Archivi giornalieri: 9 febbraio 2023

Confisca mezzo trasporto rifiuti pericolosi: costituzionale?

Confisca mezzo trasporto rifiuti pericolosi: costituzionale?

Login

 
 

 

La Suprema Corte di Cassazione respinge dubbio di incostituzionalità sulla confisca di un mezzo che trasportava rifiuti pericolosi 
Sulla questione si è pronunciata La Suprema Corte di Cassazione con la recente sentenza 03/02/2023 n.4588.
A questo proposito il sequestro relativo alla confisca obbligatoria dell’autocarro utilizzato per il trasporto illecito di rifiuti pericolosi resta valido, nonostante l’imputato abbia provveduto a bonificare l’area adibita al carico.
La contravvenzione prevista dall’articolo 256 del Decreto Legislativo 152/2006 comporta, nella fase cautelare, la legittimità del sequestro destinato all’ablazione definitiva del mezzo.
Corte di Cassazione -sez. III pen.- sentenza n. 4588 del 3-02-2023

 

 
 

1. I fatti in causa

 

2. La decisione della Suprema Corte di Cassazione

 

Indice

1. I fatti in causa

La vicenda ha inizio quando il Tribunale del Riesame di Brindisi con Ordinanza 22/06/2022, ha respinto l’istanza proposta da parte dell’indagato, confermando il sequestro preventivo dell’autocarro di sua proprietà, contestandogli il reato di trasporto abusivo di rifiuti pericolosi (art. 256 D. Lgs. 152/2006).
L’uomo, attraverso il suo legale, ha deciso di proporre ricorso per Cassazione contro l’ordinanza sopra menzionata e deducendo un unico motivo.
In sintesi, si censura l’ordinanza impugnata perché non avrebbe fornito risposte esaurienti e concrete rispetto alle doglianze prospettate in sede di riesame, soprattutto in relazione all’inspiegabile e irragionevole comportamento del legislatore.
In particolare, la difesa si duole perché il legislatore ha previsto l’esclusione della confisca (ex art. 452-undecies, co. 4, c.p.) unicamente per i delitti più gravi inclusi nel Titolo VI-bis del codice penale, e non anche per le contravvenzioni contemplate nell’articolo 256 del Decreto Legislativo n. 152 del 2006, determinando un contrasto con l’articolo 3 e gli articoli 24 e 27 della Costituzione.
Sul punto, il Tribunale del Riesame, si è limitato a rilevare che il comma 4 dell’articolo 260-ter, del Decreto Legislativo n. 152 del 2006, prevede la confisca obbligatoria del mezzo di trasporto in caso di accertamento delle violazioni delle quali all’articolo 256, comma 1 del Decreto Legislativo n. 152 del 2006, aggiungendo che, preso atto che lo stesso Tribunale aveva rilevato che la procedura di caratterizzazione del rifiuto fosse ancora in corso, i Giudici del Riesame si dovevano limitare all’affermazione che spettava al giudice del merito pronunciarsi sull’applicabilità dell’articolo 452-undecies e, in caso di ritenuta inapplicabilità, pronunciarsi sulla fondatezza della questione di costituzionalità sollevata. 

 

2. La decisione della Suprema Corte di Cassazione

La Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza 03/02/2023 n. 4588, ha respinto il motivo di ricorso con il quale il ricorrente sosteneva che la propria attività di bonifica potesse essere causa di disapplicazione della confisca in base al dettato dell’articolo 452 undecies, comma 4, del codice penale e contestava l’applicazione dell’articolo 259 del testo unico dell’Ambiente che non considera l’impegno preso dal responsabile con la finalità di rispettare la confisca dell’autocarro.
Su questo punto l’uomo ha sollevato una questione di incostituzionalità delle norme del testo unico perché a suo dire potrebbero comportare delle conseguenze maggiori in caso di commissione di una delle contravvenzioni previste all’articolo 256, a fronte di una disciplina del codice penale che conterrebbe una forma di “perdono” per situazioni più gravi, come i delitti ambientali contemplati dall’articolo 452 undecies, che al suo comma 4 prevede l’eliminazione della confisca nei casi nei quali l’autore del reato faccia in modo di mettere in sicurezza, bonificare e ripristinare l’area oggetto dell’illecito.
Supremi Giudici, hanno rilevato in primo luogo che, in relazione al caso concreto, si è ancora nella fase cautelare e non si sono ancora conclusi gli esami tecnici per potere dare un preciso contorno alla situazione concreta e definire quali siano le possibili attività che possano riparare in modo definitivo il danno o anche esclusivamente il pericolo in relazione all’ambiente.
In modo particolare, si evidenzia che il sequestro dell’autocarro che trasportava rifiuti pericolosi è stato adottato a fini impeditivi.
Lo scopo della misura cautelare impeditiva non si concretizza nella confisca, anche se venga imposta da parte della legge, ma si concretizza nel fare in modo di evitare che si commetta altre volte stesso reato.
Di conseguenza, nel caso concreto la misura non è stata applicata con la finalità della confisca e l’imputato vista la stessa non poteva ottenere la restituzione del suo mezzo a meno che non fossero emersi altri vizi di legittimità della decisione cautelare.
La Suprema Corte ha concluso dichiarando inammissibile il ricorso e ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di tremila euro a favore della Cassa delle Ammende. 

Volume consigliato

Sequestri e confische

Aggiornata alla recente giurisprudenza, l’opera affronta le diverse misure di contrasto alla ricchezza illecita, con un taglio pratico-operativo utile al Professionista per comprendere l’ambito di applicazione dei sequestri e delle varie tipologie di confisca, tra cui quella disposta nell’ambito della criminalità organizzata di stampo mafioso.Una trattazione dettagliata è dedicata alle molteplici ipotesi di sequestro disciplinate dal codice di procedura penale, nell’ambito della quale si analizza la disciplina delle misure cautelari reali e del sequestro probatorio con riferimento sia ai profili sostanziali che a quelli processuali.Oggetto di un’ampia e articolata disamina è, poi, l’ipotesi classica di confisca, con riferimento alla quale si analizzano la confisca facoltativa e la confisca obbligatoria e si illustrano le problematiche relative all’applicazione di tale forma di ablazione nel procedimento di applicazione della pena concordata dalle parti (patteggiamento).Dalla fattispecie tradizionale di confisca si procede all’esame delle singole ipotesi di confisca speciale, analizzandone le criticità applicative e i possibili rimedi; il lavoro si conclude con un’approfondita analisi delle misure di prevenzione patrimoniali.L’intera opera si completa con la trattazione dei profili processuali, legati all’iter di applicazione della misura e ai mezzi di impugnazione.Luigi CaprielloAvvocato presso il foro di Reggio Calabria.

 

Luigi Capriello | Maggioli Editore 2020

56.05 €

Acquista

Tirocinio professione forense: anticipazione di un semestre

Tirocinio professione forense: anticipazione di un semestre

 

 

Il Consiglio Nazionale Forense e La Conferenza Nazionale dei Direttori di Giurisprudenza e Scienze Giuridiche, lo scorso 24 gennaio, hanno adottato una convenzione quadro per l’anticipazione di un semestre del tirocinio per l’accesso alla professione forense durante l’ultimo anno del corso di laurea in Giurisprudenza.
>>>Leggi la convenzione quadro<<<

1. La convenzione

 
 

1. La convenzione

 

2. Come si accede all’anticipazione?

 

3. Svolgimento del tirocinio

 

Indice

1. La convenzione

La convenzione è stata stipulata per la necessità di predisporre una cornice normativa che renda effettiva la previsione di cui all’articolo 41, comma 6, lettere a) e d), della legge 31 dicembre 2012, n. 247, ovvero la possibilità di svolgere il tirocinio “per non più di sei mesi, in concomitanza con il corso di studio per il conseguimento della laurea, dagli studenti regolarmente iscritti all’ultimo anno del corso di studio per il conseguimento del diploma di laurea in giurisprudenza nel caso previsto dall’articolo 40.”.
Il citato art.40 prevede la possibilità per i consigli dell’ordine degli avvocati di stipulare convenzioni con le università per la disciplina dei rapporti reciproci, con la previsione che “Il CNF e la Conferenza dei presidi delle facoltà di giurisprudenza promuovono (…) la piena collaborazione tra le facoltà di giurisprudenza e gli ordini forensi”.

