duas in sardu: Su battizu e Sa ferrovia, de pagu valore artisticu, ma utiles pro cumprendere s’itinerariu ispirituale de su poeta. Finalmente, in su 1895 fit torradu a Nuoro, uhe fit istadu cussizeri comunale in su 1900-03. Dae su 1896 a su 1908 aiat trabagliadu comente avvocadu, «boghende fama de penalista mannu e de oradore brillante, benechistionadu, fogosu, timidu pro sas arringas suas, ca finas in sos fattos pius differentes resessiat a agattare sa nota umana» (Bonu, 1961, p. 534).

Su 1905 si fit cojuadu cun Clorinda Pattusi e haiant hapidu una prima fiza, Raimonda, giamada cun teneresa Biblina, morta pizzinnedda in su 1907 e ammentada in sos Canti dell’ombra cun unu lirismu triste e accoradu, moduladu in sas antigas monodias locales. In su 1908 fit naschidu su segundu fizu, chi l’haiat giamadu, a modu de provocazione, Vindice, chi hat passadu totu sa vida arribbende s’eredidade culturale e zivile de su babbu, antis de morrere in su 1984.

Su matessi annu a Satta li fit falada una paresi: “su gigante bonu”, “Pipieddu”, comente lu giamaiat, pro brulla, fit a terra, ma no haiat zessadu pro cussu de cumponnere versos, dittende sas poesias suas pius famosas chi fint intradas antis in Canti barbaricini (1909) e pustis in Canti del salto e della tanca (bessidos postumos in su 1924). Sos Canti barbaricini sunt naschidos cando Satta fit impignadu meda in Nuoro comente penalista. In sa Premessa, isse etotu los presentat gai: «Barbarizinos hapo cherfidu giamare custos cantos ca sunt accordos naschidos in Barbagia de Sardigna; e cando puru non zelebrant ispiritos e formas de cudda terra agreste e antiga, barbarizinos sunt in s’anima e barbarizinas tenent sas formas e sos modos. Le Selvagge, chi sunt su coro nieddu de su libru, ammentant sos urtimos annos de iscunfortu e de iscuru, cando sos cuiles fint boidos e terribiles e tragica sonaiant sas monodias de sas Atitadoras, e s’animu fit disamparadu e tribuladu dae disacatos e odios issellerados. Ah, su poeta hat bidu deabberu cussas mamas rundende peri sos montes, in chirca de sos fizos feridos in mortorzos e istrossas e hat bidu deabberu arende sa terra cun sos fusiles appicados a s’aradu! Ma sa notte si ch’est isparida e si sunt intesos sos cantos de s’albeschida» (Canti, 2003, p. 7).

Sos giudissios subra sas poesias de Satta fint differentes: da chi las dispregiaiat: «francu carchi liniamentu de poesia, su restu est retorica e imitazione» (Momigliano, 1924); a chi fit pius echilibradu: «Si rivelat dignu de rispettu, pro sa passione chi hat postu in s’isforzu sou de una poesia de su totu impignada; pro sa seriedade cun sa cale hat chircadu de risolvere su problema historicu, chi teniat addainnantis, de una litteradura, si poto narrere gai, sardonazionale» (Petronio, 1965, pp. 76 s.).

Pro sa chistione de sa limba sattiana, massimamente pro su chi appartennet a su sardu, est interessante e de cundividire custu giudissiu: «Su rapportu cun su sardu est costituidu da un’opera de adattamentu chi s’iscopu est una mistura espressiva trabagliosa: nde essit a pizu una proposta de limba poetica italiana intro de su cuntestu culturale e limbisticu regionale […]. S’operazione poetica de Satta est duncas pius ambiziosa e impignosa de cantu siat bessidu a pizu in su dibattidu chi s’est isviluppadu subra s’opera sua.

Si faghet rapresentante de una tradizione poetica regionale, siat a sa parte de sa tradizione in sardu, siat a sa parte de sa produzione in italianu, pro torrare a proponnere, cun una cussenzia pius ammaliziada e esperta e aberta e pius pagu suttamittida, un’esperienzia poetica chi ponzat in su matessi pianu sos valores de una realidade locale, discoidada e anzena. E sas ainas espressivas e tecnicas de una tradizione culta, in unu momentu uhe b’est sa tendenzia a dare boghe a sas culturas in creschida chi cumbattint e pretendent de tennere derettu a sa paraula in su cunzertu nazionale». (Canti, a cura de G. Pirodda, 1996, p. 15).

Satta est mortu in Nuoro su 29 de Sant’Andria de su 1914. L’hant interradu senza funerale religiosu ca haiat espressu sa volontade de non tennere nen preideros nen pregadorias cando si che fit mortu. Sas cronacas contant chi una zentamine de massajos, pastores e finas bandidos fit calada dae sos montes pro l’accumpanzare in s’urtimu reposu, ammentende s’amore sou pro s’uguaglianzia e su progressu soziale e sa passione chi teniat pro sa patria sarda. Satta fit connotu e istimadu meda da sa gente sua chi lu bidiat propiu comente unu ‘vate’, cantore de un’identidade sarda mitica e drammatica, fatta zirculare in abbundanzia in Europa da Grazia Deledda.

Sa Sardigna comente mundu primitivu, de incantu e agreste, lontanu in su tempus e in s’ispaziu. Una barbaridade amigale, in su coro incontaminadu de Europa, prena de passione e religiosidade, chi tantu haiat impressionadu David H. Lawrence, chi l’haiat descritta in Mare e Sardegna (Roma 2002). «ateros poetas sunt istados menzus de isse. A neune l’hant prantu de pius. Unu simbolu fit iscumparsu. Naschiat unu mitu» (Cossu, 1974, p. 3408).

Operas. Nella terra dei Nuraghes, Tatari 1893; Versi ribelli, Tatari 1893; Primo Maggio, Tatari 1896; Canti barbaricini, Casteddu 1909; Canti del Salto e della Tanca, Casteddu 1924; Poesie malnote, ignorate e disperse, Casteddu 1932; Canti «Canti barbaricini, Canti del Salto e della Tanca», Nuoro 2003. Fontes e Bibl.: A. Momigliano, Canti barbaricini, in Giornale d’Italia, 7 de austu de su 1924; Albo sattiano, Casteddu 1924; S. Satta, Canti, a cura de M. Ciusa Romagna, Milanu 1955; R. Bonu, Scrittori sardi, II, Tatari 1961, pp. 533-544; S. S. nel 50° anniversario della morte. Raccolta di manoscritti, documenti editi e inediti, Casteddu 1964; G. Petronio, S. S., Casteddu 1965; N. Cossu, in Letteratura italiana (Marzorati), I minori, IV, Milanu 1974, pp. 3403-3408; I Canti e altre poesie, a cura de F. Corda, Casteddu 1983; S. S.: dentro l’opera, dentro i giorni, Atti delle giornate di studio… 1985, a cura de U. Collu – A.M. Quaquhero, Nuoro 1988; A. Luce Lenzi, Canti barbaricini, Modena 1993; Canti, a cura de G. Pirodda, Nuoro 1996; D.H. Lawrence, Mare e Sardegna, Roma 2002; S. S., un canto di risarcimento, a cura de U. Collu, Nuoro 2015.