Archivi giornalieri: 23 febbraio 2023

Openpolis: numeri alla mano


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Ancora carceri troppo affollate in Europa Europa

Ancora carceri troppo affollate in Europa Europa

In sette stati dell’Unione europea i detenuti sono più della capienza massima. Questo incide sia sull’incolumità dei carcerati stessi che sul lavoro effettuato dal personale delle strutture detentive.

 

Il periodo della pandemia ha avuto ripercussioni su numerosi ambiti della vita quotidiana. Per arginare l’emergenza sono state necessarie delle misure di distanziamento per ridurre i contatti. Questo non è stato possibile in tutti gli ambienti e le carceri sono uno di questi. Si tratta di uno dei potenziali risvolti negativi del sovraffollamento delle strutture detentive. Ci siamo occupati di questo nell’ambito di una collaborazione europea con gli altri membri dello european data journalism network (Edjnet). La sovrappopolazione delle carceri è un problema che riguarda anche alcuni stati dell’Unione europea.

I paesi in cui il rapporto tra detenuti e posti disponibili è maggiore sono Cipro (145,67 detenuti ogni 100 posti), Romania (123,47) e Francia (114,32). Sono sette gli stati in cui è maggiore il numero di carcerati rispetto allo spazio disponibile. Tra questi figura l’Italia (106,49). I tre paesi che invece registrano un dato minore sono Spagna (73,71), Estonia (66,53) e Lettonia (65,72).

Quali soluzioni adottare per ridurre il sovraffollamento carcerario

Su questa tematica si è espresso l’ufficio delle Nazioni unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine (Unodc). Una delle questioni sollevate è legata a un corretto reinserimento nella società attraverso soluzioni come percorsi di formazione professionale. È infatti fondamentale per evitare ulteriori condanne e nuovi periodi di detenzione. Inoltre, è auspicabile in alcuni contesti rivedere le pene e valutare per quali è strettamente necessario il carcere e ridurre la detenzione preventiva.

Le soluzioni riguardano sia l’utilizzo di pene detentive che la migliore organizzazione delle carceri.

Inoltre, sono da considerare anche la gestione delle risorse e degli spazi a disposizione, oltre al coordinamento più efficace all’interno delle strutture. È necessario per arginare determinate dinamiche sociali che possono esacerbare in un clima di sovrappopolazione carceraria. Si puntualizza ad esempio la necessità di tutelare la salute fisica e mentale dei detenuti e agire per limitare i fenomeni di corruzione.

La sovrappopolazione nelle strutture detentive incide direttamente sulla possibilità di garantire adeguate condizioni di vita ai detenuti. Ad esempio, un’eccessivo popolamento delle carceri impatta sul lavoro di chi si occupa del funzionamento delle strutture. Anche l’organizzazione dei lavoratori è un tema da considerare in questo scenario.

Non tutto il personale che lavora all’interno delle strutture detentive si occupa direttamente della custodia dei detenuti. Sono ad esempio assunti anche lavoratori occupati nel settore amministrativo e persone che gestiscono le attività di refezione. Per l’analisi, ci siamo concentrati solo su chi si occupa della sorveglianza diretta dei carcerati.

Il paese che registra più detenuti per membro del personale è la Lettonia. Si tratta di 26,7 carcerati per ogni lavoratore. Seguono Grecia (7,1), Romania (6,5) e Estonia (5,5). In fondo Italia (1,6), Paesi Bassi (1,6) e Irlanda (1,4).

Foto: Matthew Ansley – licenza

 

Il nuovo processo davanti al giudice di pace: criticità e opportunità

Il nuovo processo davanti al giudice di pace: criticità e opportunità

 
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Il nuovo processo davanti al giudice di pace: criticità e opportunità

 
 
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A partire dal 28 febbraio prossimo anche il processo davanti al giudice di pace subirà una radicale e profonda trasformazione. (1)
Il processo davanti al giudice di pace conoscerà due tipologie di novità. La prima riguarda la competenza per valore, che passerà da euro 5.000 ad euro 10.000 per quanto concerne le cause relative a beni mobili, e da venti mila a venticinque mila euro per le cause relative a danni da circolazione stradale.
La seconda novità riguarda il rito.
Fino ad oggi il rito davanti al giudice di pace era disciplinato negli articoli dal 311 al 322 del codice di procedura civile; siamo nel titolo II (rubricato “del procedimento davanti al Giudice di pace”) del libro II (rubricato “procedimento di cognizione”) del codice di rito.
I capi di cui è composto il titolo sono tre. Il I riguarda le disposizioni comuni, il II, da tempo abrogato, si riferisce al processo davanti al pretore e il terzo si occupa delle disposizioni relative al processo davanti al giudice di pace.
Vediamo quali sono le novità.
Per quanto concerne il primo capo, articoli da 311 a 313, non ci sono novità.
L’art. 311 si occupa del rinvio alle norme afferenti il giudizio davanti al Tribunale in composizione monocratica per quanto non espressamente disciplinato nel capo; l’art. 312 è abrogato da tempo e riguardava i poteri officiosi del Giudice di pace e l’art. 313 si riferisce all’eventualità della proposizione della querela di falso e contiene la disposizione del rinvio al Tribunale con sospensione del giudizio fino alla definizione della questione, salvo proseguire con le domande non interessate dalla vicenda dell’atto pubblico impugnato.
Il capo II, articoli 314 e 315, come detto, è stato abrogato da tempo.
Il III capo, invece, è stato quasi integralmente riformato.
Gli articoli vanno dal 316 al 322.
Come noto il rito davanti al Giudice di pace sarà governato dal nuovo rito semplificato di cognizione, e all’interprete il compito di coordinare le norme specifiche contenute nel III capo con quelle del rito semplificato (articoli da 281 decies a 281 terdecies).
Il presente lavoro è diviso per fasi, partendo da quella introduttiva, passando per quella di trattazione e concludendo con quella decisionale.
All’interno dell’opera si metteranno in risalto, in modo particolare, i nodi interpretativi e di coordinamento che il testo legislativo non riesce a chiarire.

