Archivi giornalieri: 18 ottobre 2021

 

Contributo a fondo perduto Sostegni e Sostegni-bis alternativo: al via le domande

Domande al via di Contributo a fondo perduto Sostegni e Sostegni-bis alternativo fino al 13 dicembre 2021. Ecco i dettagli.

Dal 14 ottobre 2021, e fino al 13 dicembre 2021, è possibile inviare le domande per fruire del contributo a fondo perduto “Sostegni” (art. 1 del D.L. n. 41/2021) e del contributo “Sostegni-bis alternativo” (art. 1, co. da 5 a 13 del D.L. n. 73/2021).

Possono presentare istanza i soggetti che svolgono attività di impresa, di lavoro autonomo e di reddito agrario titolari di partita IVA che hanno conseguito, nel 2019, ricavi o compensi compresi fra 10 milioni e 15 milioni di euro.

Infatti, l’Agenzia delle Entrate, con un Provvedimento prot. n. 268440 del 13 ottobre 2021), ha approvato il modello di domanda, con le relative istruzioni, per richiedere i contributi.

Contributo a fondo perduto Sostegni e Sostegni-bis alternativo: a chi spetta

Le nuove agevolazioni spettano ai soggetti esercenti attività d’impresa, arte e professione o che producono reddito agrario, titolari di partita IVA e residenti o stabiliti in Italia, che:

  • nel 2019 abbiano conseguito un ammontare di ricavi o di compensi fra 10 e 15 milioni di euro;
  • hanno registrato un calo di almeno il 30% tra l’ammontare medio mensile del fatturato e dei corrispettivi dell’anno 2020 e quello dell’anno 2019;
  • hanno registrato un calo di almeno il 30% tra l’ammontare medio mensile del fatturato e dei corrispettivi del periodo 1° aprile 2020 – 31 marzo 2021 e quello del periodo 1° aprile 2019 – 31 marzo 2020.

Non possono accedere ai contributi:

  • i soggetti la cui attività e partita IVA non risulti attiva alla data di entrata in vigore dei rispettivi decreti-legge, gli enti pubblici (art. 74 del Tuir);
  • gli intermediari finanziari;
  • le società di partecipazione (art. 162-bisdel Tuir).

Contributo a fondo perduto Sostegni e Sostegni-bis alternativo: quanto spetta

Una volta verificato il possesso dei requisiti, per calcolare i contributi spettanti, la differenza tra le medie mensili viene moltiplicata per una percentuale specifica, a seconda dell’oggetto della domanda. Se viene richiesto esclusivamente il contributo “Sostegni”, l’importo è ottenuto applicando la percentuale del 20% alla differenza tra:

  • l’ammontare medio mensile del fatturato e dei corrispettivi dell’anno 2020;
  • l’ammontare medio mensile del fatturato e dei corrispettivi dell’anno 2019;

con un minimo di 1.000 euro per le persone fisiche e 2.000 euro per i soggetti diversi dalle persone fisiche.

In questo caso viene riconosciuto anche il contributo “Sostegni-bis automatico” (art. 1, commi da 1 a 3, del D.L. n. 73/2021).

Se si richiede esclusivamente il contributo “Sostegni-bis alternativo” il contributo è pari al 30% della differenza tra:

  • l’ammontare medio mensile del fatturato dei corrispettivi del periodo 1° aprile 2020 – 31 marzo 2021;
  • l’ammontare medio mensile del fatturato dei corrispettivi del periodo 1° aprile 2019 – 31 marzo 2020.

Se vengono richiesti entrambi, per il contributo “Sostegni-bis alternativo” si applica la percentuale del 20% alla differenza tra:

  • l’ammontare medio mensile del fatturato e dei corrispettivi del periodo dal 1° aprile 2020 al 31 marzo 2021;
  • l’ammontare medio mensile del fatturato e dei corrispettivi del periodo dal 1° aprile 2019 al 31 marzo 2020.

Per tutti i soggetti l’importo di ciascun contributo non può essere superiore a 150.000 euro.

