Archivi giornalieri: 28 febbraio 2023

San Romano di Condat

 

San Romano di Condat


Nome: San Romano di Condat
Titolo: Abate
Nascita: 390, Francia
Morte: 463, Francia
Ricorrenza: 28 febbraio
Martirologio: edizione 2004
Tipologia: Commemorazione
Canonizzazione:
pre-canonizzazione, sconosciuto

Il monachesimo fu uno dei più larghi e fecondi movimenti religiosi, che producessero effetti di spirituale perfezione e insieme di civile progresso.

Per questo la schiera dei Santi monaci è quasi sterminata. Riempie di luce i secoli più bui del Medioevo; lievita la vita di quella società che sembrava oppressa dalla più torva barbarie.

San Romano fa parte della grande famiglia dei monaci francesi, perché la Francia, subito dopo l’Italia, fu la terra propizia al monachesimo.

E ciò si spiega col fatto che il monachesimo, per quanto movimento squisitamente cristiano, s’innestava sulla parte migliore della romanità, accogliendo quegli elementi di civiltà latina, che i barbari distruggevano ovunque, ma che non riuscivano a cancellare nell’ambito di quella grande casa romana costituita dal monastero.

Ecco perché il monachesimo si propagò e attecchì facilmente nei paesi più fedeli alla tradizione romana.

Il Santo di oggi, per quanto francese, fu Romano di nome e di spirito.

Entrò giovane nell’abbazia d’Ainay, presso Lione, ma poco dopo ne uscì, con l’autorizzazione dell’Abate.

Non che gettasse, come si suol dire, il saio all’ortiche. Uscì dal monastero per desiderio di maggiore perfezione spirituale. Infatti si ritirò solitario sui monti del Giura, dove sperò di passare i suoi giorni nella penitenza e nella preghiera.

Ma la luce fa lume, e la fama del monaco Romano condusse a lui altre anime aspiranti alla perfezione.

Il primo fu suo fratello Lupicino, che lo raggiunse sui monti. A lui si unirono altri fuggiaschi dal monda, ma non dalla vita spirituale.

Nacque così la celebre abbazia di Condat, che presto s’empì di monaci.

San Romano fu costretto a fondare un altro monastero, a Leucone, poi un terzo, che prese il nome di Saint Romain de la Roche.

In questi monasteri si ebbe la novità di una specie di diarchia, perché San Romano volle dividere il governo dell’Abbazia col fratello Lupicino.

Egli era troppo dolce, per reggere con fermezza il pastorale dell’Abate. Aveva bisogno del soccorso del fratello Lupicino, più severo e rigoroso.

La devozione dei due Santi fratelli, oltre che nell’istruzione e formazione dei discepoli e nella fondazione di nuovi monasteri, si manifestava nei loro frequenti pellegrinaggi verso i santuari dei Martiri.

Una volta, recandosi insieme ad Agaunio, per pregare sulla tomba di San Maurizio e dei suoi militi dell’eroica Legione Tebea, giunti nel territorio di Ginevra, si fermarono, per trascorrere la notte, in una capanna abbandonata.

Dopo poco però, giunsero due poveri lebbrosi, che erano stati a raccogliere la legna. La capanna era il rifugio di quegli infelici, reietti dal mondo e schivati da tutti.

Passata la prima, reciproca sorpresa, si vide il monaco Romano abbracciare con affettuoso trasporto i due sofferenti, fratelli in Cristo. E accanto a loro, Romano e Lupicino trascorsero la notte.

Solo quando si furono allontanati, la mattina dopo, i due lebbrosi si accorsero con gioia di essere stati mondati dal loro male, e tutta la città di Ginevra, quando il fatto venne risaputo, tributò commossi onori ai due pellegrini.

La diarchia, cioè la collaborazione tra i due fratelli nel governo dei monasteri da loro fondati, si sciolse soltanto con la morte di San Romano, avvenuta alla fine del V secolo, quando egli aveva settant’anni, e quando ormai le montagne del Giura erano letteralmente cosparse di Abbazie nelle quali, insieme con la fede, si salvava la civiltà occidentale.

MARTIROLOGIO ROMANO. Sul massiccio del Giura in Francia, deposizione di san Romano, abate, che, seguendo il modello degli antichi monaci, per primo condusse in quel luogo vita eremitica, divenendo poi padre di moltissimi monaci.

