Archivi giornalieri: 6 febbraio 2023

Furto dell’identità digitale: INPS rafforza la prevenzione

Furto dell’identità digitale: INPS rafforza la prevenzione

Proteggere i dati personali degli utenti prevenendo fenomeni fraudolenti e truffe online.

Con il messaggio 3 febbraio 2023, n. 535, l’INPS comunica che, al fine di ridurre con maggiore efficacia il rischio di furto dell’identità digitale, nei prossimi giorni sarà progressivamente attivata la “verifica dell’identità digitale”, un controllo aggiuntivo che seguirà l’accesso con SPID, CIE o CNS nei soli casi in cui si verifichi un tentativo di accesso ai servizi con identità digitali diverse da quelle utilizzate precedentemente dallo stesso utente.

La nuova funzionalità sarà attiva per tutti i cittadini che hanno già validato i propri recapiti telematici. Il sistema, infatti, invierà agli estremi forniti un codice temporaneo di conferma (“usa e getta”), che dovrà essere inserito per completare l’accesso. Contestualmente, la procedura trasmetterà una notifica (via email, cellulare o PEC) per informare l’utente dell’avvenuto accesso, in modo da adottare le conseguenti azioni in caso di accesso indebito.

Info CIG anche per le aziende di Torino, Roma, Napoli e province

Info CIG anche per le aziende di Torino, Roma, Napoli e province

Info CIG è il servizio di assistenza clienti online (live chat) che consente di attivare una conversazione via chat con un consulente dell’Istituto per ricevere informazioni sulle prestazioni di cassa integrazione salariale e sullo stato di lavorazione di una domanda presentata.

Il servizio, attivo dal lunedì al venerdì dalle 15 alle 18, è stato finora avviato per i lavoratori di tutta Italia e per le aziende con sede legale a Milano e provincia, per le seguenti categorie di utenti:

  • titolare di azienda;
  • rappresentante legale;
  • consulente aziendale.

Con il messaggio 3 febbraio 2023, n. 520 si informa che, a partire dal 13 febbraio 2023, Info CIG sarà esteso anche alle aziende con sede legale a Torino, Roma, Napoli e rispettive province, per le stesse categorie di utenti.

Il servizio dedicato alle aziende e intermediari sarà accessibile dal link “Info CIG” presente nella sezione contatti dell’area autenticata del Cassetto Previdenziale.

Con successivo avviso sarà data informazione dell’estensione del servizio di live chat alle aziende di tutto il territorio nazionale.

Si ricorda che per i lavoratori rimangono le consuete modalità di accesso al servizio “Info CIG” entrando, tramite le proprie credenziali, in MyINPS, l’area personale che permette di organizzare i contenuti di proprio interesse, rendendo più efficaci la navigazione, la comunicazione e la gestione online dei servizi. Dopo l’accesso a MyINPS, occorre selezionare la sezione “Comunica con l’INPS”, nel menu sulla sinistra, cliccare su “Info CIG” e poi sul pulsante “Parla con un operatore”.

il manifesto

Lunedì Rosso

Lunedì Rosso del 6 febbraio 2023Lunedì Rosso del 6 febbraio 2023

Lunedì Rosso

La rubrica in controtempo

Dietro i nuovi rayban di Bonaccini si ripropone la vecchia minestra, come in una scena di Ritorno al futuro: ricette blairiane, fighettismo spacciato per modernità, peana alla crescita e alle imprese.

Dopo lo scoppio della guerra in Ucraina, dalla Russia è iniziata la più grande ondata migratoria dal crollo dell’Unione Sovietica. Molteplici le ragioni: persecuzione di attivisti e giornalisti, disaccordi con le autorità, timore di essere chiamati a combattere.

Cosa bisogna capire della legge Calderoli sull’autonomia differenziata? Una lista di domande e risposte per inquadrare una questione dalle molte sfaccettature.

Nella foto: Napoli, scritta sul muro per la revoca del regime di 41 bis al detenuto anarchico Alfredo Cospito, in sciopero della fame da oltre 100 giorni  @Ansa 

Questo e molto altro tra le storie del Lunedì Rosso. Per iscriverti gratuitamente alla newsletter vai sul tuo profilo e gestisci le iscrizioni.

