Permessi per allattamento: cosa sono, quante ore spettano, chi paga, come fare domanda

Permessi per allattamento: cosa sono, quante ore spettano, chi paga, come fare domanda

Cosa sono e come funzionano i permessi per allattamento? Chi paga le ore di allattamento e come si fa domanda? Guida completa e aggiornata.

Cosa sono e come funzionano i permessi per allattamento? Il primo anno di vita del bambino è sicuramente il periodo più difficile a livello organizzativo per i genitori lavoratori, perciò accanto alla tutela obbligatoria e il congedo parentale vi è la possibilità di assentarsi per un periodo ulteriore usufruendo dei permessi per allattamento.

Le ore di allattamento sono quindi un’ulteriore tutela concessa ai genitori che prende il nome di riposi giornalieri; consiste in permessi giornalieri fino a due ore di riposo retribuito dal lavoro in cui il genitore può uscire dall’azienda per occuparsi del figlio.

Vediamo meglio cosa sono, come funzionano, la retribuzione, casi particolari e le novità per fare la domanda online all’INPS.

Permessi per allattamento: cosa sono

Il riferimento normativo è sempre il D.lgs. 151/2001 ovvero il Testo Unico sulla maternità e paternità. In particolare l’articolo 39 si occupa precisamente di periodi di riposo orari per allattamento i quali spettano anche in caso di adozione e affidamento, nel corso del primo anno di ingresso del figlio.

Vengono considerate ore di riposo perché effettivamente il genitore non presta la propria attività lavorativa durante questo periodo; questo si compone solitamente da due ore, anche consecutive.

Il genitore può quindi decidere di utilizzare questo periodo per recarsi al lavoro due ore dopo il normale orario di inizio, oppure al contrario per uscire prima dall’azienda, permettendo quindi una maggiore flessibilità e organizzazione.

Permessi allattamento padre

Sebbene lo scopo di queste ore sia quello della nutrizione del figlio da parte della madre, da cui nasce il nome “permessi per allattamento”, si tratta in realtà di ore che possono essere utilizzate anche per la cura del figlio stesso. Le ore di allattamento inoltre possono essere usate anche dal padre per la cura del bambino, così come previsto dalla normativa in materia, ma solo a determinate condizioni.

Proprio per questo motivo parliamo genericamente di genitore in quanto non è un diritto solo ed esclusivamente della madre, ma può avvalersene anche il padre:

  1. sia nei casi in cui non vi sia la madre,
  2. ma anche nel caso in cui questa sia una lavoratrice dipendente e decida di non avvalersene
  3. oppure non sia una lavoratrice dipendente e quindi non ne abbia diritto.

Leggi anche: Riposi giornalieri di allattamento al padre se la madre non lavora

Nello specifico, il padre può usufruire dei periodi di riposo qualora:

  • i figli siano stati affidati al solo padre;
  • in alternativa alla madre lavoratrice dipendente che non se ne avvalga;
  • nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente;
  • in caso di morte o grave infermità della madre.

Congedo di allattamento

Non in tutti i casi, però, il periodo di allattamento è pari a due ore.

Vediamo le eccezioni:

  1. innanzitutto, nel caso in cui l’orario giornaliero sia inferiore a 6 ore il periodo di cui possono godere i genitori si abbassa ad una sola ora;
  2. secondariamente qualora all’interno del luogo di lavoro vi sia un asilo nido o una struttura attrezzata per la cura del neonato allora il genitore può usufruire di solo mezz’ora di stacco;
  3. situazione diversa, infine, in caso di parto gemellare: i periodi di riposo in questo caso vengono infatti raddoppiati.

Permessi allattamento e esigenze aziendali

La scelta di utilizzare queste ore è libera, non vi è nessun obbligo e al tempo stesso anche il periodo temporale di quando utilizzarle è a discrezione dei genitori. Questo significa che al termine dell’astensione obbligatoria la madre che intende tornare al lavoro senza beneficiare del congedo parentale può usufruire dei riposi di allattamento, come invece può decidere di utilizzare in modo frazionato il congedo parentale e, sempre entro il compimento dell’anno del figlio, decidere di utilizzare i riposi per allattamento.

Essendo un diritto dei lavoratori il datore di lavoro non si può opporre a questa scelta né tanto meno ostacolarla; ciò significa che il datore deve consentire alla madre la fruizione dei permessi qualora la stessa presenti esplicita richiesta.