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Domande Frequenti

  • Quando si festeggia San Romano di Condat?

     

  • Quando nacque San Romano di Condat?

     

  • Dove nacque San Romano di Condat?

     

  • Quando morì San Romano di Condat?

     

  • Dove morì San Romano di Condat?

     

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Oggi 28 febbraio si venera:

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Le origini sarde di Jean Paul Marat. Il padre era di Cagliari.

Le origini sarde di Jean Paul Marat. Il padre era di Cagliari.

1. Un protagonista della Rivoluzione francese
Jean Paul Marat è stato tra i protagonisti della Rivoluzione francese quello più radicale. Deputato della Convenzione fu anche presidente del Club dei Giacobini. Fu estremamente critico anche nei confronti della dichiarazione dei Diritti dell’uomo dell’89, che considerò “un’irrisoria esca per distrarre gli sciocchi” un’atroce beffa per il popolo perché – scrive – Votre fameuse déclaration des droits n’etait donc qu’un leirre derisoire pour amuser les sots …puisqu’elle se réduit en derniere analysi à conférer aux riches tous les avantages, tous les honneurs du nouveau régime.
La dichiarazione dei diritti aveva infatti proclamato l’uguaglianza degli uomini in linea di diritto ma non di fatto: aveva infatti affermato e riconosciuto a tutti il diritto di concorrere al potere e alla ricchezza e aveva conseguentemente dichiarato guerra al privilegio ereditario ma aveva creato altri “privilegiati”: la borghesia. Si era infatti dimenticata di proclamare l’uguaglianza economica dei cittadini. Sono stati distrutti i privilegi ed è stata regolata la proprietà – sosterrà Marat – ma ciò non riguarda il popolo che non ha niente da difendere: ”Les changements survenus dans l’Etat, ils sont tous pour le riche”Occorreva dunque secondo lui, quindi riformare radicalmente il regime economico, abolendo la proprietà privata: questa sarà la sua battaglia come deputato alla Convenzione, battaglia che perderà e anzi, la società borghese uscirà consolidata dal travaglio della grande Rivoluzione. Fin dal 1789 inizia una lotta contro il regime borghese del censo agli effetti elettorali esaltando la sovranità popolare la quale può essere solo delegata, con mandato sempre revocabile..

2. l’origine sarda
Sull’origine sarda di Jean Paul Marat non vi sono ormai dubbi. A documentarlo con certezza vi sono studi rigorosi con relative documentazioni e prove, ad iniziare dagli Atti di nascita, di battesimo e di matrimonio. L’ultima opera sul rivoluzionario, corposa (596 pagine in due tomi) ed estremamente documentata, Marat en famille-La saga des Marat è della professoressa belga Charlotte Goetz, con corredo di note, bibliografia e riproduzione di documenti fra cui quelli provenienti da archivi sardi. Molti sono stati forniti da Carlo Pillai(1), già Sovrintendente archivistico per la Sardegna e autore di numerosi articoli su Jean Paul Marat.
A documentare l’origine sarda, fin dagli inizi del Novecento è stato Egidio Pilia(2), – avvocato e saggista, nonché uno dei fondatori del Partito sardo d’azione – con l’opuscolo Gian Paolo Marat.
Il protagonista della Rivoluzione francese, di cui rappresentava l’anima più radicale e popolare, non a caso fu soprannominato l’ami de peuple, nacque a Boudry, nel cantone di Neuchâtel in Svizzera il 24 maggio 1743 da Giovanni e da Luisa Cabrol. L’8 giugno verrà battezzato e nell’Atto, conservato – precisa Pilia – nel Registro dei battesimi di Neuchâtel dove si accenna esplicitamente a “Jean Paul, fil de M. Jean Mara de Cagliari en Sardaigne et de Loise Cabrol de Geneve”.
Ma lo stesso rivoluzionario, ci ha lasciato più di una prova a conferma della sua origine sarda: nella Biblioteca universitaria di Neuchâtel si trova ancora conservato un dizionario latino-francese, a lui appartenuto in gioventù, che porta sulla prima pagina il nome Jean Paul Mara, scritto di suo pugno.