 

 
 

1. Fase introduttiva

 

2. Fase di trattazione

 

3. Fase decisionale

 

4. Considerazioni finali

 

Indice

1. Fase introduttiva

L’art. 316 cpc è stato interessato dalla riforma e, sostanzialmente dispone che il processo davanti al Giudice di pace si svolga nelle forme del processo semplificato di cognizione, ma in quanto compatibili e non derogate dalle norme specificamente riferibili al Giudice di pace.
Dunque non più atto di citazione ad udienza fissa, ma procedimento semplificato di cognizione.
Il primo nodo da chiarire riguarda l’interpretazione da dare alla formulazione “in quanto compatibili e non derogate dalle disposizioni del presente titolo” in ordine alla proposizione della domanda davanti al giudice di pace secondo il rito semplificato.
Quali sono le ipotesi di incompatibilità e quali le deroghe e, soprattutto, cosa accade se ci si imbatte in queste?
Sopravvive il vecchio rito?
Si applica il giudizio ordinario davanti al Tribunale?
Escludendo l’ipotesi della sopravvivenza del vecchio rito, atteso che non vi sarebbero norme che lo disciplinano, a mio avviso la norma intende affermare che la non applicabilità, in caso di incompatibilità o deroghe, non riguarda il rito ma le singole norme dello stesso.
In altre parole il legislatore voleva dire che le singole disposizioni del rito semplificato si applicano al giudizio dinanzi al Giudice di pace solo se compatibili con il suo rito e non derogate dal capo.
A sostegno di questa tesi molteplici ragioni.
Innanzitutto, e come tra poco vedremo, il fatto che il secondo comma dell’art. 281 decies cpc dispone che nelle cause in cui il Tribunale giudica in composizione monocratica è sempre proponibile la domanda nelle forme del procedimento semplificato; dunque, se il rito semplificato è sempre applicabile dinanzi al Tribunale monocratico, perché non lo dovrebbe essere altrettanto dinanzi al Giudice di pace.
Aggiungo che ci sono molteplici ipotesi di deroghe alle norme del rito semplificato, il che fa propendere per l’interpretazione del I comma dell’art. 316 nei termini sopra indicati.
Il secondo comma dell’art. 319 cpc è rimasto sostanzialmente inalterato, e dispone la facoltà per la parte di proporre la domanda verbalmente dinanzi al Giudice di pace, prevedendo che, a differenza del passato, la citazione al convenuto avvenga mediante notifica del verbale e del decreto di comparizione appositamente redatto dal giudice.
A questo punto è necessario imbatterci nel capo III quater del titolo I del II libro del codice di rito che disciplina, appunto, il rito semplificato di cognizione. Ù
Alla fase introduttiva è dedicato l’art. 281 undecies che andrà letto in combinato disposto con gli artt. 317, 318 e 319 cpc.
L’art. 317, che dispone della rappresentanza davanti al Giudice di pace, è rimasto inalterato se non nell’abrogazione della necessità del mandato scritto in calce alla citazione o in atto separato.
Cosa vorrà dire?
Ecco il secondo nodo.
Basta il mandato orale? E come viene dimostrato in caso di eccezione della controparte?
Vuol dire che il mandato deve comunque essere scritto ma che non è più necessario sia posto in calce all’atto di citazione (oggi del ricorso) o in atto separato?
Propenderei per la seconda ipotesi, atteso che la contestazione, che la parte dovrebbe sollevare nella prima difesa, potrà essere risolta alla prima udienza ove continua ad essere previsto il libero interrogatorio delle parti.
L’art. 281 decies non interessa il Giudice di pace atteso che dispone dell’ambito di applicazione del rito dinanzi al Tribunale.
Veniamo quindi alla fase introduttiva della domanda.
L’art. 318 I comma dispone che la domanda si propone con ricorso, che andrà sottoscritto a norma dell’art. 125 cpc (e quindi dalla parte se sta in giudizio personalmente o dal difensore) e contenere oltre l’indicazione del giudice e delle parti, l’esposizione dei fatti e l’indicazione del suo oggetto.
L’art. 281 undecies, al primo comma, contiene lo stesso incipit dell’art. 318, e quindi prevede che il ricorso sia sottoscritto a norma dell’art. 128 cpc, ma poi dispone che debba contenere le indicazioni di cui ai numeri 1, 2, 3, 3bis, 4, 5, 6 e l’avvertimento del numero 7 dell’art. 163.
Quindi, il ricorso nel rito semplificato deve contenere:
-l’indicazione dell’ufficio giudiziario, delle parti e la determinazione della cosa oggetto della domanda (numeri 1, 2, e 3 dell’art. 163);
– la novità rappresentata dall’indicazione dell’assolvimento della condizione di procedibilità nelle ipotesi in cui la domanda sia ne soggetta (numero 3 bis);
– l’esposizione in modo chiaro e specifico dei fatti e degli elementi di diritto costituenti le ragioni della domanda e le relative conclusioni (numero 4);
– l’indicazione specifica dei mezzi di prova e dei documenti (numero 5);
– nome, cognome del procuratore e indicazione della procura (numero 6).
L’avvertimento del numero 7 riguarda, invece, oltre al già noto termine di decadenza in caso di costituzione oltre i termini, l’obbligo della difesa tecnica ove prevista e la facoltà di ricorrere al gratuito patrocinio.
Vale anche per il Giudice di pace?
Ecco il terzo nodo.
A mio parere ni. L’art. 318 cpc, infatti, nella sua parte finale prevede espressamente il contenuto del ricorso limitandolo a indicazione del giudice, esposizione dei fatti e indicazione del suo oggetto.
Tuttavia, il richiamo al rito semplificato di cui al primo comma dell’art. 316 impone di non correre rischi e redigere un ricorso conforme all’art. 281 undecies I comma; tanto anche in ragione della espressa volontà del legislatore di equiparare il rito davanti al Giudice di pace con quello dinanzi al Tribunale in composizione monocratica.
Il secondo comma dell’art. 281 undecies prevede che entro cinque giorni dalla designazione del Giudice (e quindi non dal deposito del ricorso) questi emetta un decreto ove è indicata la data di prima comparizione e il termine per la costituzione del convenuto, già disposto in non oltre dieci giorni prima dell’udienza.
Cosa vuol dire la norma? Che il giudice può disporre un termine maggiore e quindi nove o otto giorni dall’udienza?
Siamo, così, al quarto nodo.
Parrebbe di si.
Il secondo comma dell’art. 318 dispone in modo del tutto speculare sulla emissione del decreto, provvedimento che il giudice dovrà svolgere entro cinque giorni dalla designazione, facendo poi integrale richiamo al II comma dell’art. 281 undecies.
Il II comma dell’art. 281 undecies, poi, procede prevedendo che l’attore notifichi ricorso e decreto al convenuto, con termine a comparire libero non minore di quaranta giorni se la residenza o il domicilio di questi è in Italia e sessanta se estera.
La costituzione del convenuto deve avvenire secondo quanto disposto dal III e IV comma dell’art. 281 undecies, espressamente richiamati dal III comma dell’art. 318.
Dunque il convenuto deve costituirsi con comparsa contenente le difese, la presa di posizione chiara e specifica sui fatti allegati dall’attore, indicazione dei mezzi di prova e documenti, nonché le conclusioni. Il tutto entro dieci giorni dall’udienza, pena decadenza, ma limitatamente a domande riconvenzionali, chiamate di terzo ed eccezioni non rilevabili d’ufficio.
Dunque le posizioni delle parti si cristallizzano nel primo atto difensivo, mentre le istanze istruttorie possono essere proposte anche in seguito.
In sostanza, il convenuto, se non intende proporre domande riconvenzionali, chiamare terzi in causa e sollevare eccezioni non rilevabili d’ufficio, ben potrà costituirsi il giorno dell’udienza, senza incorrere in decadenze istruttorie.
Il che, come è ovvio, rende la prima udienza un’incognita per l’attore, il quale dovrà prendere posizione sulle difese dell’attore, formulare le proprie richieste istruttorie a prova diretta e quelle a prova contraria sulla scorta delle istanze del convenuto nella medesima udienza.
Immaginiamo cosa potrà accadere se l’udienza è cartolare (l’art. 127 ter si applica anche al Giudice di pace) e le parti non potranno leggere le difese avverse prima di formulare le proprie.
In realtà la questione trova soluzione nel nuovo articolo II comma dell’art. 101 cpc e nel dovere del Giudice di adottare provvedimenti idonei quando ravvisa una violazione del diritto al contraddittorio.
Altresì, il problema, come vedremo tra poco, potrà trovare soluzione anche nel IV comma dell’art 281 duodecies.
L’art. 319 è stato novellato ed è dedicato, appunto, alla costituzione delle parti.
Il primo comma, però, è fonte di evidenti problemi interpretativi laddove afferma che l’attore si costituisce depositando il ricorso notificato unitamente al decreto con la relazione di notificazione e la procura.
Ma come fa ad ottenere il decreto se prima non deposita il ricorso?
Cosa intende dire il legislatore? Che l’attore inizialmente deposita solo il ricorso e il fascicolo, senza iscrivere a ruolo? E’ immaginabile un decreto di comparizione privo di numero di ruolo?
Ecco il quinto nodo, ma non c’è uscita.
O il legislatore ha fatto confusione, e forse intendeva dire che l’attore deve entro la prima udienza depositare la prova della notifica, oppure sarà consentito procedere nei termini suddetti.
Però, c’è da chiedersi, se non c’è un termine per la costituzione dell’attore, come potrà il convenuto costituirsi entro dieci giorni dall’udienza, visto che non ci sarà un fascicolo d’ufficio formato?
La tesi della confusione del legislatore pare nettamente la più rassicurante.
L’art. 281 undieces, poi, e per chiudere la fase introduttiva, dispone che in caso di chiamata in causa del terzo la prima udienza sia differita con decreto del Giudice, che conterrà la data della comparizione differita e il termine per la costituzione del terzo. Il decreto, a cura della cancelleria, sarà comunicato alle parti e il terzo dovrà costituirsi nei termini e modi previsti per il convenuto.