Sicuramente le parti, lavoratrice o lavoratore e datore di lavoro devono concordarne la fruizione tenendo anche conto dell’organizzazione dell’attività lavorativa. Al tempo stesso delle esigenze dei genitori che magari possono trovare giovamento nel dividere l’utilizzo del periodo di allattamento; arrivando ad esempio un’ora più tardi e uscendo un’ora prima dall’azienda, anziché utilizzare il blocco delle due ore consecutive, incidendo in maniera meno pesante sull’organizzazione lavorativa.

Leggi anche: INPS: cumulo fra congedo parentale a ore e altri permessi

Domanda di allattamento INPS

Novità! Con Messaggio numero 3014 del 27 luglio 2018 l’INPS ha comunicato una importante novità relativamente alla domanda di riposi giornalieri per allattamento. Da tale data la richiesta di permessi non va più presentata al datore di lavoro in modalità cartacea, ma direttamente all’INPS dal sito dell’Istituto.

E’ stata infatti predisposta una apposita applicazione, nell’area riservata al cittadino con cui fare domanda di permessi di allattamento.

Si può accedere all’area riservata:

  1. tramite le credenziali INPS,
  2. oppure tramite SPID, CNS o Carta d’identità elettronica 3.0.
  3. la domanda può essere altresì inoltrata tramite Patronato oppure tramite contact center integrato dell’INPS al numero 803164 o 06164164.

Diversamente dalla richiesta di maternità obbligatoria e congedo parentale, non va presentata alcuna domanda all’INPS per i permessi per allattamento. In questo caso è sufficiente che la lavoratrice o il lavoratore che intenda avvalersi delle ore di riposo per allattamento, presenti una domanda al proprio datore di lavoro. Si tratta di una richiesta scritta con il periodo nel quale intende avvalersi e con che modalità (utilizzo delle due ore consecutive oppure suddivisione). Pertanto non esiste un modulo INPS per allattamento.

Retribuzione allattamento INPS, chi paga?

Ma chi paga l’allattamento? In ogni caso per le ore di permesso per allattamento al lavoratore spetta sempre la retribuzione piena. Il datore di lavoro inserirà le ore di permesso in busta paga e poi potrà riprendere la somma dall’INPS tramite modello F24.

L’Istituto previdenziale interviene quindi sia nella gestione della domanda online che nel momento del pagamento. Come tutte le altre astensioni di cui abbiamo trattato anche i permessi per allattamento sono a carico dell’INPS, al 100%; di fatto vengono erogati anticipatamente dal datore di lavoro il quale provvede ad effettuare un conguaglio sulla contribuzione dovuta all’Istituto.

Questo periodo trascorso dai genitori fuori dall’azienda è equiparato ad ore di lavoro; proprio per questo motivo non vi è alcuna variazione in ordine all’anzianità di servizio dei lavoratori che ne usufruiscono. Ne tanto meno va ad incidere sulla maturazione di ferie, permessi e mensilità aggiuntive.

Fac simile richiesta allattamento al datore di lavoro

Per concludere alleghiamo un Fac simile richiesta allattamento al datore di lavoro. La lettera di richiesta di permessi per allattamento è:

  • da stampare, compilare e consegnare in azienda,
  • brevi mano (con ricevuta di consegna), via posta raccomandata, FAX o PEC.
Esonero contributi 2021 per partite Iva: in arrivo il decreto attuativo

 

Per aiutare il mondo delle partite Iva, che come ben noto è stato gravemente penalizzato dall’accoppiata pandemia e restrizioni/divieti da lockdown, ecco profilarsi all’orizzonte l’esonero contributi 2021. Infatti, è ormai in fase di definizione il provvedimento attuativo che si occuperà di mettere nero su bianco tutte le regole per l’accesso al cosiddetto ‘anno bianco contributivo‘, di cui all’ultima Legge di Bilancio.

Si tratta, in altre parole, di un decreto attuativo ad hoc, che disporrà l’esonero dei contributi – totale o parziale – cui sono obbligati i professionisti iscritti alle Casse professionali e all’INPS. Anzi si può dire con certezza che ormai l’iter è prossimo alla conclusione. E’ stato il Ministro del Lavoro Andrea Orlando a spiegare i dettagli della novità in cantiere e in arrivo entro breve tempo. L’occasione per illustrare i tratti essenziali del decreto attuativo è scattata, in quanto proprio Orlando – interpellato sul punto – ha offerto spiegazioni in relazione al ritardo dell’avvio dell’anno bianco contributivo.