Ci vuole un albero

ITALIA

Ci vuole un albero

Andrea Capocci
Uno studio di Lancet mostra che se gli alberi coprissero il 30% dei centri urbani, i decessi causati dall’inquinamento si dimezzerebbero. Milano e Roma ci provano. Rischio green washing

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Il piano di Andrés Arauz: «Riconnettere Ecuador, sinistra e buen vivir»

INTERNAZIONALE

Il piano di Andrés Arauz: «Riconnettere Ecuador, sinistra e buen vivir»

Federico Nastasi

Urne aperte nel paese andino. Parla il candidato che sfiorò la presidenza nel 2021 e che con le amministrative e il referendum in programma oggi spera in una spallata al governo di destra del banchiere Lasso. «I quesiti referendari chiave per il governo sono l’autonomia della Fiscalía General e l’autorizzazione all’estradizione: entrambi hanno valore geopolitico, sono una richiesta Usa»

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Anna Politkovskaja, un’eredità scomoda

CULTURA

Anna Politkovskaja, un’eredità scomoda

Guido Caldiron
Per Bur, «Un piccolo angolo d’inferno», prefazione di Francesca Mannocchi. L’attualità degli scritti sulla Cecenia della cronista della «Novaya Gazeta» uccisa il 7 ottobre del 2006. «La cronaca di un avvertimento inascoltato» per come quel conflitto ha plasmato la società russa e il sistema di potere di Vladimir Putin fino all’invasione dell’Ucraina. Dopo Maidan annota che molti a Mosca invidiano la piazza di Kiev. «Quanto accaduto ha segnato la fine della Grande Depressione politica russa. Siamo così simili… eppure»

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TOMMASO DI FRANCESCO

Tommaso Di Francesco
L’evento, un gigantesco pallone aerostatico bianco su cielo azzurro, che aveva del fiabesco, evocando atmosfere tra il Piccolo principe e una (augurabile) invasione aliena, si è subito invece rivelato come una specie di spy story da Guerra fredda, quando i protagonisti dello spionaggio aereo sopra l’allora Unione sovietica erano i jet americani.

Ed è subito scontro tra le «alte sfere» degli Stati. Washington ha accusato Pechino di azioni spionistica sopra una base militare del Montana con testate nucleari, Pechino abbassava i toni ma sembrava colta insieme sul fatto e di sorpresa, perché lo stesso Pentagono dichiarava che «episodi del genere» si erano già verificati, ma mai erano stati sollevati, anche perché così fan tutti.

Oltre alla perplessità che con tanto hi-tech e aerei supersonici invisibili, serva ancora un pallone aerostatico per spiare, resta l’interrogativo del perché questa rivelazione avvenga a due giorni dalla visita del segretario di Stato Usa Blinken a Pechino da Xi Jinping. Comunque sia le scuse cinesi – «è di uso civile per rilevazioni meteorologiche» – e alla fine l’ammissione del Pentagono che «non rappresenta un rischio per noi» non sono bastate a non far saltare la visita di Blinken che tra gli altri argomenti aveva anche la guerra ucraìna e, in essa, il ruolo della Cina. Un fatto è certo. Anche in questo episodio si può leggere il deterioramento dei rapporti internazionali.

In particolare in Asia, sulla scia della guerra in Ucraina. Una scia che si sta allargando nel mondo, non è un pallone gonfiato, finendo su focolai già accesi. In Medio Oriente nel silenzio generale viene colpito il centro industriale di Isfahan in Iran, credibilmente da Israele o molto più verosimilmente dagli stessi Usa che da anni portano avanti in loco una guerra coperta, e accade che da Kiev rivendichino: «Vi avevamo avvertiti». E accade che l’ineffabile segretario della Nato Stoltenberg – fuori oceano, dall’Atlantico al Pacifico – apra il suo viaggio in Asia minacciando: «Oggi la guerra è in Europa ma tra un anno potrebbe essere in Asia».