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2. Fase di trattazione

La fase di trattazione è disciplinata nell’art. 281 duodecies e nell’art. 320 cpc.
Il I comma dell’art. 320 continua a prevede il libero interrogatorio delle parti alla prima udienza, e questa potrebbe essere la sede ove chiarire la questione mandato.
Il II comma, anch’esso inalterato, prevede la verbalizzazione del processo verbale di conciliazione.
Il III comma dispone che, in difetto di conciliazione, si proceda ai sensi dell’art. 281 duodecies, commi II, III e IV. La norma dispone poi che, se il giudice non ritiene la causa matura per la decisione procede agli atti di istruzione rilevanti per la decisione.
Altro nodo, il sesto.
La norma parrebbe consentire l’assunzione dei mezzi istruttori, e quindi anche della testimonianza, alla prima udienza.
La questione trova conforto, come vedremo a breve, anche nelle norme richiamate dall’art. 320 III comma e riferibili al rito semplificato.
Il III comma continua a disporre che i documenti prodotti dalle parti devono essere inseriti nel fascicolo d’ufficio e ivi conservati fino alla decisione.
Il 281 duodecies, dopo il primo comma che dispone la conversione del rito in ordinario e, quindi, non interessa questa sede (e non a caso non è richiamato dall’art. 320 III comma).
Il II comma prevede la facoltà per l’attore di chiedere la chiamata in causa del terzo se l’esigenza è sorta in seguito alle difese del convenuto.
Qui però si palesa un vulnus nel diritto di difesa dell’attore. L’esigenza di chiamare un terzo in causa non è necessariamente collegata ad una domanda riconvenzionale o a una eccezione non rilevabile d’ufficio, e quindi ad una attività che questi potrà conoscere con la costituzione tempestiva. L’esigenza potrebbe sorgere con la costituzione tardiva del convenuto. L’attore, quindi, dovrà determinarsi sulla necessità di chiamare un terzo in causa alla stessa udienza.
Invero, e anche in questo caso, ci viene in soccorso il II comma dell’art. 111 e la possibilità di prevedere un rinvio, salvi ed impregiudicati i diritti, per garantire il rispetto del contraddittorio.
Il III comma, invece, consente alla prima udienza alle parti di proporre eccezioni conseguenza della domanda riconvenzionale o dalle eccezioni formulata da controparte. Quindi l’attore, che potrà conoscere l’eccezione, perlomeno quelle non rilevabili d’ufficio, e la domanda riconvenzionale da dieci giorni, e il convenuto, in caso di riconvenzionale o eccezioni dell’attore, dovranno prendere posizione sulle stesse necessariamente alla prima udienza.
Il IV e il V comma ci fanno entrare nel vivo della prima udienza. 
Superate le domande e allegazioni, ivi comprese le eccezioni e quindi fissato definitivamente l’oggetto della causa, possono accadere due cose.
Le parti possono chiedere, e il Giudice concedere, il doppio termine di venti giorni per precisare e modificare le domande, le eccezioni e le conclusioni, per indicare i mezzi di prova e produrre i documenti e un ulteriore termine di dieci giorni per le repliche e le richieste di prova contraria. Il tutto, però, solo in presenza di giustificati motivi.
Ma cosa vuol dire giustificato motivo?
Siamo al settimo nodo.
Lo scopriremo solo vivendo, o se volete quando ce lo dirà la Corte di Cassazione, magari con istanza ex. art. 363 bis cpc. La norma pare calibrata per il giudizio cartolare, ove l’attore e il convenuto non riescono a svolgere un reale contraddittorio in udienza. L’impressione è che questi termini verranno concessi sempre e che, di fatto, rivivrà il IV comma dell’art. 320 cpc.
Il V comma, infine, dispone in modo speculare alla parte finale del III comma dell’art. 320, prevedendo che esaurite le eventuali attività di cui ai commi II, III e IV e salvo che la causa non sia matura per la decisione, il Giudice ammette i mezzi di prova rilevanti per la decisone e procede alla loro assunzione.
Anche qui parrebbe lecita l’assunzione delle prove orali già alla prima udienza, previo provvedimento di ammissione.

