Archivi giornalieri: 12 novembre 2013

Sicurezza sul lavoro

 


 LIBRETTO PERSONALE DI RADIOPROTEZIONE

Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali provvede alla vidimazione del “libretto personale di radioprotezione” per i lavoratori esposti a rischio di radiazioni ionizzanti.

I datori di lavoro hanno l’obbligo di predisporre il libretto per ogni lavoratore, apponendo timbro e sottoscrizione e di inviarlo a:

Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali
Direzione generale della tutela delle condizioni di lavoro – Divisione VI
Via Fornovo, 8 – 00192 Roma. 

Il datore di lavoro privato deve inviare – unitamente a ciascun libretto – l’attestazione del versamento di € 12,91 (come prescritto dal D.M. 3 ottobre 2001, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 287 dell’11 dicembre 2001) da effettuare presso la sezione della tesoreria provinciale dello Stato territorialmente competente, direttamente ovvero sul conto corrente postale intestato alla sezione medesima, con l’indicazione della causale del versamento e l’imputazione al Capo XXVII, capitolo di entrata 3670.
 
Se il datore di lavoro è pubblico, deve inviare solo il libretto.
 
Per i sottoindicati procedimenti si invitano i richiedenti a privilegiare l’invio delle richieste per posta, integrando tali richieste con un indirizzo di posta elettronica e/o un numero di telefono che possa essere utilizzato per eventuali comunicazioni da parte di questa Amministrazione

In casi eccezionali è possibile consegnare le richieste a mano, previo appuntamento da prendersi telefonando al numero 06 46834913 o scrivendo al seguente indirizzo:Div6TutelaLavoro@lavoro.gov.it. Il richiedente riceverà il numero di protocollo della sua richiesta; qualora ciò non fosse possibile si fornirà unicamente timbro e data della ricezione.

Sarà invece possibile ritirare i provvedimenti di persona o con delega previo accordo con l’Amministrazione (di regola l’utente potrà fissare un appuntamento al momento in cui riceve comunicazione della definizione del provvedimento).

• Rilascio libretti personali di radioprotezione (Allegato XI, punto 1.2 del  D.Lgs 230/95 e s.m.i.)

• Autorizzazione datore di lavoro di impresa esterna per l’esercizio dell’attività presso terzi esercenti attività comportanti l’impiego di radiazioni ionizzanti (art. 62, comma 4, del D.L.gs. n. 230/95 e s.m.i. e D.M. 4/1/2001 – G.U. n. 78 del 3.4.2001)

• Autorizzazione lavoratore autonomo di impresa esterna per l’esercizio dell’attività presso terzi esercenti attività comportanti l’impiego di radiazioni ionizzanti (art. 62, comma 4, del D.L.gs. n. 230/95 e s.m.i. e D.M. 4/1/2001 – G.U. n. 78 del 3.4.2001)

• Notifica datore di lavoro di impresa esterna per l’esercizio dell’attività presso terzi esercenti attività comportanti l’impiego di radiazioni ionizzanti (art. 62, comma 4, del D.L.gs. n. 230/95 e s.m.i. e D.M. 4/1/2001 – G.U. n. 78 del 3.4.2001)

• Notifica lavoratore autonomo di impresa esterna per l’esercizio dell’attività presso terzi esercenti attività comportanti l’impiego di radiazioni ionizzanti (art. 62, comma 4, del D.L.gs. n. 230/95 e s.m.i. e D.M. 4/1/2001 – G.U. n. 78 del 3.4.2001)

Normativa di riferimento: 

Decreto Interministeriale del 4 gennaio 2001, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 78 del 3 aprile 2001

Decreto Interministeriale del 3 ottobre 2001, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n.287 dell’11 dicembre 2001

Decreto Legislativo n. 241 del 26 maggio 2000, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 140/L del 31 agosto 2000, supplemento ordinario alla G.U. n. 203, serie generale, del 31 agosto 2000.

Decreto Legislativo n. 230 del 17 marzo 1995, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 74 del 13 giugno 1995, supplemento ordinario alla G.U. n. 136, serie generale, del 13 giugno 1995 (art. 62, comma 3; art. 81, comma 6; art. 90, comma 5)

BUONE PRASSI

Il Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81 valorizza il ruolo delle cosiddette “buone prassi” ai fini del miglioramento delle condizioni di salute e sicurezza sul lavoro e le definisce puntualmente come “soluzioni organizzative o procedurali coerenti con la normativa vigente e con le norme di buona tecnica, adottate volontariamente e finalizzate a promuovere la salute e sicurezza sui luoghi di lavoro attraverso la riduzione dei rischi e il miglioramento delle condizioni di lavoro, elaborate e raccolte dalle regioni, dall’Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro (ISPESL), dall’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL) e dagli organismi paritetici di cui all’articolo 51, validate dalla Commissione consultiva permanente di cui all’articolo 6, previa istruttoria tecnica dell’ISPESL, che provvede ad assicurarne la più ampia diffusione”.

Per la presentazione di soluzioni coerenti con la citata norma di legge, la Commissione Consultiva Permanente per la salute e sicurezza sul lavoro ha elaborato un modello da presentare, ai fini della “validazione” della buona prassi. 

Per l’avvio della relativa procedura di selezione delle buone prassi, è necessario compilare il modello in ogni sua parte, corredarlo di documentazione di supporto e predisporre, in allegato al medesimo modello, una relazione riassuntiva, redatta in modo chiaro e semplice, al fine di consentire una più efficace e rapida divulgazione della buona prassi.
 
L’intera documentazione deve essere raccolta su CD-ROM e inoltrata al seguente indirizzo: 

Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali 
D.G. Tutela condizioni di lavoro 
Divisione III 
Via Fornovo 8 – 00192 Roma 
Tel.06.4683.4059 
Fax.06.4683.4260 

Oppure la citata documentazione può essere inviata al seguente indirizzo mail: 
Div3TutelaLavoro@lavoro.gov.it

• Modello di presentazione (formato .doc 185 Kb) 

In caso di richiesta di validazione di una “buona prassi” che riguardi, in tutto o in parte, le differenze di genere, è possibile avvalersi – per la compilazione del modello di presentazione – delle indicazioni contenute nel documento “Buone prassi e differenze di genere”. 

• Buone prassi e differenze di genere (formato .pdf 10,19 Kb) 

• Buone prassi validate dalla Commissione Consultiva Permanente


LINEE GUIDA E BUONE PRASSI

Linee Guida

Le presenti linee guida sono state elaborate per indirizzare e facilitare i comportamenti dei soggetti della sicurezza, sia pubblici che privati, nella applicazione delle misure di salute e sicurezza, in particolari settori di attività, al fine di poter realizzare una più qualificata opera di prevenzione.

  • per l’esecuzione di lavori temporanei in quota con l’impiego di sistemi di accesso e posizionamento mediante ponteggi metallici fissi di facciata 
    Documento (formato .pdf – 333 Kb) 
    Allegato (formato .pdf – 295 Kb) 

  • per la scelta, l’uso e la manutenzione delle scale portatili 
    Documento (formato .pdf – 523 Kb) 
  • per la scelta, l’uso e la manutenzione di dispositivi di protezione individuale contro le cadute dall’alto 
    Documento (formato .pdf – 550 Kb) 
  • per l’esecuzione di lavori temporanei in quota con l’impiego di sistemi di accesso e posizionamento mediante funi 
    Documento (formato .pdf – 820 Kb)

Per la consultazione dell’intera raccolta di linee guida vai al sito dell’ INAIL ex ISPESL all’indirizzohttp://www.ispesl.it/documentazione/linee.asp

INTERPELLO 
in materia di salute e sicurezza del lavoro

Con Decreto Direttoriale del 28 settembre 2011 è stata istituita la Commissione per gli interpelli prevista dall’articolo 12 comma 2 del Testo Unico in materia di salute e sicurezza nel lavoro (Decreto Legislativo 9 aprile 2008 n. 81) ed è stato attivato l’indirizzo di posta elettronica interpellosicurezza@lavoro.gov.it.

I quesiti di ordine generale sull’applicazione della normativa in materia di salute e sicurezza del lavoro possono essere inoltrati alla Commissione per gli interpelli, esclusivamente tramite posta elettronica, dagli organismi associativi a rilevanza nazionale degli enti territoriali e gli enti pubblici nazionali, nonché dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e dai consigli nazionali degli ordini o collegi professionali.

Le istanze di interpello trasmesse da soggetti non appartenenti alle categorie indicate o privi dei requisiti di generalità non potranno essere istruite. Non saranno pertanto istruiti i quesiti trasmessi, ad esempio, da studi professionali, associazioni territoriali dei lavoratori o dei datori di lavoro, Regioni, Province e Comuni.

Le indicazioni fornite nelle risposte ai quesiti costituiscono criteri interpretativi e direttivi per l’esercizio delle attività di vigilanza. Prima di inoltrare l’istanza si prega di verificare:
– che il quesito, concernente l’interpretazione della normativa in materia di salute e sicurezza del lavoro sia di carattere generale e non attenga a problematiche aziendali specifiche;
– che il soggetto firmatario rientri nelle categorie indicate. 