3. Chi era il padre?
Esiste a Cagliari nella Parrocchia del Quartiere Marina,(Pagina XVI del volume XVI Quinque libri) dal quale risulta che Juan Salvador padre di Giampaolo, nacque a Cagliari da Antonio Mara e Millana Trogu e fu battezzato nella chiesa parrocchiale di Marina il 9 agosto 1704 :”En los nueve dias del mes de Agosto del presente anno del mille siete sientes y quatro yo el reverendo Costantino Espissu, domero de la Iglesia Parroquial de la Marina bautize segun el rito de la santa Iglesia romana à Juan salvator Mara y Millana trogu, coniuges de la Marina etc. etc.” .
Ma un contributo decisivo sulla vita e sulla figura di Juan Salvador Mara ce lo offre Carlo Pillai Dalle sue ricerche archivistiche risulta senza ombra di dubbio che il padre del rivoluzionario, nato a Cagliari nel 1704 divenne frate Mercedario il 10 agosto 1720. “Ben presto fu avviato alla carriera ecclesiastica – scrive Pillai – e a quattordici anni vestì l’abito dei Mercedari nel convento di Bonaria. Nel 1726 era diacono e dopo la nomina a lettore fu inviato a Bono, in un convento di nuova istituzione” (3) .“A causa del suo carattere irruento e focoso – è sempre Pillai a scriverlo – ebbe a scontrarsi vivacemente col potere secolare, in relazione al pagamento di certe quote arretrate del Regio Donativo dovute dal Convento”.
Con il potere politico si scontra anche in merito ad altre questioni tanto che il viceré, conte d’Apremont ordinò un’inchiesta, “manifestando il proposito di punire a dovere quel frate ribelle che osava mettere in discussione l’ordine costituito. Pertanto ordinò ai superiori dell’Ordine di farlo rientrare a Cagliari, dove l’avrebbe convocato alla sua presenza per comunicargli il meritato castigo” (4) .
Avuto sentore del pericolo che correva Juan Salvador scappa abbandonando la Sardegna. Si spreta e si reca a Ginevra dove vivrà facendo il disegnatore per un’industria tessile. E a Ginevra si sposerà con la calvinista Luisa Cabrol, sedicenne da cui avrà Jean Paul e altri cinque figli.

4. Perché il padre al cognome Mara aggiunge Bonfils e non Trogu, il cognome della madre?
Nasce a questo punto un problema: se il padre di Giampaolo, Giovanni è figlio di Millana Trogu, come mai si firma aggiungendo sempre al cognome paterno Bonfils e non Trogu?
Ebbene il cognome Bonfils, usato da Giovanni Mara è quello della sua nonna paterna, come risulta dall’atto di matrimonio celebrato nella Chiesa parrocchiale di Marina a Cagliari (Atti di Matrimonio dal 1693 al 1703, Foglio59) in cui il domero Costantino Espissu…en onze diade mes de meayo del presente anno del mil seicentos nouenta y ociodesposò por calabra de presente, en mi presencia, segun el rittu de la Santa Iglesia Romana, Antonio Mara de la ciudad de sasser, hijo de Antonio Mara y de Maria Vittoria Bonfils, coniuges vesinos de dicha ciudad y a Millana Trogu de la Marina etc. etc.”.
Sappiamo dunque da quest’Atto di matrimonio che Antonio Mara, bisnonno del nostro rivoluzionario era oriundo di Sassari e che egli era un Bonfils, come si firmava il padre.“Questa tesi – scrive Egidio Pilia – è corroborata da un altro documento: l’Atto di matrimonio intervenuto a Ginevra il 21 dicembre 1740 fra Giovanni Mara e la sedicenne Luisa Cabrol dalla cui unione dovrà nascere tre anni dopo l’ami du Peuple. Dall’atto redatto dal notaio Marco Fornet, in Ginevra, risulta all’evidenza che il cognome Bonfils apparteneva ad Antonio Mara, non al figlio Giovanni.
L’Atto infatti suona così : «Contrat intervenu entre sieur Jean fils de sieur Antoines Mara Bonfils, peintre et dessinauteur, natif de Caìllary, dans l’île de Sardaigne, demeurant dès quelque temps en cette dille de Genève, d’une part et demoiselle Louise, fille de sieur Louis Cabrol, native d’autre part etc. etc.» (5) .