DOVE LA TENSIONE è alta su tanti dossier: a partire dall’hi-tech, con le nuove restrizioni protezioniste Usa a Huawei e per risposta quelle pronte sui pannelli solari da parte di Pechino; ma soprattutto con l’avvio di manovre militari Usa in Asia-Pacifico: dopo aver elevato i rapporti militari con Giappone e Corea del Sud, due giorni fa c’è stato l’accordo per l’accesso a basi militari strategiche nelle Filippine (in caso di guerra su Taiwan, che riarma) e anche per la produzione congiunta di armi con l’India; e nel Pacifico meridionale, dopo 30 anni riapre ambasciata Usa nelle Salomone (che hanno firmato accordo di sicurezza con la Cina nel 2022) e nuovo accordo militare con la Micronesia, etc. In questi giorni l’’organo di stampa dell’Esercito cinese definisce gli Usa «la principale minaccia alla pace dalla Seconda Guerra Mondiale a oggi.

INTANTO IN CAMPO occidentale regna la dissimulazione. «Non siamo in guerra con la Russia» dice Biden, dopo l’annuncio di invio carri armati Abrams, «Non siamo in guerra con la Russia», Macron dopo la disponibilità a inviare missili, «Non siamo in guerra con la Russia» ribadisce il governo Meloni, e perfino l’ineffabile segretario della Nato Stoltenberg lo ha ripetuto di fronte alla diffusa disponibilità ad inviare nuovi tank: «Non siamo in guerra con la Russia».

L’INSISTENZA PELOSA svela però la dissimulazione sull’escalation, che la decisione di inviare carri armati rende evidente: queste nuove armi per la loro capacità, spostano l’orizzonte difensivo e si pongono sul terreno offensivo fino a poco fa negato. E la dissimulazione è ancora più evidente perché si tratta ormai di rispondere, a quasi un anno esatto dall’inizio dell’invasione russa, all’insofferenza, alla caduta di coinvolgimento per questa guerra anzi al suo rifiuto netto – come al riarmo che la sottende per riempire i depositi che si vanno svuotando – da parte dell’opinione pubblica occidentale, come dimostrano i tanti sondaggi in Italia, Germania e Francia.

Anche perché in poche ore, l’impensabile è diventato normalità: dai tank si è passati all’annuncio dell’invio di nuovi missili a lungo raggio, con autorizzazione a colpire la Crimea – un regalo alla «popolarità» di Putin e una finestra verso la guerra nucleare; e si è aperto il dibattito sull’invio di aerei da combattimento, che in poche ore è diventata concreta possibilità, anticipazione della scellerata decisione di inviare sul campo i militari che tra un po’ emergerà.

INTANTO ZAR PUTIN, non contento del disastro provocato con l’invasione del Donbass e dell’Ucraina, sfida l’Occidente sloggiando, con la Wagner, già presente in Libia, gli insediamenti militari della Francia da sei Paesi francofoni dell’Africa, e consolida con accordi commerciali il rapporto con il Sudafrica con cui, insieme alla Cina, annuncia manovre militari congiunte. L’ombrello che contiene tutte queste crisi sembra essere proprio quello della prolungata e ormai infinita guerra ucraìna, aspettando l’offensiva russa, che ogni giorno martella e uccide senza tregua, e la controffensiva ucraina. O viceversa.

Le «alte sfere» della guerra restano in cielo. Poche le voci contrarie – oltre al papa — alla discesa verso il baratro: il capo di stato maggiore Usa, Mark Milley che insiste sulla situazione di stallo del conflitto, per il quale, dopo 200mila morti «in equa misura da una parte e dall’altra» è difficile ipotizzare il prevalere dell’uno o dell’altro, la vittoria della Russia e tantomeno quella dell’Ucraina nel suo intento di liberare tutto il Paese; più credibile, ammoniva Milley, usare lo stallo bellico per trovare «una finestra negoziale»; e in questi giorni l’ultimo rapporto della Rand Corporation, il think tank americano legato al Pentagono – che proprio per l’Ucraina, dal 2019 al febbraio 2024 aveva elaborato una «strategia a lungo termine» di scontro con la Russia – ora invece (v. Luca Celada sul manifesto ieri) dice che la guerra non può essere vinta da nessuno, che gli Usa avrebbero tutto l’interesse ad evitare il protrarsi del conflitto e adottare misure per rendere più probabile un’eventuale pace negoziata.