 

 

INTERPELLI PUBBLICATI

 

Anno 2013

24 ottobre 2013 – n. 15/2013
destinatario: ABI – Associazione Bancaria Italiana
istanzaApplicazione Legge n. 3/2003 alle sigarette elettroniche

24 ottobre 2013 – n. 14/2013
destinatario: CNI – Consiglio Nazionale degli Ingegneri
istanza: Limiti di utilizzo delle procedure standardizzate

24 ottobre 2013 – n. 13/2013
destinatario: CNI – Consiglio Nazionale degli Ingegneri
istanza: Lavoro a domicilio

24 ottobre 2013 – n. 12/2013
destinatario: UGL Polizia Penitenziaria
istanze: Obbligatorietà del DVR, sicurezza pareti vetrate e spogliatoi ed armadi per il vestiario per le strutture penitenziarie

24 ottobre 2013 – n. 11/2013
destinatario: Federambiente
istanza: Accordo Stato-Regioni del 21/12/2011

24 ottobre 2013 – n. 10/2013
destinatario: CNI – Consiglio Nazionale degli Ingegneri
istanza: Formazione addetti emergenza

24 ottobre – n. 9/2013
destinatario: CNA – Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della Piccola e media impresa 
istanza: Imprese familiari

24 ottobre 2013 – n. 8/2013
destinatari: Consiglio Nazionale dell’Ordine dei consulenti del Lavoro
istanza: Art. 41, comma 2, visita medica preventiva

2 maggio 2013 – n. 7/2013
destinatario: 
ANCE – Associazione nazionale Costruttori Edili
istanza: 
Idoneità tecnico professionale dei lavoratori autonomi nell’ambito del titolo IV del D.Lgs. 81/2008

2 maggio 2013 – n. 6/2013
destinatario: 
APT – Associazione Produttori Televisivi 
istanza: 
Applicazione del D.Lgs. 81/2008 a “Stuntmen” e “addetto effetti speciali

2 maggio 2013 – n. 5/2013
destinatario: 
FIM-CISL – Federazione Italiana Metalmeccanici
 istanza:
Valutazione del rischio stress lavoro-correlato

2 maggio 2013 – n. 4/2013
destinatario:
Consiglio Nazionale dell’Ordine dei consulenti del Lavoro
istanza:
Servizi igienico assistenziali (art. 63 comma 1 e allegato IV del D.Lgs. 81/2008)

2 maggio 2013 – n. 3/2013
destinatario: 
Federutility – Federazione delle Imprese Energetiche e Idriche
istanza: 
Applicazione dell’articolo 100 comma 6 del D.Lgs. 81/2008

2 maggio 2013 – n. 2/2013
destinatario: CNI – Consiglio Nazionale degli Ingegneri
istanza: 
Requisiti professionali del coordinatore per la progettazione e per l’esecuzione dei lavori

2 maggio 2013 – n. 1/2013
destinatari: 
FEDERCASSE e Consiglio Nazionale dell’Ordine dei consulenti del Lavoro
istanza: 
Obbligo visita medica preventiva per stagista minorenne

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   LEGISLAZIONE

In Italia la salute e la sicurezza sul lavoro sono regolamentate dal Decreto Legislativo n. 81 del 9 aprile 2008, anche noto come Testo unico in materia di salute e sicurezza sul lavoro, entrato in vigore il 15 maggio 2008, e dalle relative disposizioni correttive, ovvero dal  Decreto legislativo 3 agosto 2009 n. 106 e da successivi ulteriori decreti. 

Il testo del Decreto Legislativo n. 81 pubblicato in questa sezione viene periodicamente aggiornato e coordinato con tutte le modifiche introdotte. 

• Testo Unico sulla salute e sicurezza sul lavoro 
Edizione ottobre 2013  (formato .pdf 11,62)

Per consultare le principali norme di modifica del Testo Unico in versione originale  vai alla pagina dedicata

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• Atti della Conferenza Stato-Regioni

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NORME E CIRCOLARI DI SETTORE

Anno 2013

Decreto Dirigenziale 31 luglio 2013 (formato .pdf 10,2 Mb)
Soggetti abilitati per l’effettuazione delle verifiche periodiche di cui all’articolo 71, comma 11, del Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81 come modificato e integrato dal Decreto Legislativo 3 agosto 2009, n. 106.

Circolare n.31 del 18 luglio 2013 (formato .pdf 280 Kb)
D.M. 11 aprile 2011 concernente la ‘Disciplina delle modalità di effettuazione delle verifiche periodiche di cui all.VII del decreto legislativo 9 aprile 2008, n.81, nonché i criteri per l’abilitazione dei soggetti di cui all’art.71, comma 13, del medesimo decreto legislativo – Chiarimenti

 
Circolare n.30 del 16 luglio 2013 (formato .pdf 280 Kb)
Segnaletica di sicurezza – D. Lgs. n. 81/2008 e s.m.i., Allegato XXV – Prescrizioni generali. Uso e rispondenza dei pittogrammi con la norma UNI EN ISO 7010:2012 – Chiarimenti

 
Circolare n. 28 del 2 luglio 2013 (formato. pdf 422 Kb)
Chiarimenti e indicazioni sull’utilizzo delle benne miscelatrici per la produzione di calcestruzzo al fine di garantire la tutela degli operatori durante l’uso di dette attrezzature e di ridurre, riconsiderando anche i livelli di sicurezza di tali macchinari, il rischio di infortuni nel settore.
 
Decreto Legge 21 giugno 2013, n. 69   (formato .pdf 9,44 Mb)
“Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia”, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 144 del 21 giugno 2013. 

Circolare del Ministero della Salute del 10 giugno 2013 (formato .pdf 190.33 Kb)
Chiarimenti su alcuni aspetti del decreto ministeriale 9 luglio 2012 in merito alle modalità di trasmissione delle informazioni relative ai dati aggregati sanitari e di rischio dei lavoratori

Circolare n.21 del 10 giugno 2013 (formato .pdf 1.62 Mb)
Chiarimenti, tenuto conto della circolare n.12/2013 di questo Ministero, in merito all’applicazione dell’Accordo del 22 febbraio 2012 tra il Governo, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano concernente l’individuazione delle attrezzature di lavoro per le quali è richiesta una specifica abilitazione degli operatori

Decreto Dirigenziale 30 maggio 2013 (formato .pdf 1.03 Mb)
Aziende autorizzate ad effettuare i lavori sotto tensione di cui all’articolo 82, comma 1, lettera c), del Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81 come modificato e integrato dal Decreto Legislativo 3 agosto 2009, n. 106

Circolare n. 18 del 23 maggio 2013  (formato .pdf 1.89 Mb)
D.M. 11 aprile 2011 – Disciplina delle modalità di effettuazione delle verifiche periodiche di cui all’All. VII del Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81, nonché i criteri per l’abilitazione dei soggetti di cui all’art.71, comma 13, del medesimo decreto legislativo – Chiarimenti

Decreto Dirigenziale del 24 aprile 2013 (formato .pdf 5.38 Mb)
Elenco dei soggetti abilitati per l’effettuazione delle verifiche periodiche di cui all’articolo 71, comma 11, del Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81 come modificato e integrato dal Decreto Legislativo 3 agosto 2009, n. 106

Decreto Interministeriale del 27 marzo 2013 (formato .pdf 0,94 Mb)
Semplificazione in materia di informazione, formazione e sorveglianza sanitaria dei lavoratori stagionali del settore agricolo

Decreto Interministeriale del 6 marzo 2013 (formato .pdf 2,77 Mb)
Criteri di qualificazione della figura del formatore per la salute e sicurezza sul lavoro
 
Decreto Interministeriale del 4 marzo 2013 (formato .pdf 481,88 Kb)
Criteri generali di sicurezza relativi alle procedure di revisione, integrazione e apposizione della segnaletica stradale destinata alle attivita’ lavorative che si svolgono in presenza di traffico veicolare

Anno 2012

Anno 2011

Anno 2010

Anno 2009

Anno 2008

Anno 2007

Anno 2006

Anno 2005

Anno 2004

Anno 2003 

Anni precedenti 

IL SISTEMA DI PREVENZIONE 

La tutela della salute e della sicurezza sul lavoro rappresenta una assoluta priorità per l’Italia che, con l’approvazione definitiva nel luglio 2009 del decreto “correttivo” (D.lgs. 3 agosto 2009, n. 106) al Testo unico n. 81/2008, ha completato il disegno di riforma iniziato nel 2007, equiparando l’Italia agli standard normativi internazionali ed europei.   

In tal modo, il nostro Paese si è dotato di una legislazione moderna e uniforme sul territorio nazionale, elemento essenziale per perseguire l’obiettivo posto dall’Unione Europea di ridurre del 25% gli infortuni sul lavoro entro il 2012. 
Tale obiettivo, pur essendo ambizioso, assume una grande importanza, non solo per i costi sociali che il fenomeno infortunistico produce (oltre 45 miliardi di euro all’anno nel 2005  secondo i dati INAIL, pari al 3,21% del PIL), ma principalmente per la sua dimensione sociale ed umana, in quanto tali costi costituiscono il riflesso materiale di beni inestimabili quali la vita e la salute dei lavoratori.   

La strategia di prevenzione promossa dal Ministero privilegia, nel rinnovato contesto normativo, non più un approccio sanzionatorio e repressivo ma l’adozione di misure condivise tra Amministrazioni e parti sociali, volte a promuovere la prevenzione e la sicurezza sul lavoro attraverso la formazione e l’informazione, la qualificazione delle imprese e la semplificazione degli adempimenti burocratici. 
L’efficacia del sistema di prevenzione, infatti, passa inevitabilmente per una effettiva collaborazione tra lavoratori e aziende, in un contesto di competenze precisamente definite delle Amministrazioni pubbliche.   

