Archivi giornalieri: 11 febbraio 2022

Spese Universitarie

maicasastudenteSpese universitarie private, pubblicati i nuovi limiti di detrazione per la dichiarazione dei redditi

Il MIUR ha pubblicato i limiti di detrazione delle spese universitarie, per tasse e contributi versati nel 2021 a università non statali

Il Ministero dell’istruzione ha pubblicato, nella  Gazzetta Ufficiale dell’8 febbraio,  il decreto n. 1324/2021. Decreto con il quale sono stati fissati gli importi massimi detraibili, per le tasse e i contributi versati nel 2021 a università non statali, per la frequenza di corsi di laurea breve, magistrale e a ciclo unico o per la partecipazione a corsi di dottorato, di specializzazione e ai master di primo e secondo livello.

Tali limiti dovranno essere considerati nella compilazione della prossima dichiarazione dei redditi 2022, relativa al periodo d’imposta 2021.

Detrazione fiscali delle spese universitarie: cosa sono e come funzionano

L’articolo 15, comma 1, lettera e, del DPR 917/86, Tuir, prevede la possibilità di scaricare dalle tasse il 19% delle spese sostenute per la frequenza di corsi di istruzione universitaria presso università statali e non statali.

La detrazione del 19% opera nei seguenti limiti:

  • senza limiti di spesa per le spese sostenute presso le università statali;
  • per le università non statali, su una spesa max stabilita annualmente per ciascuna facoltà con decreto del ministero dell’Istruzione, dell’università e della ricerca (Miur) da emanare entro il 31 dicembre, tenendo conto degli importi medi delle tasse e contributi dovuti alle università statali.

In previsione di tale ultimo punto, anno per anno il Ministero competente pubblica le spese massime detraibili al 19%:

  • per ciascuna area disciplinare di afferenza e
  • per zona geografica in cui ha sede l’Ateneo presso il quale è presente il corso di studio.

Spese universitarie private: quali sono i nuovi limiti di detrazione per la dichiarazione dei redditi

In base a quanto detto sopra, nel decreto sono indicate le somme massime detraibili dall’imposta lorda sui redditi dell’anno 2021, per ciascuna area disciplinare e per zona geografica in cui ha sede l’ateneo.

I limiti sono così individuati:

  • Area medica:  € 3.900 (Nord),  € 3.100 (Centro),  € 2.900 (Sud e isole);
  • Area Sanitaria: € 3.900 (Nord), € 2.900 (Centro), € 2.700 (Sud e isole);
  • Scientifico-Tecnologica: € 3.700 (Nord), € 2.900 (Centro), € 2.600 (Sud e isole);
  • Umanistico-sociale: € 3.200 (Nord), € 2.800 (Centro), € 2.500 (Sud e isole).

Al decreto è allegato un apposito documento, grazie al quale è possibile avere conferma della riconducibilità del proprio corso di studio a una delle suddette aree disciplinari.

Come funziona per i corsi Post laurea

L’individuazione della spesa max detraibile ha riguardato anche i corsi post-laurea.

Nello specifico,  per i corsi di dottorato, di specializzazione e master universitari di primo e di secondo livello € operano i seguenti limiti, rispettivamente per Nord, Centro, Sud e isole: 3.900, € 3.100, € 2.900.

Le spese universitarie con i limiti appena individuati, dovranno essere indicate:

  • nel quadro E del 730 2022 o
  • nel quadro RP del modello Redditi 2022.95

Modello dichiarativi riferiti al periodo d’imposta 2021.

Quali sono le spese universitarie detraibili

Rientrano tra le spese universitarie detraibili (Fonte circolare Agenzia delle entrate n°7/E 2021):

  • tasse di immatricolazione ed iscrizione (anche per gli studenti fuori corso);
  • le spese sostenute per la c.d. “ricognizione” (si tratta di un diritto fisso da corrispondere per anno accademico da coloro che non abbiano rinnovato l’iscrizione per almeno due anni accademici consecutivi, che consente di riattivare la carriera pagando e regolarizzando eventuali posizioni debitorie relative ad anni accademici precedenti al periodo di interruzione);
  • soprattasse per esami di profitto e laurea;
  • la partecipazione ai test di accesso ai corsi di laurea, eventualmente previsti dalla facoltà, in quanto lo svolgimento della prova di preselezione costituisce una condizione indispensabile per
    l’accesso ai corsi di istruzione universitaria (Risoluzione 11.03.2008 n. 87/E);
  • la frequenza dei Tirocini Formativi Attivi (TFA) per la formazione iniziale dei docenti istituiti, ai sensi del decreto del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca 10 settembre 2010, n. 249, presso le facoltà universitarie o le istituzioni di alta formazione artistica, musicale e coreutica;
  • ecc.