5. Perché aggiunge una t al suo cognome.
Acclarato che Jean Paul Marat è Giampaolo Mara rimane una questione: perché ha voluto aggiungere al cognome Mara la t diventando Marat.Uno dei biografi del rivoluzionario il francese François Chèvremont6, riporta una lettera scrittagli il 2 luglio 1867 dal Giovanni Mara, nipote di Jean Paul e ricevitore del registro e bollo a Genova, dalla quale si apprende che fu il proprio il rivoluzionario ad aggiungere «un t final a son nom pour le rendre francais, t chi ne se trouve ni dans son acte de maissance ni dans aucun de ceuux des membres de notre famille».“Dall’esame degli atti di nascita dei numerosi figli – scrive ancora Egidio Pilia (6) – non risulta infatti esserne neppure uno in cui si trovi traccia di t finale, compreso quello di Albertina, che pure fu l’unica, ad imitazione del fratello Gian paolo, a firmarsi Marat, anzi in quello di Davide Mara, l’origine cagliaritana del padre risulta confermata.
Solo quando Giovanni Mara riesce a ottenere la cittadinanza svizzera (21 aprile 1760) egli non è più indicato negli atti di nascita dei propri figli come natif de Cagliari en Sardaigne ma come ma come bourgeois de Boudry”(7) .
Ma c’è di più: il fratello Giovanni, nell’atto di richiesta degli oggetti lasciati da Jean Paul dopo che fu assassinato dalla girondina Charlotte Corday, dice di essere «Jean Mara, horloger, demeurant à Genève, fils de Jean Mara de Cagliari en Sardaigne, recue abitant de Genève le dexième mars milseptcent quarentun(8)».
Anche il fratello minore, quando il 4 aprile 1791 si sposa, a Genova, firma il suo contratto matrimoniale col cognome paterno dei Mara, sebbene il fratello Gian Paolo fosse ormai celebre con il cognome Marat.

Bibliografia
1.Carlo Pillai, Le ascendenze sarde di Jean Paul Marat, in Nobiltà 2005 e Carattere focoso e pensiero acuto in Almanacco di Cagliari anno 2003.
2. Egidio Pilia, Gian Paolo Marat, Edizioni Fondazione il Nuraghe, Cagliari 1925.
3. Carlo Pillai, Carattere focoso e pensiero acuto, articolo cit.
4. Ibidem
5.Chèvremont Francois, J. Paul Mara “L’Esprit politique” -2 volumi in 8.0- Parigi 1880.
6. Egidio Pilia, Gian Paolo Marat, op. cit.
7. Docteur Cabanès, Marat Inconnu-l’homme privé, le medicin, le savant, Nuovelle Edition – Paris – Albin Michel 1891.
8. Archives Nationales de Paris: F – 4885, dossier Corday, pièce n.5

Come il Pnrr incentiva la digitalizzazione delle Pa locali #OpenPNRR

Come il Pnrr incentiva la digitalizzazione delle Pa locali #OpenPNRR

Rendere più efficiente e digitale la pubblica amministrazione è uno degli obiettivi perseguiti dal Pnrr. Sono già molti i fondi assegnati, anche a livello locale, per questa finalità.

 

Come noto, la digitalizzazione del paese rappresenta uno degli obiettivi principali del piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). A questo settore infatti sono dedicati circa 48 miliardi degli investimenti previsti pari a circa il 25% del totale. Si tratta di una quota superiore di 5 punti percentuali rispetto al minimo obbligatorio previsto del regolamento istitutivo del Next generation Eu. Una quota importante di queste risorse servirà per migliorare l’accessibilità alla rete e la velocità delle connessioni per privati, istituzioni e imprese.

Ma una parte altrettanto importante di queste risorse sarà utilizzata anche per rendere più efficiente la pubblica amministrazione. Ci sono diverse misure del Pnrr infatti che vanno in questa direzione con l’obiettivo di rendere più efficace, snello e veloce il rapporto tra cittadini e Pa. Il dipartimento per la trasformazione digitale stima in circa 6 miliardi di euro gli investimenti Pnrr in questo ambito.

Una quota rilevante di risorse servirà anche per finanziare la digitalizzazione delle pubbliche amministrazioni a livello locale. Queste rappresentano il punto di contatto più immediato tra il cittadino e lo stato. Dunque migliorare l’efficienza di questi uffici è molto importante.

€ 1,78 miliardi € le risorse del Pnrr già assegnate per la digitalizzazione delle Pa locali.