 

3. Fase decisionale

La fase decisionale è regolata dall’art. 321 cpc, che dispone la decisione ai sensi dell’art. 281 sexies.
Anche qui, tuttavia, sussistono delle questioni da chiarire, e siamo all’ottavo nodo.
Il nuovo 281 sexies prevede quattro possibili modalità di decisione. Sono tutte applicabili al Giudice di pace?
Non ci sono precisazioni e limiti nella norma, quindi la risposta dovrebbe essere affermativa.
La prima e seconda modalità sono previste ai sensi dell’art. 281 quinques (possibilità prevista dall’incipit della norma) la terza è quella prevista dal I comma e l’ultima quella stabilita dal III comma dell’art. 281 sexies.
Il 281 quinques I comma prevede l’udienza di rimessione della causa preceduta dai termini ex. art. 189 cpc (sessanta giorni per precisazione conclusioni, trenta giorni per comparsa conclusionale e quindici per repliche) e sentenza entro trenta giorni.
Il secondo comma dell’art. 281 quinques prevede la discussione orale preceduta dai soli primi due termini del I comma, e sentenza depositata entro trenta giorni.
Il 281 sexies primo comma continua a disporre la precisazione delle conclusione e l’invito alla discussione orale, eventualmente ad una successiva udienza ma solo su istanza di parte e sentenza pronunciata in udienza con lettura del dispositivo.
Il III comma dell’art. 281 sexeies, invece, prevede discussione orale e sentenza depositata entro i successivi trenta giorni.
Quest’ultima ipotesi sembrerebbe la più logica per le cause dinanzi al Giudice di pace, con la precisazione che sopravvive il II comma dell’art. 321 cpc che dispone il deposito della sentenza del GDP entro quindici giorni dalla discussione.
Rimane intatto, infine, l’art. 322 che stabilisce la conciliazione non contenziosa dianzi al giudice di pace.

4. Considerazioni finali

Spesso la vis riformatrice del legislatore colpisce anche ciò che funziona. Il processo dinanzi al Giudice di pace, per come concepito e attuato fino ad oggi, tutto sommato aveva dato buoni frutti.
Rare sono le ipotesi di durata dei processi in primo grado oltre i fatidici tre anni, mentre le udienze si caratterizzavano solitamente per la concentrazione di attività, con conseguente numero esiguo di udienze celebrate per definire la causa.
Forse sarebbe stato meglio prevedere piccoli interventi sull’esistente, per esempio stabilendo un termine per la costituzione dell’attore e del convenuto, con le decadenze anche istruttorie, per consentire lo svolgimento della prima udienza con il thema decidendum e probandum già cristallizzati e la definizione della causa ai sensi dell’art. 281 sexies I comma.
In attesa della digitalizzazione dei Giudici di pace, possibilità ancora chimerica allo stato, vi è il rischio di ingolfare gli uffici e gli avvocati di attività, prima non necessarie.
Il sistema della citazione con iscrizione differita, infatti, concedeva alle parti quel termine, almeno di quaranta cinque giorni, per trovare un componimento della lite. La lite, una volta composta non transitava negli uffici, a causa della mancata iscrizione, e quindi non vi era alcuna attività da svolgere.
In questo modo, tuttavia, non si pagava i contributo unificato, e forse era questo che interessava di più il legislatore.
Aggiungiamo, infine, che in assenza del pct, l’attore, in astratto, si potrebbe trovare costretto ad accedere in cancelleria per:
–   Depositare il ricorso;
–   Chiedere la copia conforme di ricorso e decreto;
–   Ritirare la copia conforme;
–   Depositare il ricorso notificato;
–   Depositare le prime memorie ex. IV comma 281 undecies;
–   Depositare le seconde memorie ex. IV comma 281 undecies;
–   Depositare le conclusioni ex. art. 281 quinques;
–   Depositare la comparsa conclusionale;
–   Depositare la memoria di replica.
Forse si stava meglio quando si s

Obbligo dichiarativo in merito all’imposta di soggiorno: i chiarimenti del MEF

Obbligo dichiarativo in merito all’imposta di soggiorno: i chiarimenti del MEF

 
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Il Ministero dell’Economia e delle Finanze, Dipartimento delle Finanze/Direzione Legislazione Tributaria e Federalismo Fiscale, con la risoluzione n.1/2023 esprime chiarimenti in materia di imposta di soggiorno, in merito all’obbligo dichiarativo per le annualità successive agli anni di imposta 2020 e 2021.

Risoluzione 1/2023 del Ministero dell’Economia e delle Finanze

CASS-1936.23-1.pdf

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1. La normativa di riferimento (art. 4 D. Lgs 14 marzo 2011, n. 23 – Disposizioni in materia di federalismo Fiscale Municipale -)

 

2. Il provvedimento del Ministero

 

Indice

1. La normativa di riferimento (art. 4 D. Lgs 14 marzo 2011, n. 23 – Disposizioni in materia di federalismo Fiscale Municipale -)

L’art. 4 (rubricato – Imposta di soggiorno) del D.Lgs n. 23/2011, testualmente, dispone che: 1. I comuni capoluogo di provincia, le unioni di comuni nonché i comuni inclusi negli elenchi regionali delle località turistiche o città d’arte possono istituire, con deliberazione del consiglio, un’imposta di soggiorno a carico di coloro che alloggiano nelle strutture ricettive situate sul proprio territorio, da applicare, secondo criteri di gradualità in proporzione al prezzo, sino a 5 euro per notte di soggiorno. Il relativo gettito è destinato a finanziare interventi in materia di turismo, ivi compresi quelli a sostegno delle strutture ricettive, nonché interventi di manutenzione, fruizione e recupero dei beni culturali ed ambientali locali, nonché de relativi servizi pubblici locali.
2.  Ferma restando la facoltà di disporre limitazioni alla circolazione nei centri abitati ai sensi dell’articolo 7 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, l’imposta di soggiorno può sostituire, in tutto o in parte, gli eventuali oneri imposti agli autobus turistici per la circolazione e la sosta nell’ambito del territorio comunale.
3. Con regolamento da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, ai sensi dell’articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, d’intesa con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali, è dettata la disciplina generale di attuazione dell’imposta di soggiorno. In conformità con quanto stabilito nel predetto regolamento, i comuni, con proprio regolamento da adottare ai sensi dell’articolo 52 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n.  446, sentite le associazioni maggiormente rappresentative dei titolari delle strutture ricettive, hanno la facoltà di disporre ulteriori modalità applicative del tributo, nonché di prevedere esenzioni e riduzioni per particolari fattispecie o per determinati periodi di tempo. Nel caso di mancata emanazione del regolamento previsto nel primo periodo del presente comma nel termine ivi indicato, i comuni possono comunque adottare gli atti previsti dal presente articolo.”