Contributo a fondo perduto Sostegni e Sostegni-bis alternativo: come e quando fare domanda

I contribuenti possono richiedere i contributi a fondo perduto con apposita istanza, mediante i servizi telematici dell’Agenzia delle entrate, fino al 13 dicembre 2021. Nell’istanza devono essere indicati:

  • prima i codici fiscali del richiedente, dell’eventuale rappresentante o intermediario;
  • successivamente le informazioni sulla sussistenza dei requisiti;
  • infine l’Iban del conto corrente su cui ricevere l’accredito.

I contributi arrivano mediante bonifico o, su specifica scelta irrevocabile del richiedente, possono essere riconosciuti come crediti di imposta da utilizzare esclusivamente in compensazione.

San Luca

 

San Luca


Nome: San Luca
Titolo: Evangelista
Nascita: I secolo, Antiochia di Siria
Morte: 18 ottobre 93, Tebe
Ricorrenza: 18 ottobre
Tipologia: Festa

L’Evangelista S. Luca nacque in Antiochia di Siria, dà genitori pagani. Imparò la scienza medica e, allo scopo di perfezionare le sue cognizioni, intraprese diversi viaggi nella Grecia e nell’Egitto. Si portò poi a Troade per esercitarvi la sua professione: ma qui il Signore l’attendeva per un’altra missione più grande. Essendo passato di là l’apostolo Paolo a predicare il S. Vangelo, Luca, conquistato dalla verità, volle seguirlo nel sacro ministero e gli fu compagno fedelissimo fino alla morte.

Verso il 60, mentre S. Paolo si trovava prigioniero a Cesarea, Luca scrisse, per divina ispirazione, il terzo Vangelo in lingua greca, che si distingue per la sua chiarezza ed eleganza.

Questo Vangelo è dedicato a Teofilo, che era un famoso cristiano di Antiochia, ma nello stesso tempo è indirizzato a tutti i Cristiani e a tutti quelli che vogliono salvarsi, siano essi ebrei o pagani: il regno di Dio è aperto a tutti. Egli voleva dimostrare la bontà e la misericordia di Dio, e perciò racconta gli episodi e le parabole più commoventi.

Eloquentissime sono le parabole del buon samaritano, della pecorella smarrita, del fariseo e del pubblicano, di Zaccheo e del figliuol prodigo, che ci manifestano l’infinita misericordia di un Dio morto per noi sulla croce e che perdona agli stessi suoi crocifissori: « Padre, perdona loro, perché non sanno quel che fanno ».

Il santo evangelista si diede anche alla predicazione ed evangelizzò la Macedonia, la Dalmazia, l’Italia e la Gallia. Durante la prigionia di S. Paolo in Roma scrisse gli « Atti degli Apostoli » in cui narra la storia dei primi anni della Chiesa e particolarmente i viaggi di S. Paolo. Ma la tradizione ci dice che S. Luca, oltre che medico, era pure pittore. Devotissimo della Madonna, è tra gli Evangelisti quello che ne parla più diffusamente. Non può non averla vista, non averle parlato: lo dimostrano anche le belle immagini della Vergine che ci furono tramandate sotto il suo nome.

Mori nella Bitinia, all’età di 84 anni. Le sue venerate spoglie vennero deposte nella città di Costantinopoli, assieme a quelle di S. Andrea, nella basilica dedicata ai dodici Apostoli. Giunsero poi a Padova, dove tuttora si trovano nella Basilica di Santa Giustina.

S. Paolo lo chiama « medico carissimo » e « fratello, la cui Mele è nel Vangelo ».

Il suo simbolo è un toro alato, perché il primo personaggio che introduce nel suo Vangelo è il padre di Giovanni Battista, Zaccaria, sacerdote del tempio e responsabile del sacrificio di tori.

PRATICA Il Vangelo sia la regola della nostra vita.

PREGHIERA. Deh! Signore, interceda per noi il tuo evangelista S. Luca, il quale ad onor del tuo nome portò continuamente nel suo corpo la mortificazione della croce.

MARTIROLOGIO ROMANO. Festa di san Luca, Evangelista, che, secondo la tradizione, nato ad Antiochia da famiglia pagana e medico di professione, si convertì alla fede in Cristo. Divenuto compagno carissimo di san Paolo Apostolo, sistemò con cura nel Vangelo tutte le opere e gli insegnamenti di Gesù, divenendo scriba della mansuetudine di Cristo, e narrò negli Atti degli Apostoli gli inizi della vita della Chiesa fino al primo soggiorno di Paolo a Roma.