NON LO FA PER EMPITO pacifista naturalmente, ma perché gli interessi degli Stati Uniti sarebbero meglio serviti evitando l’escalation in Ucraina, dai forti costi e rischi – vedi le forniture di armi che svuotano gli arsenali – perché ora c’è da elaborare una strategia contro il nemico vero, la Cina. Ed ecco che rivolano i palloni.

Abbiamo una sola speranza a quasi un anno dall’invasione di Putin. Che la leggerezza impotente delle nostre solitudini esca dall’anonimato delle opinioni e dei sondaggi e scenda in campo – è già accaduto il 5 novembre – come movimento reale contro la guerra.

Perché gli annunci di Meloni sul Pnrr sono inesatti Monitoraggio e trasparenza

Perché gli annunci di Meloni sul Pnrr sono inesatti Monitoraggio e trasparenza

In occasione dei 100 giorni di governo, Meloni ha condiviso sui canali social dei messaggi per rivendicare i traguardi raggiunti. Tra questi, 2 riguardano il Pnrr ed entrambi contengono gravi inesattezze.

 

Lo scorso 30 gennaio il governo Meloni ha celebrato i 100 giorni dal proprio insediamento. Un passaggio che tradizionalmente, soprattutto da un punto di vista mediatico, rappresenta l’occasione per tracciare un primo bilancio dell’attività svolta.

L’attuale presidente del consiglio ha voluto rivendicare i traguardi raggiunti dal proprio governo attraverso la diffusione di alcuni messaggi sui social network. Tra gli obiettivi centrati secondo Meloni ci sarebbero anche il conseguimento di tutte le scadenze del piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) previste per il secondo semestre del 2022. E il raggiungimento di un’intesa con la commissione europea per la revisione del Pnrr. Tuttavia, come vedremo in questo articolo, entrambe queste affermazioni risultano essere quantomeno inesatte.


Post Facebook di Giorgia Meloni

Le scadenze non completate

Nel post social Giorgia Meloni ribadisce che l’Italia ha raggiunto tutte le scadenze europee del Pnrr previste per il secondo semestre del 2022. Tuttavia, a seguito della nostra attività di monitoraggio, abbiamo rilevato diversi elementi di criticità. Li abbiamo già raccontati in un recente articolo, ma vale la pena evidenziarli nuovamente alla luce di queste dichiarazioni.

Trasparenza, informazione, monitoraggio e valutazione del PNRR

Il tuo accesso personalizzato al Piano nazionale di ripresa e resilienza

Accedi e monitora

 

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In particolare non è sempre stato rispettato quanto richiesto dai meccanismi di verifica. Cioè i criteri, sottoscritti da Italia e Ue in un accordo operativo, con cui la commissione europea valuta il completamento delle milestone e dei target previsti dal cronoprogramma.

14 su 55 le scadenze europee che al 2 febbraio 2023 risultano ancora non completate, sul totale di quelle previste per il secondo semestre del 2022.

Le carenze nel raggiungimento di queste scadenze sono per la maggior parte spiegate da lentezze burocratiche e amministrative. È il caso per esempio dell’assenza di decreti in gazzetta ufficiale o della mancata adozione di decreti attuativi. Formalità dunque, anche se va sottolineato che ritardi nella pubblicazione in gazzetta ufficiale comunque bloccano l’entrata in vigore e l’attuazione degli interventi previsti.

Ma ancora più rilevante è il caso di quelle scadenze che richiedevano l’effettiva realizzazione di infrastrutture o interventi. E che non abbiamo considerato conseguite perché non è accessibile alcun documento che dimostri l’avvenuta esecuzione delle azioni previste. In particolare parliamo dei seguenti interventi:

GRAFICO
DA SAPERE

Cliccando su una singola scadenza è possibile accedere alla pagina a essa dedicata su OpenPNRR. T3 e T4 si riferiscono alla suddivisione degli interventi tra terzo e quarto trimestre del 2022. Il meccanismo di verifica illustra i criteri per considerare completata una scadenza.