Perché il “sistema” funzioni è fondamentale che lavoratori e datori di lavoro siano a conoscenza e rispettino i loro diritti e doveri, in un ciclo continuo: 
  
• i lavoratori devono essere consapevoli di avere il diritto irrinunciabile ad un luogo di lavoro rispettoso delle norme, ma anche il dovere di partecipare attivamente alla formazione, di utilizzare i dispositivi di sicurezza e di seguire tutte le norme dettate dal datore di lavoro. Il lavoratore ha poi il dovere di segnalare al datore di lavoro, specie tramite il Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza (RLS), eventuali carenze del sistema o miglioramenti apportabili ad esso;   

• il datore di lavoro ha il dovere di considerare la salute e la sicurezza del lavoratore importante quanto la produzione, di valutare il rischio e prevenirlo con soggetti e strutture di supporto: Medico Competente e Servizio di Prevenzione e Protezione. Deve, conseguentemente alle attività di valutazione dei rischi da lavoro, attuare le misure di prevenzione degli infortuni previste dalla Legge, senza eccezioni o ritardi.   

D’altro verso, le Amministrazioni pubbliche sono chiamate a supportare lavoratori e datori di lavoro a prevenire gli infortuni sul lavoro. Così il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha intrapreso con una serie di controlli, specialmente nel settore edile, dove si verificano il maggior numero di infortuni, anche mortali, ad esempio ispezionando nell’anno 2008 oltre 22.000 cantieri e impartendo 27.000 prescrizioni in materia di salute e sicurezza.   

Il Ministero intende inoltre attivare ogni possibile sinergia con soggetti pubblici e privati per migliorare i livelli di salute e sicurezza negli ambienti di lavoro. In tale contesto è stato definito un Accordo per l’anno 2009 in Conferenza Stato Regioni per il finanziamento di attività promozionali ed è in fase di definizione l’analogo accordo per l’anno 2010, mentre è stato razionalizzato il coordinamento degli interventi ispettivi su tutto il territorio nazionale. 

Tra le altre attività in corso, si segnalano:  

• l’istituzione di un Sistema Informativo Nazionale per la Prevenzione (SINP) che consenta alle Pubbliche Amministrazioni la condivisione di informazioni in materia di prevenzione degli infortuni e vigilanza sulle violazioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro; 

• la valorizzazione degli accordi aziendali, territoriali e nazionali nonché dei codici di condotta etici e delle buone prassi in materia;

• la costruzione di un sistema di qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi in settori a particolare rischio infortunistico, in modo che possano in tali settori operare solo coloro che siano in regola, con l’introduzione di una “patente a punti” per il settore edile.  

A queste azioni è stata affiancata una costante campagna di informazione, con tanti interventi, tra cui unanewsletter dedicata,  alla quale verrà affiancato l’inserimento della salute e della sicurezza nei programmi scolastici ed universitari, in modo da sollecitare tra i futuri lavoratori la diffusione della cultura della prevenzione in ambiente di lavoro.

COMMISSIONE CONSULTIVA PERMANENTE 
PER LA SALUTE E SICUREZZA SUL LAVORO 
(art. 6, D. Lgs. n. 81/2008)

Il Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n.81 e s.m.i., anche noto come Testo unico di salute e sicurezza sul lavoro, delinea un vero e proprio sistema istituzionale di organismi deputati alla elaborazione ed applicazione delle misure di prevenzione e protezione. In tale contesto un ruolo fondamentale è attribuito alla Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro (ricostituita con Decreto Ministeriale del 3 dicembre 2008), nella quale, come previsto dall’art.6 del Testo unico, sono presenti paritariamente rappresentanti delle Amministrazioni centrali, delle Regioni e delle parti sociali. 
  
Nella presente sezione sono disponibili, per la consultazione, i documenti e le indicazioni elaborati ed approvati in seno alla Commissione consultiva permanente di salute e sicurezza sul lavoro in attuazione dei compiti attribuiti alla medesima ai sensi dell’art.6 del D.Lgs. n.81/2008. 

Articoli pirotecnici. Impianti di produzione e deposito
Documento approvato dalla Commissione Consultiva
– Allegato 1 (formato .pdf 478.04 Kb)
– Allegato 2 (formato .pdf  1 Mb)
– Allegato 3 (formato .pdf 175.87 Kb)
– Allegato 4 (formato .pdf 431.08 Kb)

Proposte per una strategia nazionale di prevenzione degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali 
Documento approvato dalla Commissione consultiva in data 29 maggio 2013 
– Scheda sintetica dell’andamento degli infortuni e delle malattie professionali (formato .pdf 221.61 Kb)  
– Intesa, ai sensi dell’art.8, comma 6, della L.131/2003,  sul documento “Indirizzi per la realizzazione degli interventi in materia di prevenzione a tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro per l’anno 2012” (formato .pdf 814.08 Kb)  
– Indicazioni ai Comitati regionali di Coordinamento per la definizione della programmazione per l’anno 2013 delle attività di vigilanza ai fini del loro coordinamento (formato .pdf 580.91 Kb) 
–  Attività della Commissione ex articolo 6, d.lgs. n. 81/2008(formato .pdf 132.49 Kb)
– Attività delle Regioni e delle Province autonome per la prevenzione nei luoghi di lavoro (formato .pdf 7.93 Mb) 
– Elenco non esaustivo dei provvedimenti di attuazione del d.lgs. n. 81/2008 (formato .pdf 191.87 Kb) 

Procedura operativa per la valutazione e gestione dei rischi correlati all’igiene degli impianti di trattamento aria
Documento approvato dalla Commissione consultiva il 28 novembre 2012

Valorizzazione degli accordi sindacali, codici di condotta ed etici  
Documenti approvati dalla Commissione consultiva 

Procedure standardizzate per la valutazione dei rischi 
Documento approvato dalla Commissione consultiva il 16 maggio 2012
– modulistica (formato .doc 272,5 Kb) 

Metodologie e interventi tecnici per la riduzione del rumore negli ambienti di lavoro 
Manuale operativo approvato dalla Commissione consultiva il 28 novembre 2012 
– schede di approfondimento (formato .pdf 6,81 Mb) 

Valutazione e gestione del rischio chimico negli ambienti di lavoro  
Documento approvato dalla Commissione consultiva il 28 novembre 2012 

Procedure tecniche da seguire nel caso di sollevamento persone con attrezzature non previste a tal fine 
Documento approvato dalla Commissione consultiva il 18 aprile 2012 

Manuale illustrato per lavori in ambienti sospetti di inquinamento o confinati 
Manuale approvato dalla Commissione consultiva il 18 aprile 2012

Buone prassi e differenze di genere 
Documento approvato nella riunione del 21 settembre 2011 della Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro (formato .pdf 10,19 Kb) 
  
Modello di organizzazione e gestione ex art. 30 D.Lgs. 81/2008 – Chiarimenti 
Lettera circolare dell’11 luglio 2011 (formato .pdf 3,91 Mb) 

Circolare esplicativa sull’applicazione dei Regolamenti Europei REACH, CLP e SDS nell’ambito del D.Lgs. n. 81/2008 
Lettera circolare del 30 giugno 2011 (formato .pdf 5,47 Mb) 

Aggiornamento Banca Dati CPT di Torino 
Lettera circolare del 30 giugno 2011 (formato .pdf 7,05 Mb) 

Parere sul concetto di ‘eccezionalità’ di cui al Decreto Legislativo 81/2008 
Lettera circolare del 10 febbraio 2011  (formato .pdf 786 Kb) 

Procedure per la fornitura di calcestruzzo in cantiere 
Lettera circolare del 10 febbraio 2011 (formato .pdf 3,88 Mb) 

Orientamenti pratici per la determinazione delle esposizioni sporadiche e di deboli intensità (ESEDI) 
Lettera circolare del 25 gennaio 2011   (formato .pdf 2,37 Mb) 

Indicazioni per la valutazione dello stress lavoro-correlato 
Lettera circolare del 18 novembre 2010 (formato .pdf 0,84 Mb) 

Buone prassi 
Modello di presentazione delle buone prassi ai sensi dell’art. 2, comma 1,  lett. v) del  D.Lgs. n. 81/2008 (formato .doc 185 Kb) 
Per informazioni sulle modalità di presentazione del modello e sulle buone prassi validate dalla Commissione consultiva vai alla Sezione dedicata 

Notizie dal ministero del lavoro

Primo piano

Garanzia Giovani

Approvato dalla Struttura di Missione istituita presso il Ministero il Piano che definisce i principi e i criteri che regoleranno l’attuazione del programma “Garanzia Giovani”, la cui programmazione operativa verrà completata nelle prossime settimane

Misure urgenti per il rilancio dell’occupazione

Approvata in via definitiva alla Camera il 7 agosto, la nuova legge è finalizzata a migliorare il funzionamento del mercato del lavoro, soprattutto giovanile, e a promuovere la coesione sociale

Lavoratori “Salvaguardati”

Emanata la circolare n. 44 del 12 novembre 2013, relativa alle disposizioni di cui agli artt. artt. 11 ed 11-bis del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 102 convertito, con modificazioni, dalla legge 28 ottobre 2013, n. 124, nonché a quanto previsto dall’art. 2, commi 5-bis e 5-ter, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101 convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125. Contiene le istruzioni operative per le Direzioni territoriali del lavoro ed è corredata dalla modulistica ed in particolare dai modelli di ISTANZA che dovranno essere presentate dai lavoratori interessati.

Terza procedura – Lavoratori ‘Salvaguardati’

Emanata la circolare n. 19 del 5 giugno 2013, attuativa del Decreto interministeriale del 22 aprile 2013. Contiene le istruzioni operative per le Direzioni territoriali del lavoro ed è corredata dalla modulistica ed in particolare dal modello di ISTANZA che dovrà essere presentata dal lavoratore.

Serramanna, 15-11-2013: Lectio magistralis di Francesco Casula in occasione della inaugurazione dell’Anno accademico 2013-2014 dell’Università della Terza Età.