Grazie agli open data messi a disposizione dal dipartimento siamo in grado di capire come questi fondi si distribuiscono a livello locale, chi sono gli enti beneficiari e quali interventi saranno finanziati. Un aspetto rilevante emerso dall’analisi di questi dati è che in alcuni casi le amministrazioni hanno rinunciato alle risorse assegnate loro.

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Gli investimenti del Pnrr per la digitalizzazione delle Pa locali

Gli investimenti del Pnrr per la digitalizzazione della pubblica amministrazione rientrano nella prima componente della missione 1: “Digitalizzazione, innovazione e sicurezza nella pa”. Come già anticipato, una parte degli investimenti previsti sarà dedicata agli enti locali.

Il dipartimento per la trasformazione digitale stima in circa 2 miliardi gli interventi in questo ambito. Tali risorse si suddividono tra 6 diverse voci. Si tratta nello specifico di:

  • Abilitazione e facilitazione della migrazione sul cloud. Le Pa locali potranno avvalersi di una serie di fornitori certificati per trasferire in cloud tutta la documentazione in loro possesso. Per far questo sarà fornito loro anche supporto tecnico;
  • Piattaforma digitale nazionale dati. Questa nuova infrastruttura si prefigge di interconnettere le basi dati in possesso delle Pa affinché l’accesso ai servizi sia trasversale e le informazioni di interesse per i cittadini possano essere fornite una volta per tutte;
  • Esperienza del cittadino nei servizi pubblici. Questo investimento prevede l’armonizzazione delle pratiche di tutte le pubbliche amministrazioni verso standard comuni di qualità (ad esempio, funzionalità e navigabilità dei siti web e di altri canali digitali);
  • PagoPA e app IO. Si punta a rafforzare l’adozione delle piattaforme nazionali di servizio digitale incrementando la diffusione di PagoPA (la piattaforma di pagamenti tra la Pa e cittadini e imprese) e della app IO (un canale che mira a diventare il punto di accesso unico per i servizi digitali della Pa);
  • Adozione dell’identità digitale. Si punta a rafforzare il sistema di identità digitale, partendo dai servizi esistenti (Spid, carta d’identità elettronica) ma con l’obiettivo di arrivare a un’unica interfaccia;
  • Piattaforma notifiche digitali. Tale strumento servirà per inviare notifiche con valore legale in modo interamente digitale.

Per l’assegnazione delle risorse previste dagli investimenti appena citati sono stati finora emanati 26 diversi bandi. Tra questi 15 si sono già conclusi mentre gli altri sono ancora in corso. D’altronde nella maggior parte dei casi non ci sono scadenze di rilevanza europea – cioè quelle che l’Ue verifica prima di inviare nuove risorse – particolarmente ravvicinate. 

Fa eccezione da questo punto vista la misura dedicata al cloud che prevede entro il 31 marzo di quest’anno l’assegnazione di tutti gli appalti. Per quanto riguarda invece le app della pubblica amministrazione e la piattaforma notifiche digitali alcuni target sono previsti alla fine dell’anno. In tutti gli altri casi invece le scadenze da rispettare sono più avanti nel tempo.

La situazione è quindi ancora parziale ma grazie agli open data implementati dal dipartimento per la trasformazione è possibile capire come queste risorse si distribuiscono sui vari territori e anche chi sono i soggetti beneficiari.

Come si distribuiscono i fondi 

A livello regionale, possiamo osservare che il territorio che per il momento riceve la maggior quantità di risorse è la Lombardia con circa 326,4 milioni di euro. Seguono Veneto (192,5 milioni), Piemonte (150,2), Campania (146,3) e Sicilia (115,7). Per quanto riguarda invece gli interventi finanziati, al primo posto troviamo gli investimenti per migliorare l’esperienza del cittadino nei confronti della pubblica amministrazione (787,5 milioni), al secondo posto gli investimenti sul cloud (558,8).

I comuni sono i principali beneficiari dei fondi Pnrr per la digitalizzazione delle Pa locali.