Come appena anticipato, è stata la legge di Bilancio 2021 ad ammettere di fatto la misura, che ora necessita però di regole di dettaglio. I pilastri dell’esonero in questione sono contenuti nei commi 20-22, art. 1 della legge n. 178 del 30 dicembre 2020, che non a caso rinvia ad un decreto attuativo per specificare tutte le regole di accesso.

Non solo: coerentemente, il decreto Sostegni, ossia il primo maxi provvedimento economico del Governo Draghi, ha aumentato le risorse mirate a poter introdurre l’anno bianco delle partite Iva; stanziando 2,5 miliardi di euro come fondo proprio per questo fine. Vediamo dunque un po’ più nel dettaglio meccanismo e beneficiari della novità.

Esonero contributi 2021 partite Iva: di che si tratta?

Il Governo intende aiutare concretamente le categorie professionali più colpite dalla crisi socio-economica legata alla pandemia e, per farlo, ha dunque previsto l’anno bianco fiscale delle partite IVA. Esso, di fatto, si traduce in un esonero parziale o totale dal pagamento dei contributi previdenziali relativi al 2021. A trarne vantaggio saranno dunque i professionisti che hanno patito una oggettiva ed acclarata diminuzione delle entrate, a seguito dell’emergenza sanitaria.

In particolare, i destinatari delle misure relative all’esonero contributi 2021 sono le partite IVA fino a 50.000 euro di reddito totale, riferito al 2019, e che l’anno scorso hanno patito una diminuzione di fatturato o corrispettivi corrispondente almeno al 33%.

Sembra tuttavia, che nonostante i rallentamenti circa l’avvio dell’anno bianco delle partite Iva, ormai i lavori siano finalmente a buon punto. Infatti, in merito alle tempistiche per l’emanazione del decreto attuativo sull’esonero contributi 2021, il Ministro del Lavoro Andrea Orlando – nell’ambito della seduta alla Camera di mercoledì 21 aprile 2021 – ha inteso precisare che i dettagli del provvedimento sono in fase di definizione. D’altronde, di mezzo ci sono gli interessi di migliaia e migliaia di professionisti; e lavoratori autonomi, titolari di partita Iva, danneggiati dalla crisi da pandemia, con una drastica riduzione del volume di affari e fatturato.

Il ritardo del decreto attuativo: ecco le ragioni

Come appena anticipato, l’articolazione del provvedimento è ormai in fase di ultimazione e conclusione, a seguito delle osservazioni rilevate dalla Ragioneria generale dello Stato. In base a quanto disposto dall’ultima manovra, il decreto attuativo in oggetto era in verità atteso entro sessanta giorni dal primo gennaio 2021. In altre paroleentro inizio marzo avrebbe dovuto essere varato.

Ma, appunto, il ritardo appare oggi del tutto limpido ed è collegato a due ragioni in particolare. Da un lato, è stato necessario individuare e stanziare risorse supplementari per garantire l’assegnazione del beneficio. E di questi tempi, è chiaro che tale operazione non poteva svolgersi celermente. Dall’altro lato, sul ritardo del decreto attuativo sull’esonero contributi 2021 partite Iva, ha pesato non poco la crisi di Governo di qualche mese fa, che ha portato al cambio al vertice della Presidenza del Consiglio.

Tuttavia, l’emanazione del decreto Sostegni è risultata decisiva al fine della previsione del beneficio citato. Infatti, la dotazione complessiva di risorse finanziarie, per ‘coprire’ l’esonero contributivo 2021 è stata più che raddoppiata; passando da un miliardo a 2 miliardi e mezzo per il 2021.

Anche la complessità dell’argomento ha rallentato l’iter

In verità, vi è anche un’altra ragione che ha portato ad un forte rallentamento dell’iter di approvazione del provvedimento attuativo. Infatti, lo stesso Ministro Orlando lo ha detto senza mezzi termini: il decreto ad hoc è frutto di studi e di analisi particolarmente laboriose, sia in relazione alla tematica dei contributi e del fisco in sè – che come ben noto presenta elementi di complessità – sia in rapporto al fatto che si è reso obbligatorio predisporre procedure distinte per categorie differenti di lavoratori. Ossia:

  • lavoratori iscritti alla gestione separata INPS;
  • iscritti alle gestioni speciali INPS;
  • professionisti iscritti alle casse previdenziali;
  • soci lavoratori di società e professionisti membri di studi associati;
  • medici, infermieri e altri professionisti e operatori già in quiescenza, ai quali siano stati dati incarichi di lavoro autonomo o di co.co.co. per contrastare l’emergenza sanitaria da coronavirus.

