Archivi giornalieri: 12 febbraio 2023

Le questioni ancora aperte per Carlo III

Le questioni ancora aperte per Carlo III

Si svolge oggi nell’Abbazia di Westminster, undici giorni dopo il suo decesso a Balmoral, il solenne rito funebre della regina Elisabetta II, nella sua duplice veste di capo di Stato e di capo secolare della Chiesa anglicana, ruolo perdurante pur nella rigorosa separazione tra esercizio del potere spiritual e potere secolare.

Funerali, che si svolgono secondo un collaudato protocollo e rigidissime misure di sicurezza, presenti oltre cinquecento invitati in rappresentanza degli Stati del mondo intero, con una sola emblematica eccezione, il nuovo “zar” Vladimir Putin. E dire che l’ultimo Zar dell’Impero Russo, Nicola II era cugino della Regina Vittoria, alla cui figura Elisabetta II è stata spesso associata, per la durata del suo regno, sicuramente non per la connotazione coloniale e imperialista dell’ava.

I primi ad essere stati invitati sono i rappresentanti dei 51 paesi del Commonwealth delle Nazioni e tra essi, in particolare i 15, dall’Australia alle sperdute Isole Salomone, che avevano in Elisabetta e continueranno ad avere in Carlo III il capo di Stato e invieranno, quindi i capi del governo.

Tutti i capi di Stato, dal presidente italiano Sergio Mattarella e quello francese Macron, fino a quello brasiliano Bolsonaro e a quello coreano Yoon Suk-yeol, con invito strettamente personale, arriveranno in Cattedrale con dei bus navetta, con l’eccezione del presidente americano Joe Biden che ha preteso di arrivare con la sua macchina blindata. Un segno dei tempi, ma plausibilmente una concessione alle note sensibilità ecologiste del nuovo sovrano Carlo III è stata l’indicazione data a tutti gli invitati di arrivare a Londra con aerei di linea.

Spia indubbia della nuova realtà del mondo globale, nel quale le organizzazioni internazionali e regionali hanno peso e ruolo accanto e oltre gli Stati, è anche la presenza del Segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres e del presidente del  Consiglio europeo Charles Michel, nonostante il Regno Unito non faccia più parte dell’Unione Europea, a seguito della travagliata Brexit. Anche la Santa Sede sarà presente con l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati e le organizzazioni internazionali, in rappresentanza di Papa Francesco.

A conferma, però, del singolare connubio di modernità e tradizione che connota le istituzioni inglesi, essendo il Regno Unito una delle monarchie più longeve dell’Europa, ai funerali di Elisabetta II sono presenti anche il re di Spagna Felipe VI e la moglie Letizia, ma anche l’ex sovrano Juan Carlos I con la moglie Sofia. Ci saranno poi i re del Belgio, re Filippo e la regina Matilde, il re olandese Guglielmo Alessandro e la regina Maxima. Ai sovrani è concesso il privilegio della presenza congiunta della consorte.

La longevità ha riguardato il suo regno, durato 70 anni, essendo succeduta al padre Giorgio VI, il 6 febbraio del 1952, appena ventiseienne. Ha caratterizzato anche la vita terrena di Elisabetta morta all’età di 96 anni compiuti e il suo matrimonio con Philip Mounbatten, ufficiale della Royal Navy e membro di un ramo cadetto della casa regnante greca.

Una vita privata allietata dalla nascita di quattro figli, Carlo, il suo erede, AnnaAndrea e Edoardo, ma anche turbata dal fallimento del matrimonio di Carlo con Diana e dalla sua atroce fine in un incidente stradale e, ancor più, negli ultimi anni della sua vita, dal coinvolgimento di Andrea nell’orribile vicenda Epstein.

Una vita pubblica, nella quale, pur in presenza di un’esposizione mediatica costante, a partire dalla trasmissione in diretta televisiva della cerimonia dell’incoronazione, il 2 giugno del 1953, mai nessun intervento è stato privo di discrezione e autorevolezza, nel rispetto rigoroso del principio “il re regna ma non governa”, tipico della monarchia costituzionale britannica. Un principio mai dimenticato per la memoria sempre presente della Gloriosa Rivoluzione che già nel XVII secolo aveva sanguinosamente posto fine all’assolutismo monarchico. Il primo capo del governo con il quale la giovane regina si dovette confrontare, Winston Churchill, ne era un orgoglioso sostenitore.

Nei 70 anni di regno di Elisabetta II nel Regno Unito si sono succeduti 15 premier, da Churchill, appunto, a Liz Tuss, con una ricorrente alternanza tra conservatori e laburisti.  Sono pochi in realtà per un intero settantennio, specie se paragonati a tutti quelli che si sono succeduti in Italia, a evidente riprova della stabilità del sistema politico-istituzionale inglese.