Parabola del figlio prodigo

Parabola del figlio prodigo

Disse ancora: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane disse al padre: Padre, dammi la parte del patrimonio che mi spetta. E il padre divise tra loro le sostanze. Dopo non molti giorni, il figlio più giovane, raccolte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò le sue sostanze vivendo da dissoluto. Quando ebbe speso tutto, in quel paese venne una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò e si mise a servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube che mangiavano i porci; ma nessuno gliene dava. Allora rientrò in se stesso e disse: Quanti salariati in casa di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi leverò e andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi garzoni. Partì e si incamminò verso suo padre.

Quando era ancora lontano il padre lo vide e commosso gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. Ma il padre disse ai servi: Presto, portate qui il vestito più bello e rivestitelo, mettetegli l’anello al dito e i calzari ai piedi. Portate il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato. E cominciarono a far festa. Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò un servo e gli domandò che cosa fosse tutto ciò. Il servo gli rispose: È tornato tuo fratello e il padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo. Egli si arrabbiò, e non voleva entrare. Il padre allora uscì a pregarlo. Ma lui rispose a suo padre: Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai trasgredito un tuo comando, e tu non mi hai dato mai un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che questo tuo figlio che ha divorato i tuoi averi con le prostitute è tornato, per lui hai ammazzato il vitello grasso. Gli rispose il padre: Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato».

Parabola del buon samaritano

Parabola del buon samaritano
Un dottore della Legge si alzò per metterlo alla prova: «Maestro, che devo fare per ereditare la vita eterna?». 26 Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Che cosa vi leggi?». 27 Costui rispose: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente e il prossimo tuo come te stesso». 28 E Gesù: «Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai». 29 Ma quegli, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è il mio prossimo?». 30 Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e incappò nei briganti che lo spogliarono, lo percossero e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. 31 Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e quando lo vide passò oltre dall’altra parte. 32 Anche un levita, giunto in quel luogo, lo vide e passò oltre. 33 Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto lo vide e n’ebbe compassione. 34 Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi, caricatolo sopra il suo giumento, lo portò a una locanda e si prese cura di lui. 35 Il giorno seguente, estrasse due denari e li diede all’albergatore, dicendo: Abbi cura di lui e ciò che spenderai in più, te lo rifonderò al mio ritorno. 36 Chi di questi tre ti sembra sia stato il prossimo di colui che è incappato nei briganti?». 37 Quegli rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ lo stesso».»

ilmanifesto

INTERNAZIONALE

Salari in stagnazione da 50 anni, negli Usa non resta che licenziarsi

Terremoti economici. Scioperi a macchia di leopardo in tutti i settori e una valanga di dimissioni volontarie, ben 4,3 milioni lo scorso agosto. È crisi dell’impiego e delle assunzioni negli Stati uniti. «Nessuno lo chiama sciopero generale – dice l’economista Robert Reich – ma pur non essendo organizzato è in realtà collegato agli scioperi organizzati che scoppiano in tutto il paese: troupe televisive e cinematografiche di Hollywood, lavoratori della John Deere, minatori di carbone dell’Alabama, lavoratori della Nabisco, lavoratori della Kellogg, infermieri in California, operatori sanitari a Buffalo…»

Cercasi manodopera in un ristorante del Greenwich Village a New York

Cercasi manodopera in un ristorante del Greenwich Village a New York

Tutti fanno finta di non accorgersene, ma negli Stati uniti c’è lo sciopero generale. Si vede poco perché è uno sciopero generale, anzi un rifiuto del lavoro, strisciante: nel mese di agosto ben 4,3 milioni di lavoratori americani si sono licenziati. Significa che il 3% dell’intera forza lavoro degli Stati uniti se n’è andata volontariamente, la percentuale più alta mai registrata da quando il Bureau of Labor Statistics ha iniziato a registrare questo dato.