Potrebbero interessarti anche

2. Come si accede all’anticipazione?

Possono richiedere l’anticipazione di un semestre di tirocinio prima del conseguimento del diploma di laurea gli studenti che rispondano ai seguenti requisiti:

  • Essere in regola con gli esami dei primi quattro anni di corso
  • Avere ottenuto crediti nei settori:
    • Diritto privato (IUS/01);
    • Diritto processuale civile (IUS/15);
    • Diritto penale (IUS/17);
    • Diritto processuale penale (IUS/16);
    • Diritto amministrativo (IUS/10);
    • Diritto costituzionale (IUS/08);
    • Diritto dell’Unione europea (IUS/14)

La domanda di iscrizione al registro dei praticanti dev’essere presentata al Consiglio dell’Ordine corredata da:

  • Autocertificazione di possesso dei requisiti già citati e di quelli richiesti all’articolo 17 comma 1, lettere a), d), e), f), g) ed h) della legge, ovvero: essere cittadino italiano o di Stato appartenente all’Unione europea, salvo quanto previsto dal comma 2 per gli stranieri cittadini di uno Stato non appartenente all’Unione europea; godere del pieno esercizio dei diritti civili; non trovarsi in una delle condizioni di incompatibilità di cui all’articolo 18; non essere sottoposto ad esecuzione di pene detentive, di misure cautelari o interdittive; non avere riportato condanne per i reati di cui all’articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale e per quelli previsti dagli articoli 372, 373, 374, 374 bis, 377, 377 bis, 380e 381 del codice penale; essere di condotta irreprensibile secondo i canoni previsti dal codice deontologico forense.
  • Indicazione del nominativo del professionista presso il quale si svolgerà il tirocinio.
  • Indicazione del tutor accademico, indicato dal Preside o Direttore delle strutture in cui è attivo il corso di Giurisprudenza, e scelto tra i docenti o tra gli assegnisti di ricerca afferenti alle strutture medesime, nel caso in cui si sia in presenza di Convenzioni specifiche.
  • Un progetto formativo comprendente obiettivi e tipologie di attività prevalente, sottoscritto dal Presidente del Consiglio dell’Ordine, dal professionista presso il quale si svolgerà il tirocinio, dal tutor accademico e dal Preside o Direttore delle strutture in cui è attivo il corso di Giurisprudenza.

Sarà compito poi del Consiglio dell’Ordine quello di deliberare sulla domanda.

 

3. Svolgimento del tirocinio

Durante lo svolgimento del tirocinio, devono essere garantite la proficua prosecuzione del corso di studi e l’effettiva frequenza dello studio professionale per almeno 12 alla settimana, secondo gli obiettivi e le attività previste dal progetto formativo. Dal momento che le ore sono ridotte, il numero delle udienze cui il tirocinante deve assistere può essere ridotto da 20 a 12. Lo studente non sarà comunque esentato dalla frequenza obbligatoria.
Il tutor accademico vigila sull’andamento del semestre attraverso colloqui con lo studente, almeno ogni trenta giorni. Il professionista presso cui si svolge il tirocinio garantisce, sotto la vigilanza del Consiglio dell’Ordine, l’effettivo carattere formativo del tirocinio“privilegiando il coinvolgimento nell’assistenza alle udienze, nella redazione degli atti e nelle ricerche funzionali allo studio delle controversie”.
Nel caso di Convenzioni specifiche, il professionista e il tutor accademico, possono essere individuate specifiche materie o questioni sulle quali lo studente tirocinante potrà effettuare approfondimenti e ricerche, anche ai fini della tesi di laurea.
Nei casi in cui lo studente non si laurei in giurisprudenza entro i due anni successivi alla durata legale del corso, può chiedere la sospensione del tirocinio per un periodo massimo di sei mesi, dopodiché, se non riprende il tirocinio, è cancellato dal registro dei praticanti, e il periodo di tirocinio compiuto rimane privo di effetti. Quest’ultima conseguenza si verificherà anche quando il praticante, pur essendosi laureato, non provveda, entro sessanta giorni, a confermare l’iscrizione al registro dei praticanti.
Al termine del semestre anticipato di tirocinio, lo studente dovrà redigere una relazione finale dettagliata sulle attività svolte, sottoscritta dal professionista e dal tutor accademico, che deposita presso il Consiglio dell’Ordine. Quest’ultimo, sulla base delle verifiche svolte, rilascerà poi allo studente tirocinante un attestato di compiuto tirocinio semestrale.

Monitoraggio nazionale: pendenze civili e penali in calo

Monitoraggio nazionale: pendenze civili e penali in calo

 
LB
Login

 

 
 

 

Il Ministero della Giustizia ha reso noti i dati del Monitoraggio nazionale sull’andamento dei procedimenti pendenti civili e penali e dell’arretrato civile del terzo trimestre dell’anno 2022: trend in miglioramento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.

 

 
 

1. Il trend registrato nel terzo trimestre 2022

 

2. Cosa è il monitoraggio trimestrale

 

Indice

1. Il trend registrato nel terzo trimestre 2022

Il Monitoraggio nazionale sull’andamento dei procedimenti pendenti civili e penali e dell’arretrato civile, elaborato trimestralmente dal Ministero della Giustizia, per i mesi ottobre-novembre-dicembre del 2022 ha evidenziato un miglioramento rispetto alla fine del 2021:

  • nel settore civile le pendenze totali si riducono del 5,2%, portandosi al di sotto dei 3 milioni per la prima volta dal 2003;
  • nel settore penale la riduzione delle pendenze è del 9,7%, ma ci si attesta al 5,5% se si escludono i procedimenti dinanzi al giudice di pace, riportando i valori assoluti su livelli non dissimili da quelli del 2005.

Pertanto, nell’area civile i dati più significativi risultano i seguenti:

  • Pendenti finali area SIECIC (Totale nazionale delle esecuzioni e dei fallimenti) 391.040 -6,8%;
  • Pendenti finali di area SICID (Contenzioso, lavoro, famiglia e volontaria giurisdizione) 2.495.895 -5,0%;
  • Pendenti finali totali (Totale SICID + SIECIC, al netto di Giudice tutelare, ATP e Verbalizzazione di dichiarazione giurata) 2.886.935, con una variazione registrata rispetto al periodo precedente relativo al 2021, del – 5,2%;
  • Ultra-annuali in Cassazione 76.653;
  • Peso % della materia tributaria sull’arretrato della Cassazione 46%;
  • Ultra-biennali in Corte di Appello 73.134;           
  • Ultra-triennali in Tribunale 315.904.

Area penale:

  • Cassazione 22.722;                                                                   
  • Corte di appello 251.953;
  • Tribunale ordinario 1.066.364;
  • Tribunale per i minorenni 42.111;
  • Pendenti finali totale nazionale escluso Giudici di pace 1.383.150;
  • Variazione vs anno precedente  -5,5%;
  • Giudici di pace 89.435;Pendenti finali totale nazionale incluso Giudici di Pace 1.472.585;
  • Variazione vs anno precedente -9,7%.