Dal punto di vista dell’evoluzione economica, sociale e culturale, Elisabetta II ha vissuto i grandi mutamenti che hanno investito il Regno Unito, dalla ricostruzione e dalla creazione, a partire dal Piano Beveridge, del più avanzato Welfare State, divenuto modello per molti paesi europei, alla perdita delle colonie africane e del Medio Oriente, negli anni Cinquanta e Sessanta, con il concludersi del processo di decolonizzazione. Realtà e mito dell’impero britannico, per il vero, si erano già infranti con l’indipendenza dell’India, guidata da Gandhi e, nei decenni successivi, solo molto parzialmente sono riproposti in forma democratica e consensuale con il Commonwealth delle Nazioni.

Negli anni Sessanta e Settanta la regina deve confrontarsi con la rivoluzione dei costumi e i movimenti della contestazione giovanile che hanno avuto proprio nel Regno Unito un terreno di sperimentazione e d’avanguardia, specie nel campo della musica e della moda. Elisabetta coraggiosamente intervenne perché non fossero solo condannati ed esorcizzati. È emblematico al riguardo il titolo di baronetti del quale furono insigniti i Beatles. Un film di Julian Jarrod, “Una notte con la regina”, ha ricostruito come l’ancora principessa Elisabetta, assieme alla sorella Margareth, il giorno della vittoria, nel maggio del 1945, in incognito, erano scese in strada, mescolandosi alla folla festante per la fine della guerra.

Nel lungo decennio del governo di Margareth Thatcher, verso la quale la regina sembrò non avere una particolare simpatia, il Regno Unito è investito dal fenomeno della deindustrializzazione e della chiusura delle miniere, accompagnato da un forte ridimensionamento del welfare, con proteste dure e violente di categorie simbolo della Working Class inglese. È una ferita ancora non rimarginata, con un lascito nel degrado urbano e sociale delle periferie urbane, anche per la presenza di insediamenti di immigrati e persistenti realtà di disoccupazione.

Negli ultimi decenni del regno di Elisabetta, infine, conclusa, o quanto meno sospesa la lunga vera e propria guerra civile dell’Irlanda del Nord, è esploso l’indipendentismo del Galles e, soprattutto, della Scozia, che rischiano di mettere in crisi l’idea stessa del Regno Unito. La controversa e contrastata, ma alla fine vincente, scelta del governo conservatore di Boris Johnson di uscire dall’Unione Europea ha dato ulteriore stimolo al movimento indipendentista, perché non solo la Scozia, ma la stessa Irlanda del Nord sono ostili alla Brexit.

Sono questioni aperte con le quali dovrà fare i conti il nuovo re Carlo III, salito al trono nella pienezza della sua età matura. Per evitare nuovi scandali nella famiglia reale allargata, che solo la vecchia regina ha saputo controllare, dovrà di essa ripensare i tanti privilegi e appannaggi, oltre a meditare se l’enorme patrimonio immobiliare e finanziario regale non costituisca un vero e proprio scandalo per l’intera impoverita società inglese.

A partire dalla sua sensibilità per i temi dell’ambiente e della pace, dovrebbe anche mandare dei segnali per contrastare le pulsioni belliciste dell’attuale nuovo governo, la cui premier, Liz Tuss si è dichiarata pronta persino a premere il pulsante delle armi atomiche a difesa delle libertà violate.

 

Il nuovo consiglio superiore della magistratura e il suo vicepresidente Mappe del potere

Il nuovo consiglio superiore della magistratura e il suo vicepresidente Mappe del potere

Nei giorni scorsi si è tenuta la prima seduta del plenum con cui si sono insediati i nuovi componenti del consiglio superiore della magistratura. In questo contesto inoltre è stato eletto il nuovo vicepresidente.

 

Lo scorso 25 gennaio si sono insediati i nuovi componenti del consiglio superiore della magistratura (Csm). All’ordine del giorno, oltre alla verifica dei requisiti di eleggibilità dei componenti laici, si trovava l’elezione del nuovo vicepresidente. A questa carica è stato eletto l’avvocato Fabio Pinelli.

Il Csm è l’organo di governo della magistratura in Italia. La sua funzione è quella di regolare assunzioni, promozioni, trasferimenti e gli aspetti disciplinari relativi ai magistrati. Vai a “Che cos’è il Csm, consiglio superiore della magistratura”

L’elezione dei membri laici e del vicepresidente

La nomina del vicepresidente è un passaggio particolarmente importante. La costituzione infatti stabilisce che la presidenza dell’organo spetti al capo dello stato (articolo 104). Questa funzione tuttavia, come tutte quelle attribuite al presidente della repubblica, ha una natura particolare. Il suo ruolo infatti è volto a garantire l’indipendenza dell’organo da eventuali ingerenze esterne, più che a dirigerlo operativamente. Per questa ragione il ruolo di vicepresidente è cruciale.

Dopo la riforma di giugno 2022 (legge 71/2022) la composizione dell’organo è tornata a contare 33 membri, di cui 3 di diritto (il capo dello stato, il primo presidente e il procuratore generale della Corte di cassazione), 20 togati (eletti dai magistrati ordinari) e 10 laici (eletti dal parlamento in seduta comune). Ed è proprio tra questi ultimi che la legge stabilisce che debba essere eletto il vicepresidente.