 

 FUNZIONE DELLA LINGUA E DELLA LETTERATURA SARDA NELLA SCUOLA E NELLA SOCIETA’ DI OGGI

 di Francesco Casula

PREMESSA. L’enorme buco nero della Scuola italiana in Sardegna

La scuola italiana in Sardegna è rivolta a un alunno che non c’è: tutt’al più a uno studente metropolitano, nordista e maschio. Non a un sardo. È una scuola che con i contesti sociali,ambientali, culturali e linguistici degli studenti non ha niente a che fare. Nella scuola la Sardegna non c’è: è assente nei programmi, nelle discipline, nei libri di testo. Si studia Orazio Coclite, Muzio Scevola e Servio Tullio: fantasie con cui Tito Livio intende esaltare e mitizzare Roma. Non si studia invece – perché lo storico romano non poteva scriverlo – che i Romani fondevano i bronzetti nuragici per modellare pugnali e corazze; per chiodare giunti metallici nelle volte dei templi; per corazzare i rostri delle navi da guerra.Nella scuola si studia qualche decina di piramidi d’Egitto, vere e proprie tombe di cadaveri di faraoni divinizzati, erette da centinaia di migliaia di schiavi, sotto la frusta delle guardie; ma non si studiano le migliaia di nuraghi, suggestivi monumenti alla libertà, eretti da migliaia di comunità nuragiche Indipendenti e federate fra loro. Si studia Napoleone, «piccolo e magro, resistentissimo alla fatica!», ma non si spende una sola parola per ricordare che il tiranno corso, venuto in Sardegna, bombardò La Maddalena e, sconfitto da Domenico Millelire, con la coda fra le gambe dovette ritirarsi e abbandonare «l’impresa».

 

Si studia insomma l’Italia «dalle amate sponde» e «dell’elmo di Scipio», ma la Sardegna, con le sue vicissitudini storiche, le dominazioni, la sua civiltà e i suoi tesori ambientali, culturali e artistici è del tutto assente: un diplomato sardo e spesso persino un laureato, esce dalla scuola senza sapere nulla dell’architettura nuragica, della Carta de Logu, di Salvatore Satta e della Lingua sarda. Quest’ultima pare addirittura cancellata.

 

A fronte di ciò credo non più dilazionabile una battaglia – in tutte le sedi, comprese quelle istituzionali, ad iniziare dalla Regione – per l’inserimento organico nei programmi e dunque nei curricula scolastici (almeno per la quota del 15%) lo studio della Lingua sarda e con essa della cultura, della letteratura, della storia, della civiltà dei Sardi. A tal fine occorre una precisa legge ad hoc che preveda espressamente l’istituzione nelle scuole isolane di ogni ordine e grado delle cattedre di Cultura, Lingua, Storia e Letteratura sarda. Ne ha la potestà e il diritto: ma anche il dovere. 

 

1. Le basi storico-culturali della richiesta e della proposta del Bilinguismo perfetto e della istituzione delle cattedre di Cultura, Lingua, Storia e Letteratura sarda

a) La ‘censura’ e la ‘proibizione’ della storia e della lingua sarda nel passato

 

Nel 1720, quando i Savoia prendono possesso della Sardegna, la situazione linguistica isolana è caratterizzata da un bilinguismo imperfetto: la lingua ufficiale – della cultura, del Governo, dell’insegnamento nella scuola religiosa riservata ai ceti privilegiati – è il castigliano, mentre la lingua del popolo, in comunicazione subalterna con quella ufficiale, è il Sardo.

 

Ai Piemontesi questa situazione appare inaccettabile e da modificare quanto prima, nonostante il Patto di cessione dell’Isola del 1718 imponga il rispetto delle leggi e delle consuetudini del vecchio Regnum Sardiniae. Per i Piemontesi occorre rendere ufficiale la Lingua italiana. Come prima cosa pensano alla Scuola per poi passare agli atti pubblici. Ma evidentemente le loro  preoccupazioni non sono di tipo glottologico. Attraverso l’imposizione della Lingua italiana vogliono sradicare la Spagna dall’Isola, rafforzare il proprio dominio, combattere il «Partito spagnolo» sempre forte nell’aristocrazia ma non solo. Pensano allora di elaborare il «Progetto di introdurre la Lingua italiana nella scuola», affidandone lo studio e la gestione ai Gesuiti. Nella prima fase il progetto coinvolgerà comunque pochi giovani, appartenenti ai ceti  privilegiati. Il problema diventa molto più ampio ai primi dell’Ottocento, quando il Governo inizia a interessarsi dell’Istruzione del popolo. I bambini «poverelli» ricevono gratuitamente due libri in lingua italiana: Il Catechismo del Bellarmino e il Catechismo agrario, «giacchè l’agricoltura è precipuo sostegno di ogni stato e in particolare della Sardegna».

 

Ciò nonostante il popolo continuerà a parlare diffusamente, come sotto la dominazione spagnola, la lingua sarda, affermando con essa la sua Identità, la sua cultura, la sua concezione del mondo.

 

Per quanto attiene all’insegnamento della storia la situazione è analoga: a Pietro Martini – uno dei padri della storiografia sarda, e siamo in pieno Ottocento! –, intenzionato a introdurre fra gli studenti dell’Isola l’insegnamento della Storia sarda, capitò di sentirsi rispondere seccamente dalle autorità governative piemontesi che «nelle scuole dello Stato debbasi insegnare la storia antica e moderna, non di una provincia ma di tutta la nazione e specialmente d’Italia».

 

Tale concezione, da ricondurre a un progetto di omogeneizzazione culturale – che per l’Isola significherà dessardizzazione –, la ritroviamo pari pari nelle Leggi sull’istruzione elementare obbligatoria nell’Italia pre e post unitaria: del Ministro Gabrio Casati (1859), Cesare Correnti (1867) e Michele Coppino (1877).

 

I programmi scolastici, impostati secondo una logica rigidamente nazional-statale, o statalista che dir si voglia, e italocentrica, sono finalizzati a creare una coscienza «unitaria», uno spirito «nazionale», capace di superare i limiti – così si pensava – di una realtà politico sociale  estremamente composita sul piano storico, linguistico e culturale.

 

Questo paradigma fu enfatizzato nel periodo fascista, con l’operazione della«nazionalizzazione-italianizzazione» dell’intera storia italiana. A onor del vero, proprio nell’incipiente periodo fascista non mancò chi, come Giuseppe Lombardo Radice, estensore dei Programmi della Scuola elementare, sostenne la necessità di valorizzare il locale e il dialetto e di partire proprio dalla lingua viva per facilitare l’apprendimento e lo sviluppo intellettuale degli scolari (G. L. Radice, Lezioni di didattica).

 

Sempre nello stesso periodo, fu lo stesso Gentile a voler introdurre la Lingua sarda nelle scuole isolane, con altre lingue minori in altre Regioni italiane: subito dopo, però, estromesse dal regime perché avrebbe messo in pericolo «l’Italianità» della Sardegna!

 

L’idiosincrasia – uso volutamente un termine eufemistico – nei confronti di tutto ciò che è  sardo, e in modo particolare de Sa Limba, continuerà comunque anche nel dopoguerra. Nel 1955, nei programmi elementari elaborati dalla Commissione Medici si introduce l’esplicito divieto per i maestri di rivolgersi agli scolari in dialetto. E in tempi a noi più vicini, con una nota riservata del Ministero – regnante Malfatti – del 13.02.1976, si sollecitano Presidi e  direttori Didattici a «controllare eventuali attività didattiche-culturali riguardanti l’introduzione della Lingua sarda nelle scuole»Una precedente nota riservata dello stesso anno del 23.01 della Presidenza del Consiglio dei Ministri aveva addirittura invitato i capi d’Istituto a «schedare» gli insegnanti.

 

E non si tratta di pregiudizi presenti solo negli apparati statali e ministeriali romani: il segretario provinciale sardo di un Partito politico, allora ferocemente centralistico, sia pure di un «centralismo democratico», nel 1978 invitava, con una circolare spedita a tutte le sezioni, di non aderire, anzi di boicottare la raccolta di firme per la Proposta di legge di iniziativa popolare sul Bilinguismo perché «separatista» e attentatrice all’Unità della Nazione! Oggi finalmente qualcosa inizia a muoversi: ad iniziare dalla concezione della storia locale. Dopo interi secoli di riserve e, spesso, di vera e propria insofferenza nei confronti della storia locale anche in Italia – sia pure in ritardo abissale rispetto ad altri paesi europei, come la Francia, per esempio –, si sta superando il paradigma storiografico secondo il quale solo la «storia generale» è degna di essere studiata.

 

Soprattutto in seguito alle significative posizioni di storici come Marc Bloch e Lucien le Febvre, con la creazione nel 1929 degli Annales, e con il pensiero di Fernand Braudel, la storiografia più avveduta supera e rifiuta la storia come grande evento politico-militare, rivalutando la storia locale che si pone anzi come ‘laboratorio’ della nuova concezione storiografica secondo la quale non vi è una gerarchia di rilevanza fra storia locale e storia generale.

 

Così oggi la storia locale ha acquisito un ruolo importante e stabile e «la storiografia – è lo storico Franco Catalano a sostenerlo – si è liberata dalle innaturali concezioni che celebrano la grande storia», per cui la nuova storia, oltre che abbattere le vecchie recinzioni storiografiche, per una storia aperta e senza barriere disciplinari, è capace di valorizzare la vita degli uomini nel tempo e nello spazio, indagando a tutto campo: dalla cantina al solaio. Ma non di questo solo si tratta: l’impostazione pedagogica, didattica e culturale tutta giocata sulla proibizione, cancellazione e potatura della Storia locale – ma lo stesso discorso vale per la cultura e la lingua sarda – ha prodotto effetti devastanti negli studenti, e nei giovani in genere in modo particolare.  

