Archivi giornalieri: 6 febbraio 2022

Pensione di reversibilità al coniuge separato: nuove istruzioni INPS

Pensione di reversibilità al coniuge separato: nuove istruzioni INPS

La pensione di reversibilità o diretta spetta anche al coniuge superstite che risulta separato al momento della morte del dante causa

Pensione di reversibilità al coniuge separato

La pensione ai superstiti spetta anche al coniuge separato? Il trattamento pensionistico è riconosciuto anche qualora il coniuge superstite conviva nella stessa casa con il dante causa? A queste domande ha risposto l’INPS con la Circolare n. 19 dell’1 febbraio 2022.

Nel documento di prassi viene affermato un principio fondamentale, ossia: a prescindere che la separazione sia con addebito o per colpa senza diritto agli alimenti, il coniuge separato è equiparato al coniuge superstite. Ciò fa sì che il coniuge superstite ha diritto alla pensione in argomento.

Ecco i dettagli.

Pensione ai reversibilità: la disciplina

In Italia la legge che stabilisce il riconoscimento della pensione in favore del coniuge superstite è l’art. 22 della L. n. 903/1965.

A tal proposito, una domanda che spesso sorge spontanea è se per ottenere la prestazione di reversibilità o indiretta, il coniuge deve obbligatoriamente convivere con il dante causa. La risposta è negativa. Non è necessario che il coniuge superstite conviva nella stessa casa con il dante causa. Tuttavia, è necessario che ci sia un rapporto coniugale.

Leggi anche: Pensione ai superstiti: cos’è, a chi spetta, calcolo, importo e requisiti in questa guida completa e aggiornata

Pensione di reversibilità al coniuge separato: come funziona

E se il dante causa risulta separata dal coniuge superstite? Cosa succede in questo caso con la pensione di reversibilità o diretta?

Ebbene, come già chiarito dall’INPS stesso (Circolare n. 185/2015) anche il coniuge separato ha diritto alla pensione ai superstiti: ma solo in un caso specifico, ossia se titolare di assegno alimentare.

Quindi, la pensione spetta al coniuge separato soltanto in caso di sussistenza del diritto agli alimenti a carico del coniuge deceduto.

Sul punto, afferma l’INPS, che a prescindere dalla tipologia di separazione (con o senza addebito) non è richiesto, in capo al coniuge superstite, l’obbligo di convivenza al momento della morte del dante causa. Secondo tale principio è possibile confermare che si ha comunque diritto alla pensione ai superstiti in caso di coniuge separato con addebito e senza assegno alimentare.

Coniuge separato equiparato al coniuge superstite

Dunque, possiamo affermare un punto fondamentale: che, a prescindere che la separazione sia con addebito o per colpa senza diritto agli alimenti, il coniuge separato è equiparato al coniuge superstite. Infatti, per quest’ultimo vi è una presunta vivenza a carico del dante causa al momento del decesso.

Tutto ciò fa sì che il coniuge superstite ha diritto alla pensione in argomento.

Nuovi criteri per la definizione delle domande

Alla luce di questo nuovo orientamento sulle pensioni ai superstiti, l’INPS adegua anche la definizione delle domande di pensione in trattazione a decorrere dall’1 febbraio 2022. Ma non solo: ma anche quelli pendenti alla menzionata data.

Per quanto concerne, invece, le domande respinte è possibile richiedere – sempre su esplicita richiesta dell’interessato – il riesame delle stesse. Naturalmente l’istanza non deve essere passata in giudicata.

Pensione di reversibilità già liquidate: cosa fare

Attenzione alla ricostituzione o la revoca della pensione già liquidata. Infatti, qualora la pensione sia stata erogata a un’altra categoria di superstiti – ad esempio quando il diritto risulti concorrente (es. i figli) con quello del coniuge superstite separato, scatta la ricostituzione o la revoca. Da quando? Dalla decorrenza originaria della pensione stessa.

Da segnalare che in questi casi l’INPS non procederà al recupero delle somme corrisposte.

Pensione ai superstiti: come gestire i ricorsi giudiziari

Come gestisce l’INPS i ricorsi giudiziari e amministrativi? Sul punto, le Strutture territoriali dovranno verificare se sia possibile modificare il provvedimento di diniego impugnato. In tal caso, scatta la cd. “liquidazione in autotutela” del trattamento pensionistico ai superstiti.

Di conseguenza, laddove il provvedimento risulti pienamente satisfattivo della pretesa avanzata con il ricorso, allora si definisce il ricorso in via amministrativa per cessata materia del contendere

Attenzione però: laddove i ricorsi risultino già inviato al competente Comitato ma non ancora inseriti nel rispettivo ordine del giorno, questi ultimi saranno restituiti all’INPS.