Gli step finali del provvedimento: la parola al MEF

Attenzione però: l’esonero contributi 2021 varrà comunque per le sole imprese e professionisti, più esposti alla crisi economica degli ultimi mesi. Pertanto, non potrà avere portata generalizzata o erga omnes.

Come ricordato più volte, però, siamo finalmente alle battute finali e tra poco il provvedimento sull’esonero contributi 2021 partite Iva sarà pronto per essere varato. Il Ministero del Lavoro sta infatti, valutando i rilievi sullo schema di decreto, presentati dalla Ragioneria generale dello Stato. Appreso il parere dell’INPS, sarà la volta del Ministero dell’Economia e Finanze, che analizzerà il provvedimento, per l’ok definitivo.

Concludendo, a questo punto non resta che attendere la versione ufficiale del decreto attuativo sull’esonero contributi 2021 totale o parziale per le partite Iva, per avere conferma delle anticipazioni fornite dalle istituzioni e per avere finalmente piena contezza di tutti i dettagli pratici del meccanismo.


Quota 100 fino a fine 2021, il Recovery Plan cambia lo scenario pensioni

 

Che fine farà Quota 100? Nel testo del Piano nazionale di ripresa e resilienza, o Recovery Plan italiano, l’Esecutivo Draghi ha optato per ciò che era già nell’aria da tempo. Entro fine 2021 vi sarà l’addio a Quota 100, il pensionamento anticipato previsto a partire dal 2019 in via sperimentale per un triennio.

La mancata proroga di sicuro farà discutere a lungo, ma evidentemente i tecnici di Palazzo Chigi si sono resi conto che il meccanismo non è di fatto finanziariamente sostenibile nel medio-lungo termine. Detto pensionamento anticipato consente di uscire prima dal mondo del lavoro; guadagnandosi il diritto alla pensione se si ha un’età anagrafica minima di 62 anni e almeno 38 anni di contributi regolarmente versati.

Certo è che molti aspetti sul fronte pensioni sono ancora da decifrare: in ogni caso, una revisione strutturale dell’intero settore è da più parti attesa; e in particolar modo da Bruxelles, che si aspetta dall’Italia un drastico cambio di passo sul piano delle riforme da attuare nei prossimi mesi.

Anzi, l’UE ha già domandato espressamente all’Italia di garantire la sostenibilità del sistema previdenziale italiano nel medio periodo. In ballo ci sono più di 200 miliardi di aiuti di cui al programma Next Generation UE, suddivisi in contributi a fondo perduto e prestiti garantiti. Solo con riforme adeguate, l’Italia potrà di fatto incassarli. Ecco perchè anche e soprattutto il tema pensioni merita ora grande attenzione da parte del mondo delle istituzioni.

Quota 100 e recovery plan: ecco le ragioni della svolta

Con la fine di quota 100, sarà necessario intervenire per correggere lo scalone, che scatterà dal primo gennaio 2022. La Legge Fornero tornerà dunque ad essere operativa, con l’uscita dal mondo del lavoro a 67 anni di età.

Come appena accennato, dal prossimo gennaio 2022 ecco dunque ritornare lo scalone anagrafico il quale, dagli attuali 62 anni e 38 di contributi di Quota 100, comporterà invece 67 anni di età per la pensione di vecchiaia; e almeno 42 anni e 10 mesi di contributi (uno in meno per le donne) per la pensione anticipata.

D’altronde sono emerse ragioni oggettive, che impediscono di portare avanti l’esperimento di Quota 100 nei prossimi anni: tra esse, il fenomeno dei baby pensionati; il debito pubblico alle stelle; e la bassissima crescita economica. Questi fattori certamente non permettono di proseguire l’esperienza di Quota 100 oltre il 31 dicembre. Ma, in verità, anche il sistema delle pensioni di anzianità a 42 anni e 10 mesi (41 anni e 10 mesi per le donne) con requisito di pensionamento della sola anzianità contributiva comporta elementi di incertezza. Questi ultimi spingono a dover rivedere al più presto la normativa sulle pensioni, verso una riforma strutturale davvero radicale.