L’organo di governo della magistratura è eletto per 2/3 dai magistrati e per 1/3 dal parlamento in seduta comune. Vai a “Come vengono eletti i membri del Csm”

L’elezione dei membri laici da parte del parlamento riunito in seduta comune è avvenuta nel corso di due votazioni che si sono tenute il 17 e 19 gennaio scorso. Tra i 10 componenti eletti in quei giorni, il candidato che ha ottenuto più voti è stato il professor Roberto Romboli (531 voti ovvero l’87,62% dei componenti dell’assemblea). Ma vari altri eletti hanno ricevuto un numero considerevole di voti. Tra questi il neo vicepresidente Fabio Pinelli (516 – 85,15%).

Solo pochi giorni dopo, il 25 gennaio, si è quindi insediato il nuovo plenum che, con 17 voti, ha eletto Fabio Pinelli vicepresidente.

17 su 32 i voti con cui Fabio Pinelli è stato eletto vice presidente del Csm.

Una maggioranza non schiacciante (53,1%) se si considera che il plenum è composto da 33 membri tra cui il presidente della repubblica che, per prassi, non partecipa alla votazione. In ogni caso un risultato superiore rispetto a quello ottenuto dall’ultimo vice presidente dell’organo David Ermini che nel 2018, alla terza votazione, era stato eletto con 13 voti su 26.

I consiglieri laici e la politica

Sul tema della politicizzazione del consiglio superiore della magistratura si discute da molti anni. Non c’è dunque da stupirsi che le fonti stampa abbiano attribuito a uno o più consiglieri eletti dal parlamento il sostegno da parte di uno specifico partito politico.

D’altronde anche in questa occasione, come in passato, sono diversi i membri laici del Csm che in precedenza avevano ricoperto incarichi politici.

4 su 10 dei nuovi componenti laici del Csm hanno ricoperto in passato incarichi politici.

Ad aver ricoperto più ruoli è l’avvocato Enrico Aimi che negli anni ha svolto 4 mandati come consigliere regionale dell’Emilia-Romagna (prima con Alleanza nazionale, poi con il Popolo delle libertà e poi con Forza Italia). Inoltre è stato senatore nella scorsa legislatura (FI) e si è candidato alle ultime elezioni nelle liste di FI al senato, non risultando però eletto.

Al secondo posto l’avvocato Isabella Bertolini, deputata con Forza Italia e con il Popolo delle libertà per 3 legislature. L’avvocato Rosanna Natoli invece è stata consigliera e assessore comunale di Paternò con una lista associata a Fratelli d’Italia (lista civica fratelli di Paternò) per poi essere candidata alla camera proprio con il partito della presidente del consiglio, senza risultare eletta.

Infine Ernesto Carbone: deputato del Partito democratico nel corso della XVII legislatura, membro della segreteria Renzi e candidato non eletto alle elezioni del 2018. Carbone in aggiunta in passato è stato anche componente del comitato scientifico della Fondazione Italia Usa, organizzazione che riunisce tra i suoi componenti molte figure politiche di diverso orientamento.

Pur non avendo ricoperto incarichi politici anche il professor Felice Giuffrè è stato membro del comitato scientifico di una fondazione. In questo caso si tratta di Fare Futuro, organizzazione presieduta dal senatore di Fratelli d’Italia Adolfo Urso.

Quanto al neo vicepresidente eletto Fabio Pinelli si rileva una situazione piuttosto particolare. Da fonti stampa infatti Pinelli è considerato come uno dei consiglieri eletti in quota Lega. E in effetti non mancano i rapporti pregressi tra il vicepresidente e il partito di Matteo Salvini. Negli scorsi anni infatti, nell’ambito della sua professione di avvocato, Pinelli è stato difensore di Luca Morisi (ex responsabile della comunicazione della Lega), di Armando Siri (ex sottosegretario e senatore della Lega) e della regione Veneto (al cui vertice siede un presiedente leghista, Luca Zaia).

Allo stesso tempo però Pinelli ha avuto rapporti anche con alcuni esponenti del centrosinistra. Sempre come avvocato infatti ha rappresentato il senato presso la corte costituzionale nel conflitto con la procura di Firenze relativo al caso Open in cui è stato coinvolto Matteo Renzi.

Inoltre Pinelli ha fatto parte di alcuni importanti think tank. In passato infatti è stato membro del comitato scientifico della fonazione Leonardo. Un’organizzazione che fa capo all’omonima azienda partecipata dal ministero delle finanze e che riunisce tra i suoi membri esponenti di diversi partiti politici. L’incarico di presidente della fondazione Leonardo inoltre è attualmente ricoperto da Luciano Violante, ex magistrato e successivamente esponente di spicco dei Democratici di sinistra e del Partito democratico con cui ha ricoperto anche il ruolo di presidente della camera. Sempre Violante poi è presidente onorario di un altro think tank che vede Pinelli tra i componenti del suo comitato scientifico: la fondazione Italia decide.

La politica e il Csm negli ultimi trent’anni

È innegabile dunque che il nuovo vicepresidente del Csm abbia coltivato negli anni rapporti con molti esponenti politici, anche di partiti diversi. Al contempo però, al contrario della maggior parte dei suoi predecessori, Fabio Pinelli non ha ricoperto in passato incarichi politici in prima persona.