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2. Il provvedimento del Ministero

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha espresso i propri chiarimenti in merito al quesito inerente l’obbligo dichiarativo inerente l’imposta di soggiorno di cui all’art. 4 del D. Lgs  14 marzo 2011, n. 23, introdotto dall’art. 180 del D. L. 19 maggio 2020, n. 34 – Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19 -, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, in virtù del quale la dichiarazione deve essere presentata cumulativamente ed esclusivamente in via telematica entro il 30 giugno dell’anno successivo a quello in cui si è verificato il presupposto impositivo, secondo le modalità approvate con decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze del 29 aprile 2022.
Tanto premesso preliminarmente, nel quesito viene chiesto di confermare che, per le suddette annualità, l’utilizzo del modello ministeriale e quindi il contestuale adempimento dell’obbligo dichiarativo, esonera i soggetti obbligati dal presentare ulteriori dichiarazioni/comunicazioni richieste dai comuni.
A tal proposito, il MEF, con la risoluzione in scrutinio, sostiene che per in anni indicati la presentazione del modello ministeriale approvato con il Decreto Ministeriale del 29 aprile 2022 rappresenta il solo modo per l’adempimento dichiarativo in oggetto, imposto dal Legislatore con la finalità di verificare da parte dei comuni il corretto adempimento dell’imposta di soggiorno.
Giova ricordare come la disciplina generale in materia di tributi non prevede, nessuna facoltà, per i comuni di predisporre in via autonoma i modelli di dichiarazione inerenti l’imposta di soggiorno in commento.
Del resto, la prospettiva ad opera degli enti locali di imporre ulteriori forme di comunicazione di dati aventi ad oggetto le medesime finalità del modello ministeriale rappresenterebbe una mera duplicazione di oneri, in contrasto con i principi di semplificazione amministrativa degli adempimenti dei contribuenti, sanciti dal co. 4 dell’art. 6[1] (rubricato -Conoscenza degli atti e semplificazione-) della legge 27 luglio 2000 n. 212 “Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente”, ai sensi del quale “al contribuente non possono, in ogni caso, essere richiesti documenti ed informazioni già in possesso dell’amministrazione finanziaria o di altre amministrazioni pubbliche indicate dal contribuente”.

  1. [1]

    Testualmente l’art. 6 dispone che: “1. L’amministrazione finanziaria deve assicurare l’effettiva conoscenza da parte del contribuente degli atti a lui destinati. A tal fine essa provvede comunque a comunicarli nel luogo di effettivo domicilio del contribuente, quale desumibile dalle informazioni in possesso della stessa amministrazione o di altre  amministrazioni pubbliche indicate dal contribuente, ovvero nel luogo ove il contribuente ha eletto domicilio speciale  ai fini dello specifico procedimento cui si riferiscono gli atti da comunicare. Gli atti sono in ogni caso comunicati con modalità idonee a garantire che il loro contenuto non sia conosciuto da soggetti diversi dal loro destinatario. Restano ferme le disposizioni in materia di notifica degli atti tributari.
    2. L’amministrazione deve informare il contribuente di ogni fatto o circostanza a sua conoscenza dai quali possa derivare il  mancato riconoscimento di un credito ovvero l’irrogazione di una sanzione, richiedendogli di integrare o correggere gli atti prodotti che impediscono il riconoscimento, seppure parziale, di un credito.
    3.  L’amministrazione finanziaria assume iniziative volte a garantire che i modelli di dichiarazione, le relative istruzioni, i servizi telematici, la modulistica e i documenti di prassi amministrativa siano messi a disposizione del contribuente, con idee modalità di comunicazione e di pubblicità, almeno sessanta giorni prima del termine assegnato al contribuente per l’adempimento al quale si riferiscono.  
    3-bis.  I modelli e le relative istruzioni devono essere comprensibili anche ai contribuenti sforniti di conoscenze in materia tributaria. L’amministrazione finanziaria assicura che il contribuente possa ottemperare agli obblighi tributari con il minor numero di adempimenti e nelle forme meno costose e più agevoli.
    3-ter. Le amministrazioni interessate provvedono alle attività relative all’attuazione dei commi 3 e 3-bis nell’ambito delle risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
    4. Al contribuente non possono, in ogni caso, essere richiesti documenti ed informazioni già in possesso  dell’amministrazione finanziario o di altre amministrazioni pubbliche indicate dal contribuente. Tali documenti ed informazioni sono acquisiti ai sensi dell’articolo 18, commi 2 e 3, della legge 7 agosto 1990, n. 241, relativi ai casi di accertamento d’ufficio di fatti, stati e qualità del soggetto interessato dalla azione amministrativa.
    5. Prima di procedere alle iscrizioni a ruolo derivanti dalla liquidazione di tributi risultanti da dichiarazioni, qualora sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione, l’amministrazione finanziaria deve invitare il contribuente, a mezzo del servizio postale o con mezzi telematici, a fornire i chiarimenti necessari o a produrre i documenti mancanti entro un termine  congruo e comunque non inferiore a trenta giorni dalla ricezione della richiesta. La disposizione si applica anche qualora, a seguito della liquidazione, emerga la spettanza di un minor  rimborso di imposta rispetto a quello richiesto. La disposizione non si applica nell’ipotesi di iscrizione a ruolo di tributi  per i quali il contribuente non è tenuto ad effettuare il versamento diretto. Sono nulli i provvedimenti emessi in violazione delle disposizioni di cui al presente comma.

Telemarketing: annullata sanzione da 27 milioni ENEL energia

Telemarketing: annullata sanzione da 27 milioni ENEL energia

 

 
 
 

 
 

Telemarketing: annullata sanzione da 27 milioni ENEL energia

 
 
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Il Tribunale civile di Roma ha annullato il provvedimento con cui il Garante per la Protezione dei dati personali aveva sanzionato Enel Energia con una multa da ben 27 milioni di euro per trattamento illecito dei dati personali nelle attività di telemarketing.

1. L’annuncio

 
 

1. L’annuncio

 

2. La vicenda

 

Indice

1. L’annuncio

L’annuncio è stato dato, con immaginabile e comprensibile soddisfazione, dalla stessa azienda, la quale ha anche specificato che il magistrato ha accolto integralmente i motivi di ricorso addotti per l’annullamento della pesantissima sanzione.
La motivazione della sentenza non è ancora stata depositata e sicuramente sarà particolarmente interessante leggerla ed analizzarla con attenzione, per capire quali siano le censure mosse dal Giudice ordinario a quanto era stato accertato dal Garante a seguito di una minuziosa istruttoria.
Enel ha dichiarato che “La decisione conferma la correttezza dei comportamenti posti in essere dalla società ed evidenzia l’impegno con cui la stessa opera quotidianamente per assicurare il pieno rispetto della normativa in materia di tutela dei dati personali sia direttamente sia ad opera dei propri partner della rete vendita”.