Ad ogni modo, per le università non statali tali spese sono detraibili nella prossima dichiarazione dei redditi nei limiti di spesa sopra individuati.

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Spese sanitarie

Spese sanitarie, anche per il 2022 l’invio dei dati al Sistema Ts è semestrale

Nuove scadenze per l’invio dei dati delle spese sanitarie al Sistema TS. Ecco cosa ha deciso il Ministero dell’economia e delle finanze.

Con il decreto del 2 febbraio pubblicato in Gazzetta Ufficiale del 9 febbraio, il MEF, Ministero dell’economia e delle finanze interviene sulle scadenze per l’invio dei dati di spesa sanitaria al Sistema tessera sanitaria TS. Nello specifico anche per il 2022, la trasmissione dei dati potrà essere effettuata con cadenza semestrale. L’obbligo di invio mensile entrerà in vigore solo dal 2023.

Lo stesso decreto ufficializza la proroga, già superata, al 9 febbraio per l’invio delle spese del 2° semestre 2021 (che era stata già messa in atto con apposito provvedimento dell’Agenzia delle entrate).

Invio dei dati spese sanitarie al Sistema TS

Gli operatori sanitari sono tenuti ad inviare al Sistema tessera sanitaria i dati di spesa sostenuta dai propri pazienti nel corso dell’anno. A loro volta, tali dati sono messi a disposizione dell’Agenzia delle entrate che li inserisce nella dichiarazione precompilata: 730 e modello Redditi. Salvo espressa opposizione da parte del contribuente.

Le spese comunicate riguardano: ticket per acquisto di farmaci e per prestazioni fruite nell’ambito del Ssn, spese relative all’acquisto di farmaci, anche omeopatici, spese relative all’acquisto o affitto di dispositivi medici con marcatura Ce, servizi sanitari erogati dalle farmacie e parafarmacie, farmaci per uso veterinario, prestazioni sanitarie, ecc.

Sono tenuti all’invio:

  • le strutture sanitarie (accreditate al Ssn, autorizzate non accreditate e quelle appartenenti alla Sanità militare);
    farmacie e parafarmacie;
  • medici chirurghi e odontoiatri;
  • professionisti sanitari (psicologi, veterinari, infermieri, tecnici radiologi, ostetrici e gli ottici, e dal 2019 gli iscritti ai nuovi albi professionali in base decreto del ministero della Salute del 13 marzo 2018 e gli iscritti all’albo dei biologi);
  • ecc.

Il decreto Mef del 16 luglio 2021, ha ulteriormente allargato la platea dei soggetti obbligati. Il riferimento è agli iscritti agli elenchi speciali ad esaurimento, istituiti con il decreto del Ministro della salute 9 agosto 2019.

Soggetti che non possono iscriversi agli Albi professionali delle professioni sanitarie se non rispettano requisiti formativi previsti dalla normativa vigente. Per questo sono stati istituiti gli elenchi ad esaurimento.

Dunque inviano i dati anche i seguenti soggetti: tecnico sanitario di laboratorio biomedico; tecnico audiometrista; tecnico audioprotesista tecnico ortopedico; dietista; tecnico di neurofisiopatologia; tecnico fisiopatologia cardiocircolatoria e perfusione cardiovascolare; igienista dentale; fisioterapista, logopedista, podologo.

Sono tenuti all’invio anche i massofisioterapisti per i quali il titolo professionale è stato conseguito ai sensi della legge n. 403/1971.

Spese Sanitarie, invio dei dati al Sistema TS: nuove scadenze fissate dal Mef

Il decreto fissa nuove scadenze per l’invio dai dati al Sistema t.s.

Nello specifico, la trasmissione  è effettuata, considerando anche le scadenze passate, entro:

  • 9 febbraio 2022: per le spese sostenute nel secondo semestre dell’anno 2021;
  • 30 settembre 2022: per le spese sostenute nel primo semestre dell’anno 2022;
  • 31 gennaio 2023: per le spese sostenute nel secondo semestre dell’anno 2022.