11 su 20 il numero di vicepresidenti del Csm che, prima di essere eletti, avevano ricoperto incarichi politici.

D’altronde, come abbiamo visto, altri 4 degli attuali consiglieri laici hanno ricoperto incarichi di questo tipo, ovvero il 40%, uno dei valori più alti degli ultimi 30 anni.

A partire dagli anni ’90 infatti solo in altre 3 consiliature è stata raggiunta o superata questa quota di laici con un passato in politica: nell’ottava consiliatura, sempre il 40%, nella dodicesima, quando si raggiunse il 50%, e nella quattordicesima quando furono addirittura l’87,5%.

 

Perché gli annunci di Meloni sul Pnrr sono inesatti Monitoraggio e trasparenza

Perché gli annunci di Meloni sul Pnrr sono inesatti Monitoraggio e trasparenza

In occasione dei 100 giorni di governo, Meloni ha condiviso sui canali social dei messaggi per rivendicare i traguardi raggiunti. Tra questi, 2 riguardano il Pnrr ed entrambi contengono gravi inesattezze.

 

Lo scorso 30 gennaio il governo Meloni ha celebrato i 100 giorni dal proprio insediamento. Un passaggio che tradizionalmente, soprattutto da un punto di vista mediatico, rappresenta l’occasione per tracciare un primo bilancio dell’attività svolta.

L’attuale presidente del consiglio ha voluto rivendicare i traguardi raggiunti dal proprio governo attraverso la diffusione di alcuni messaggi sui social network. Tra gli obiettivi centrati secondo Meloni ci sarebbero anche il conseguimento di tutte le scadenze del piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) previste per il secondo semestre del 2022. E il raggiungimento di un’intesa con la commissione europea per la revisione del Pnrr. Tuttavia, come vedremo in questo articolo, entrambe queste affermazioni risultano essere quantomeno inesatte.


Post Facebook di Giorgia Meloni

Le scadenze non completate

Nel post social Giorgia Meloni ribadisce che l’Italia ha raggiunto tutte le scadenze europee del Pnrr previste per il secondo semestre del 2022. Tuttavia, a seguito della nostra attività di monitoraggio, abbiamo rilevato diversi elementi di criticità. Li abbiamo già raccontati in un recente articolo, ma vale la pena evidenziarli nuovamente alla luce di queste dichiarazioni.

Trasparenza, informazione, monitoraggio e valutazione del PNRR

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In particolare non è sempre stato rispettato quanto richiesto dai meccanismi di verifica. Cioè i criteri, sottoscritti da Italia e Ue in un accordo operativo, con cui la commissione europea valuta il completamento delle milestone e dei target previsti dal cronoprogramma.

14 su 55 le scadenze europee che al 2 febbraio 2023 risultano ancora non completate, sul totale di quelle previste per il secondo semestre del 2022.

Le carenze nel raggiungimento di queste scadenze sono per la maggior parte spiegate da lentezze burocratiche e amministrative. È il caso per esempio dell’assenza di decreti in gazzetta ufficiale o della mancata adozione di decreti attuativi. Formalità dunque, anche se va sottolineato che ritardi nella pubblicazione in gazzetta ufficiale comunque bloccano l’entrata in vigore e l’attuazione degli interventi previsti.

Ma ancora più rilevante è il caso di quelle scadenze che richiedevano l’effettiva realizzazione di infrastrutture o interventi. E che non abbiamo considerato conseguite perché non è accessibile alcun documento che dimostri l’avvenuta esecuzione delle azioni previste. In particolare parliamo dei seguenti interventi:

 

Le verifiche di Bruxelles e gli equilibri politici

Anche durante il governo Draghi avevamo riscontrato delle criticità, ma l’Unione europea aveva comunque approvato l’erogazione delle precedenti tranches di fondi. In questo senso va sottolineato che l’ultima parola sull’invio delle risorse Pnrr agli stati membri spetta alla commissione europea, il che rende tale decisione prettamente politica.

Il comitato economico e finanziario fornisce alla commissione un parere tecnico che non è vincolante. Vai a “Come l’Ue verifica l’attuazione dei Pnrr negli stati membri”

Finora Bruxelles ha valutato con una certa flessibilità l’operato del nostro paese sul Pnrr. Una fiducia che non sappiamo ancora se sarà confermata anche al governo Meloni. Al momento infatti la commissione sta valutando la richiesta di pagamento per la terza tranche di fondi, la prima inviata dall’attuale esecutivo. E si pronuncerà solo nei prossimi mesi.

Gli annunci non bastano

Al di là di come la commissione valuterà la richiesta del governo Meloni, c’è un’ulteriore questione cruciale da evidenziare rispetto allo stato di attuazione del piano. Ed è la sempre più grave mancanza di trasparenza.

Anche se il governo ha annunciato il raggiungimento degli obiettivi e traguardi previsti infatti, ciò è avvenuto attraverso la diffusione di scarnissimi comunicati stampa, che non forniscono nessun elemento di dettaglio utile a fini di monitoraggio.