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2. La vicenda

Non è tuttavia quanto era stato accertato circa un anno fa, il 19 gennaio 2022, dal Garante della Privacy, che aveva irrogato una sanzione da quasi 27 milioni di euro per trattamento illecito dei dati personali a fini di telemarketing, oltre a disporre una serie di misure con le quali la società avrebbe dovuto conformarsi alle disposizioni del Reg. UE 679/2016 sul trattamento e la tutela dei dati.
Il provvedimento era giunto al termine di una complessa attività istruttoria, che l’Autorità aveva avviato a seguito di centinaia di segnalazioni e reclami di utenti che lamentavano la ricezione, in nome e per conto di Enel Energia, di telefonate promozionali indesiderate, anche su disco pre-registrato, oltre alla sostanziale impossibilità di esercitare i propri diritti in tema di protezioni dati personali (cancellazione e opposizione al trattamento), nonostante l’iscrizione delle proprie utenze al Registro delle opposizioni, e, più in generale, problemi derivanti dalla gestione dei dati nell’ambito dei servizi di fornitura energetica, ivi compresi i trattamenti svolti tramite l’area riservata del sito della società e la app di gestione dei consumi (cd. Profilo unico).
Il Garante, nel proprio provvedimento, aveva verificato come l’attività di telemarketing “selvaggio” e invasivo aveva subito un incremento sostanziale in concomitanza con la scadenza per il passaggio dal mercato tutelato dell’energia elettrica e del gas al mercato libero.
L’istruttoria svolta dall’Autorità aveva fatto emergere un massiccio e cronico fenomeno di telefonate promozionali indesiderate, anche preregistrate, in assenza di necessario consenso, e il mancato riscontro alle richieste degli interessati per l’esercizio dei propri diritti.
Oltre alla sanzione, veramente elevatissima, l’Autorità aveva ingiunto a Enel Energia di adeguare ogni trattamento di dati svolto dalla rete di vendita a modalità e misure idonee a comprovare che l’attivazione di offerte e servizi e l’attivazione di contratti avvenga solo a seguito di contatti promozionali su numerazioni telefoniche censite e iscritte al Registro degli operatori della comunicazione (ROC), oltre all’implementazione di ulteriori misure tecniche ed organizzative per gestire le richieste di cancellazione pervenute da parte degli utenti non oltre i trenta giorni dalla ricezione, come previsto dalla normativa.
Poco più di un anno dopo, e con grande rapidità, il Tribunale civile di Roma ha spazzato via tutte le prescrizioni e soprattutto l’ingentissima sanzione, in accoglimento totale del ricorso presentato da Enel.

Telemarketing: annullata sanzione da 27 milioni ENEL energia

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Telemarketing: annullata sanzione da 27 milioni ENEL energia

 
 
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Il Tribunale civile di Roma ha annullato il provvedimento con cui il Garante per la Protezione dei dati personali aveva sanzionato Enel Energia con una multa da ben 27 milioni di euro per trattamento illecito dei dati personali nelle attività di telemarketing.

1. L’annuncio

 
 

1. L’annuncio

 

2. La vicenda

 

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1. L’annuncio

L’annuncio è stato dato, con immaginabile e comprensibile soddisfazione, dalla stessa azienda, la quale ha anche specificato che il magistrato ha accolto integralmente i motivi di ricorso addotti per l’annullamento della pesantissima sanzione.
La motivazione della sentenza non è ancora stata depositata e sicuramente sarà particolarmente interessante leggerla ed analizzarla con attenzione, per capire quali siano le censure mosse dal Giudice ordinario a quanto era stato accertato dal Garante a seguito di una minuziosa istruttoria.
Enel ha dichiarato che “La decisione conferma la correttezza dei comportamenti posti in essere dalla società ed evidenzia l’impegno con cui la stessa opera quotidianamente per assicurare il pieno rispetto della normativa in materia di tutela dei dati personali sia direttamente sia ad opera dei propri partner della rete vendita”.

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2. La vicenda

Non è tuttavia quanto era stato accertato circa un anno fa, il 19 gennaio 2022, dal Garante della Privacy, che aveva irrogato una sanzione da quasi 27 milioni di euro per trattamento illecito dei dati personali a fini di telemarketing, oltre a disporre una serie di misure con le quali la società avrebbe dovuto conformarsi alle disposizioni del Reg. UE 679/2016 sul trattamento e la tutela dei dati.
Il provvedimento era giunto al termine di una complessa attività istruttoria, che l’Autorità aveva avviato a seguito di centinaia di segnalazioni e reclami di utenti che lamentavano la ricezione, in nome e per conto di Enel Energia, di telefonate promozionali indesiderate, anche su disco pre-registrato, oltre alla sostanziale impossibilità di esercitare i propri diritti in tema di protezioni dati personali (cancellazione e opposizione al trattamento), nonostante l’iscrizione delle proprie utenze al Registro delle opposizioni, e, più in generale, problemi derivanti dalla gestione dei dati nell’ambito dei servizi di fornitura energetica, ivi compresi i trattamenti svolti tramite l’area riservata del sito della società e la app di gestione dei consumi (cd. Profilo unico).
Il Garante, nel proprio provvedimento, aveva verificato come l’attività di telemarketing “selvaggio” e invasivo aveva subito un incremento sostanziale in concomitanza con la scadenza per il passaggio dal mercato tutelato dell’energia elettrica e del gas al mercato libero.
L’istruttoria svolta dall’Autorità aveva fatto emergere un massiccio e cronico fenomeno di telefonate promozionali indesiderate, anche preregistrate, in assenza di necessario consenso, e il mancato riscontro alle richieste degli interessati per l’esercizio dei propri diritti.
Oltre alla sanzione, veramente elevatissima, l’Autorità aveva ingiunto a Enel Energia di adeguare ogni trattamento di dati svolto dalla rete di vendita a modalità e misure idonee a comprovare che l’attivazione di offerte e servizi e l’attivazione di contratti avvenga solo a seguito di contatti promozionali su numerazioni telefoniche censite e iscritte al Registro degli operatori della comunicazione (ROC), oltre all’implementazione di ulteriori misure tecniche ed organizzative per gestire le richieste di cancellazione pervenute da parte degli utenti non oltre i trenta giorni dalla ricezione, come previsto dalla normativa.
Poco più di un anno dopo, e con grande rapidità, il Tribunale civile di Roma ha spazzato via tutte le prescrizioni e soprattutto l’ingentissima sanzione, in accoglimento totale del ricorso presentato da Enel.

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Riforma Cartabia civile: l’Ufficio del Massimario

Riforma Cartabia civile: l’Ufficio del Massimario

 
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Riforma Cartabia civile: cambia ancora con Milleproroghe e Legge di Bilancio

 
 
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Con la Relazione n. 8 dell’8 febbraio 2023, l’Ufficio del Massimario e del Ruolo della Corte di cassazione ha spiegato le novità normative introdotte dalla l. n. 197 del 2022 nonché dal d.l. n. 198 del 2022 (disposizioni transitorie).
L’Ufficio Studi del CNF ha diffuso un documento in tema di anticipazioni e proroghe in materia di giustizia civile, dando atto delle modifiche apportate alla riforma civile Cartabia dalla Legge di Bilancio per l’anno 2023 e dal decreto cd. Milleproroghe.

