Archivi giornalieri: 17 settembre 2015
diritto.it
Cittadini italiani di nazionalità sarda
CAGLIARI – La brava e bella attrice sarda Caterina Murino, intervistata il 30 agosto scorso da una TV, alla domanda della conduttrice :”È vero che tu non ti consideri Italiana?” risponde:” assolutamente, non sono Italiana sono Sarda”.
In realtà l’affermazione della Murino può sorprendere solo chi si attarda a confondere Stato con Nazione. Noi infatti siamo cittadini italiani – sia pure obtorto collo e senza avere mai scelto di esserlo – ma di nazionalità sarda.
Oltretutto il “sentimento” della Murino è largamente presente fra i sardi. Ricordo che nel 2012, in un sondaggio (curato dall’Università di Cagliari e da quella di Edimburgo e finanziato dalla Regione sarda, circa l’atteggiamento dei Sardi nei confronti della propria identità) era emerso che il 27% si sente sardo e non italiano; il 38% più sardo che italiano; il 31% tanto l’uno che l’altro e solo il 3% più italiano che sardo e l’1% esclusivamente italiano.
Ma si tratta solo di un “sentimento”, di un “umore”? O, meglio, di un ri-sentimento e di un mal-umore nei confronti dello Stato italiano, storicamente ostile nei confronti dell’Isola? O sta maturando una nuova consapevolezza e coscienza della propria “diversità” e “specificità” e persino dell’essere “Nazione”? Io credo di sì. E viene da lontano.
La Sardegna, storicamente, è entrata, coattivamente, nell’orbita italiana – a parte la parentesi pisana e genovese nei secoli XI-XIII – solo agli inizi del 1700 quando viene ceduta al Piemonte, per un baratto di guerra. Per il resto ha avuto una etno-storia, peculiare e dissonante rispetto alla coeva storia italiana ed europea.
L’espressione “nazione sarda” comincia a ricorrere con frequenza e poi sempre più insistentemente in documenti (trattati e carte diplomatiche) che accompagnano le relazioni e i conflitti fra il Giudicato di Arborea e il regno d’Aragona.
L’uso del termine nazione sarda è comprovato dalle carte della corona di Arborea e sarà alla base di quel monumento storico, giuridico e linguistico della Carta de Logu.
La lotta sanguinosa fra naciò sardesca e naciò catalana non si può però considerare chiusa con la battaglia di Sanluri: infatti, affermatosi definitivamente il dominio aragonese a seguito della sconfitta dell’ultimo marchese di Oristano Leonardo Alagon, la contrapposizione fra naciò sarda e naciò catalana non scompare.
L’intellighenzia isolana, dal canto suo, se una parte rimane accecata di fronte agli splendori dell’impero spagnolo e da ascara si prostra servilmente ad esso ed evita con grande cura lo stesso termine di nazione sarda, il poeta Araolla alle lingue castigliana e catalana contrappose la lingua sarda con cui si inizia a delineare un embrionale coscienza del rapporto fra nazione e lingua. Che sarà ancor più forte nello scrittore Gian Matteo Garipa:”Totas sas nationes iscrien & istampan libros in sas proprias limbas naturales insoro…disijande eduncas de ponner in platica s’iscrier in sardu pro utile de sos qui non sun platicos in ateras limbas, presento assos sardos compatriotas mios custu libru”.
Invito a notare i termini, estremamente chiari e significativi: parla di lingua naturale – oggi diremmo materna – che tutte le nazioni, compresa la sarda, hanno il diritto-dovere di utilizzare per rivolgersi ai “compatrioti”, ovvero ai sardi, abitanti dunque della stessa “patria”.
Ma è soprattutto alla fine del ‘700, nel vivo dello scontro politico e sociale che prende sempre più corpo l’idea di nazione sarda. Ad iniziare dal triennio rivoluzionario che vedrà protagonista principale Giovanni Maria Angioy quando i Sardi, prendono coscienza di sé e del proprio essere “popolo” e “nazione”, prima quando si battono con successo contro l’invasione francese poi quando cacciano i piemontesi da Cagliari il 28 Aprile 1794.
Il senso di “appartenenza” e di “nazione sarda” sarà fortemente presente nella stampa e negli scritti di quel periodo di grandi cambiamenti. Ancor più forte sarà il sentimento di “popolo sardo” e di “comunità nazionale” nell’Inno di Francesco Ignazio Mannu Su patriota sardu a sos feudatarios , in cui l’istanza dell’abolizione del giogo feudale si coniuga con un atteggiamento anticoloniale e un sentimento nazionale sardo.
E ancor più chiaramente tale “Identità sarda” emerge nel Memoriale di Angioy in cui l’Alternos cerca di cogliere e di interpretare i tratti distintivi, peculiari e originali della individualità sarda, cominciando dal quadro geografico e morfologico, proseguendo con cenni sugli usi, i costumi, le tradizioni, i rapporti comunitari. Con approdo dell’esperienza e della riflessione angioyna nell’esilio parigino a una repubblica sarda indipendente.
L’ingresso della Sardegna nella compagine statale unitaria, la conseguente imposizione dell’uniformismo centralistico da parte dello Stato italiano non porta alla completa omologazione o alla scomparsa di quella forte caratterizzazione individuale dell’Isola che viene messa in rilievo soprattutto nella memorialistica della seconda metà dell’Ottocento. Ma che soprattutto emergerà sul fronte nel primo conflitto mondiale con la Brigata Sassari.