NELL’APRILE SCORSO si erano toccati i 4 milioni ma il fenomeno era stato attibuito al sostegno per le famiglie creato dall’amministrazione Biden poche settimane prima e ora scaduto. Quattro milioni di lavoratori su un totale di 154 milioni sembra poco ma in realtà è una cifra enorme: il sistema di sicurezza sociale americano è magro e fragile, quindi chi si licenzia spesso ha diritto a un’indennità di disoccupazione solo per poche settimane.

«Nessuno lo chiama sciopero generale – dice l’economista Robert Reich – ma pur non essendo organizzato è in realtà collegato agli scioperi organizzati che scoppiano in tutto il paese: troupe televisive e cinematografiche di Hollywood, lavoratori della John Deere, minatori di carbone dell’Alabama, lavoratori della Nabisco, lavoratori della Kellogg, infermieri in California, operatori sanitari a Buffalo…».

QUESTO RISVEGLIO dell’attivismo dopo 50 anni di stagnazione dei salari reali è il frutto della convergenza di vari fattori, in particolare del fatto che le offerte di lavoro, sempre in agosto, erano 10,4 milioni, quindi per la prima volta in parecchi decenni i lavoratori hanno un potere contrattuale leggermente maggiore: nell’ultimo anno i salari medi sono aumentati del 4,6% e molti di loro pensano che, se non oggi, tra due o tre mesi un lavoro si troverà.

Ma c’è anche un elemento più profondo e importante, il rifiuto del lavoro, o almeno di questi lavori malpagati e pericolosi: «Non possono continuare trattarci così» dice Laura Hagen, una delle 10mila lavoratrici e lavoratori in sciopero della John Deere, il colosso mondiale dei trattori.

Gli scioperi sono a macchia di leopardo, mentre le dimissioni investono tutti i settori ma in particolare infermieri e altri operatori sanitari (224.000), impiegati nei fast food (178.000), insegnanti (124.000). Tutte categorie che non solo hanno sofferto più duramente per la pandemia (assieme ai lavoratori della logistica) ma che sostanzialmente si identificano con gli working poors, cioè lavoratori a cui un contratto stabile e un orario pieno non bastano per mantenere la famiglia.

BASTI PENSARE che il salario minimo federale oggi è 7,25 dollari l’ora, immutato dal 2009, e aveva raggiunto il suo massimo in termini di potere d’acquisto nel 1968, quando era equivalente a 11,91 dollari di oggi. Da allora sono falliti tutti i tentativi dei democratici di aumentarlo. In 29 stati e in alcune città ricche, come Seattle e New York, il salario minimo locale è 15 dollari l’ora ma la lotta per estendere questo trattamento a livello nazionale è ancora lunga e incerta.

LE USCITE MASSICCE da fabbriche e uffici sono ancora più sorprendenti perché la partecipazione al mercato del lavoro negli Stati Uniti è già piuttosto bassa: in settembre il 61,7% degli adulti lavorava, o era ufficialmente disoccupato, mentre in Italia la percentuale corrispondente era il 64,1% e, tradizionalmente, l’Italia era considerata un paese con una bassa partecipazione al mercato del lavoro, a causa del tasso di attività femminile molto modesto, il 54,7% (in paesi come la Svezia e la Svizzera è l’80%).

La crisi delle assunzioni (oltre 10 milioni di posti di lavoro in attesa di essere riempiti, come si diceva) si aggiunge ad altre due violente scosse di terremoto che stanno scuotendo l’economia americana: la semiparalisi dei trasporti e la mancanza di pezzi di ricambio.

DOPO 40 ANNI di dittatura del metodo Just in Time, ovvero della fantasia che non occorrono magazzini perché i fattori produttivi (materie prime e lavoratori) saranno sempre disponibili al momento voluto nel luogo voluto ci si è accorti che non è così.
Per trasportare l’insalata cresciuta in California nei supermercati di New York occorrono varie cose: acqua a sufficienza perché cresca, lavoratori migranti che la raccolgano, camion che la trasportino e camionisti che guidino i suddetti camion. Una catena che deve funzionare senza nessun intoppo, mentre in questo 2021 tutti questi passaggi sono stati messi in pericolo: la siccità, la mancanza di pezzi di ricambio (fermi in qualche container al largo) e, ora, anche la mancanza di autisti.