1. Il documento dell’Ufficio Studi del CNF

 
 

1. Il documento dell’Ufficio Studi del CNF

 

2. Decreto milleproroghe

 

3. Legge di bilancio 2023 in materia di giustizia civile

 

4. La Relazione 8 febbraio 2023 dell’Ufficio del Massimario e del Ruolo della Corte di Cassazione

 

Indice

1. Il documento dell’Ufficio Studi del CNF

La legge 29 dicembre 2022, n. 197 (legge di bilancio per il 2023) e il d.l. 29 dicembre 2022, n. 198 (c.d. Milleproroghe) contengono disposizioni relative alla giustizia civile:

  • la prima, in vigore dal 1° gennaio 2023, anticipa alcune disposizioni della riforma Cartabia (d.lgs. n. 149/2022);
  • il secondo, in vigore dal 30 dicembre 2022, proroga la vigenza di talune delle prescrizioni adottate nel periodo di emergenza sanitaria e oggetto di sperimentazione successiva.

Il documento diffuso dal CNF dà atto che il quadro normativo che ne risulta è frammentario e di complessa esegesi, pertanto, l’Ufficio Studi del CNF offre un quadro di sintesi nello stesso testo, corredato da uno schema riepilogativo del tempo di applicazione delle disposizioni di interesse.

2. Decreto milleproroghe

L’art. 8 del c.d. decreto milleproroghe, entrato in vigore il 30 dicembre 2022, è dedicato ai termini in materia di giustizia. Con esso numerose disposizioni già oggetto del decreto milleproroghe 2021 vengono ulteriormente prorogate per il 2023: si tratta in gran parte di previsioni adottate nel periodo pandemico e postpandemico. Le disposizioni che impattano sul processo civile sono contemplate dal c. 8 che prevede:

  • La vigenza fino al 28/2/2023 dell’art. 23, co. 9 bis, D.L. 137/2020, consentendo fino a tale data il rilascio delle formule esecutive in modalità telematica;
  • La vigenza fino al 30/6/2023:

– dell’art. 221, co. 8, L. n. 77/2020, secondo cui il giuramento del CTU avviene mediante dichiarazione sottoscritta con firma digitale da depositare nel fascicolo telematico;
– dell’art. 23, co. 8 bis, D.L. 137/2020 (convertito con L. n. 176/2020), secondo cui le udienze in camera di consiglio nei giudizi dinanzi alla Corte di Cassazione avvengono mediante trattazione scritta.
Il comma 8 specifica che le suindicate proroghe operino anche in deroga a quanto disposto dalla riforma Cartabia ma nel rispetto della disciplina transitoria ivi prevista. Disciplina transitoria che è stata oggetto di modifica ad opera della legge di bilancio, con un evidente difetto di coordinamento col milleproroghe.

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3. Legge di bilancio 2023 in materia di giustizia civile

L’art. 1, c. 380 legge di bilancio per il 2023 interviene sulla disciplina transitoria della riforma del processo civile e delle ADR disposta dal d.lgs. n. n. 149/22, modificandone gli artt. 35, 36 e 41, incidendo, dunque sia sul c.p.c. e relative disposizioni di attuazione (art. 35), che sul d.lgs. n. 28/10 e sulla l. n. 162/2014 (art. 41) e infine sul c.p. che sulle relative disposizioni di attuazione (art. 36). La regola generale introdotta è quella dell’applicabilità delle norme riformate ai procedimenti instaurati dopo la data del 28 febbraio 2023, rispetto all’originaria data del 30 giugno 2023. A essa, tuttavia, si accompagnano disposizioni di dettaglio che:

  • anticipano al 1° gennaio 2023 talune significative modifiche, differenziando tra procedimenti di nuova introduzione e già pendenti;
  • richiamano, senza ragioni specifiche, la regola generale dell’applicabilità ai procedimenti instaurati successivamente al 28 febbraio 2023 (norme sulle impugnazioni in generale, art. 283 ecc.);
  • lasciano ferma al 30 giugno 2023 la vigenza di alcune disposizioni per alcune categorie di soggetti (difesa in giudizio amministrazioni dello Stato) ovvero uffici giudiziari e soprattutto la disciplina degli incentivi fiscali e dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato delle ADR.

4. La Relazione 8 febbraio 2023 dell’Ufficio del Massimario e del Ruolo della Corte di Cassazione

Con la Relazione n. 8 dell’8 febbraio 2023, l’Ufficio del Massimario e del Ruolo della Corte di cassazione ha spiegato le novità normative introdotte dalla l. n. 197 del 2022 nonché dal d.l. n. 198 del 2022 (disposizioni transitorie). In particolare, il 29 dicembre 2022, il quadro normativo delineato dal D.Lgs. n. 149/2022 (riforma civile Cartabia) è risultato nuovamente modificato attraverso due nuovi interventi inseriti, il primo, nella legge di approvazione del bilancio e, il secondo, nel decreto legge c.d. milleproroghe. Più in dettaglio, mediante il primo intervento è stato modificato l’art. 35 (reca la disciplina transitoria in materia di processo civile, al fine di regolamentare il passaggio dalla normativa precedente a quella nuova, tenuto conto sia dei procedimenti pendenti sia di quelli di nuova instaurazione) del d.lgs. n. 149 del 2022, anticipando la data in cui gran parte della riforma del rito civile inizierà ad avere efficacia e sarà applicabile, mentre attraverso il secondo intervento in via d’urgenza, è stata prorogata una esigua parte della disciplina speciale, la quale era stata introdotta nel corso dell’emergenza pandemica, rientrante tra le misure finalizzate a garantire il distanziamento sociale e a ridurre la diffusione dei contagi.

In dirittura di arrivo la rivalutazione dell’assegno unico

In dirittura di arrivo la rivalutazione dell’assegno unico

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Da fine mese la quota minima dell’assegno unico passa a euro 54,1 e la quota massima a euro 189,2.
In aumento anche le soglie Isee e gli incrementi per le madri under 21, doppio reddito dal terzo figlio in poi.