Monitorare la realizzazione del Pnrr da fonti ufficiali continua dunque a essere complicato. E non solo per le gravi mancanze della piattaforma Italia domani e altre che abbiamo ribadito in diverse occasioni. Ma per l’ambiguità delle informazioni, anche laddove sono disponibili. Spesso infatti non si trovano riferimenti chiari allo stato di attuazione di una scadenza – esempio emblematico su questo è il sito del ministero dell’economia – né espliciti su quale sia la milestone o il target interessato da un determinato intervento.

A chiudere il quadro infine, il governo Meloni ha disatteso l’impegno di presentare entro l’anno la terza relazione al parlamento sullo stato di attuazione del Pnrr, come richiesto dalle norme. Il documento era stato annunciato per la fine di gennaio ma anche questa scadenza non è stata rispettata.

Non è stata proposta nessuna revisione

C’è poi un secondo conseguimento tra quelli rivendicati dal post social di Giorgia Meloni, che riguarda il Pnrr e che è necessario chiarire. Da un lato perché riporta alcune inesattezze e dall’altro perché semplifica troppo un processo, quello di revisione del piano, che è ben più complesso.

È stata raggiunta un’intesa con la Commissione europea, così come previsto da Regolamenti europei, per la revisione del PNRR. Un importante successo che permetterà una gestione più efficiente dei fondi PNRR, per far fronte alle nuove necessità e priorità scaturite in seguito ai recenti eventi internazionali, come la guerra Ucraina e il caro energia.

A oggi Bruxelles non ha ricevuto né approvato nessuna proposta di modifica del piano italiano, come invece è successo recentemente per le agende del Lussemburgo e della Germania. È evidente che la commissione europea sia aperta alla possibilità di modificare i Pnrr nazionali. Ma questo, almeno per il momento, non è un risultato che il nostro paese ha conseguito. Sostenere di aver raggiunto un’intesa secondo i regolamenti europei è dunque fuorviante.

Inoltre va spiegato che la possibilità di revisione dei piani nazionali di ripresa e resilienza segue un processo preciso, definito nel dettaglio dall’articolo 21 del regolamento Ue 2021/241. Innanzitutto, le modifiche devono essere giustificate da circostanze oggettive. L’esecutivo dunque non potrebbe chiedere di modificare determinati interventi solo in base a valutazioni politiche. Un punto confermato anche dal commissario europeo agli affari economici Paolo Gentiloni, il quale ha dichiarato che l’Ue è aperta a una proposta italiana di modifica del Pnrr, ma solo sugli investimenti, non sulle riforme. Interventi, questi ultimi, che per loro natura difficilmente possono subire impedimenti oggettivi, ma solo legati a questioni di volontà.

Le modifiche devono essere giustificate da circostanze oggettive, per le quali non è più possibile realizzare i traguardi e gli obiettivi inizialmente previsti. Vai a “Quanto e come può essere modificato il Pnrr”

In secondo luogo, è importante sottolineare che la decisione di avallare o meno una revisione non spetta solo alla commissione. In caso di parere positivo da parte dell’organo esecutivo infatti sta al consiglio europeo – composto dai 27 capi di stato o di governo dei paesi membri – approvare in via definitiva la proposta.

La questione energetica

Infine è necessario spiegare l’ultimo passaggio toccato da questa dichiarazione di Meloni. Cioè quello in cui viene indicato, come obiettivo delle eventuali modifiche al Pnrr italiano, la gestione delle complicazioni dovute al caro energia. Una conseguenza della guerra tra Russia e Ucraina.

Tutti i paesi Ue accedono al RepowerEu.

È proprio per far fronte a queste difficoltà che l’Unione europea ha ideato il RepowerEu. Un piano per rendere tutti i paesi membri più indipendenti dal punto di vista energetico e promuovere un sempre maggior ricorso a fonti di energie rinnovabili. La decisione a livello europeo è stata quella di integrare le misure previste dal RepowerEu, che dovrebbe diventare operativo a breve, come capitolo aggiuntivo nei piani nazionali di ripresa e resilienza. Tutti gli stati Ue quindi, non solo l’Italia, dovranno implementare il RepowerEu nei rispettivi Pnrr, presentando le proprie proposte di integrazione. Modifiche che poi dovranno comunque essere validate dalla commissione prima e dal consiglio poi.

In conclusione, attualmente non ci sono le condizioni per sostenere che Bruxelles abbia approvato una revisione del Pnrr italiano. E se e quando una revisione dovesse essere presentata e validata, qualora riguardasse solo le misure in materia energetica, non sarà comunque un conseguimento solo italiano, ma il risultato di una richiesta dell’Ue che riguarda tutti gli stati coinvolti.

Il nostro osservatorio sul Pnrr

Questo articolo rientra nel progetto di monitoraggio civico OpenPNRR, realizzato per analizzare e approfondire il piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Ogni lunedì pubblichiamo un nuovo articolo sulle misure previste dal piano e sullo stato di avanzamento dei lavori (vedi tutti gli articoli). Tutti i dati sono liberamente consultabili online sulla nostra piattaforma openpnrr.it, che offre anche la possibilità di attivare un monitoraggio personalizzato e ricevere notifiche ad hoc. Mettiamo inoltre a disposizione i nostri open data che possono essere riutilizzati liberamente per analisi, iniziative di data journalism o anche per semplice consultazione.