Il blocco o mancato rinnovo di Quota 100 non è stato ovviamente indolore: anzi, non poche le critiche e gli attacchi proprio in questi giorni all’interno di una compagine di Governo che, nell’argomento, non è si mostrata pienamente compatta. Ma d’altronde ciò era ben noto.

I dati Inps non fanno ben sperare: urge a breve una riforma complessiva

Come detto poco sopra, i tecnici hanno concluso che non si poteva fare diversamente: l’Inps ha chiuso lo scorso anno con un deficit di 6 miliardi in più rispetto all’anno precedente, ma comunque meno grave di quanto stimato ad ottobre 2020, quando l’Istituto  stimava un “rosso” vicino ai 10 miliardi di euro. C’è da rimarcare altresì che, anche a causa degli effetti di coronavirus e restrizioni, le prestazioni previdenziali sono salite di 30 miliardi circa rispetto al 2019. Insomma, non deve stupire che il 2020 sia stato l’anno del boom delle prestazioni Inps; che sono passate dai 331 miliardi del 2019 ai 360 miliardi del 2020.

In sintesi, ciò ha condotto la spesa complessiva dei trattamenti pensionistici a incidere sul 17% del Pil italiano. Tuttavia, la spesa in materia di pensioni è destinata ad aumentare ulteriormente, nel medio-lungo periodo. Tutti questi elementi lasciano facilmente intendere quanto sia doverosa la riforma delle pensioni, anche per rispondere alle aspettative dell’Europa e per poter avere pieno accesso agli aiuti del Recovery Fund.

Dopo quota 100: che cosa succederà? Le ipotesi

Il ‘buco’ lasciato dall’addio dell’esperimento triennale di Quota 100, sarà probabilmente colmato dall’Esecutivo Draghi, anzitutto attraverso due sistemi già esistenti da tempo. Ci riferiamo all’Ape sociale e alla ulteriore proroga dell’Opzione Donna. Tuttavia, ciò potrebbe non essere sufficiente per coprire la possibile “grande finestra” che scatterebbe per tutti coloro che non potranno più servirsi di Quota 100. In buona sostanza, come sopra accennato, tutti i lavoratori e le lavoratrici vicini alla pensione dovranno fare riferimento al sistema della legge Fornero, che dispone l’uscita dal mondo del lavoro a 67 anni di età anagrafica. Fuori dall’ipotesi, le categorie incluse nell’Ape sociale o in Opzione Donna.

E d’altronde proprio il tanto discusso sistema Fornero è ben accetto dalle Istituzioni UE, le quali anche nelle raccomandazioni all’Italia in vista del varo del Recovery Fund, hanno caldeggiato il ritorno al sistema previdenziale messo nero su bianco, durante il governo Monti. Per ora, tuttavia, è conservata la possibilità di uscita anticipata dal lavoro, con 35 anni di contributi pagati e 58 anni d’età anagrafica per le donne.

Attenzione però: dal 2026 ricomincerà la progressione del requisito pensionistico correlata all’adeguamento alle speranze di vita (i cosiddetti scatti). Queste sono le regole della discussa Legge Fornero, che si applicherebbero al sistema previdenziale nei prossimi anni.

Quota 102 al posto di quota 100: come funziona?

Per oltrepassare Quota 100, senza però ‘salti nel buio’, i tecnici del Governo stanno lavorando all’attuazione dell’ipotesi  Quota 102, vale a dire uno schema frutto degli studi dall’economista e presidente del Centro Studi e Ricerche “Itinerari Previdenziali” Alberto Brambilla, ex Sottosegretario al Ministero del Welfare con delega alla Previdenza Sociale.

Sgomberiamo il campo da ogni possibile dubbio: Quota 102 non sarebbe, in pratica, così differente da Quota 100. Infatti, l’utilizzo di detto meccanismo di pensione anticipata darebbe luogo all’uscita più rapida dal mondo del lavoro, con 64 anni di età anagrafica e 38 anni di contributi versati. Sarebbe diverso il requisito anagrafico, restando però identico il cumulo contributivo. A ciò si aggiungerebbero comunque gli adeguamenti alla speranza di vita.

Attenzione però ad un dettaglio non di poco conto. Per trovare un compromesso e far ‘quadrare i conti’  nel delicato settore dei trattamenti pensionistici, il rovescio della medaglia sarebbe costituito dalla necessità del ricalcolo contributivo dell’assegno pensionistico.