1. La rivalutazione degli importi

 
 

1. La rivalutazione degli importi

 

2. La corsa al rinnovo dell’Isee

 

3. In che modo beneficiare della misura

 

Indice

1. La rivalutazione degli importi

L’Inps ha liquidato la mensilità del mese di febbraio 2023 e a partire dalla settimana corrente
verranno resi disponibili gli accrediti sui conti correnti.
In questo modo 5,4 milioni di famiglie con figli verranno raggiunte dall’assegno unico universale, ricevendo la mensilità in adeguamento al costo della vita.
Una maggiore platea di genitori beneficerà di una mensilità più ricca negli importi e più elevata rispetto alla condizione precedente.
La rivalutazione annuale in base all’indice di inflazione è prevista in base al testo del Decreto Legislativo 230/2021, che ha istituito l’assegno unico.
L’Inps da parte sua, ha deciso l’adeguamento delle erogazioni dal mese in corso, mentre la quota
rivalutata relativa allo scorso mese di gennaio verrà saldata con il pagamento del mese di marzo.
La divulgazione delle tabelle con gli importi relativi al 2023 avverrà nei prossimi giorni con la pubblicazione della relativa circolare dell’Istituto di Previdenza Sociale.
A questo proposito la testata Il Sole 24 Ore ha riportato di potere ufficializzare il tasso di rivalutazione, pari all’8,1%, definito d’intesa con il Ministero delle Finanze in linea con la variazione media annua dell’Indice nazionale dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati (Foi) di Istat.
La rivalutazione in questione, scatta anche sulle maggiorazioni previste per legge.
Nella quota più bassa dell’Isee la maggiorazione per il secondo percettore di reddito da lavoro, se lavorano entrambi i genitori, sale da euro 30 a euro 32,4.
La quota per le madri under 21 da euro 20 a euro  21,6.
La quota per i figli successivi al secondo da euro 85 a euro 91,9

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2. La corsa al rinnovo dell’Isee

Alla fine del mese di febbraio scadrà la corsa al rinnovo dell’Isee.
Sono disponibili ancora alcuni giorni per potere inviare all’Inps la Dichiarazione Sostitutiva Unica (DSU) e ottenere l’aggiornamento dell’indicatore.
In caso contrario, a cominciare dalla mensilità del mese di marzo, per ogni figlio verrà erogata esclusivamente la quota minima di euro 50.
In un simile frangente chi aggiornerà l’Isee entro il 30 giugno potrà ottenere gli importi arretrati ricalcolati in base al parametro dal mese di marzo, chi lo farà in tempi successivi, li riceverà modulati sull’indicatore dopo la presentazione della DSU.
L’Inps fa sapere che sino adesso nel 2023 sono state inviate circa sei milioni di DSU, a fronte di 11.856.654 inviate durante lo scorso anno.
Chi le ha inviate prima, aggiornando l’indicatore tra gennaio e febbraio, otterrà il calcolo della  propria prestazione sulla base dell’ultima dichiarazione disponibile a partire dalla mensilità di febbraio.

 

3. In che modo beneficiare della misura

Gli uffici di Palazzo Chigi e del Dipartimento della Famiglia stanno accogliendo con stupore la procedura di infrazione aperta contro l’Italia da parte della Commissione Europea sull’Assegno Unico, ricordando che a differenza di quello che prevede il reddito di cittadinanza, il decreto attuativo della legge delega prevede che il richiedente, per riuscire a beneficiare dell’aiuto dell’assegno universale per i figli, debba avere da almeno due anni, anche se non continuativi, la residenza in Italia, oppure deve essere titolare di un contratto di lavoro a tempo indeterminato o a tempo determinato che abbia la durata minima di sei mesi.
La questione era stata valutata in precedenza in conformità a quello che prevede il Diritto Comunitario in relazione alla mobilità dei lavoratori europei, nonostante, come ipotizzato a suo tempo da parte della Commissione Parlamentare durante l’esame del testo, il vincolo della residenza in Italia potrebbe scendere a tre mesi prima della domanda oppure potrebbe essere sostituito da un vincolo di domicilio.
Questo aspetto per potere fornire delle risposte adeguate al disappunto di Bruxelles, dovrà essere ridiscusso.

COA Roma sul diritto di difesa: la vicenda del GIP di Roma

COA Roma sul diritto di difesa: la vicenda del GIP di Roma

 
 
 

Con un comunicato del 20 febbraio 2023 pubblicato sul website dell’Ordine degli Avvocati di Roma, viene denunciata una vicenda di presunta violazione del diritto di difesa tecnica da parte di un Giudice capitolino.

1. La vicenda di un GIP di Roma riportata sul website dell’Ordine degli Avvocati capitolino

 
 

1. La vicenda di un GIP di Roma riportata sul website dell’Ordine degli Avvocati capitolino

 

2. Il testo comparso nell’avviso di fissazione dell’udienza

 

3. Il commento di Paolo Nesta, Presidente COA di Roma

 

Indice

1. La vicenda di un GIP di Roma riportata sul website dell’Ordine degli Avvocati capitolino

Attraverso il comunicato titolato “TRIBUNALE DI ROMA, L’AVVOCATO È INUTILE. DURA PROTESTA DELL’ORDINE FORENSE: LA DIFESA DIRITTO INVIOLABILE” editato sul sito istituzionale dell’Ordine degli Avvocati di Rima, il relativo COA fa sapere di un’iniziativa imputata, dalla stessa nota, a un Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Roma, il quale in un avviso di fissazione d’udienza, relativo a un procedimento camerale per la richiesta di archiviazione, avrebbe avvisato l’indagato di poter bypassare dell’operato del difensore d’ufficio.

2. Il testo comparso nell’avviso di fissazione dell’udienza

Questo il testo del GIP redatto nell’avviso di fissazione udienza: “La persona indagata che, come suo diritto, non voglia comparire all’udienza e voglia limitarsi ad attendere la decisione del Giudice senza trovarsi nella condizione di dover retribuire il Difensore d’ufficio, contatti quindi il Difensore come sopra nominatole e lo inviti espressamente e formalmente, a mezzo Posta Elettronica Certificata o raccomandata A.R. o in altro documentato modo, a non comparire all’udienza fissata ed in generale a non svolgere alcuna attività difensiva”. 

 

3. Il commento di Paolo Nesta, Presidente COA di Roma

“Il diritto di difesa è inviolabile in ogni stato e grado del giudizio e non può certamente essere il Giudice ad interferire, in modo diretto o indiretto, invitando l’indagato a eludere tale diritto costituzionalmente riconosciuto. È davvero sconcertante che il Giudice abbia posto in essere tale condotta in un atto giudiziario notificato all’indagato , che in tal modo può essere indotto a pensare che la presenza del difensore sia inutile. Il Giudice, in questo modo, svilisce la funzione difensiva, quasi ritenendola superflua, come dire all’indagato che è meglio risparmiare. Un comportamento che l’Ordine degli Avvocati non può tollerare e che ci induce a indirizzare una formale segnalazione al Presidente del Tribunale Reali, che certamente saprà inter-venire come si conviene. Va evidenziato che l’indagato e l’imputato non hanno la facoltà di rinunciare al difensore d’ufficio, il quale, pertanto, è obbligato comunque a svolgere la funzione difensiva, incorrendo in violazioni di legge e deontologiche in caso di mancato adempimento al detto obbligo. E ancora: sono assicurati ai non abbienti , con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione, come ben sanno gli operatori della Giustizia”.