Dal 1° gennaio 2023 l’invio dei dati diventerà mensile.

L’invio diventerà mensile ossia dovrà essere effettuato entro la fine del mese successivo alla data del documento fiscale, per le spese sostenute (principio di cassa) dal 1° gennaio 2023.

I dati inviati entro l’8 febbraio, potranno essere oggetto di correzione entro il 15 febbraio 2022. Dopodichè scatteranno le sanzioni.

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Preavviso di licenziamento

Preavviso licenziamento, cos’è e come funziona: calcolo, comunicazione e conseguenze

Quanti giorni prima dev’essere comunicato il licenziamento? Cosa succede se l’azienda non rispetta il periodo di preavviso licenziamento?

Preavviso licenziamento: cos’è, come si calcola, quanto dura, come avviene la comunicazione e quali sono le conseguenze del mancato preavviso? Quanti giorni prima l’azienda può comunicare al dipendente la sua intenzione di licenziarlo e come deve farlo? Chi stabilisce il periodo di preavviso e quali conseguenze ci sono se l’azienda non lo rispetta?

Per rispondere a queste domande è bene precisare che è la legge stessa (articolo 2118 Codice Civile) a imporre al datore di lavoro di comunicare al lavoratore la propria decisione di interrompere il rapporto di lavoro con un congruo anticipo. Partiamo quindi dalla definizione per poi passare a vedere come funziona questo istituto.

Preavviso licenziamento: cos’è

Il preavviso di licenziamento è il lasso di tempo che intercorre tra la comunicazione del licenziamento e l’ultimo giorno di lavoro in azienda. Questo periodo va comunicato dal datore di lavoro direttamente nella lettera di licenziamento.

Durante il preavviso il rapporto di lavoro prosegue normalmente e permette al dipendente da un lato di percepire comunque la retribuzione e dall’altro attivarsi per cercare un’altra occupazione.

Il preavviso si applica solo ai rapporti a tempo indeterminato. Escluso il lavoro a termine, perché contratto pensato per sopravvivere fino alla data di scadenza e in cui il recesso anticipato è possibile esclusivamente in presenza di giusta causa (quindi licenziamento in tronco o senza preavviso) o per impossibilità sopravvenuta della prestazione.

L’azienda può anche decidere, con il consenso o meno del lavoratore, di non concedere alcun periodo di preavviso. In questo caso è tenuta a corrispondere un’indennità sostitutiva pari all’ammontare della retribuzione cui il dipendente avrebbe avuto diritto se il preavviso fosse stato lavorato.

Vediamo nel dettaglio tutto quello che c’è da sapere sul preavviso di licenziamento.

Leggi anche: Licenziamento senza preavviso: cause e conseguenze

Preavviso licenziamento, quanto dura: come fare il calcolo

Come anticipato, la durata del preavviso è pari al lasso di tempo intercorrente tra la comunicazione di licenziamento e l’ultimo giorno di lavoro.

La durata minima del preavviso è stabilita dai contratti collettivi e generalmente varia a seconda del livello e dell’anzianità aziendale del licenziato (sul presupposto che all’aumentare dell’inquadramento e degli anni di servizio si dilata anche il preavviso). Ad esempio, il CCNL Alimentari – Industria stabilisce:

  • Per un impiegato livello 1 fino a 4 anni di anzianità aziendale un preavviso pari a 2 mesi di calendario;
  • Per un impiegato sempre livello 1 ma con anzianità compresa tra i 4 e i 10 anni preavviso di 3 mesi.
  • Sempre un impiegato ma di livello 2 (inferiore nella scala retributiva rispetto al livello 1) con anzianità aziendale fino a 4 anni ha diritto ad un preavviso di 1 mese;
  • Lo stesso impiegato di livello 2 ma con anzianità tra i 4 e i 10 anni ha diritto a 45 giorni di calendario.

Come anticipato, i CCNL stabiliscono solo la durata minima del preavviso, nulla vieta ai contratti aziendali o individuali di intervenire in materia con condizioni di miglior favore. Nello specifico possono unicamente ampliare i periodi di preavviso.