Quota 102 novità pensioni

Secondo le stime di Palazzo Chigi, se confrontata con Quota 100, Quota 102 permetterebbe allo Stato di risparmiare risorse finanziarie. Anzi, gli osservatori hanno fatto notare che la nuova pensione anticipata sarebbe attuabile anche con il vigente sistema previdenziale. Tuttavia, proprio il principale fautore, ossia Alberto Brambilla, ha recentemente inteso precisare che non dovrebbero neanche esserci penalizzazioni per quanto riguarda il trattamento pensionistico. Ciò in quanto “ci sono già i coefficienti di trasformazione, in base ai quali prima vai in pensione, meno prendi“.

Il meccanismo di Quota 102 diventerebbe, insomma, il ponte verso la riforma pensioni più strutturale, che comprende delicati capitoli, riguardanti ad esempio i giovani, le donne e le categorie professionali che svolgono mansioni usuranti.

Anzi il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza spinge proprio in questa direzione, legandosi allo schema dei contributi e prestiti europei: questo documento pare dunque un’occasione da cogliere al volo, per cambiare l’Italia anche sul fronte pensionistico.


Cassa integrazione COVID per il 2021: comunicato e nuove istruzioni INPS

 

Il Comunicato stampa INPS del 16 aprile 2021 interviene sul tema della degli ammortizzatori sociali introdotti per le imprese che sospendono o riducono l’attività a seguito dell’emergenza COVID-19. In particolare, l’Istituto fornisce importanti chiarimenti sul rapporto tra le settimane di Cassa previste dalla Manovra 2021 e quelle recentemente riconosciute dal Decreto “Sostegni”.

Nel documento l’INPS precisa che le 12 settimane di Cassa integrazione COVID introdotte dalla Legge di bilancio 2021 decorrono dal 4 gennaio in quanto primo giorno lavorativo dell’anno. Ciò significa che l’accesso continuativo agli ammortizzatori sociali è garantito dal 4 gennaio al 28 marzo 2021.

Sempre l’ente di previdenza rende noto che, con prossima circolare, sarà chiarito (con parere conforme del Ministero del lavoro) che le settimane di Cassa integrazione introdotte dal Decreto Sostegni comprendono i periodi decorrenti dalla settimana in cui è collocato il 1° aprile. Questo equivale ad un’estensione della CIG anche al 29, 30 e 31 marzo.

Di fatto, analizzando nell’insieme le due novità, emerge la copertura degli ammortizzatori sociali anche per il periodo dal 28 al 31 marzo, a rischio di esclusione senza i chiarimenti INPS.

Analizziamo la questione in dettaglio.

Cassa integrazione COVID per il 2021: dodici settimane Legge di Bilancio

La Legge di bilancio 2021 riconosce 12 settimane di ammortizzatori sociali per le aziende che riducono o sospendono l’attività per eventi riconducibili all’emergenza COVID-19:

  • nel periodo compreso tra il 1° gennaio 2021 e il 31 marzo 2021 per i trattamenti di Cassa integrazione ordinaria (CIGO);
  • tra il 1° gennaio e il 30 giugno per ASO erogato dal FIS e gli eventi di Cassa integrazione guadagni in deroga (CIGD).

Destinatari della Cassa integrazione sono i lavoratori in forza il 4 gennaio 2021, a seguito di chiarimento INPS arrivato con la circolare n. 28/2021, previsione estensiva rispetto a quanto previsto in Manovra (nello specifico gli assunti al 1° gennaio 2021, data di entrata in vigore della Legge 178).

Di conseguenza, calcolando un ricorso continuativo agli ammortizzatori sociali dal 1° gennaio 2021, le 12 settimane si sono esaurite il 25 marzo 2021.

Al contrario, iniziare la Cassa dal 4 gennaio sposta il termine finale al giorno 28 marzo, con copertura dell’intera settimana lavorativa.

In alternativa, è nella facoltà delle imprese ricorrere alle 12 settimane in maniera non continuativa; a patto che le stesse interessino periodi sino al 31 marzo 2021 (per la CIGO) ovvero al 30 giugno 2021 (per CIGD e ASO).

Leggi anche: UniEmens-Cig: come funzioa

Rapporto con il Decreto Ristori

Come espressamente previsto in Manovra, eventuali periodi di Cassa previsti dal Decreto “Ristori” (Dl 137/2020) nel periodo a partire dal 1° gennaio 2021 sono da imputare alle 12 settimane.