Foto: Governo – Licenza

 

Santi Martiri di Abitina

 

Santi Martiri di Abitina


Nome: Santi Martiri di Abitina
Titolo: Cristiani
Ricorrenza: 12 febbraio
Martirologio: edizione 2004
Tipologia: Commemorazione
 
Il primo editto imperiale emanato da Diocleziano contro i cristiani ordinava il rogo di tutte le copie delle Scritture e segnava l’inizio della persecuzione che avrebbe causato numerosi martiri. Se molti cristiani obbedirono, altri resistettero e tra questi Saturnino, sacerdote in Abitina, nell’Africa settentrionale proconsolare. Una domenica i magistrati del luogo accompagnati dai soldati catturarono lui e il suo gruppo; Saturnino, i suoi quattro figli e un senatore di nome Dativo guidarono gli altri della comunità all’interrogatorio dei magistrati. Risposero tutti così coraggiosamente che persino i loro inquisitori li elogiarono; furono però inviati in ceppi a Cartagine per essere esaminati dal proconsole.

L’interrogatorio è stato conservato in Atti che sono senza dubbio genuini nella sostanza, ma che nella forma sembrano finalizzati a sostenere la rigida posizione donatista, quale emerse nella controversia esplosa un secolo dopo le loro morti. Questa avrebbe enfatizzato che tutti i martiri parteciparono al culto nel giorno del Signore, compreso il bimbo Ilarione (rara testimonianza della partecipazione di bimbi alla Messa). Il primo a essere interrogato fu Dativo, il quale si professò cristiano e adoratore del Dio dei cristiani. Fu condotto via per essere torturato persino prima che avesse detto dove avevano luogo le assemblee per il culto, perché il proconsole credeva che ne fosse l’organizzatore. Allora il martire Telica affermò che «il presbitero Saturnino e tutti noi» erano le guide dei cristiani. Le donne si dimostrarono coraggiose quanto gli uomini: una giovane donna di nome Vittoria, che era sfuggita a un fidanzamento combinato, saltando fuori da una finestra e rifugiandosi in una chiesa, rifiutò l’offerta di ritornare sotto la tutela del fratello pagano, dicendo che nessuno che non conoscesse Dio poteva essere suo fratello. Il bimbo Ilarione rise persino alle minacce del giudice di tagliargli orecchie e naso se non avesse ritrattato. Saturnino e i suoi cc. non furono giustiziati, ma pare che morirono in prigione, o per durezza della carcerazione o come conseguenza delle torture subite.

MARTIROLOGIO ROMANO. A Cartagine, commemorazione dei santi martiri di Abitene, in Tunisia: durante la persecuzione dell’imperatore Diocleziano, essendosi come di consueto radunati contro il divieto imperiale di celebrare l’Eucaristia domenicale, furono arrestati dai magistrati della colonia e dal presidio militare; condotti a Cartagine e interrogati dal proconsole Anulino, anche tra le torture tutti si professarono cristiani, dichiarando di non poter tralasciare la celebrazione del sacrificio del Signore; per questo versarono in diversi luoghi e tempi il loro beatissimo sangue.

Perché presentiamo un nuovo Foia sul Pnrr Trasparenza

Perché presentiamo un nuovo Foia sul Pnrr Trasparenza

Fin dal 2021 denunciamo la scarsa disponibilità di informazioni in merito alle misure previste dal piano. Situazione che è addirittura peggiorata con il cambio di esecutivo. Per questo abbiamo deciso di presentare una nuova richiesta di accesso agli atti.

 

Lo scorso novembre, insieme a molte altre realtà del mondo civico, avevamo inviato una lettera al governo da poco insediato per chiedere maggiore impegno sul fronte della trasparenza e della disponibilità di informazioni sul piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr).

Fin dal 2021 infatti denunciamo gravi lacune circa la disponibilità e la fruibilità dei dati. Carenze che ci avevano portato a presentare un richiesta di accesso agli atti già nell’aprile scorso. La risposta fornita dall’allora governo Draghi però ci lasciò del tutto insoddisfatti.

Con il cambio di esecutivo poi, abbiamo registrato addirittura dei passi indietro in tema di trasparenza. A partire dall’invio della nostra lettera – con cui di nuovo chiedevamo più dati e informazioni – a cui non è mai stato dato riscontro.

Per questo motivo, supportati da altre 36 realtà del mondo civico, abbiamo deciso di presentare un nuovo Foia.

Il Foia o diritto di accesso generalizzato è uno strumento per ottenere dati e documenti di interesse pubblico in possesso delle amministrazioni. Vai a “Che cos’è il Foia”

In particolare chiediamo di conoscere:

  • tutti i progetti finanziati, con relativi stati di avanzamento (fisico e finanziario);
  • tutti i bandi e avvisi pubblici sin qui pubblicati, con i relativi esiti;
  • tutte le informazioni relative alla localizzazione delle risorse, dei progetti e dei soggetti attuatori coinvolti.