 

b) Gli effetti della proibizione della cultura locale

 

La smemorizzazione. Provate a chiedere a uno studente sardo che esca da un Liceo artistico, cosa conosce di una civiltà e di un’architettura grandiosa come quella nuragica, sicuramente fra la più significative dell’intero Mediterraneo; provate a chiedere a uno studente del Liceo

classico cosa sa della parentela fra la lingua sarda e il latino; provate a chiedere a uno studente di un Istituto tecnico per Ragionieri e persino a un laureato in Giurisprudenza cosa conosce di quel monumentale codice giuridico che è la Carta de Logu di Eleonora d’Arborea. Vi  endereste conto che la storia, la lingua, la civiltà complessiva dei Sardi dalla Scuola ufficiale è stata non solo negata ma cancellata, interrata.

 

Lo sradicamento e la perdita dell’Identità. Una scuola monoculturale e monolinguistica, negatrice delle specificità, tutta tesa allo sradicamento degli antichi codici culturali e basata sulla sovrapposizione al «periferico» di astratti paradigmi e categorie che le «grandi civiltà»

avrebbero voluto irradiare verso le «civiltà inferiori», ha prodotto in Sardegna, soprattutto negli ultimi decenni, giovani che ormai appartengono a una sorta di area grigia, a una terra di nessuno. E Nicola Tanda (storico della Letteratura e per decenni docente di Letteratura e Filologia presso l’Università di Sassari) aggiunge: «Ora l’Italiano, la lingua letteraria o standard, grazie ai media, e soprattutto alla televisione, bene o male viene parlata e scritta da italiani e non italiani. Con quali conseguenze? Che una lingua stereotipata e male appresa non sempre riesce a comunicare le emozioni del vissuto. È diventata insomma una lingua di plastica, inodore, insapore e incolore».  

 

L’omologazione e la standardizzazione. I giovani soprattutto, sono oggi appiattiti e omologati nell’alimentazione come nell’abbigliamento, nei gusti come nei consumi, nei miti come nei modelli in cui quelli di Cagliari non sono molto diversi da quelli di Detroit. Una delle cause fondamentali è sicuramente la mancanza di memoria storica. Mi piace a questo proposito citare quanto sostiene Umberto Eco nel suo monumentale romanzo L’Isola del giorno prima: «Io  sono memoria di tutti i miei momenti passati, la somma di tutto ciò che ricordo»O l’afgano Khaled Hosseini, che nel suo primo romanzo di grande successo Il cacciatore di aquiloni, scrive «Non è vero come dicono molti che si può seppellire il passato. Il passato si aggrappa con i suoi artigli al presente».A significare cioè che l’individuo esiste e ha una sua identità in quanto possiede la memoria storica. Recisa ed estinta questa, sia come singoli che come comunità, saremmo semplicemente omologati, soggetti e comunità indifferenziate, senza la ricchezza delle specificità culturali e storiche.

 

La frattura fra città e campagna. I Programmi ministeriali, complessivamente, almeno fino ad oggi – come dicevo nella premessa –, sono stati costruiti su un allievo che non c’è. Un allievo astratto, maschio, tutt’al più nordista e, soprattutto, metropolitano. Anche in Sardegna

la scuola è tutta sbilanciata a favore della città contro la campagna e i paesi. Essa ha insegnato e ancora insegna che il paese è «un mondo chiuso» e che crescendo occorre «uscire definitivamente dall’orizzonte mentale del paese d’origine, per entrare nel mondo aperto della città, e che occorre ancora un lungo processo di civilizzazione perché nessuno si sente più cittadino di Ollolai» (la frase virgolettata è tratta dall’articolo di un docente di Filosofia teoretica dell’Università di Cagliari, poi divenuto Preside della Facoltà di Lettere e ora docente a Roma, ed era rivolta polemicamente proprio al sottoscritto). Oggi, fortunatamente, qualcosa sul versante della cultura identitaria e della differenza inizia a cambiare: nella società come nella scuola. 

 

2. Fiducia illimitata nel progresso, globalizzazione e primi segni di crisi e messa in discussione

Solo fino a qualche decennio fa sembrava vittoriosa su tutti i fronti l’ideologia, vacuamente ottimistica e credente nelle «magnifiche sorti e progressive», tutta basata su una crescita euno sviluppo materiale illimitato, che avrebbe dovuto eliminare le nazionalità minori e marginali, le diversità e specificità linguistiche e culturali, bollate sic et simpliciter, come primordiali e arcaiche, quando non veri e propri cascami e residui del passato. Sull’altare di tale sviluppo e progresso, scandito dalla semplice accumulazione di beni materiali e fondato sulla onnipotenza tecnologica, si è devastato l’ambiente, compromettendo forse in modo irreversibile gli equilibri dell’ecosistema e nel contempo sono state sacrificate e distrutte risorse artistiche, lingue, codici, culture, soggetti, intere etnie. Si è trattato e si tratta – perché il perverso processo, sia pure oggi messo, almeno parzialmente in discussione, continua – di una vera e propria catastrofe antropologica, se solo pensiamo a quanto ci rende noto il Centro studi di Milano «Luigi Negro», secondo il quale ogni anno scompaiono nel mondo dieci minoranze etniche e con esse altrettanti lingue, culture e civiltà, modi di vivere originali, specifici e irrepetibili. Con questo ritmo, persino i più ottimisti fra i linguisti – ricordo per tutti Claude Hagègè – prevedono che tra appena cento anni la metà delle settemila lingue ancora parlate nel pianeta oggi, scomparirà. Il pretesto e l’alibi di tale genocidio è stato che occorreva superare, trascendere e travolgere le arretratezze del mondo «barbarico» – per noi Sardi, «barbaricino» –, le sue superstizioni, le sue «aberranti» credenze, i suoi vecchi e obsoleti modelli socio-economicoculturali, espressione di una civiltà preindustriale e rurale ormai superata. I motivi veri sono invece da ricondurre alla tendenza del capitalismo e degli Stati – e dunque delle etnie dominanti – a omologare e assimilare, in nome di una falsa «unità», della globalizzazione dei mercati, della razionalità tecnocratica e modernizzante, dell’universalità cosmopolita e scientista, le etnie minori e marginali, e con esse le loro differenze e specificità, in quanto altre, scomode e renitenti. Quella «unità» di cui parla il compianto Eliseo Spiga nel suo recente suggestivo e potente romanzo, Capezzoli di pietra: «Ormai il mondo era uno. Il mondo degli incubi di Caligola. Un’idea. Una legge. Una lingua. Un’eresia abrasa. Un’umanità indistinta. Una coscienza frollata. Un nuragico bruciato. Un barba ricino atrofizzato. Un’atmosfera lattea. Una natura atterrita. Un paesaggio spianato. Una luce fredda. Città villaggi campagne altipiani nazioni livellati ai miti e agli umori di cosmopolis». Che vorrebbe – aggiungo io – un mondo uniforme, una sfera rigida e astratta nell’empireo e non invece tanti mondi, ciascuno col proprio movimento e con un suo essere particolare e inconfondibile. 

 

3. Primi segni di cambiamento anche nella scuola

Oggi, dicevo, fortunatamente, sia pure con difficoltà e lentamente, inizia ad affermarsi la convinzione e la consapevolezza che la standardizzazione, l’omogeneizzazione e l’omologazione, insomma la reductio ad unum, rappresenta una catastrofe e una disfatta, economica e sociale ancor prima che culturale, per gli individui e per i popoli. Di qui la necessità del recupero, della valorizzazione e dell’esaltazione delle diversità e delle differenze, ovvero delle specifiche Identità: certo per aprirci e guardare al futuro e non per rifugiarci nostalgicamente in una civiltà che non c’è più; per intraprendere, come Comunità sarda, una via locale alla prosperità e al benessere e partecipare così, nell’interdipendenza, agli scambi e ai rapporti economici e culturali. Oggi, anche nella scuola, l’operazione è più facile rispetto al passato: i nuovi e recenti programmi della Scuola elementare – e, sia pure ancora in misura insufficiente della scuola media e superiore – raccomandano di portare l’attenzione degli alunni «sull’uomo e la società umana nel tempo e nello spazio, nel passato e nel presente, nella dimensione civile, culturale, economica, sociale, politica e religiosa per creare interesse intorno all’ambiente di vita del bambino, per accrescere in lui il senso di appartenenza alla comunità e alla propria terra»«È compito della scuola elementare – si afferma ancora – stimolare e sviluppare nei fanciulli il passaggio dalla cultura vissuta e assorbita direttamente dall’ambiente di vita, alla cultura come ricostruzione intellettuale».

Ciò significa – per quanto attiene per esempio alla lingua materna – partire da essa per pervenire all’uso della lingua italiana e delle altre lingue, senza drammatiche lacerazioni con la coscienza etnica del contesto culturale vissuto, in un continuo e armonico arricchimento della mente e dell’intelletto, per aprire nuovi e più ampi orizzonti alla formazione e all’istruzione. La pedagogia moderna più attenta e avveduta infatti ritiene che la lingua materna e i valori alti di cui si alimenta sono i succhi vitali, la linfa, che nutrono e fanno crescere i bambini senza correre il gravissimo pericolo di essere collocati fuori dal tempo e dallo spazio contestuale alla loro vita. Solo essa consente di saldare le valenze e i prodotti propri della sua cultura ai valori di altre culture. Negando la lingua materna, non assecondandola e non coltivandola si esercita grave e ingiustificata violenza sui bambini, nuocendo al loro sviluppo e al loro equilibrio psichico. Li si strappa al nucleo familiare di origine e si trasforma in un campo di rovine la loro prima conoscenza del mondo. I bambini infatti – ma il discorso vale anche per i giovani studenti delle medie e delle superiori –, se soggetti in ambito scolastico a un processo di sradicamento dalla lingua materna e dalla cultura del proprio ambiente e territorio, diventano e risultano insicuri, impacciati, poveri culturalmente e linguisticamente. Oggi sono – almeno parzialmente – gli stessi programmi scolastici ministeriali ad indicare nelle esperienze linguistiche e nelle culture locali i fondamenti su cui costruire tutto il processo di apprendimento della stessa lingua italiana ma soprattutto la formazione della personalità dello studente: una profonda conoscenza dell’ambiente come base ineludibile e come condizione necessaria del processo educativo e didattico degli studenti e dei giovani. Certo l’ambiente naturale con i suoi monti fiumi e pianure, con la sua flora e la sua fauna, ma soprattutto l’ambiente come società umana con le sue specificità culturali: storiche e linguistiche in primis.