FONTE: elaborazione e dati OpenPNRR
(ultimo aggiornamento: giovedì 2 Febbraio 2023)

 

Le verifiche di Bruxelles e gli equilibri politici

Anche durante il governo Draghi avevamo riscontrato delle criticità, ma l’Unione europea aveva comunque approvato l’erogazione delle precedenti tranches di fondi. In questo senso va sottolineato che l’ultima parola sull’invio delle risorse Pnrr agli stati membri spetta alla commissione europea, il che rende tale decisione prettamente politica.

Il comitato economico e finanziario fornisce alla commissione un parere tecnico che non è vincolante. Vai a “Come l’Ue verifica l’attuazione dei Pnrr negli stati membri”

Finora Bruxelles ha valutato con una certa flessibilità l’operato del nostro paese sul Pnrr. Una fiducia che non sappiamo ancora se sarà confermata anche al governo Meloni. Al momento infatti la commissione sta valutando la richiesta di pagamento per la terza tranche di fondi, la prima inviata dall’attuale esecutivo. E si pronuncerà solo nei prossimi mesi.

Gli annunci non bastano

Al di là di come la commissione valuterà la richiesta del governo Meloni, c’è un’ulteriore questione cruciale da evidenziare rispetto allo stato di attuazione del piano. Ed è la sempre più grave mancanza di trasparenza.

Anche se il governo ha annunciato il raggiungimento degli obiettivi e traguardi previsti infatti, ciò è avvenuto attraverso la diffusione di scarnissimi comunicati stampa, che non forniscono nessun elemento di dettaglio utile a fini di monitoraggio.

Monitorare la realizzazione del Pnrr da fonti ufficiali continua dunque a essere complicato. E non solo per le gravi mancanze della piattaforma Italia domani e altre che abbiamo ribadito in diverse occasioni. Ma per l’ambiguità delle informazioni, anche laddove sono disponibili. Spesso infatti non si trovano riferimenti chiari allo stato di attuazione di una scadenza – esempio emblematico su questo è il sito del ministero dell’economia – né espliciti su quale sia la milestone o il target interessato da un determinato intervento.

A chiudere il quadro infine, il governo Meloni ha disatteso l’impegno di presentare entro l’anno la terza relazione al parlamento sullo stato di attuazione del Pnrr, come richiesto dalle norme. Il documento era stato annunciato per la fine di gennaio ma anche questa scadenza non è stata rispettata.

Non è stata proposta nessuna revisione

C’è poi un secondo conseguimento tra quelli rivendicati dal post social di Giorgia Meloni, che riguarda il Pnrr e che è necessario chiarire. Da un lato perché riporta alcune inesattezze e dall’altro perché semplifica troppo un processo, quello di revisione del piano, che è ben più complesso.

È stata raggiunta un’intesa con la Commissione europea, così come previsto da Regolamenti europei, per la revisione del PNRR. Un importante successo che permetterà una gestione più efficiente dei fondi PNRR, per far fronte alle nuove necessità e priorità scaturite in seguito ai recenti eventi internazionali, come la guerra Ucraina e il caro energia.

A oggi Bruxelles non ha ricevuto né approvato nessuna proposta di modifica del piano italiano, come invece è successo recentemente per le agende del Lussemburgo e della Germania. È evidente che la commissione europea sia aperta alla possibilità di modificare i Pnrr nazionali. Ma questo, almeno per il momento, non è un risultato che il nostro paese ha conseguito. Sostenere di aver raggiunto un’intesa secondo i regolamenti europei è dunque fuorviante.