Potrebbe interessarti anche: Giustizia: la Relazione sullo stato dell’abbattimento dell’arretrato

 

2. Cosa è il monitoraggio trimestrale

Il monitoraggio fornisce ogni trimestre informazioni in ambito nazionale circa l’andamento dei procedimenti pendenti civili e penali e dell’arretrato civile. Le statistiche sulle pendenze quantificano il numero di procedimenti aperti alla fine del periodo, mentre quelle sull’arretrato rilevano i procedimenti che, alla data di riferimento, non sono stati risolti entro i termini di ragionevole durata previsti dalla legge (cosiddetti procedimenti “a rischio Pinto”):

  • 3 anni per i procedimenti in primo grado;
  • 2 anni per i procedimenti in appello;
  • 1 anno per i procedimenti in Cassazione.

Ufficio Studi AGI: vademecum sulla riforma del rito lavoro

DIRITTO DEL LAVORO

Ufficio Studi AGI: vademecum sulla riforma del rito lavoro

 
LB
Login

 
 
 

 
 
Ufficio Studi AGI: vademecum sulla riforma del rito lavoro

 
 
00:00

 

L’AGI ha reso noto, attraverso il proprio portale istituzionale, un testo dove viene analizzata la riforma del processo civile per gli aspetti giuslavoristici, in vista dell’entrata in vigore delle nuove norme della riforma Cartabia.
>>>Leggi l’analisi AGI<<<

1. Giustizia alternativa e controversie di lavoro

 
 

1. Giustizia alternativa e controversie di lavoro

 

2. Semplificazione, speditezza e razionalizzazione del processo del lavoro

 

3. La domanda di nullità del licenziamento discriminatorio

 

4. Gli strumenti a garanzia della maggior speditezza del processo

 

5. Il regime intertemporale della riforma

 

Indice

1. Giustizia alternativa e controversie di lavoro

L’art. 9, c. 1, lettera d), d.lgs. n. 149/2022 ha introdotto l’art. 2-ter d.l. n. 132/2014, che legittima, nell’ambito delle controversie di cui all’art. 409 c.p.c., il ricorso alla negoziazione assistita, prevedendo l’assistenza eventuale di un consulente del lavoro. All’accordo raggiunto in tale sede si applica l’art. 2113, c. 4 c.c. L’intervento riformatore legittima l’avvocato a gestire l’intero procedimento stragiudiziale, che non costituisce comunque condizione di procedibilità dell’eventuale domanda giudiziale.

2. Semplificazione, speditezza e razionalizzazione del processo del lavoro

Il legislatore è intervenuto, direttamente, sulla disciplina speciale solo attraverso un limitato numero di disposizioni (art. 3, c. 30-32, d.lgs. 149/2022) affidando, per il resto, il raggiungimento degli obiettivi di semplificazione, speditezza e razionalizzazione alle modifiche relative al rito ordinario di cognizione, la cui applicazione al processo del lavoro è rimessa al limite della compatibilità.

Potrebbero interessarti anche

3. La domanda di nullità del licenziamento discriminatorio

L’art. 441- quater c.p.c. legittima il lavoratore a introdurre la domanda di nullità del recesso con i riti speciali ex art. 38 d.lgs. n. 198/2006 ed ex art. 28 d.lgs. n. 150/2011, se lo stesso decida di non preferire le garanzie del giudizio a cognizione piena ex art. 409 ss. c.p.c. Per evitare la duplicazione dei giudizi, il legislatore ha previsto che l’introduzione della domanda relativa alla nullità del licenziamento e alle sue conseguenze, nell’una o nell’altra forma, precluda di agire successivamente in giudizio con rito diverso per quella stessa domanda.

 

4. Gli strumenti a garanzia della maggior speditezza del processo

Circa l’implementazione degli strumenti, anche informatici, per l’organizzazione e lo svolgimento del processo civile, peculiare attenzione meritano, con riferimento al rito del lavoro, le novità introdotte dall’art. 3, c. 10 d.lgs. n. 149/2022: tramite tale disposizione, il legislatore ha modificato l’art. 127 c.p.c., che ora si compone di un ulteriore comma, e ha introdotto l’art 127-bis c.p.c., rubricato: “Udienza mediante collegamenti audiovisivi”, e l’art. 127-ter c.p.c., rubricato: “Deposito di note scritte in sostituzione dell’udienza”. La novella ha così reso strutturali le scelte introdotte dal legislatore durante l’emergenza pandemica, legittimando il giudice a poter ordinare che l’udienza si svolga mediante collegamenti audiovisivi a distanza ovvero sia sostituita dal deposito di note scritte. Sul documento AGI si evidenzia che l’attenzione va posta al rapporto tra gli artt. 127-bis e 127-ter c.p.c. e l’art. 420 c.p.c., giacché il processo del lavoro è improntato al principio di oralità e, dalla formulazione delle disposizioni, la determinazione delle modalità di svolgimento dell’udienza appare affidata alla discrezionalità del giudice, ex art. 127 c.p.c., senza escludere che detta determinazione necessiti di essere adeguatamente motivata, in considerazione del rapporto di accessorietà che si ritiene esista tra le nuove modalità di svolgimento dell’udienza e la modalità ordinaria in presenza.

5. Il regime intertemporale della riforma

L’art. 35, comma 1, d.lgs. n. 149/2022, modificato dalla legge di bilancio 2023, dispone che la novella del processo civile entrerà in vigore a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applicherà ai procedimenti instaurati successivamente a tale data, salvo quanto diversamente disposto ai commi 2-10 del medesimo articolo:

  • le disposizioni di cui agli artt. 127, comma 3, 127-bis, 127-ter, 193, comma 2, c.p.c. hanno effetto a decorrere dal 1° gennaio 2023, trovando applicazione ai procedimenti civili che, a tale data, sono pendenti davanti al giudice di pace, al tribunale ordinario, alla corte di appello e alla Corte di cassazione;
  • le nuove disposizioni relative alle impugnazioni in generale e al giudizio di appello trovano applicazione alle impugnazioni proposte successivamente al 28 febbraio 2023;
  • le nuove norme sul ricorso per Cassazione trovano applicazione ai giudizi introdotti con ricorso notificato a decorrere dal 1° gennaio 2023, eccezion fatta per gli artt. 372, 375, 376, 377, 378, 379, 380, 380-bis, 380-bis.1, 380-ter, 390 e 391-bis c.p.c. che si applicano ai giudizi introdotti con ricorso già notificato alla data del 1° gennaio 2023, ma per i quali non è stata ancora fissata udienza o adunanza in camera di consiglio;
  • le disposizioni relative al procedimento di rinvio pregiudiziale alla Corte di Cassazione si applicano ai procedimenti di merito pendenti alla data del 1° gennaio 2023.