Da questo punto di vista i moderni studi e le nuove concezioni sulla Letteratura italiana, sulla  storia e sul valore della lingua materna sono di grande aiuto, perché la lingua, la cultura e la storia sarda entrino finalmente, in modo organico, nella scuola di ogni ordine e grado e nei curricula scolastici.

Ma vi è di più: la cultura della «differenza», la nuova sensibilità per le lingue locali e minoritarie ha avuto un formale riconoscimento giuridico e normativo prima a livello europeo con la Carta Europea per le lingue regionali e minoritarie, poi a livello regionale con la Legge n. 26 del 15 Ottobre 1997 sulla «Promozione e valorizzazione della cultura e della lingua della Sardegna» e infine a livello nazional-statale italiano con laLegge n. 482 del 15 Dicembre 1999 riguardante «Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche» in cui è presente la Lingua sarda.

Lo studio della Cultura e della Lingua sarda nella Scuola, per noi Sardi è dunque oggi favorito dalla nuova normativa comunitaria, statale e regionale. Di qui l’urgenza e la necessità di utilizzare tutti gli spazi, gli strumenti e i finanziamenti che tali normative mettono a disposizione. Per studiare – ripeto – in modo particolare la storia e la lingua sarda ma in generale l’intero universo culturale dell’Isola. A tal fine occorrerà anche pensare anche alla modifica e aggiornamento della stessaLegge 26, che oggi risulta arretrata rispetto alla Legge 482dello Stato: questa – fra l’altro – prevede che si possa insegnare in Sardo, ovvero la possibilità dell’uso veicolare della Lingua sarda per l’insegnamento curriculare – mentre questa possibilità non è prevista dalla Legge 26 

 

4. Letteratura italiana (scritta in italiano) o Letteratura degli Italiani?

 

L’Idea di una letteratura italiana che comprenda quasi esclusivamente le opere scritte in italiano può considerarsi ormai tramontata: in questi ultimi anni infatti si assiste a un rinnovato interesse per le letterature delle diverse Regioni.

 

Il concetto stesso di letteratura italiana si è dilatato sino a comprendere l’insieme delle opere scritte in tutto il territorio dello Stato italiano, indipendentemente dalla lingua utilizzata. Pertanto la letteratura regionale, un tempo considerate minori, sono diventate le diverse componenti di un quadro nazionale – più correttamente occorrerebbe dire «statale» – più vasto.

 

Ciò che sostanzialmente deve essere riconsiderato è il rapporto fra il «centro» e le «periferie», dal momento che – come scrive Carlo Dionisetti, il principale teorico di questi studi – «la storia della marginalità reca un contributo essenziale alla storia totale in costruzione, perché si manda lo storico, senza tregua, dal centro alla periferia e dalla periferia al centro».

 

Si muove sulla stessa linea il già citato Nicola Tanda, secondo il quale «dopo le risoluzioni del Parlamento europeo, la Carta europea delle lingue regionali e minoritarie non si può più parlare di una letteratura italiana costruita secondo categorie concettuali del secolo scorso. Semmai di letteratura degli italiani. Si impone a questo punto un nuovo canone o statuto che tenga conto della geografia delle letterature prodotte dalle lingue e dai dialetti impiegati nelle varie regioni. Finalmente i fenomeni letterari possono essere considerati per il loro valore artistico, estetico, storico e culturale e non in base a un sistema linguistico o letterario, considerato comune a tutti».

 

Poiché la letteratura è legata saldamente al territorio in cui nasce ed è espressione diretta dei sentimenti e delle necessità dei popoli che tale territorio abitano, non si può scrivere una storia della letteratura senza definirne contestualmente anche una geografia. Spesso sono proprio i caratteri tipicamente regionali a definire la specificità di una determinata produzione letteraria a prescindere dalla lingua utilizzata o dagli stili e generi nei quali si inquadra. Riportare la letteratura a una dimensione territoriale non significa isolarsi né è indice di provincialismo. Aiuta invece a comprendere lo sviluppo dei fenomeni in rapporto alle realtà locali; consente di valutare meglio il contributo dato dalle singole esperienze alla storia della cultura nazionale e internazionale o cultura tout court. E questo può essere fatto senza doversi confrontare in ogni momento con le opere e le idee dei grandi personaggi che, secondo una concezione tipicamente idealistica, avrebbero fatto la storia della letteratura. In quest’ottica, ogni forma di comunicazione scritta, destinata a un pubblico più o meno vasto, acquista rilevanza. La storia della letteratura dunque viene a coincidere con la storia della cultura scritta – in lingua italiana, in lingua sarda o nei dialetti italici, poco importa – nelle sue particolarità locali, in relazione con la storia delle idee e della comunicazione nel resto del mondo. Anche la Sardegna ha maturato una propria identità e si è confrontata con altre culture dalle quali ha tratto idee e forme di espressione, raggiungendo risultati spesso significativi e  altamente validi, che vale perciò la pena di conoscere e approfondire.  

 

5. La Letteratura sarda

 

Esiste e sempre è esistita una letteratura sarda che risulta autonoma, distinta e diversa dalle altre letterature. E dunque non una sezione di quella italiana: magari gerarchicamente inferiore. Nasce anche da qui l’esigenza di un’autonoma trattazione delle vicende letterarie sarde: ad iniziare da quelle scritte in Lingua sarda. Da considerare non dialettali, ma autonome, nazionali sarde, vale a dire. A questa stessa conclusione arriva, del resto, un valente critico letterario (ecinematografico) italiano come Goffredo Fofi, che nell’Introduzione a Bellas Mariposas, di

Sergio Atzeni, scrive: «Sardegna, Sicilia. Vengono spontanei paragoni che indicano la diversità che è poi quella dell’insularità e delle caratteristiche che, almeno fino a ieri, ne sono derivate, di isolamento e di orgoglio. È possibile fare una storia della letteratura siciliana o una storia della letteratura sarda, mentre, per restare in area centro-meridionale non ha senso pensare a una storia della letteratura campana, o pugliese, o calabrese, o marchigiana, o laziale… Il mare divide e costringe: la letteratura siciliana e la letteratura sarda possono essere studiate – nonostante la comunanza della lingua con quella di altre regioni, almeno dopo l’Unità – come “Letterature nazionali”. Con un loro percorso, una loro ragione, loro caratteri e segni». Dalle origini del volgare sardo fino ad oggi, non vi è stato periodo nel quale la lingua sarda non abbia avuto una produzione letteraria. Certo, qualcuno potrebbe obiettare che essa,  rispetto ad altre lingue romanze, ha prodotto pochi frutti: può darsi, ma dato e non concesso – si poteva pensare che un cavallo per troppo tempo tenuto a freno, legato e imbrigliato potesse correre? –, la lingua sarda, certo, deve crescere e sta crescendo: ha soltanto bisogno che le vengano riconosciuti i suoi diritti, che le venga proprio riconosciuto il suo status di lingua, e dunque le opportunità per potersi esprimere, oralmente e per iscritto, come avviene per la lingua italiana.

 

La Lingua sarda, dopo essere stata lingua curiale e cancelleresca nei secoli XI e XII, lingua dei Condaghi e dellaCarta de Logu, con la perdita dell’indipendenza giudicale viene infatti ridotta al rango di dialetto paesano, frammentata ed emarginata, cui si sovrapporranno prima i linguaggi italiani di Pisa e Genova, poi il catalano e il castigliano e infine di nuovo l’italiano.

 

Ma anche prescindendo dal codice linguistico usato – molti hanno scritto appunto in catalano, in castigliano e in italiano –, pare difficile non ritrovare in tale produzione letteraria una specifica e particolare sensibilità locale, «una appartenenza totale alla cultura sarda, separata e distinta da quella italiana», diversa dunque e «irrimediabilmente altra», come scrive il critico sardo Giuseppe Marci.

 

L’importante è soprattutto – come scrive Antonello Satta – «che gli autori sappiano andare per il mondo con pistoccu in bertula, perché proprio in questo andare per il mondo, mostrano le stimmate dei sardi e, quale che sia lo scenario delle loro opere, vedono la vita alla sarda». Miguel de Unamuno era basco e scriveva in castigliano, ed era anche contrario a una ripresa dell’euskera come lingua letteraria. Eppure Unamuno, se fa parte della letteratura  spagnola fa anche anche parte della letteratura basca e il mondo intero, così presente nella sua opera, è per lui una Bilbao dilatata: «Hermanos somos todos los humanos / el mundo entero es un Bilbao más grande».

 

Anche tra Italia e Sardegna vi sono appartenenze comuni: e dunque negli autori sardi vi sono anche elementi di assimilazione e di integrazione e persino «imitatori» di movimenti e stili oltre Tirreno, e non solo.