Com’è evidente dai grafici, sono i comuni i principali beneficiari di questi investimenti. Questi enti infatti riceveranno sostanzialmente il 95% delle risorse. Il 3,5% invece è destinato alle scuole per gli interventi sul cloud e al miglioramento dell’esperienza del cittadino. Mentre il resto è suddiviso tra una miriade di altre componenti della Pa a livello locale. Tra i soggetti finanziati troviamo, solo per fare alcuni esempi, agenzie regionali, camere di commercio, ordini professionali, comunità montane, aziende sanitarie e ospedaliere (in quest’ultimo caso occorre ricordare che altri investimenti per la digitalizzazione sono previsti nell’ambito delle misure del Pnrr per la sanità). Tali enti peraltro per il momento hanno avuto accesso solo ai fondi per il potenziamento del sistema di identità digitale per le app PagoPA e IO.

A livello locale, com’è logico attendersi, la maggior quantità di risorse è assorbita dai territori più popolosi. Al primo posto infatti troviamo Roma capitale con circa 9,6 milioni di euro già assegnati. Seguono Napoli (8,1 milioni), Torino (8), Firenze (8) e Verona (7,9). Singolare il caso di Milano che per questi investimenti riceve “solo” 7,1 milioni collocandosi al nono posto tra i comuni che ricevono più risorse. Un dato insolito per il secondo comune più popoloso del paese e probabilmente dovuto, almeno in parte, a una condizione di partenza già buona. Di conseguenza c’è stato meno bisogno di ricorrere ai fondi Pnrr in questo caso rispetto ad altre realtà.

Tra i comuni non capoluogo l’ammontare di risorse maggiore va a Giugliano in Campania a cui finora sono stati assegnati oltre 2 milioni di euro. Seguono altri 2 centri campani: Aversa e Afragola entrambi con circa 1,2 milioni di euro assegnati.

Il tema delle rinunce

Come abbiamo visto, finora le risorse assegnate agli enti locali per la digitalizzazione ammontano a circa 1,78 miliardi. Tuttavia il dipartimento per la trasformazione digitale parla di una cifra superiore ai 2 miliardi. Da cosa dipende questo disallineamento? Ciò è dovuto al fatto che alcune amministrazioni pur risultando beneficiarie degli investimenti hanno successivamente deciso di rinunciarvi.

€ 251 milioni le risorse da riattribuire per rinuncia delle Pa beneficiarie.

Tra i territori protagonisti delle rinunce spicca il caso di Palermo dove non arriveranno circa 5,3 milioni di euro, la maggior parte dei quali erano destinati all’infrastruttura cloud dell’ente comunale. Sono poi 6 i comuni in cui l’ammontare complessivo delle rinunce supera il milione di euro. Si tratta di Giugliano in CampaniaLatinaTrentoMessinaBergamo e Roma.

Purtroppo dalle informazioni disponibili non è possibile risalire alle motivazioni che hanno portato a queste rinunce. Una delle più plausibili riguarda il fatto, come abbiamo raccontato, che le Pa locali non siano in grado di adempiere alle numerose e complesse procedure richieste dal Pnrr per accedere alle risorse. In questo caso è possibile che, vista l’enorme mole di adempimenti burocratici di cui occuparsi, i responsabili di alcuni enti abbiano deciso di tirarsi indietro.

È possibile poi che in alcuni casi le rinunce siano dovute ad altre motivazioni. Ad esempio il fatto che l’importo assegnato non sia sufficiente a coprire l’intero costo del progetto. In questo caso l’ente beneficiario che non sia riuscito a sopperire ai fondi mancanti si è visto costretto a rinunciare. Un’altra ipotesi è che semplicemente gli stessi progetti siano risultati vincitori di altri bandi non rientranti nell’ambito del Pnrr.

In tutto questo occorre ricordare ancora una volta che molti bandi sono ancora in corso. Non è quindi da escludere che alcune proposte possano essere recuperate in un secondo momento.

Il nostro osservatorio sul Pnrr

Questo articolo rientra nel progetto di monitoraggio civico OpenPNRR, realizzato per analizzare e approfondire il piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Ogni lunedì pubblichiamo un nuovo articolo sulle misure previste dal piano e sullo stato di avanzamento dei lavori (vedi tutti gli articoli). Tutti i dati sono liberamente consultabili online sulla nostra piattaforma openpnrr.it, che offre anche la possibilità di attivare un monitoraggio personalizzato e ricevere notifiche ad hoc. Mettiamo inoltre a disposizione i nostri open data che possono essere riutilizzati liberamente per analisi, iniziative di data journalism o anche per semplice consultazione.

Foto: Unsplash – Annie Spratt