A questo si aggiungono gli scioperi già citati, che coinvolgono migliaia di lavoratori anche in settori strategici come le miniere di carbone o le fabbriche di trattori (niente trattori, niente semina, niente insalata dei prossimi mesi).

il manifesto

L’ULTIMA

Giornalisti in fabbrica

Lotte operaie. Alla Gkn di Campi Bisenzio l’incontro degli operai con i cronisti che hanno seguito una lotta diventata simbolo: da una parte le tute blu, dall’altra un settore dove la precarietà dilaga

Collettivo Gkn

Collettivo Gkn

I Zuppa calda di pasta e lenticchie all’arrivo, penne aglio olio e peperoncino in chiusura di serata e quindi nel cuore della notte, perché la fabbrica non va mai lasciata sola e gli operai Gkn lo sanno bene. Affissi ai cancelli ci sono i cento striscioni di solidarietà delle Rsu, delle categorie e delle Camere del lavoro, nel piazzale interno c’è il grande tendone della Pubblica assistenza dove si mangia, si beve, si gioca a carte e si parla, guardando ai fatti del giorno, e alla vita quotidiana con i suoi ritmi, i suoi problemi e le sue speranze. Quel grande tendone pieno di calore umano dà riparo dal freddo, che è arrivato e insisterà a lungo. Allora torna alla mente il titolo di una delle più belle canzoni di Bob Dylan, Shelter from the storm.

ALL’INGRESSO Giovanni accoglie i giornalisti, li presenta ai compagni di lavoro che faranno il turno di notte, chiede se abbiano voglia di un caffè, di una birra, di un bicchiere di vino o anche della zuppa calda. Poi, all’orario fissato, si entra nello stabilimento. E inizia un incontro in cui ad essere sotto i riflettori sono, per una volta, i cronisti, per parlare delle proprie condizioni di lavoro, e dei propri diritti spesso negati.

«È UN’EMOZIONE AVERVI QUI – apre Dario – siete in sala mensa, dove fino a giugno facevamo le assemblee sindacali. Vi ringrazio a nome di tutte e tutti perché in questi tre mesi avete fatto il vostro mestiere, vi abbiamo invitati perché penso non ci siano grandi differenze fra quello che stiamo vivendo e la vostra realtà di settore. Ci confrontiamo entrambi con una fortissima evoluzione tecnologica che non è accompagnata dalle necessarie strategie industriali, che in questo paese mancano da trent’anni. Mentre le uniche attenzioni sono per i fondi pubblici da incassare. Anche nel vostro settore avete i nostri problemi. Quelli di essere sotto personale, di fare orari impossibili, e di avere un accesso al lavoro e alla stabilità economica sempre più complicato. Non c’è differenza fra l’essere in due invece che in tre su una linea, come accade a noi, ed essere da soli a fare un servizio televisivo, tenendo con una mano il microfono e con l’altra le telecamera».

MARZIO FATUCCHI, presidente della Consulta dei comitati e fiduciari di redazione dell’Associazione stampa toscana, dopo averlo combattuto per anni ben conosce il cortocircuito che il Collettivo di fabbrica ha voluto evidenziare con questa serata. Quello di chi racconta, fotografa e riprende, come nel caso di Gkn, una straordinaria lotta operaia in difesa dei diritti, delle tutele e della dignità del lavoro. Mentre ne è, spesso e volentieri, privo. «Voi siete uniti mentre noi siamo divisi – osserva Fatucchi – e lo siamo per tanti motivi.

Perché i nostri assetti contrattuali contribuiscono alle divisioni fra chi è stato assunto prima del ‘pacchetto Treu’ del 1996, chi dopo il ’96 ma con l’articolo 18, e chi in questi ultimi anni, a causa del jobs act, lavora sempre con la spada di Damocle del licenziamento. Poi siamo divisi per una frammentazione esasperata del nostro settore, dove ci sono assunti, sempre meno, con un contratto nazionale di lavoro, e poi co.co.co, service, cooperative per service, fino al cottimo, e sempre per abbattere i costi di produzione. Fino a trent’anni fa chi voleva fare il giornalista sapeva che avrebbe ‘mangiato merda’, anche tanta, per tre, quattro, cinque anni, ma poi sarebbe arrivata un’assunzione. Da allora no, non è stato più così. E ne paghiamo le conseguenze. Anche perché, e qui parlo da cronista della carta stampata, oggi siamo diventati un prodotto di nicchia».