 

Pensiamo – per esempio – a due grandi del primo Novecento: Sebastiano Satta e Grazia Deledda. Il primo vanta robuste ascendenze carducciane e pascoliane; la seconda è copiosamente influenzata sia dal Verismo oltreché dai romanzieri russi di fine Ottocento: eppure ambedue sono soprattutto i cantori della sardità e pongono al centro della loro scrittura la Sardegna e i Sardi.

 

Ma anche quando la Sardegna non è protagonista – pensiamo a Un anno sull’altipiano Marcia su Roma e dintorni – emerge comunque l’identità etno-nazionale sarda. Nel caso di Lussu, è evidente nella sua scrittura che, come ha sostenuto autorevolmente il linguista sardo Leonardo Sole, «si incardina nella cultura orale e in particolare perfino nel ritmo narrativo della fiaba sarda»: fortemente ritmizzata e caratterizzata da un giro di parole essenziale e rapido.

 

Riferendosi in modo particolare al romanzo sardo, Nereide Rudas, uno degli intellettuali sardi più lucidi e colti nel suggestivo e brillante saggio l’Isola dei coralli scrive: «Il romanzo sardo pur collocandosi all’interno dell’universo linguistico e culturale italiano, se ne discosta per molti aspetti. Leggendo le opere di Grazia Deledda, di Salvatore Satta, di Emilio Lussu e, a ben guardare anche di Antonio Gramsci, cogliamo subito una specificità e una diversità. Confrontate con le altre opere letterarie italiane esse ci appaiono in un certo senso omogenee fra loro e nel contempo “irrimediabilmente altre”».  

 

6. Valenze dello studio della storia locale: identitarie, conoscitivo-didattiche ed educative

 

Abbiamo parlato di Storia della Sardegna come storia «locale». In realtà dovremmo parlare di Storia della Sardegna come storia «generale» e «primaria». Scrive a questo proposito il maggior storico medievista della Sardegna, Francesco Cesare Casula «La nostra non è una storia mitologica locale da cantare in piazza a ottavas o da narrare a contus de forredda o da

lasciare all’insipienza della Regione Autonoma della Sardegna perché la valorizzi o, al massimo, da presentare come cultura indigena agli alunni sardi in aggiunta alla storia peninsulare; ma è una storia generale e primaria, senza la quale non si capisce lo sviluppo della storia italiana. Da inserire quindi – di dovere – all’interno del manuale scolastico nazionale adottato sia a Cagliari che a Milano, a Roma come a Napoli e a Palermo, perché, oltretutto, dalle ceneri della splendida civiltà giudicale nacque nel 1324 quel regno di Sardegna che nel 1861 si trasformò di nome in Regno d’Italia e che per questo costituisce la base istituzionale dell’attuale nostra repubblica».  

 

a. Valenze IdentitarieLa storia è la radice del nostro essere, della nostra realtà e Identità collettiva e individuale. Nessun individuo, come nessun popolo, può realmente e autenticamente vivere senza la conoscenza e coscienza della sua Identità, della sua biografia, dei vari momenti del suo farsi capace di ricostruire il suo vissuto personale e storico. Un filo ben preciso lega il nostro essere presente al passato: il filo della nostra identità e diversità-specificità, come individui e come comunità etno-nazionale. Se non fossimo diversi non potremmo neppure dialogare, confrontarci, conoscere. Noi conosciamo in quanto siamo diversi: avremmo altrimenti l’hegeliana «notte nera in cui tutte le vacche sono nere». La diversità ci salva dalla omologazione-standardizzazione. Sia ben chiaro: la coscienza di essere diversi non esclude la consapevolezza di essere e di vivere dentro un universo più vasto.   

 

b. Valenze conoscitive e didattiche. Dissolto – soprattutto grazie agli storici francesi degli  Annales – l’eurocentrismo storiografico e, contestualmente liquidato il pregiudizio secondo il quale vi erano nella ricerca storiografica delle gerarchie fra storia generale «più alta e più importante» e storia locale meno prestigiosa, oggi possiamo con buone ragioni sostenere che lo studio della storia locale è indispensabile non solo per la conoscenza della storia specifica della Sardegna ma per capire e interpretare la stessa storia generale: sia come verifica della ricaduta a livello locale di fenomeni generali (pensiamo solo, per esempio, alle conseguenze a livello sardo, delle politiche economiche e fiscali dei governi italiani post-unitari); sia come individuazione degli effetti che scelte e spinte che provengono dal locale, dal basso, inducono e producono nelle scelte di ordine generale.  

 

c. Valenze educativeLa conoscenza della nostra storia, delle nostre radici etno- linguistiche ed etno-culturali ci aiutano a superare i conflitti fra le diversità, in quanto la coscienza della nostra storia peculiare deve portarci non all’esaltazione acritica del nostro passato, magari in termini mitologici, né all’etnocentrismo, né alla chiusura verso l’esterno e/o il diverso: bensì al dialogo e alla tolleranza e – perché no? – alla contaminazione e al meticciato, in cui la nostra Identità si plasma e si trasforma, arricchendosi e irrobustendosi con l’innesto di nuove culture.  

 

7. Lo studio della lingua sarda, all’interno dello specifico locale, risulta oggi ancor più importante e urgente

 

Ci si potrà obiettare che si tratta di un’operazione antistorica, a fronte del processo ormai inevitabile della globalizzazione e dell’unificazione, a livello planetario, soprattutto dell’economia e del mercato. Ebbene rispondo che proprio il mercato che con le sue leggi sembra unificare il mondo, in realtà lo divide, soprattutto con le guerre.  La lingua invece, che nella pluralità disseminata delle sue forme, sembra dividere e separare il mondo e le culture, di fatto, attraverso la traduzione apre varchi, mette in rapporto popoli lontani ed estranei. Si traduce perché si vuole rendere familiare lo straniero, rispettando la sua fisionomia, il suo timbro, la sua cultura. Ogni traduzione infatti mette in relazione due lingue, preservando l’identità dell’una e dell’altra. Per questo la babele delle lingue interpretata tante volte come una condanna, non è affatto una maledizione, una caduta al di fuori dell’unica comprensiva lingua: è anzi, specialmente oggi, l’occasione perché quel che è diverso, possa essere conservato nella ricchezza della sua diversità. Nell’epoca della globalizzazione, il rapporto fra le lingue è un banco di prova – e anche una grande metafora – del rapporto fra le culture. Comunicare restando diversi, ascoltare l’altro senza rinunciare alla propria pronuncia, essere radicati in una tradizione senza fare di questo un elemento di separatezza o di esclusione o di sopraffazione: il rapporto fra le lingue – la compresenza attiva di moltissime lingue – dimostra che è possibile tendere alla comprensione salvando la differenza.

 

È triste registrare che nella nostra epoca, come muoiono specie animali e vegetali, così anche molte lingue si estinguono o sono condannate alla sparizione. Per ogni lingua che muore è una cultura, una memoria ad essere abolita. Un universo di suoni e di saperi si dilegua. Preservare allora le specie linguistiche – nonostante le migrazioni, le egemonie mercantili, le colonizzazioni mascherate – dovrebbe essere il primo compito dell’ecologia della cultura e del sapere. L’idea di una lingua unica perduta è solo un sogno: «un frivolo sogno», lo definiva già Leopardi nello Zibaldone. E anche l’idea che sia necessaria una lingua unica che permetta a tutti di intendersi immediatamente non riesce a nascondere il disegno egemonico: disegno che è in particolare di ordine mercantile. Sia l’imposizione di una lingua sulle altre, sia il malriuscito progetto di una lingua convenzionale e artificiale vorrebbero abolire la lontananza togliendo a essa la sua profondità. Vorrebbero togliere alla diversità la sua stessa radice e ridurre così la ricchezza del confronto e dello scambio. Le lingue imposte via via dai colonizzatori hanno sbaragliato e mortificato e distrutto le forme e l’energia inventiva delle lingue locali. Il controllo politico, le ragioni di mercato, i progetti di assimilazione hanno sacrificato tradizioni e culture, suoni e nomi, relazioni profonde tra il sentire e il dire. E tuttavia più volte è accaduto che quelle culture vinte abbiano attraversato le lingue egemoni irrorandole di nuova linfa creativa: è quel che è accaduto meravigliosamente nelle letterature ibero-americane, è quel che accade oggi nelle letterature africane di lingua portoghese, inglese e francese o nella letteratura nordamericana o in quella inglese. Inoltre le migrazioni hanno dappertutto esportato saperi, confrontato stili di vita e di pensiero, contaminato linguaggi e sogni e memorie. Molti poeti e scrittori del Novecento appartengono a una storia di migrazioni tra le lingue: da Canetti a Celan, da Nabokof a Brodskij, da Singer a Rushidie, da Gombrowitz a Naipaul. Tra le diverse forme di scrittura, la poesia – per via del suo rapporto intimo e assoluto con il linguaggio – vive l’intero ventaglio delle questioni qui accennate.  