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San Paolo Miki e compagni

 

San Paolo Miki e compagni


Nome: San Paolo Miki e compagni
Titolo: Martiri
Nascita: 1556 circa, Kyoto, Giappone
Morte: 5 febbraio 1597, Nagasaki, Giappone
Ricorrenza: 6 febbraio
Tipologia: Memoria liturgica
Paolo Miki è il primo martire giapponese, o meglio il primo giapponese caduto martire per la propria fede cristiana. Va chiarito infatti che non si tratta di un missionario caduto in Giappone, ma di un cristiano del Giappone, esemplare nella vita ed esemplare soprattutto nella morte.

La sua vita del resto fu molto semplice, lineare. Egli appartenne allo stuolo, veramente imponente, dei primi convertiti giapponesi dopo il più antico tentativo di evangelizzazione di quel lontanissimo paese, legato, come si sa, alla storia e alla gloria del grande San Francesco Saverio.
Francesco Saverio era stato in Giappone verso il 1550, e vi aveva gettato i primi fertili semi dell’apostolato cristiano. Dopo di lui, l’opera venne proseguita dai suoi confratelli della Compagnia di Gesù, con successo davvero sorprendente, se si pensa alle difficoltà di quell’ambiente e di quella mentalità così diversa dall’occidentale, e anche alla complicatissima lingua giapponese.
Meno di trent’anni dopo, nel 1587, si contavano in Giappone più di duecentomila cristiani. Uno di questi era il giovane Paolo Miki, nato a Kioto – la capitale dell’arte e della cultura nel paese del Sol Levante – nel 1556. Battezzato a cinque anni, Paolo Miki era entrato ventenne nel seminario dei Gesuiti, ad Anzuciana. Presto era diventato novizio nella Compagnia, aggregandosi poi, con i voti solenni, al manipolo dei seguaci di Sant’Ignazio.

Per lui, giapponese di lingua e di cultura, lo studio del latino fu, comprensibilmente, irto di difficoltà. In compenso divenne un ottimo conoscitore delle dottrine e delle usanze buddiste, e ciò gli permise di sostenere utilmente le discussioni con i dotti del luogo, ottenendo numerose conversioni.

Il Padre Miki, gesuita giapponese, fu infatti ottimo e suadente predicatore. Venne considerato il migliore del proprio tempo, e fu scritto di lui che « mostrava il suo zelo più con i sentimenti affettuosi che con le parole ».
Fino al 1590, i missionari cristiani furono circondati, in Giappone, da un clima di tolleranza e spesso di benevolenza. Ma improvvisamente, per diversi e complessi motivi, lo shagun Taicosama decretò l’espulsione dai suoi stati dei missionari gesuiti. Gran parte dei religiosi restò, nascondendosi e proseguendo la loro opera di apostolato in modo semiclandestino. Ma l’arrivo di nuovi missionari e il loro troppo clamoroso preselitismo urtò Taicosama il quale, nel 1596, decretò l’arresto di tutti i missionari.

Paolo Miki venne catturato ad Osaka, con due compagni. Trasferito in carcere a Meaco, vi trovò altri cristiani e missionari, ventisei in tutto: 6 francescani, 3 gesuiti giapponesi e 17 laici giapponesi, tra i quali due ragazzi di 11 e 13 anni. Subirono tutti raffinate e umilianti torture, tra le quali il taglio dell’orecchio sinistro, e l’esposizione allo scherno della popolazione. I persecutori tentarono anche di farli rinnegare, ma nessuno dei ventisei disertò.
Finalmente, il 5 febbraio 1597, vennero messi a morte su una collina presso Nagasaki, chiamata poi « la santa collina ». Legati con funi sulle croci, vennero trafitti da due lance incrociate, trapassanti il cuore.

Il ragazzo di 13 anni intonò, sulla croce, l’inno Laudate pueri Dominum; Paolo Miki, prima di morire, parlò un’ultima volta con eloquenza divinamente ispirata, perdonando i propri carnefici. Sulla croce eretta sopra la collina di Nagasaki, il primo martire giapponese apparve veramente come un vessillo, non di sconfitta, ma di perenne vittoria.

MARTIROLOGIO ROMANO. A Nagasaki, in Giappone, la passione di ventisei Martiri, dei quali tre Sacerdoti, uno Chierico e due laici dell’Ordine dei Minori, altri tre, fra i quali uno Chierico, della Compagnia di Gesù, e diciassette appartenenti al Terz’Ordine di san Francésco, i quali tutti per la fede cattolica messi in croce, e trapassati a colpi di lancia, lodando il Signore e predicando la medesima fede, morirono gloriosamente, e dal Sommo Pontefice Pio nono furono ascritti nel catalogo dei Santi.