A questo proposito infatti – scrive Lilliu – “Forse sarebbe utile approfondire l’analisi delle gesta belliche della Brigata Sassari nella penultima grande guerra, demitizzandola nel ruolo assegnatole dalla politica e dalla storiografia nazionalistica e fascista, di fedele e strenuo campione di amor patrio italiano. Resistendo sui monti del Grappa, guidati e formati ideologicamente da ufficiali, come Lussu, nei quali urgevano violentemente, sino a forme ritenute quasi di indipendentismo, le istanze dell’autonomia isolane, i fanti della Brigata, combattendo contro lo straniero austro-ungarico-tedesco, riassumevano tutti gli antichi combattimenti contro tutti gli stranieri conquistatori colonizzatori e sfruttatori della loro terra, comprendendo fra essi, forse gli stessi “piemontesi”, fondatori dello stato centralista e unitarista italiano. In tal senso, il momento della Brigata, può essere ritenuto una trasposizione in suolo nazionale della resistenza sarda di secoli”.
San Roberto Bellarmino
S. Roberto Bellarmino nacque a Montepulciano il 4 ottobre del 1542 da Cinzia Cervini, sorella del Papa Marcello II e da Vincenzo Bellarmino. Affezionato al le cose di Dio, amava poco i trastulli infantili; ripeteva ai fratellini le prediche udite e spiegava ai contadinelli i primi elementi del catechismo. Fatta con angelico fervore la sua Prima Comunione, prese, contro l’uso di quel tempo, a comunicarsi ogni domenica, con edificazione di tutti.
Iniziati gli studi mostrò subito la sua straordinaria acutezza e penetrazione d’ingegno accoppiata ad una insaziabile avidità d’imparare. E poiché suo padre, che intendeva farne un compito gentiluomo, volle che aggiungesse allo studio delle lettere anche l’arte del canto e della musica, egli ingenuamente sostituiva con parole sacre qualunque verso lubrico che incontrasse ripetendo con franchezza a chi si meravigliava : « La mia voce non si presta a cantare cose che non siano pure ».
Mentre egli faceva grandi progressi nella virtù e nel sapere, il padre andava riponendo in lui le più belle e lusinghiere speranze, ma Roberto la pensava ben diversamente. Conscio dell’importanza della salvezza dell’anima, dopo un anno di lotta contro il padre, ottenne di entrare nella Compagnia di Gesù.
Dopo il noviziato nel 1561 si trasferì per il corso di filosofia al Collegio Romano. Ma dolorose prove non ritardarono a farsi sentire: lo colse un ostinato esaurimento di forze ed un acuto dolore di testa. Ciononostante, docile, rassegnato e paziente riuscì il primo della classe. Indi fu mandato come insegnante a Firenze e a Mondovì.
Nel 1567 andò a Padova per gli studi di teologia, durante i quali predicò a Venezia e a Genova. Pochi anni dopo fu inviato nell’Università di Lovanio, ove fu professore, e là nel 1570 fu ordinato sacerdote del vescovo Cornelius Jansenius e celebrò la sua prima Messa.
Gregorio XIII aveva deciso che nel Collegio Romano s’istituisse una cattedra di carattere polemico per difendere dagli assalti degli avversari le verità della fede e per questa fu prescelto Roberto che, per la sua monumentale opera, le « Controversie », fu detto il Martello degli eretici.
Tra tutta la sua attività rifulge quanto fece per il catechismo, che, già cardinale, non disdegnava insegnare ai familiari ed al popolo. Fu padre spirituale di S. Luigi, ebbe relazioni con S. Realino e fu provinciale a Napoli. Tutto ciò, unito ad una grande santità, aveva attirato su di lui gli occhi di tutti e Clemente VIII, nonostante la ripugnanza del Santo, lo fece cardinale, arcivescovo di Capua, ove fu prodigo di cure e carità a tutti, ma specialmente ai poveri.
Nel 1621, abbandonato l’appartamento cardinalizio, si ritirava nella casa del Noviziato di S. Andrea al Quirinale ove si preparò alla morte, E confortato dalla benedizione di Gregorio XV, dopo aver recitato con grande pietà e fede il Credo, spirava, portando al tribunale divino illesa la candida stola battesimale. Era il 17 settembre 1621.
S. Roberto fu pure un grande scrittore : scrisse ben 31 opere tra le quali spiccano maggiormente: le « Controversie », il « Catechismo », « Le ascensioni spirituali della mente in Dio » e l’« Arte del ben morire »: perciò Pio XI lo dichiarò Dottore della Chiesa.
PRATICA. Ci siano di guida queste parole del Santo: « Procura di non mandar nessun povero scontento: se ho poco, dò poco, se avrò di più, darò di più… ».
PREGHIERA. O Dio, che per respingere le insidie dell’errore e per difendere i diritti della Sede Apostolica, concedesti mirabile dottrina e forza al tuo beato Pontefice e dottore Roberto, per i suoi meriti ed intercessione fa’ che noi cresciamo nell’amore della verità e che gli, erranti ritornino nell’unità della tua Chiesa