Volume consigliato

La Riforma Cartabia della giustizia civile

Aggiornata ai decreti attuativi pubblicati il 17 ottobre 2022, la presente opera, che si pone nell’immediatezza di questa varata “rivoluzione”, ha la finalità di spiegare, orientare e far riflettere sulla introduzione delle “nuove” possibilità della giustizia civile. Analizzando tutti i punti toccati dalla riforma, il volume tratta delle ricadute pratiche che si avranno con l’introduzione delle nuove disposizioni in materia di strumenti alternativi di risoluzione delle controversie, nonché di processo di cognizione e impugnazioni, con uno sguardo particolare al processo di famiglia, quale settore particolarmente inciso dalle novità. Un focus è riservato anche al processo del lavoro, quale rito speciale e alle nuove applicazioni della mediazione e della negoziazione assistita, che il Legislatore pare voler nuovamente caldeggiare. Francesca SassanoAvvocato, è stata cultrice di diritto processuale penale presso l’Università degli studi di Bari. Ha svolto incarichi di docenza in numerosi corsi di formazione ed è legale accreditato presso enti pubblici e istituti di credito. Ha pubblicato: “La nuova disciplina sulla collaborazione di giustizia”; “Fiabe scritte da Giuristi”; “Il gratuito patrocinio”; “Le trattative prefallimentari”; “La tutela dell’incapace e l’amministrazione di sostegno”; “La tutela dei diritti della personalità”; “Manuale pratico per la protezione dell’incapace”; “Manuale pratico dell’esecuzione mobiliare e immobiliare”; “Manuale pratico delle notificazioni”; “Manuale pratico dell’amministrazione di sostegno”; “Notifiche telematiche. Problemi e soluzioni”.

 

Francesca Sassano | Maggioli Editore 2022

20.90 €

Acquista

E-book consigliato

Fasi applicative della Riforma civile Cartabia – eBook in pdf

Il legislatore ha previsto diverse tappe per l’entrata in vigore della c.d. Riforma Cartabia del processo civile. Non sempre è agevole per il professionista avere una cognizione chiara e complessiva delle date in cui le singole novità devono trovare applicazione. Il presente testo vuole rappresentare uno strumento di facile consultazione che riassume, per ogni singolo articolo interessato dalla riforma, le disposizioni per l’applicazione. Nella presente tabella sono riportati gli articoli del codice di procedura civile e delle relative disposizioni di attuazione, come, da ultimo, modificati, sostituiti e/o aggiunti dal D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 (Attuazione della legge 26 novembre 2021, n. 206, recante delega al Governo per l’efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie nonché in materia di esecuzione forzata), a sua volta modificato dalla L. 29 dicembre 2022, n. 197 (Legge di bilancio 2023). Sono altresì riportate alcune norme modificate dal D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 151 (Norme sull’ufficio per il processo in attuazione della legge 26 novembre 2021, n. 206, e della legge 27 settembre 2021, n. 134). In particolare:– nella colonna di sinistra è riportato il testo dell’articolo e/o la rubrica della sezione, del capo o del titolo eventualmente modificato, sostituito o aggiunto dalla riforma;– nella colonna di destra è riportata l’indicazione puntuale dell’entrata in vigore di ciascuna norma ed eventualmente ulteriori specificazioni di carattere transitorio. Luigi TramontanoGiurista, già docente a contratto presso la Scuola di Polizia economico-finanziaria della Guardia di Finanza, è autore di numerosissime pubblicazioni giuridiche ed esperto di tecnica legislativa; curatore di prestigiose banche dati legislative e commentari e direttore scientifico di corsi accreditati di preparazione per l’esame di abilitazione alla professione forense.

 

Luigi Tramontano | Maggioli Editore 2023

12.67 €

Acquista

Opzione donna 2023: al via le istanze all’INPS

 
 

 
 

Opzione donna 2023: al via le istanze all’INPS

 
 
00:00

 

L’INPS, tramite il Messaggio del I° febbraio 2023, ha reso nota la possibilità di inoltrare le istanze finalizzate alla fruizione della pensione anticipata Opzione donna, purché in linea con i requisiti e le condizioni dettate dalla legge di Bilancio 2023. Con lo stesso documento l’INPS ha illustrato le modalità di presentazione delle domande, rinviando a un’ulteriore e prossima circolare per maggiori dettagli.

1. Il trattamento anticipato della pensione

 
 

1. Il trattamento anticipato della pensione

 

2. La disciplina

 

3. Opzione donna nel 2023: domande

 

Indice

1. Il trattamento anticipato della pensione

Opzione donna è una misura di accesso anticipato al trattamento pensionistico, che vede come destinatarie le lavoratrici dipendenti o autonome in possesso di alcuni requisiti anagrafici e contributivi, a condizione che optino per il sistema di calcolo contributivo integrale.

Potrebbero interessarti anche

2. La disciplina

L’art. 16 del d.l. n. 4/19, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 26/19, ha riconosciuto, per l’anno 2022, il diritto ad accedere a Opzione donna, alle lavoratrici che avessero maturato un’anzianità contributiva pari o maggiore a 35 anni e un’età anagrafica pari o maggiore a 58 anni per le lavoratrici dipendenti, nonché a 59 anni per le lavoratrici autonome, entro la data del 31 dicembre 2021 (art. 1, c. 94, l. n. 234/21). In seguito, la legge di Bilancio per l’anno 2023 (art. 1, c. 292, l. n. 197/22) ha novellato il predetto art. 16, inserendovi il c. 1bis, tramite cui si amplia la possibilità di accedere a Opzione donna in favore delle lavoratrici che abbiano maturato i requisiti entro la data del 31 dicembre 2022, al contempo contemplando ulteriori requisiti che restringono, per l’anno 2023, le potenziali beneficiarie di Opzione Donna.
Requisiti da possedere entro la data del 31 dicembre 2022.

  • Anzianità contributiva: almeno 35 anni
  • Età anagrafica: almeno 60 anni per lavoratrici dipendenti e autonome, ridotta di un anno per ogni figlio e nel limite di 2 anni; almeno 58 anni per le lavoratrici licenziate o dipendenti di imprese in crisi, a prescindere dal numero di figli.
  • Ulteriori requisiti da possedere in modo alternativo:
    • lavoratrici caregivers che assistono da almeno 6 mesi il coniuge ovvero un parente di primo grado convivente con handicap grave, o un parente oppure un affine di secondo grado convivente se i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto 70 anni ovvero siano anch’essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti;
    • lavoratrici con disabilità che abbiano una riduzione della capacità lavorativa uguale o superiore al 74% (accertata dalle competenti commissioni per il riconoscimento dell’invalidità civile);
    • lavoratrici licenziate o dipendenti di imprese in crisi per le quali è attivo un tavolo di confronto per la gestione della crisi aziendale presso la struttura per la crisi d’impresa di cui all’art. 1, c. 852, l. n. 296/06.

L’accesso a Opzione donna, nell’anno 2023, è consentito pure alle lavoratrici che hanno maturato, entro la data del 31 dicembre 2021, un’anzianità contributiva di almeno 35 anni e un’età anagrafica di almeno 58 anni per le lavoratrici dipendenti o 59 anni in ipotesi di lavoratrici autonome.

 

3. Opzione donna nel 2023: domande

Le donne lavoratrici che hanno maturato i requisiti sopra riportati entro la data del 31 dicembre 2022 hanno la possibilità di presentare all’INPS l’istanza di pensione anticipata denominata Opzione donna secondo le istruzioni riportate nel Messaggio INPS del I febbraio 2023:

  • tramite il portale istituzionale INPS, mediante SPID di Livello 2, Carta Nazionale dei Servizi o Carta di identità elettronica 3.0, seguendo il percorso: “Prestazioni e servizi” > “Servizi” > “Pensione anticipata “Opzione donna” – Domanda”;
  • rivolgendosi al Patronato;
  • telefonando al Contact Center Integrato dell’INPS.