Inoltre va spiegato che la possibilità di revisione dei piani nazionali di ripresa e resilienza segue un processo preciso, definito nel dettaglio dall’articolo 21 del regolamento Ue 2021/241. Innanzitutto, le modifiche devono essere giustificate da circostanze oggettive. L’esecutivo dunque non potrebbe chiedere di modificare determinati interventi solo in base a valutazioni politiche. Un punto confermato anche dal commissario europeo agli affari economici Paolo Gentiloni, il quale ha dichiarato che l’Ue è aperta a una proposta italiana di modifica del Pnrr, ma solo sugli investimenti, non sulle riforme. Interventi, questi ultimi, che per loro natura difficilmente possono subire impedimenti oggettivi, ma solo legati a questioni di volontà.

Le modifiche devono essere giustificate da circostanze oggettive, per le quali non è più possibile realizzare i traguardi e gli obiettivi inizialmente previsti. Vai a “Quanto e come può essere modificato il Pnrr”

In secondo luogo, è importante sottolineare che la decisione di avallare o meno una revisione non spetta solo alla commissione. In caso di parere positivo da parte dell’organo esecutivo infatti sta al consiglio europeo – composto dai 27 capi di stato o di governo dei paesi membri – approvare in via definitiva la proposta.

La questione energetica

Infine è necessario spiegare l’ultimo passaggio toccato da questa dichiarazione di Meloni. Cioè quello in cui viene indicato, come obiettivo delle eventuali modifiche al Pnrr italiano, la gestione delle complicazioni dovute al caro energia. Una conseguenza della guerra tra Russia e Ucraina.

Tutti i paesi Ue accedono al RepowerEu.

È proprio per far fronte a queste difficoltà che l’Unione europea ha ideato il RepowerEu. Un piano per rendere tutti i paesi membri più indipendenti dal punto di vista energetico e promuovere un sempre maggior ricorso a fonti di energie rinnovabili. La decisione a livello europeo è stata quella di integrare le misure previste dal RepowerEu, che dovrebbe diventare operativo a breve, come capitolo aggiuntivo nei piani nazionali di ripresa e resilienza. Tutti gli stati Ue quindi, non solo l’Italia, dovranno implementare il RepowerEu nei rispettivi Pnrr, presentando le proprie proposte di integrazione. Modifiche che poi dovranno comunque essere validate dalla commissione prima e dal consiglio poi.

In conclusione, attualmente non ci sono le condizioni per sostenere che Bruxelles abbia approvato una revisione del Pnrr italiano. E se e quando una revisione dovesse essere presentata e validata, qualora riguardasse solo le misure in materia energetica, non sarà comunque un conseguimento solo italiano, ma il risultato di una richiesta dell’Ue che riguarda tutti gli stati coinvolti.

Il nostro osservatorio sul Pnrr

Questo articolo rientra nel progetto di monitoraggio civico OpenPNRR, realizzato per analizzare e approfondire il piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Ogni lunedì pubblichiamo un nuovo articolo sulle misure previste dal piano e sullo stato di avanzamento dei lavori (vedi tutti gli articoli). Tutti i dati sono liberamente consultabili online sulla nostra piattaforma openpnrr.it, che offre anche la possibilità di attivare un monitoraggio personalizzato e ricevere notifiche ad hoc. Mettiamo inoltre a disposizione i nostri open data che possono essere riutilizzati liberamente per analisi, iniziative di data journalism o anche per semplice consultazione.

San Paolo Miki e compagni

 

San Paolo Miki e compagni


San Paolo Miki e compagni

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Nome: San Paolo Miki e compagni
Titolo: Martiri
Nome di battesimo: Paolo Miki
Nascita: 1556 circa, Kyoto, Giappone
Morte: 5 febbraio 1597, Nagasaki, Giappone
Ricorrenza: 6 febbraio
Martirologio: edizione 2004
Tipologia: Memoria liturgica
Beatificazione:
14 settembre 1627, Roma , papa Urbano VIII
Canonizzazione:
8 giugno 1862, Roma , papa Pio IX

Paolo Miki è il primo martire giapponese, o meglio il primo giapponese caduto martire per la propria fede cristiana. Va chiarito infatti che non si tratta di un missionario caduto in Giappone, ma di un cristiano del Giappone, esemplare nella vita ed esemplare soprattutto nella morte.