Innanzitutto ricordiamo che il “Ristori” ha concesso 6 settimane di ammortizzatori “COVID-19” dal 16 novembre 2020 al 31 gennaio 2021.

Di conseguenza, i periodi richiesti e autorizzati dal Decreto 137 collocati, anche solo parzialmente, a decorrere dal 1° gennaio 2021 si scomputano dalle 12 settimane.

Ipotizziamo il caso dell’azienda Alfa cui sono state autorizzate 6 settimane del “Ristori” sino al 21 gennaio 2021. La stessa, avrà a disposizione, dal 22 gennaio 12 settimane ex Manovra cui sottrarre le 3 già autorizzate ai sensi del Decreto 137. Di conseguenza, potrà inoltrare domanda di Cassa (continuativa) dal 22 gennaio per 9 settimane sino al 25 marzo 2021.

Ulteriore CIG Decreto Sostegni

Il perdurare dell’emergenza COVID-19 ha spinto l’esecutivo Draghi a licenziare il Decreto legge numero 41 del 22 marzo 2021, cosiddetto Decreto “Sostegni”, con cui sono state introdotte ulteriori settimane di ammortizzatori sociali, a beneficio delle aziende che riducono o sospendono l’attività a causa dell’emergenza epidemiologica.

In particolare l’articolo 8 riconosce:

  • 13 settimane di CIGO dal 1° aprile 2021 al 30 giugno 2021;
  • 28 settimane di CIGD e ASO dal 1° aprile 2021 al 31 dicembre 2021.

L’accesso alla Cassa non è subordinato al pagamento del contributo addizionale all’INPS, al pari di quanto previsto per le 12 settimane ex Legge di bilancio.

Come ricordato dall’Istituto con il messaggio numero 1297 del 26 marzo scorso, i periodi disciplinati dal “Sostegni” si sommano a quelli della Manovra 2021. Ciò significa che:

  • Per le aziende che ricorrono alla CIGO sono disponibili 25 settimane dal 1° gennaio al 30 giugno di cui 12 dal 1° gennaio al 31 marzo e 13 dal 1° aprile al 30 giugno;
  • Al contrario, chi accede a CIGD e assegno ordinario avrà a disposizione 40 settimane dal 1° gennaio al 31 dicembre 2021, di cui 12 da collocare obbligatoriamente entro e non oltre il 30 giugno 2021.

Destinatari della Cassa introdotta dal “Sostegni” sono i lavoratori in forza alla data di entrata in vigore del Decreto legge, nello specifico il 23 marzo 2021.

Cassa integrazione dal 29 marzo al 1° aprile

A seguito di quanto anticipato dal Comunicato stampa INPS, la circolare di prossima emanazione riconoscerà, in deroga a quanto previsto dal Decreto numero 41, l’accesso alle 13 o 28 settimane a decorrere dal 29 marzo 2021.

In attesa dei chiarimenti dell’Istituto, è opportuno precisare che, in caso di ricorso alle 12 settimane continuative ex Manovra dal 1° gennaio 2021 le stesse, esaurendosi il 25 marzo, lasceranno comunque scoperti i giorni dal 26 al 28 marzo.

Peraltro, si può ipotizzare con tutta probabilità che il conteggio delle settimane del “Sostegni” decorrerà dalla data effettiva di inizio della Cassa. Ad esempio in caso di ricorso dal 29 marzo, i periodi saranno conteggiati a partire dalla medesima data e non dal 1° aprile.

Gestione della busta paga

E’ opportuno sottolineare come l’estensione dei periodi di Cassa al 29, 30 e 31 marzo, è stata comunicata dall’INPS il giorno 16 aprile, quando la maggior parte delle realtà produttive e imprese avevano già elaborato le buste paga relative al mese di marzo applicando, per i giorni scoperti dagli ammortizzatori sociali, altre causali di assenza, ad esempio ferie o permessi.

Una rielaborazione, oggi, dei cedolini, richiesta a seguito del riconoscimento della Cassa per gli ultimi giorni di marzo, comporterebbe notevoli disagi per le aziende e i professionisti chiamati a modificare paghe il cui netto è probabilmente già stato bonificato ai dipendenti.

Permessi per allattamento: cosa sono, quante ore spettano, chi paga, come fare domandaultima modifica: 2021-04-28T10:36:20+02:00da vitegabry
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