L’INPS, sempre attraverso il messaggio n. 467 del I° febbraio 2023, ha indicato che la pensione viene individuata dal seguente nuovo prodotto: “Pensione Anticipata opzione donna legge di bilancio 2023” – Gruppo: Anzianità/Anticipata/Vecchiaia – Sottogruppo: Pensione di anzianità/anticipata – Tipo: Opzione donna legge di bilancio 2023 – Tipologia: a) Lavoratrici Disoccupate – b) Lavoratrici che assistono persone con handicap in situazione di gravità ai sensi dell’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio1992, n. 104 – c) Lavoratrici con riconoscimento invalidità civile di grado almeno pari al 74%.

Attacco hacker in Italia e nel mondo: perché è grave

 
Login

 
 
 

 
 
Attacco hacker in Italia e nel mondo: perché è grave

 
 
00:00

 

Appena una settimana dopo il down di Libero Mail, che ha causato disservizi a decine di migliaia di persone, che per diversi giorni non hanno avuto la disponibilità della propria e-mail, tanto da fare ipotizzare massicce richieste di risarcimento danni (ne abbiamo parlato qui), nella giornata di domenica 5 febbraio su tutti i quotidiani nazionali, le testate web e persino i TG nazionali è rimbalzata la notizia che decine di server e siti italiani e migliaia nel mondo sono fuori servizio a causa di un attacco hacker globale attraverso un ransomware.
La segnalazione è stata data dall’Agenzia per la Cybersicurezza nazionale tramite il proprio CSIRT (Compter Security Incident Response Team) e prima ancora dalla Francia, da dove pare che l’attacco sia partito, per poi propagarsi in Italia, Europa e Nord America.
Il bersaglio principale sono stati i server VMWare ESXi, un software utilizzato per la virtualizzazione dalle aziende e la conseguenza ed il pericolo principale è la possibile indisponibilità, nelle prossime ore, di siti e servizi pubblici o privati, anche essenziali.

 

 
 

1. Il fatto

 

2. Il malware diffuso

 

3. La gravità dell’attacco

 

4. Formazione sulla cybersicurezza

 

Indice

1. Il fatto

La notizia dell’attacco è stata preceduta da un generalizzato e diffuso down della rete Tim, con il quale, tuttavia, al momento non parrebbero risultare collegamenti. L’Agenzia per la Cybersicurezza nazionale ha diffuso la notizia nelle prime ore del pomeriggio, affermando di aver censito diverse decine di sistemi italiani verosimilmente compromessi, e messo in allarme diversi soggetti i cui sistemi potrebbero risultare esposti, ma non ancora compromessi, ma di questi ultimi non è stato possibile arrivare da un censimento completo.
L’attacco è stato diffuso tramite ransomware, un software malevolo che entra nei sistemi attraverso un link infetto o una e-mail di phishing per poi criptare i dati ivi esistenti e chiedere un riscatto (ransom, in inglese).
I sistemi di virtualizzazione di VMWare ESXi sono molto diffusi ed utilizzati da aziende private in ogni settore, dunque gli impatti, che potrebbero potenzialmente estendersi a tutti i servizi erogati anche da infrastrutture critiche che si servono dei server colpiti potrebbero essere dirompenti: pensiamo ad esempio al settore bancario o a quello sanitario, dove mettere fuori uso i servizi che si basano sulla rete potrebbe voler dire mettere in pericolo la vita di migliaia di persone.  
Occorre tenere presente che i sistemi di virtualizzazione sono alla base della maggior parte dei sistemi informativi aziendali, per cui compromettere il sistema a monte vuol dire, in pratica, bypassare le protezioni degli applicativi nella maggior parte dei servizi aziendali a valle (cioè quelli che utilizzano i server di virtualizzazione), entrando nei sistemi direttamente dalla porta principale: un data breach davvero di dimensioni enormi.
Si stima che alla fine della giornata di domenica 5 febbraio siano stati 640 i server globali compromessi (ma su qualche giornale online si leggono numeri più alti, che superano già il migliaio) e almeno 5 in Italia, ma vista la diffusione del software di virtualizzazione colpito è possibile che il danno aumenti nelle prossime ore.

2. Il malware diffuso

La vulnerabilità segnalata durante questo attacco è del 2021, che in informatica equivale a dire che risale al tempo dei dinosauri. Si tratterebbe del noto ransomware CryproLocker, anche se si parla di famiglia nuova di ransomware, che permettono di prendere il controllo totale del sistema attaccato.
Che cosa sono i ransomware?
Di questo tipo di attacco informatico abbiamo parlato diffusamente (trovate la guida completa ai ransomware qui), ricordiamo i tratti principali. Si tratta di malware (programmi infetti), che rendono inaccessibili i dati in un computer con una chiave di criptazione al fine di richiedere il pagamento di un riscatto per riottenerne la disponibilità. Si tratta di attacchi che hanno il solo scopo estorsivo, poiché i dati non lasciano il computer, non vengono cancellati e non sempre vi è esfiltrazione (al momento pare che in questo caso non ci sia stata), ovvero non vengono diffusi. Semplicemente sono sulla macchina del proprietario o del titolare, ma è come se fossero chiusi in una cassaforte di cui solo il cyber criminale possiede la chiave.
Poiché i dati possono essere criptati un numero innumerevole di volte, avere già il proprio data base o server criptato, di fatto non protegge da un attacco ransomware, ma solo da possibili esfiltrazioni dei dati oggetto di sequestro, in quanto il ransomware può a sua volta re-criptare i dati già criptati con una chiave diversa.
Per ottenere la chiave di decriptazione, di solito viene richiesto un pagamento, parametrato non solo alle dimensioni del data base sequestrato, ma anche alla consistenza del fatturato aziendale, da effettuarsi in criptovalute, seguendo specifiche istruzioni fornite dai criminali stessi.
Come affrontare il problema
Il primo consiglio diramato dagli esperti di cybersicurezza in tutto il mondo è stato quello di “patchare” immediatamente. Che cosa significa?
In inglese “patch” vuol dire cerotto, quindi il consiglio è, letteralmente, quello di “metterci una pezza”. In gergo di cybersecurity una patch è una toppa ad una falla di sicurezza. Naturalmente il problema degli attacchi di successo è proprio quello che di solito la patch non c’è, perché gli attacchi sfruttano vulnerabilità non ancora patchate, ma, e qui sta il tratto preoccupante e grave di questo attacco, le versioni attaccate del software da cui tutto è partito erano già state corrette dall’azienda produttrice di VMware ESXi.  
Dunque, aggiornare i sistemi operativi e porre in essere tutte le best practice per la sicurezza della rete, successivamente effettuando una scansione di tutti i sistemi non ancora aggiornati.