La sua vita del resto fu molto semplice, lineare. Egli appartenne allo stuolo, veramente imponente, dei primi convertiti giapponesi dopo il più antico tentativo di evangelizzazione di quel lontanissimo paese, legato, come si sa, alla storia e alla gloria del grande San Francesco Saverio.
Francesco Saverio era stato in Giappone verso il 1550, e vi aveva gettato i primi fertili semi dell’apostolato cristiano. Dopo di lui, l’opera venne proseguita dai suoi confratelli della Compagnia di Gesù, con successo davvero sorprendente, se si pensa alle difficoltà di quell’ambiente e di quella mentalità così diversa dall’occidentale, e anche alla complicatissima lingua giapponese.
Meno di trent’anni dopo, nel 1587, si contavano in Giappone più di duecentomila cristiani. Uno di questi era il giovane Paolo Miki, nato a Kioto – la capitale dell’arte e della cultura nel paese del Sol Levante – nel 1556. Battezzato a cinque anni, Paolo Miki era entrato ventenne nel seminario dei Gesuiti, ad Anzuciana. Presto era diventato novizio nella Compagnia, aggregandosi poi, con i voti solenni, al manipolo dei seguaci di Sant’Ignazio.

Per lui, giapponese di lingua e di cultura, lo studio del latino fu, comprensibilmente, irto di difficoltà. In compenso divenne un ottimo conoscitore delle dottrine e delle usanze buddiste, e ciò gli permise di sostenere utilmente le discussioni con i dotti del luogo, ottenendo numerose conversioni.

Il Padre Miki, gesuita giapponese, fu infatti ottimo e suadente predicatore. Venne considerato il migliore del proprio tempo, e fu scritto di lui che « mostrava il suo zelo più con i sentimenti affettuosi che con le parole ».
Fino al 1590, i missionari cristiani furono circondati, in Giappone, da un clima di tolleranza e spesso di benevolenza. Ma improvvisamente, per diversi e complessi motivi, lo shagun Taicosama decretò l’espulsione dai suoi stati dei missionari gesuiti. Gran parte dei religiosi restò, nascondendosi e proseguendo la loro opera di apostolato in modo semiclandestino. Ma l’arrivo di nuovi missionari e il loro troppo clamoroso preselitismo urtò Taicosama il quale, nel 1596, decretò l’arresto di tutti i missionari.

Paolo Miki venne catturato ad Osaka, con due compagni. Trasferito in carcere a Meaco, vi trovò altri cristiani e missionari, ventisei in tutto: 6 francescani, 3 gesuiti giapponesi e 17 laici giapponesi, tra i quali due ragazzi di 11 e 13 anni. Subirono tutti raffinate e umilianti torture, tra le quali il taglio dell’orecchio sinistro, e l’esposizione allo scherno della popolazione. I persecutori tentarono anche di farli rinnegare, ma nessuno dei ventisei disertò.
Finalmente, il 5 febbraio 1597, vennero messi a morte su una collina presso Nagasaki, chiamata poi « la santa collina ». Legati con funi sulle croci, vennero trafitti da due lance incrociate, trapassanti il cuore.

Il ragazzo di 13 anni intonò, sulla croce, l’inno Laudate pueri Dominum; Paolo Miki, prima di morire, parlò un’ultima volta con eloquenza divinamente ispirata, perdonando i propri carnefici. Sulla croce eretta sopra la collina di Nagasaki, il primo martire giapponese apparve veramente come un vessillo, non di sconfitta, ma di perenne vittoria.

MARTIROLOGIO ROMANO. A Nagasaki, in Giappone, la passione di ventisei Martiri, dei quali tre Sacerdoti, uno Chierico e due laici dell’Ordine dei Minori, altri tre, fra i quali uno Chierico, della Compagnia di Gesù, e diciassette appartenenti al Terz’Ordine di san Francésco, i quali tutti per la fede cattolica messi in croce, e trapassati a colpi di lancia, lodando il Signore e predicando la medesima fede, morirono gloriosamente, e dal Sommo Pontefice Pio nono furono ascritti nel catalogo dei Santi.

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