Preavviso di licenziamento, da quando decorre

Il preavviso decorre dal momento in cui la comunicazione di licenziamento giunge a conoscenza del lavoratore, da individuarsi con la data in cui questi riceve materialmente la lettera. Per avere tempi certi è bene optare per una raccomandata a mano datata e firmata per ricevuta dal lavoratore.

In caso di invio a mezzo posta la forma utilizzata dev’essere la raccomandata con ricevuta di ritorno, usufruendo peraltro dei servizi online di tracciabilità della missiva.

Leggi anche: Malattia durante il preavviso: quali conseguenze

Una volta fissata la decorrenza, l’azienda deve calcolare sulla base del CCNL o del contratto aziendale / individuale i giorni di preavviso che mancano all’ultimo lavorato. La cessazione dev’essere peraltro comunicata al Centro per l’impiego mediante invio del modello Unilav entro cinque giorni decorrenti dall’ultimo lavorato.

Ai fini della risoluzione del rapporto fa fede il modello Unilav, pertanto l’azienda che intende concedere un periodo di preavviso più ampio rispetto a quello indicato nel CCNL deve solamente indicare l’ultimo giorno di lavoro effettivo nella comunicazione al Centro per l’impiego, oltre a farne menzione nella lettera di licenziamento.

Cos’è l’indennità sostitutiva del preavviso

Il datore può decidere, con il consenso del dipendente, di interrompere il rapporto senza concedere alcun giorno di preavviso. In questo caso l’azienda è tenuta ad erogare in busta paga un’apposita indennità sostitutiva, pari alla retribuzione che sarebbe spettata al dipendente se avesse lavorato durante il periodo di preavviso.

L’indennità dev’essere corrisposta con il cedolino relativo all’ultimo mese di lavoro insieme alle altre competenze di fine rapporto (escluso il TFR):

  • Ferie e permessi maturati e non goduti;
  • Mensilità aggiuntive.

La volontà dell’azienda di non concedere alcun giorno di preavviso dev’essere espressa nella lettera di licenziamento e comporta la cessazione immediata del rapporto alla data di ricevimento della missiva, con firma del lavoratore per accettazione.

Tuttavia la giurisprudenza (sentenza Cassazione n. 13580/2001) ha affermato che il consenso del dipendente alla cessazione immediata può essere espresso anche per fatti concludenti, ad esempio accettando senza riserve l’indennità sostitutiva del preavviso.

Discorso diverso se, pur in mancanza del consenso del dipendente al recesso immediato, l’azienda non concede alcun preavviso. Qui la giurisprudenza di Cassazione è divisa:

  • Secondo l’orientamento più recente e condivisibile (sentenza n. 13988/2017) anche in assenza del consenso del dipendente il rapporto si risolve immediatamente con annessa erogazione dell’indennità sostitutiva del preavviso;
  • Un diverso pensiero della Cassazione risalente nel tempo (sentenza n. 17334/2004) sostiene che quando il datore non permette lo svolgimento dell’attività lavorativa ed eroga l’indennità sostitutiva, il rapporto prosegue comunque fino alla scadenza del preavviso.

L’indennità sostitutiva è peraltro dovuta anche laddove l’azienda concede solo in parte il preavviso fissato dal CCNL; ad esempio 10 giorni a fronte di un minimo di 30.

Indennità sostitutiva, a quanto ammonta

L’indennità sostitutiva del preavviso è pari alla retribuzione che sarebbe spettata al dipendente per i periodi di lavoro tra la data di ricevimento della comunicazione di licenziamento e l’ultimo giorno in azienda, compresi i ratei di tredicesima e quattordicesima mensilità se prevista.

La retribuzione da prendere a riferimento è quella in atto al momento in cui l’azienda comunica il licenziamento.

Leggi anche: Indennità sostitutiva del preavviso: cos’è, natura e calcolo

Preavviso di licenziamento, quando non è dovuto

L’azienda non è tenuta a concedere alcun periodo di preavviso nei casi di:

  • Licenziamento per giusta causa;
  • Licenziamento durante o al termine del periodo di prova;
  • Recesso per giusta causa nei contratti a tempo determinato;
  • Risoluzione consensuale del rapporto;
  • Mancata ripresa del servizio a seguito di sentenza che dispone la reintegrazione nel posto di lavoro.

Il contratto individuale non può escludere preventivamente il periodo di preavviso.

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