 

3. La gravità dell’attacco

Le conseguenze definitive di questo attacco si vedranno nei prossimi giorni e forse addirittura settimane, ma una prima stima ci può portare a fare alcune riflessioni.
Innanzi tutto, l’estrema diffusione del software di virtualizzazione bersaglio dell’attacco costituisce ovviamente un problema, poiché è come inquinare la fonte di una sorgente d’acqua che va poi a rifornire i bacini idrici di milioni di persone nel mondo: massima diffusione, massimo impatto. Dunque, chi ha realizzato l’attacco ha scelto bene il suo bersaglio.
Ma da un punto di vista squisitamente informatico, il fatto che l’attacco si basi su una vulnerabilità già conosciuta e quindi già “patchata” costituisce il vero punto critico di quanto sta accadendo in queste ore.
Nell’eterna lotta tra sviluppatori e cybercriminali, vince la battaglia quello che sta almeno un passo davanti all’altro. Trovata la vulnerabilità, trovata la patch e c’è da sperare che qualcosa o qualcuno non si insinui nel sistema nel lasso di tempo che lo sviluppatore ci impiega a mettere la pezza.
Aggiornare i sistemi operativi costituisce la base di qualsiasi strategia di cybersecurity che si rispetti e non abilitare gli aggiornamenti automatici o addirittura disabilitarli (questo a volte succede perché gli aggiornamenti operativi possono impattare sull’operatività del programma. Per lo stesso motivo, quando il nostro smartphone ci propone un aggiornamento, non sempre siamo celeri nell’installarlo) aumenta esponenzialmente il rischio.
In questo caso, la correzione della vulnerabilità è stata pubblicata due anni fa, che in campo tecnico equivale a un’era geologica.
A fronte di un crescente numero di attacchi a livello globale e dell’esistenza di buone prassi consolidate, con soluzioni adatte a ridurre i rischi, per troppe aziende l’attenzione ed il budget dedicato alla sicurezza dei dati e dei sistemi informativi rimane ancora qualcosa di secondario, un vezzo da smanettoni e complottisti, per cui non vale la pena di adoperarsi troppo.
Purtroppo, le conseguenze non tardano ad arrivare.
Rimanere vigili e proattivi, formare il personale e aumentare il grado di consapevolezza e prevenzione e adottare le buone prassi consigliate dall’Agenzia per la Cybersicurezza nazionale sono le uniche vere armi che abbiamo per proteggere le nostre aziende, i servizi critici al servizio di tutti i cittadini e in una parola noi stessi.
Ma sembra che ci sia ancora moltissima strada da fare. 

4. Formazione sulla cybersicurezza

Il disegno di legge sull’autonomia differenziata

Il disegno di legge sull’autonomia differenziata

 
Login

 

 
 
 

 
 

Il disegno di legge sull’autonomia differenziata

 
 
00:00

 

Dopo un ampio dibattito il governo ha predisposto la bozza definitiva della riforma sull’autonomia differenziata, che, benché sia espressamente prevista dagli articoli 116 e 117 della Costituzione, ha provocato forti tensioni, soprattutto da parte dei governatori e dei Sindaci di varie Regioni, in particolare per quanto riguarda la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni che potrebbero determinare delle sperequazioni tra le regioni del nord e quelle del sud Italia e presentare profili di illegittimità costituzionali.

1. Il quadro costituzionale

 
 

1. Il quadro costituzionale

 

2. Il disegno di legge sull’autonomia differenziata

 

3. Conclusioni

 

Indice

1. Il quadro costituzionale

Un’analisi del disegno di legge in questione non può prescindere dall’esame del nostro quadro costituzionale. In particolare l’art.117, come modificato dall’art. 3 della legge costituzionale n. 3/2001, dispone che la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali e poi indica le materie in cui lo Stato ha una legislazione esclusiva e quelle in cui ha una legislazione concorrente con le Regioni.[1]
Poichè anche le Regioni sono titolari della potestà legislativa (c.d. autonomia normativa) la disposizione si preoccupa di ripartire le competenze tra di esse e lo Stato in base alle materie che possono esserne oggetto.
La riforma del 2001, che tra l’altro è stata proposta da un governo di centro-sinistra, ha riguardato varie disposizioni del titolo V e le modifiche apportate sono state incisive. Un cambiamento sostanziale si è avuto nella stessa formulazione della disposizione.
In passato, infatti, il criterio di riparto delle competenze legislative era di tipo separatista, nel senso che era prevista un’elencazione di quelle regionali e la competenza residuale veniva attribuita allo Stato. Prima della riforma, infatti, non erano indicate quali fossero le materie in cui le Regioni potevano legiferare, comunque nel rispetto sia dei principi di cui alla legge nazionale sia dell’interesse statale e delle altre Regioni. Attualmente il criterio di riparto è stato ribaltato e sono indicate tassativamente le materie di competenza esclusiva statale e concorrente, mentre quelle che non vi rientrino spettano alla potestà regionale.[2]
Pertanto, con la riforma del 2001, il legislatore ha accomunato sotto i medesimi limiti tanto la potestà legislativa statale che quella regionale.[3] Si deve, quindi, ritenere che la disposizione in esame vada a modificare la stessa potestà legislativa in relazione al suo possibile contenuto.[4]
La circostanza che alcune materie siano di competenza esclusiva statale si deve al fatto che esse toccano valori che coinvolgono l’intera comunità. Esse, per la loro importanza, vengono consegnate dallo Stato centrale alla cura di soggetti indipendenti.
Invece, le materie di legislazione concorrente elencate dall’art. 117 Costituzione possono essere oggetto di apposita disciplina, come previsto dal disegno di legge di cui trattasi, ma anche essere desunte dalle leggi già esistenti, secondo quanto ha stabilito la legge 5 giugno 2003, n. 131. Con tale normativa lo stesso Parlamento ha delegato il Governo ad individuare i principi già vigenti, anche allo scopo di evitare un vuoto legislativo nell’attesa di una loro concreta definizione da parte del legislatore. Peraltro, l’elenco delle materie concorrenti non è stato esente da critiche perché include ambiti che secondo alcuni dovevano essere riservati allo Stato al fine di garantire una regolamentazione uniforme. La stessa Corte Costituzionale ha perseguito questo scopo sia consentendo allo Stato di richiamare a sé funzioni legislative in applicazione del principio di sussidiarietà, sia stabilendo che i principi di base potevano essere più ampi del normale.
Inoltre, la norma ripartisce la potestà regolamentare tra i vari livelli di governo. Infatti, ai sensi del comma 6, la potestà regolamentare spetta allo Stato nelle materie di legislazione esclusiva. In particolare, le Regioni sono titolari nelle materie di loro competenza e possono divenirne tali in conseguenza di delega statale. Peraltro, si deve considerare la possibilità che anche nelle materie esclusive regionali la potestà in esame possa essere statale; ciò accade in caso di materie trasversali. In ordine all’organo locale competente ad esercitare la funzione la Costituzione ha rimesso la scelta alla determinazione dei singoli Statuti.[5] Pertanto, alle Regioni spetta la potestà regolamentare nelle materie di legislazione concorrente (comma3), nelle materie di legislazione residuale (comma 4) e nelle materie di competenza esclusiva statale, per le quali lo Stato abbia conferito la delega ad una o più Regioni.
Anche la materia dell’istruzione, oggetto di un acceso dibattito, in linea di principio è di competenza statale. Però, si deve ritenere anche che si tratta di materia c.d. trasversale perché idonea ad incidere su ambiti di competenza concorrente o residuale regionale. Infatti, lo scopo cui sottintende questo tipo di materia è consentire che su tutto il territorio dello Stato, a prescindere dalla divisione in Regioni, vengano garantiti standards minimi di alcuni servizi. La naturale conseguenza è anche quella di restringere i poteri di cui le Regioni sono dotate negli ambiti che vengono interessati, circostanza che ha spinto la Corte Costituzionale a sottolineare come lo Stato stesso debba agire con proporzionalità ed adeguatezza.
La norma precisa altresì che nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei princìpi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato.
Viene, anche, ripartita la potestà regolamentare tra i vari livelli di governo. In particolare, le Regioni ne sono titolari nelle materie di loro competenza e possono divenirne tali su delega statale. Peraltro, si deve considerare la possibilità che anche nelle materie esclusive regionali la potestà in esame possa essere statale e ciò accade in caso di materie trasversali. In ordine all’organo locale competente ad esercitare la funzione la Costituzione ha rimesso la scelta alla determinazione dei singoli Statuti.[6]
Infine, il legislatore della riforma ha inteso ribadire come nonostante l’autonomia di cui godono le Regioni nelle materie di propria competenza o concorrenti deve essere garantito il rispetto dei principi generali, la cui formulazione ricalca quelle degli articoli 3 e 51 della Costituzione.
In conclusione, la potestà legislativa regionale è soggetta alle seguenti limitazioni:

  • il limite costituzionale, in quanto le Regioni sono tenute al rispetto della Costituzione, sia quando i loro atti normativi siano espressione della potestà legislativa concorrente, sia di quella esclusiva;
  • i limiti derivanti dall’adesione dell’Italia all’Unione europea ed agli obblighi internazionaliche impongono alle Regioni di non introdurre norme che mettano lo Stato in una situazione di infrazione nei confronti degli obblighi di cui sopra;
  • il limite dei principi fondamentali, riferibile alla legislazione concorrente;
  • la riserva di legge, secondo la quale quando la Costituzione rinvia la disciplina di una determinata materia alla legge, ci si riferisce solo alla legge dello Stato (ad esempio, art. 25 Costituzione per la materia penale);
  • il limite delle materie, elencate nella disposizione di cui all’art. 117 Costituzione;
  • il limite delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali e dei principi generali dell’ordinamento.