La solidarietà operaia non è di casa nelle redazioni e in generale nel settore giornalistico. Neanche nell’editoria libraria, ricorda Giulia Carini di Acta, l’associazione dei free-lance del settore: «Con il gruppo di lavoro Acta Media abbiamo fatto una inchiesta nel nostro comparto, ed è venuto fuori che il 70% di noi non arriva a guadagnare 10mila euro l’anno. Solo insieme, tutti insieme, possiamo fare qualcosa per ribaltare questa situazione».

L’incontro tra operai e giornalisti, foto di Cristiano Lucchi

ED ECCOLI GLI SFRUTTATI, indispensabili per la produzione giornalistica ma invariabilmente vessati, discriminati, anche emarginati non appena chiedono qualche essenziale diritto. I cronisti precari costretti a lavorare da casa da quando la pandemia ha permesso alle aziende di liberarsi di presenze, potenzialmente scomode perché irregolari, in redazione. I cronisti garantiti come Leonardo Testai dell’agenzia Ansa che però osserva: «Abbiamo volumi di lavoro raddoppiati ma siamo la metà di quanti eravamo dieci anni fa». I cronisti vittime di una situazione kafkiana come Stefano Miliani dell’Unità: «Non siamo in edicola da quattro anni ma non ci hanno nemmeno chiuso ufficialmente, perché così ci dovrebbero dare il Tfr, il trattamento di fine rapporto».

SOPRATTUTTO CI SONO le Viola Centi, che iniziando il mestiere faceva la «lampredottaia» di notte per far quadrare i conti, le Irene Grossi e Silvia Giagnoni, i Giulio Gori e Nilo di Modica. I tanti e le tante che sono in prima linea nella caccia quotidiana alla notizia, e guadagnano dieci volte meno di chi quelle notizie le mette in pagina.

ALLA FINE MATTEO, delegato Rsu Gkn da 14 anni, fra i «vecchi» della fabbrica, racconta: «Noi abbiamo iniziato litigando al nostro interno, mentre si discuteva se accettare o no un accordo che ci obbligava a lavorare anche il sabato e la domenica. Alla fine quella proposta fu respinta, da allora nacque il consiglio di fabbrica, il Collettivo che avete imparato a conoscere. In questi anni abbiamo visto tante volte che la battaglia singola della singola fabbrica non finisce mai bene. E l’unica soluzione che ci appare possibile è quella di generalizzarle, queste lotte. Non dimenticate che in questo paese abbiamo perso 10 milioni di produzione di autoveicoli in dieci anni».

TOCCA A DARIO tirare le somme della serata dopo aver appreso – ma già lo sapeva – che i giornalisti sono parcellizzati e per giunta quasi sempre individualisti. Tanto da subire quella esasperante competizione, chiesta loro dalle aziende, ben conosciuta da chi ha imparato il mestiere sulla strada, da abusivo in redazione. «Facciamo un lavoro appassionante, sia noi che voi, perché a me fare i semiassi piace davvero. Ma, ad esempio, qui in fabbrica il diritto alla pausa per noi è legge. E sappiate che ci sono tante officine metalmeccaniche qui intorno, legate al settore della moda e con condizioni di lavoro terribili, a cui noi stiamo sulle palle, per come siamo e per quello che facciamo, come solidarizzare con gli operai immigrati della Texprint, una storia ancora più grave della nostra.

Allora vi chiediamo di continuare ad essere onesti come lo siete stati in questi mesi. E di scrivere chiaramente, quando e se avverrà, che siamo stati sconfitti, senza ‘addolcire’ la notizia come spesso accade in storie come questa. Perché, se c’è un gran bisogno di cambiamento in questo paese e lo vediamo chiesto in piazza ogni giorno, vuol dire che c’è tanta conservazione. E la conservazione si difende e si difenderà. Cercando, come nel nostro caso, di ‘soffocarci’ poco alla volta. Mentre con un po’ di cassa integrazione e una piccola riorganizzazione interna, questo stabilimento può fare, come si dice dalle nostre parti, ‘le buche in terra’».