Perché la nuova richiesta

Come già detto, lo scorso aprile avevamo inviato all’allora governo Draghi e a tutte le organizzazioni coinvolte una prima richiesta di accesso ai dati. In quell’occasione ci fu risposto che tutte le informazioni in possesso dell’esecutivo erano già pubblicate.

Una risposta per certi versi sconcertante, poiché significava sostanzialmente ammettere che in quel momento in Italia nessuno aveva un quadro completo dello stato dell’arte del Pnrr.

Già in un precedente articolo avevamo evidenziato le carenze per cui non potevamo assolutamente ritenerci soddisfatti della risposta governativa. Lacune che sostanzialmente tuttora permangono e che qui riepiloghiamo brevemente.

I progetti

La lacune più gravi si registrano probabilmente sul fronte dei progetti. Cioè le opere che devono essere effettivamente realizzate con i fondi del Pnrr. 

In questo caso la base dati disponibile sulla piattaforma Italia domani, che dovrebbe essere la principale porta di accesso alle informazioni sul Pnrr, risale al 31 dicembre 2021 e consta di soli 5.246 progetti legati a 3 misure. Tuttavia, nella seconda relazione che il governo Draghi ha presentato al parlamento nei primi giorni di ottobre, si legge che i progetti in corso sarebbero più di 73mila, per un valore complessivo di oltre 65 miliardi di euro.

Non esistono altri database consultabili ai non addetti ai lavori. Non è quindi possibile avere informazioni sistematiche, per tutto il territorio nazionale, sull’importo di ogni progetto, sulla sua localizzazione, sul suo stato di avanzamento e sui soggetti coinvolti.

La cittadinanza non può consultare Regis. Per questo presentiamo una nuova richiesta di accesso.

Tutte queste informazioni e altre ancora sarebbero dovute essere caricate direttamente dai soggetti beneficiari dei fondi su un’apposita piattaforma digitale denominata Regis. Questo strumento – che avrebbe dovuto essere operativo già dal 2021 – è entrato effettivamente in funzione solamente nello scorso autunno. Ma solo per gli addetti ai lavori.

È necessario quindi un ulteriore sforzo di trasparenza da parte dell’esecutivoper rendere pubblici in formato aperto e rielaborabile tutti i dati che le diverse amministrazioni coinvolte stanno caricando sulla piattaforma. Ed è per questo che inviamo una nuova richiesta di accesso agli atti.

Le misure

Per quanto riguarda le misure, sia del Pnrr che del fondo complementare, ad oggi non sappiamo quanti fondi siano già stati effettivamente erogati. Né quanto viene stanziato su base annuale per ogni singolo intervento. Si tratta di una mancanza piuttosto grave perché il confronto tra gli importi previsti annualmente e quelli già erogati fornirebbe un’indicazione, per quanto parziale, sullo stato di avanzamento degli investimenti previsti.

A questo proposito, è doveroso ricordare che nella nota di aggiornamento al documento di economia e finanza predisposta dal governo Draghi si esplicitava il fatto che nei primi due anni di Pnrr i fondi spesi sono stati molti meno di quelli previsti.

20,5 miliardi € i fondi Pnrr spesi in Italia, rispetto ai 33,7 previsti. Una differenza di 13,2 miliardi.

Successivamente, il neo ministro con delega al Pnrr Raffaele Fitto in un’audizione parlamentare aveva paventato addirittura il rischio che questo dato potesse anche essere inferiore. Ma su questi aspetti non esiste nessuna ulteriore informazione.

Le scadenze

Da ultimo, ma non certo per importanza, c’è il tema delle scadenze. Cioè gli interventi intermedi e finali, che devono essere raggiunti per completare le misure. In molte occasioni abbiamo denunciato la totale assenza di chiarezza e trasparenza su questo fronte.

Una dinamica che si è aggravata con l’arrivo del nuovo governo. Per diversi mesi infatti le sezioni dedicate al piano nei diversi siti ministeriali non sono state aggiornate e ottenere informazioni circa lo stato dell’arte è diventato particolarmente difficile. La situazione è cambiata con l’annuncio del governo, arrivato il 30 dicembre scorso, dell’invio a Bruxelles della richiesta di pagamento della terza rata di fondi destinati al nostro paese (circa 19 miliardi).

Ogni 6 mesi la commissione europea verifica il conseguimento delle scadenze e, in caso di esito positivo, procede all’invio di fondi. Vai a “Come l’Ue verifica l’attuazione dei Pnrr negli stati membri”

A seguito di questo annuncio infatti, sui vari portali sono comparsi alcuni comunicati che evidenziavano i traguardi raggiunti. Spesso con in indicazioni molto vaghe, come nel caso del ministero dell’economia.

Anche le poche informazioni pubblicate sulle scadenze contraddicono gli annunci del governo.