Potrebbero interessarti anche

2. Il disegno di legge sull’autonomia differenziata

In data 2 febbraio il Consiglio dei ministri ha approvato un disegno di legge recante disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario (articolo 116, terzo comma, Costituzione). Vengono definiti anche i “principi generali per l’attribuzione alle Regioni a statuto ordinario di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia” e le “relative modalità procedurali di approvazione delle intese fra lo Stato e una Regione”.[7]
In particolare, il disegno di legge deve definire la cornice per le intese fra il governo e le singole Regioni con cui trasferire nuove funzioni alle stesse Regioni. In discussione c’è l’elenco delle 23 materie che la citata riforma costituzionale del 2001 ha assegnato alla competenza concorrente fra Stato e Regioni: si va dall’istruzione ai beni culturali, dalle professioni alle infrastrutture.[8]
Per quanto concerne il procedimento di approvazione delle “intese”, viene statuito che la richiesta deve essere deliberata dalla regione interessata e poi trasmessa al Presidente del Consiglio dei ministri e al Ministro per gli affari regionali e le autonomie.
Quest’ultimo, acquisita la valutazione dei Ministri competenti per materia e del Ministro dell’economia e delle finanze entro i successivi 30 giorni, inizia il negoziato con la Regione interessata. Lo schema d’intesa preliminare tra Stato e regione, unitamente alla relazione tecnica, è approvato dal Consiglio dei ministri e trasmesso alla Conferenza unificata per un parere da rendere entro 30 giorni. Decorso tale termine, lo schema viene comunque trasmesso alle Camere per l’esame da parte dei competenti organi parlamentari, che si esprimono mediante atti di indirizzo entro 60 giorni. Il Presidente del Consiglio o il Ministro predispongono lo schema di intesa definitivo, ove necessario al termine di un ulteriore negoziato.
Lo schema viene, poi, trasmesso alla regione interessata per l’approvazione e, entro 30 giorni dalla comunicazione dell’approvazione da parte della Regione, lo schema d’intesa definitivo, corredato dalla relazione tecnica, viene deliberato dal Consiglio dei ministri insieme a un disegno di legge di approvazione da presentare alle Camere. L’intesa viene immediatamente sottoscritta dal Presidente del Consiglio dei ministri e dal Presidente della Giunta regionale.
 Ai sensi dell’art. 116, c. 3, Costituzione, per l’approvazione definitiva del disegno di legge, a cui l’intesa è allegata, è richiesta la maggioranza assoluta dei componenti di ogni Camera. Nelle intese verrà specificata anche la durata delle stesse, che comunque non potrà superare i 10 anni. L’intesa può essere modificata su iniziativa dello Stato o della regione e può prevedere le ipotesi e le modalità tramite cui lo Stato o la regione possono chiederne la cessazione, da deliberare tramite legge a maggioranza assoluta delle Camere. Alla scadenza del termine, l’intesa si intende rinnovata per identico periodo, salva differente volontà dello Stato o della regione, manifestata almeno un anno prima della scadenza.
Le materie su cui potranno essere raggiunte le intese tra lo Stato e le regioni a statuto ordinario per l’attribuzione, alle regioni stesse, di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia sono elencate all’art. 117 della Costituzione. Si tratta in prevalenza delle materie relative alla legislazione concorrente.[9]
Ma le maggiori perplessità riguardano i cc.dd. livelli essenziali delle prestazioni (LEP). A tal proposito si stabilisce che l’attribuzione di nuove funzioni relative ai “diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale” viene consentita subordinatamente alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni da parte della Cabina di regia istituita dalla legge di bilancio 2023. Il finanziamento dei LEP, sulla base dei relativi costi e fabbisogni standard verrà attuato nel rispetto degli equilibri di bilancio e dell’art. 17 della legge di contabilità e finanza pubblica (legge n. 196/09).
Se dalla determinazione dei LEP deriveranno nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, si potrà procedere al trasferimento delle funzioni solo dopo i provvedimenti legislativi di stanziamento delle risorse finanziarie coerenti con gli obiettivi programmati di finanza pubblica. Inoltre, se dopo la data di entrata in vigore della legge di approvazione dell’intesa, siano modificati i LEP col relativo finanziamento o ne siano determinati ulteriori, la Regione interessata sarà tenuta alla loro osservanza, subordinatamente alla revisione delle relative risorse. Il Governo o la regione potranno, pure congiuntamente, disporre verifiche sul raggiungimento dei LEP. Il trasferimento delle funzioni non riferibili ai LEP, con le relative risorse umane, strumentali e finanziarie potrà essere effettuato fin dalla data di entrata in vigore delle intese, nei limiti delle risorse previste a legislazione vigente.
Il testo prevede, altresì, che l’attribuzione delle risorse corrispondenti alle funzioni oggetto di conferimento sarà determinata da una Commissione paritetica Stato-regione, la quale procederà annualmente alla valutazione degli oneri finanziari derivanti per ogni regione dall’esercizio delle funzioni e dall’erogazione dei servizi connessi all’autonomia, coerentemente con gli obiettivi programmatici di finanza pubblica e, in ogni caso, garantendo l’equilibrio di bilancio. Il finanziamento delle funzioni attribuite avverrà tramite compartecipazioni al gettito di uno o più tributi erariali a livello regionale, con modalità definite dall’intesa. Le funzioni trasferite alla regione potranno essere da questa attribuite a comuni, province, città metropolitane, unitamente alle relative risorse umane, strumentali e finanziarie.
Le intese, comunque, non potranno pregiudicare l’entità delle risorse da destinare a ciascuna delle altre regioni. Sarà garantita l’invarianza finanziaria del fondo perequativo e delle altre iniziative previste dall’art. 119 della Costituzione per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, rimuovere gli squilibri economici e sociali e favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona.
Per rafforzare tali iniziative e garantire un utilizzo più efficace delle risorse ad esse destinate, il testo prevede l’unificazione delle diverse fonti aggiuntive o straordinarie di finanziamento statale di conto capitale e la semplificazione e l’uniformazione delle procedure di accesso, di destinazione territoriale, di spesa e di rendicontazione.
Ovviamente il provvedimento prevede che saranno garantiti gli specifici vincoli di destinazione e la programmazione già in corso alla data di entrata in vigore delle nuove norme.[10]
Tuttavia, anche se non viene previsto espressamente esplicitato che “si applica il criterio della spesa storica sostenuta dalle amministrazioni statali nella Regione per l’erogazione dei servizi pubblici corrispondenti”, come stabilito dalla bozza del disegno, in realtà tale principio viene sostanzialmente affermato. Infatti, l’attribuzione di risorse non è basata sull’individuazione dei bisogni standard, come prevedono le recenti disposizioni in materia di autonomia finanziaria degli enti locali, ma sulla spesa storica con la conseguente deresponsabilizzazione dei livelli di governo;
In discussione ci sono, quindi, le 23 materie “concorrenti”, che il ddl Calderoli allega come promemoria. E cioè: l’istruzione (fatta salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche e con l’esclusione dell’istruzione e formazione professionale); rapporti internazionali delle Regioni e con l’Ue; commercio estero; tutela e sicurezza del lavoro; professioni; ricerca scientifica e tecnologica  a all’innovazione per i settori produttivi; tutela della salute; alimentazione; ordinamento sportivo; protezione civile; governo del territorio; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzionale nazionale dell’energia; previdenza complementare integrativa; coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali; casse di risparmio, casse rurali aziende di credito a carattere regionale, enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale.

