«Questo non è il governo della gente che lavora»

L’UNIONE SARDA – Politica: «Questo non è il governo della gente che lavora»

26.11.2014

Fino a metà corteo Maurizio Landini regge lo striscione d’apertura con la sinistra, la destra tesa verso chi vuole salutarlo e stringergli la mano. Poi si sfila e, come uno sposo che fa la spola tra i tavoli, va su e giù per concedersi ai selfie scattati col telefonino e reggere ora lo striscione degli studenti (“Uno di noi – Landini uno di noi”), ora quello del Sulcis. Prima di salire sul palco di piazza Garibaldi e gridare il suo incoraggiamento ai lavoratori della Keller e dell’Alcoa, il leader della Fiom porta per tutto il corteo il soffio della protesta contro le scelte di un governo «che non ha il sostegno dei lavoratori, va avanti a colpi di fiducia ed è nato perché in Parlamento hanno fatto una certa manovra, non dalle elezioni». Felpa nera e frangetta brizzolata, anche nel look Landini è l’antitesi di Renzi e di quel renzismo che ora, più o meno sottovoce, gli addebita anche la diserzione elettorale del popolo progressista, sconcertato dallo scontro fra partito e sindacato. Landini, qualche senso di colpa per l’astensionismo in Emilia e Calabria? «Ma neanche lontanamente, ci mancherebbe. Fra l’altro io vivo proprio in Emilia (almeno il sabato e la domenica, finché mia moglie non cambia le serrature di casa) e personalmente sono andato a votare». Per chi? «Questo non te lo dico. Sono andato, dicevo, ma se in una terra dove il voto è sempre stato considerato un diritto da difendere c’è tanta gente che sceglie di non andarci, allora c’è un’emergenza. La verità è che questo governo non ha il consenso della gente che lavora e di quella che il lavoro se lo deve cercare». Attenzione: è dell’altro ieri la retromarcia su Renzi che “non ha il consenso degli onesti”. «Quella è stata una cavolata e l’ho detto subito, il fatto è che di cavolate poi ne ho sentito molte altre e nessuno si è scusato. Comunque quella storia è andata così: eravamo a Napoli e ho detto un sacco di cose, a un certo punto l’addetto stampa mi fa: “Guarda che sta succedendo di tutto per questa cosa che hai detto”, io francamente non me la ricordavo neppure e quindi ho voluto rivedere il video. Quando l’ho sentita ho voluto subito precisare che quella frase non rispecchiava il mio pensiero e mi ero espresso male, ma quelli che volevano dare fiato alle trombe erano già partiti, figurarsi. Comunque io che quella era una cavolata l’ho detto, ma allora dire che la gente sciopera perché vuole farsi il ponte che cos’è? Non ho sentito scuse per quella frase, ma davanti a uno che guadagna mille, millecento euro al mese e decide di perdere una giornata di salario per dire che non è d’accordo con te, devi portare rispetto e toglierti il cappello». Molti sardi i mille euro non li hanno più. «Questa è la regione che ha pagato e sta pagando il prezzo più alto alla crisi. Ora è indispensabile difendere le industrie che ancora reggono, perché un posto di lavoro che viene a mancare oggi è perso per sempre, e puntare sul turismo e sull’agricoltura. Per fare questo però serve una strategia, una visione». Serve anche autonomia, mentre dobbiamo fare sempre più i conti col centralismo del governo. «Magari il problema fosse il centralismo: io vedo più che altro furbizia. Se grido che ho abbassato le tasse e poi le scarico sulle regioni e sui comuni, costringendoli a tagliare i servizi o aumentare le imposte, questo che cos’è se non uno scaricabarile inaccettabile? Siamo seri, dai. E poi un’altra cosa: bisogna che Renzi diventi un po’ più umile. Quando gli ho sentito dire che lui “ha creato lavoro” mi son detto: “Dio bono, credevo che finora ce ne fosse stato solo uno che creava le cose così. Moltiplicava i pani e i pesci e camminava sulle acque ma forse a creare lavoro non ci era arrivato neanche lui”. Poi ho capito: siccome Gesù veniva da Nazaret, ora che ha firmato il patto del Nazareno crede di avere anche lui quei poteri». Presumibilmente si riferiva al Jobs Act. «Ma il lavoro non lo crei mica tagliando le tasse a tutti, comunque si comportino, e dando agli imprenditori la possibilità di licenziare e di fare come cavolo gli pare. Le multinazionali non investono in Italia perché da noi l’energia costa, la corruzione cresce, un pezzo dell’economia è in mano alla malavita organizzata e le infrastrutture mancano, mica perché c’è l’articolo 18. Vuoi tagliare le tasse? Siamo stati i primi a dire di abbassarle a chi investe gli utili in ricerca, ma chi fa speculazione finanziaria devi tassarlo al 99 per cento. No, non è così che si crea lavoro». E come? «Io per lavoro vado su e giù per il Paese: se devo spostarmi fra Milano e Torino viaggio veloce e puntuale ma se devo spostarmi al Sud o lungo l’Adriatico son dolori. Qui serve un grande piano di investimenti straordinari dello Stato – anche nella siderurgia, perché no? – che rilanci gli investimenti nelle infrastrutture. Non dico di rifare l’Iri ma non dimentico nemmeno che noi sappiamo fare i treni, sappiamo fare le auto e le navi, i furgoni e gli aeroplani, e siamo per posizione geografica la più grande base logistica del Mediterraneo: perché dobbiamo vedere i lavoratori licenziati e le competenze professionali che vanno perse per il sistema degli appalti e poi dei subappalti e poi dei trisappalti e poi le cooperative, senza che ci sia l’obbligo per chi vince una gara di rispettare i contratti nazionali di lavoro?». Il piano come si finanzia? «Negli Stati Uniti la Federal Reserve stampa moneta per fermare la disoccupazione e dice allo Stato: se hai un debito pubblico troppo pesante ti metto in grado di allungarlo. Se ho un mutuo e mi danno la possibilità di pagarlo in 40 anni anziché in 10 la vita mi cambia o no? Se l’Italia venisse messa in grado di pagare 50 miliardi di interessi sul debito anziché 110 ne avrebbe 60 per finanziare un piano di rilancio: perché non è questa la battaglia che facciamo in Europa?».
«Questo non è il governo della gente che lavora»ultima modifica: 2014-11-26T19:30:15+01:00da vitegabry
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