Anche le informazioni contenute su Italia domani sono state pubblicate successivamente a questo annuncio e, peraltro, in alcuni casi contraddicono le stesse dichiarazioni dell’esecutivo. Un caso eclatante riguarda la misura relativa alla creazione di nuovi posti letto per studenti. La scadenza (creazione di 7.500 posti letto) è dichiarata come raggiunta ma andando a verificare si apprende che c’è un bando ancora in corso.

Per questo motivo ribadiamo la nostra richiesta al governo di fornire informazioni chiare e periodicamente aggiornate anche sullo stato di avanzamento delle diverse scadenze.

L’importanza del monitoraggio civico: chi ha aderito alla nostra iniziativa

Su un’iniziativa così rilevante come il Pnrr, che mette in gioco così tante risorse economiche, è fondamentale che cittadini, società civile e giornalisti abbiano la possibilità di monitorare. Da un lato per prevenire, almeno in parte, il rischio di sprechi e corruzione. Dall’altro, per promuovere un dibattito pubblico informato, possibile solo se arricchito da punti di osservazione indipendenti rispetto alle dichiarazioni ufficiali del governo.

Attività di monitoraggio civico efficaci però sono possibili solo se sono disponibili informazioni trasparenti e dati in formato aperto. Elementi che tuttora mancano e che per questo continuiamo a chiedere al governo. Non siamo soli in questa richiesta. Alla nostra iniziativa infatti hanno aderito molte realtà del mondo civico:

  • Associazione onData 
  • Stati Generali dell’Innovazione
  • Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti 
  • Consorzio per Valutazioni Biologiche e Farmacologiche 
  • Federazione Nazionale Pro Natura APS
  • Info.nodes 
  • ISDE – Associazione Medici per Ambiente 
  • Mappina APS
  • Ambiente e Lavoro
  • Transparency International Italia
  • Società Italiana di Statistica
  • ActionAid
  • Cittadinanzattiva
  • Fairwatch
  • Associazione Mondragone Bene Comune
  • Associazione Analisti Ambientali
  • Fondaca
  • Period Think Tank Aps
  • Fondazione Etica
  • Coordinamento Genitori Democratici Ancona
  • Associazione Lavoratori Stranieri MCL Sicilia
  • Amapola s.r.l. Impresa sociale
  • Slow Food Bologna
  • Legambiente nazionale APS
  • Sardinia Open Data
  • ProBono Italia
  • Libenter
  • ComPa APS
  • Égalité Onlus
  • Greenpeace
  • Italian Linux Society
  • Società Nazionale degli Operatori della Prevenzione
  • Fondazione GIMBE
  • ComPa APS
  • The Good Lobby
  • Associazione Passaggi

Il quadro normativo

Vale la pena ricordare infine che le nostre richieste non rappresentano solo un’iniziativa di attivismo civico per promuovere buone pratiche in materia di trasparenza. Ma costituiscono una denuncia del mancato rispetto di obblighi di legge da parte delle istituzioni.

Il Pnrr infatti prevede momenti di comunicazione e divulgazione per permettere a cittadini e associazioni di conoscere più nel dettaglio i progetti finanziati grazie ai fondi europei. E a livello istituzionale, l’invio di un rapporto periodico del governo al parlamento sullo stato di avanzamento dei lavori.

Queste linee guida sono state definite più nel dettaglio da 3 norme. La legge di bilancio per il 2021 impegnava il governo a pubblicare i dati di attuazione finanziaria, fisica e procedurale relativi a ciascun progetto del Pnrr. Un successivo decreto del presidente del consiglio dei ministri aveva poi specificato che tali dati avrebbero dovuto essere disponibili per tutti in formato aperto e rielaborabile.

Il ministero dell’economia e delle finanze – dipartimento della ragioneria generale dello stato rende accessibile in formato elaborabile e in formato navigabile dati sull’attuazione finanziaria, fisica e procedurale relativi a ciascun progetto, assieme ai costi programmati e ai milestone e target perseguiti.

A ciò si aggiunge il decreto legge 77/2021 che ha disposto l’invio al parlamento di una relazione con cadenza semestrale. Nella legge di conversione al decreto poi è stato specificato che il governo deve fornire “tutte le informazioni e i documenti utili per esercitare il controllo sull’attuazione del Pnrr e del fondo complementare”. Tuttavia, la relazione che era prevista per lo scorso dicembre (e successivamente annunciata per gennaio) non è ancora stata presentata dal governo Meloni. Segnando l’ennesima mancanza di trasparenza.

Il nostro osservatorio sul Pnrr

Questo articolo rientra nel progetto di monitoraggio civico OpenPNRR, realizzato per analizzare e approfondire il piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Ogni lunedì pubblichiamo un nuovo articolo sulle misure previste dal piano e sullo stato di avanzamento dei lavori (vedi tutti gli articoli). Tutti i dati sono liberamente consultabili online sulla nostra piattaforma openpnrr.it, che offre anche la possibilità di attivare un monitoraggio personalizzato e ricevere notifiche ad hoc. Mettiamo inoltre a disposizione i nostri open data che possono essere riutilizzati liberamente per analisi, iniziative di data journalism o anche per semplice consultazione.

Foto: Governo – Licenza