 

3. Conclusioni

Si ritiene che la riforma in questione sia formalmente rispettosa del dettato costituzionale. Si tratta, infatti, di un disegno di legge che attuerà l’articolo 116 della Costituzione dove al comma 3 è scritto che “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia[…]possono essere attribuite a altre Regioni con legge dello Stato su iniziativa della Regione interessata”. In pratica, utilizzando il dettato della citata riforma costituzionale del 2001 – che prevede materie di competenza esclusiva dello Stato, ma anche 23 materie di legislazione concorrente” (articolo 117 Costituzione di cui sopra) – ciascuna Regione, se vuole, potrebbe disciplinare alcune o tutte le materie ivi previste. Sulla base di intese tra governo e Regione partirebbe quindi un federalismo differenziato.[11]
La principale contestazione, è quella per cui – secondo i governatori del Sud – si aggraverebbero le differenze nel Paese, su questioni fondamentali, dall’istruzione alla salute. È esteso, infatti, l’elenco delle materie di cui le Regioni potranno scegliere di occuparsi in via esclusiva, mutuandoli dai poteri dello Stato centrale, dalla scuola ai trasporti, fino al commercio con l’estero e ai giudici di pace.
Se poi il federalismo differenziato non raggiungesse gli scopi prefissati, le modifiche saranno possibili solo se entrambi i partner, governo e Regione, sono d’accordo nel riformarli. Ciascuna Regione potrebbe, quindi, chiedere quali materie gestire. Ad esempio, Veneto, Lombardia e Piemonte hanno già fatto sapere che vorrebbero tutte e 23 le materie. Il fronte di chi si oppone al provvedimento chiede, però, che alcune materie siano escluse dal tavolo del federalismo come appunto la scuola e la sanità, perché venti scuole o venti sanità regionali minerebbero l’unità del Paese.
Inoltre, il provvedimento normativo è sostanzialmente privo di adeguate specifiche risorse finanziarie.
In conclusione, si è dell’avviso che la riforma in esame potrebbe essere utile per il Paese, ma solo se fosse raggiunto l’accordo all’unanimità nella Conferenza Stato-Regioni, perché in tal modo si potrebbero superare i numerosi interrogativi che il provvedimento presenta ed essere garantito il rispetto delle norme di cui agli articoli 2 e 51 della nostra Carta costituzionale, eventualità questa molto remota. Per queste ragioni, non si può escludere che il disegno di legge incorra nella scure della Corte Costituzionale. 

Sant’ Apollonia

 

Sant’ Apollonia


Sant' Apollonia

autore: Guido Reni anno: 1607 titolo: Martirio di sant’Apollonia
Nome: Sant’ Apollonia
Titolo: Vergine e martire
Nascita: III Secolo, Alessandria, Egitto
Morte: III Secolo, Alessandria, Egitto
Ricorrenza: 9 febbraio
Martirologio: edizione 2004
Tipologia: Commemorazione
S. Apollonia subì il martirio per la fede durante la persecuzione di Decio. Così scriveva l’allora Vescovo di Antiochia: « I cristiani vengono arrestati, imprigionati, privati d’ogni alimento, tolti dalle proprie famiglie, e perciò i genitori divisi dai figli e i figli dai genitori. Alcuni sono esiliati, altri stritolati sotto le ruote e moltissimi precipitati nelle fornaci ardenti od esposti alle fiere. Se i denti delle belve o l’ardore delle fiamme qualche volta li risparmiarono, è sempre pronta la spada che taglia la loro testa. Affermare di essere cristiano basta per incontrare i più terribili tormenti ».

Apollonia fin dai più teneri anni venne educata nella religione cristiana. Accesa di ardente amore per Gesù, decise di darsi interamente a Lui, facendo voto di perpetua verginità.

Quando uscì il decreto di persecuzione, Apollonia prodigò tutti i suoi averi in favore dei cristiani e si adoperò con ogni mezzo nell’esortare i martiri alla fortezza e alla speranza del gran premio del cielo.

« Pensate, diceva, che è breve il patire, ma il gaudio sarà eterno! ». Ma non potè durare a lungo in questo pietoso ufficio, poichè venne subito scoperta. Accusata al prefetto della provincia come cristiana, si vide tosto arrestata e rinchiusa in una orrenda prigione, dove passò una notte.

Il giorno dopo, venne presentata al prefetto ed interrogata circa la sua fede. « Sono cristiana e adoro il vero Dio », rispose francamente Apollonia. Ma questa sincera confessione le costò la vita: le furono subito rotti tutti i denti e fu condannata ad essere bruciata viva. In breve venne preparata una grande catasta di legna, e tra una numerosa folla di pagani venne condotta al luogo del martirio. Una grande serenità traspariva dal volto di Apollonia : ciò spinse il prefetto a farle altre interrogazioni e a prometterle gli onori e beni del mondo. Ma essa invariabilmente rispondeva: « Sono cristiana; breve è il patire, ma eterno è il gaudio ».

Appiccato il fuoco al rogo, venne nuovamente interrogata. Apollonia non rispose e stette un istante in preghiera. Volto pertanto lo sguardo al cielo si ricordò che Gesù l’attendeva. E così, spinta da questo pensiero, si gettò da se stessa tra le fiamme. In breve il sacrificio fu consumato, e lo spirito suo, sciolto dal corpo, se ne volò al suo Celeste Sposo a ricevere la doppia corona della verginità e del martirio.

Venne poi eretta in Roma una chiesa in suo onore. Essa è invocata come protettrice contro il mal di denti.

PRATICA. Facciamo un’opera di misericordia.

PREGHIERA. O Dio, che tra gli altri miracoli della tua potenza, anche al sesso debole hai conferito la vittoria del martirio, concedi, propizio, che noi, che festeggiamo la beata vergine e martire Apollonia, imitando i suoi esempi possiamo raggiungere l’eterna felicità.

MARTIROLOGIO ROMANO. Ad Alessàndria il natale di sant’Apollónia, Vergine e Martire, alla quale i persecutori, sotto Décio, prima estrassero tutti i denti, poi, innalzato ed acceso un rogo, minacciarono di bruciarla viva, se non avesse pronunciato con loro empie parole; ma essa, avendo riflettuto un poco tra sè, si svincolò improvvisamente dalle mani di quegli empi, e accesa internamente da più grande ardore di Spirito Santo, si gettò nel fuoco, che le avevano preparato, così spontaneamente, che gli autori stessi di quella crudeltà rimasero sbigottiti, come si fosse trovata più pronta una donna alia morte che il persecutore alla pena.