 

8. Importanza della Lingua materna

 

a. Lingua della poesia. La prima lingua della poesia è la lingua materna, il dantesco «parlar materno». Lingua della poesia e della musica. Tanto che, storicamente, i confini fra poesia e musica e danza, sono sempre stati labili e sfumati a tal punto che gli antichi poeti –gli aedi greci per esempio– non scrivevano poesie ma le cantavano, accompagnandosi con la lira: non a caso nasce il termine “lirica” e “aoidòs” in greco significa “cantore”. Ma “cantano” anche Dante e Petrarca, Ariosto e Tasso e Leopardi. E i “cantadores” sardi, soprattutto gli improvvisatori.  Cantano con quella lingua materna che riassume la fisionomia, il timbro, l’energia inventiva, la cultura, la civiltà peculiare del nostro popolo. Una lingua – il Sardo – che è insieme memoria e universo di saperi e di suoni. Che sottende –talvolta in modo nascosto e subliminale– senso e insieme oltresenso, musica, ritmo e ballo. Segnatamente il ballo tondo: momento magico in cui l’intera comunità, tott’umpare, si pesat a ballare, si muove in cerchio. E con questo esprime una molteplicità di segni,significati, simboli e riti: l’armonia dell’universo, il movimento dell’acqua e del fuoco, il Nuraghe. E con esso tutta la civiltà e la cultura nuragica che evoca e richiama: la democrazia federalista e comunitaria, il rifiuto del capo, del gerarca, del sovrano – la Sardegna è sempre stata acefala- la difesa intransigente dell’autonomia e dell’indipendenza di ogni singola comunità, di ogni singolo villaggio. Una lingua abitata anzitutto dai silenzi che stanno all’ombra delle sillabe e nel cuore stesso delle vocali. Una lingua abitata da una voce: segreta tessitura che resisterà sotto ogni futura pronuncia del poeta, come risonanza di un timbro, di una presenza. Hölderlin, a proposito della formazione del, poeta ricordava questa muta pedagogia materna. La lingua materna è, per il bambino, per l’infante, soprattutto lingua di vocali: dunque aerea, leggera, impalpabile. E le vocali sono per il poeta l’anima della lingua. Sono il nesso tra lingua e il canto. Fra la poesia e i numeri della musica. Tra la poesia e il vento. L’elemento per il poeta è anche la terra. La terra considerata nel suo cerchio di necessità e bellezza: situarsi in questo cerchio, con lo sguardo e la passione di chi vuole conoscere e preservare e non offendere o distruggere, è sempre stato da sempre uno dei compiti della poesia. Nella lingua della poesia coesistono, dunque, la lingua materna – corporale, vocalica, leggera – e la lingua che il poeta ha scelto per la sua scrittura. Questa lingua scelta è sempre in un certo senso straniera, anche quando essa è la lingua del proprio paese: è straniera in quanto altra dalla lingua materna. Per alcuni poeti tuttavia, questa lingua è straniera in senso stretto: l’esilio, la migrazione, il dominio coloniale o mercantile o, qualche volta una scelta personale dislocano il poeta fuori dalla lingua della propria comunità di appartenenza. Ma tutti i lettori di poesia sanno che c’è qualcosa che trascorre sotto la lingua dei versi, al di là della sua pronuncia e delle sue parole linguisticamente definite. C’è qualcosa che trascorre sotto la molteplicità delle lingue. Ed è questa sostanza nascosta sotto la lingua – senso e insieme ultrasenso, musica e ritmo – che permette alla traduzione, quando riesca ad essere una buona traduzione, di sperimentare una sorprendente e miracolosa contraddizione: togliere al poeta quello che ha di più proprio, cioè la sua lingua, e tuttavia riuscire a preservare l’energia e il timbro e la singolarità della sua poesia. Quel che qui si dice della poesia, certo, è in gran parte estensibile ad altre forme del fare letterario come la narrazione o il teatro. Ma nella poesia questo movimento fra le lingue e questa sostanza che sottende ogni lingua appaiono in tutte le implicazioni – estetiche e antropologiche – e in modo trasparente.

 

b. Lingua della Identità. La Lingua rappresenta l’architrave, la più forte ed essenziale componente della Identità di un popolo. Per questo la Lingua sarda deve essere non solo recuperata e valorizzata e dunque studiata e conosciuta maufficializzata, vale a dire parificata all’Italiano, la lingua ufficiale dello Stato, e dunque utilizzata anche in tutte le occasioni ufficiali, insegnata nelle scuole di ogni ordine e grado e adoperata come lingua veicolare per trasmettere e comunicare qualunque contenuto e messaggio, ovvero l’intero universo culturale. Si può e si deve discutere sui tempi e sui modi, ma questo è l’obiettivo che occorre porsi se davvero vogliamo un bilinguismo che non sia zoppo o mutilato.  

 

9. Il Bilinguismo perfetto

 

Ci si obietterà che la realizzazione del bilinguismo perfetto, specie in ordine all’insegnamento delle scuole, sarà estremamente difficoltosa se non altro perché il Sardo è una lingua pluralizzata. Certo. Ma vi è una sola ragione plausibile – mi chiedo – che vieti che la lingua oggi pluralizzata assurga al piano e al ruolo pratico e giuridico, di lingua unificata? Come peraltro è successo a molte lingue europee negli ultimi 170 anni della nostra storia: per esempio al Rumeno, all’Ungherese e al Finlandese e, più recentemente, al Catalano e al Lituano? Iniziando a prendere come modello Sa Limba sarda comuna, proposta dagli studiosi nominati dalla Regione sarda?

 

Si obietterà ancora che la Lingua sarda ha «prodotto poco» e cultura bassa. Come ho già sostenuto prima – dato e non concesso che abbia prodotto poco (in realtà non è vero ha prodotto molto, ma non conosciamo la produzione in sardo, specie dei secoli passati): ci sarebbe da meravigliarsi che la Lingua sarda abbia prodotto poco? Forse le è stato permesso?

 

Non è forse stata la Lingua sarda un cavallo per troppo tempo tenuto a freno e impastoiato? Un volta libero di correre al galoppo, non potrà forse esprimere, abbondantemente, qualunque contenuto culturale? Per quanto attiene invece al problema della cultura ‘bassa’, occorrerebbe finalmente iniziare a liquidare certi equivoci gerarchici sulla cultura e sulle sue forme, per cui ci si attarda ancora a parlare di cultura «alta» e cultura «bassa», di cultura «materiale» (miniere, artigianato, agricoltura, pastorizia, turismo) inferiore e subordinata alla cultura «immateriale» (lingua, letteratura, arte, musica, diritto, ecc.), o di cultura orale inferiore alla cultura «scritta» e dunque meno degna di essere conosciuta e studiata. La cultura, senza gerarchie, deve essere intesa in senso antropologico, ovvero nei valori sottostanti alle scelte collettive e individuali e quindi agli ideali che orientano i comportamenti, con particolare riferimento a quelli sociali.

 

Si obietterà infine che comunque l’istruzione complessiva – specie quella universitaria – non potrà svolgersi attraverso la Lingua sarda come strumento veicolare. Ebbene, uno dei massimi studiosi del Bilinguismo a base etnica, J. A. Fishman, a tale obiezione  così risponde: «Ogni e qualsiasi lingua è pienamente adeguata a esprimere le attività e gli interessi che i suoi parlanti affrontano. Quando questi cambiano, cambia e cresce anche la lingua. In un periodo relativamente breve, qualsiasi lingua precedentemente usata solo a fini familiari, può essere fornita di ciò che le manca per l’uso nella tecnologia, nella Pubblica Amministrazione, nell’Istruzione».

 

Certo, occorre intelligenza ed equilibrio nell’utilizzo del Sardo come lingua veicolare: si può iniziare a parlare e trattare in Sardo i temi dell’ambiente, del gioco, del lavoro, delle feste, delle tradizioni popolari, delle vicende storiche. Anche perché – è il linguista Renzo Titone a sostenerlo – «l’insegnamento della lingua come materia a sé, non produce effetti significativi, se la lingua non è usata come strumento di insegnamento di altre materie e come mezzo per l’espletamento delle attività ordinarie, ossia come mezzo di comunicazione nelle situazioni di vita».

 

Di qui la necessità non solo che si insegni il Sardo e nel contempo che si insegni in Sardo ma che poi questa Lingua venga parlata e usata normalmente, tutti i giorni, in tutte le occasioni, a partire da quelle ufficiali: di qui insomma la necessità dell’uso sociale della Lingua sarda, altrimenti rischia di essere una lingua artificiosa e sostanzialmente morta. Ciò significa che il Sardo deve irrompere in modo organico, come lingua coufficiale nella stampa (giornali, libri, testi scolastici), nelle TV, in Internet: insomma in tutti i media. Deve essere normalmente e permanentemente utilizzata negli Enti locali come nelle Amministrazioni statali, nelle imprese e nelle società commerciali come in tutte le Associazioni, nella toponomastica (a questo proposito dobbiamo considerare ottima l’iniziativa dell’Assessorato regionale alla cultura sull’elaborazione di un Atlante toponomasticu sardu) come nelle insegne – ad iniziare da quelle stradali – e nella cartellonistica, nella pubblicità come negli avvisi.  

 

10. Alcuni motivi (didattici, culturali, civili) per introdurre il Sardo nelle scuole

 

Sono comunque plurime e di diversa natura le motivazioni – didattiche, culturali, educative, civili – che pongono con urgenza e senza ulteriori rinvii la necessità dell’introduzione del Bilinguismo nella scuola. Pedagogisti come linguisti e glottologi, psicologi come psicoanalisti e perfino psichiatri, ritengono infatti che la presenza della lingua materna e della cultura locale nel curriculum scolastico si configurino non come un fatto increscioso da correggere e controllare ma come elementi indispensabili di arricchimento, di addizione e non di sottrazione, che non ‘disturbano’ anzi favoriscono lo sviluppo comunicativo degli studenti perché agiscono positivamente nelle psicodinamiche dello sviluppo. In particolare la lingua materna (quella sarda per noi) serve:

-per allargare le loro competenze degli studenti, soprattutto comunicative, di riflessione e di confronto con altri sistemi;

 

vper accrescere il possesso di una strumentalità cognitiva che faciliti l’accesso ad altre lingue;

 

vper prendere coscienza della propria identità etno-linguistica ed etno–storica, come giovane e studente prima e come persona adulta e matura poi;

 

vper personalizzare l’esperienza scolastica, umana e civile, attraverso il recupero delle proprie radici;

 

vper combattere l’insicurezza ambientale, ancorando i giovani a un humus di valori alti della civiltà sarda: la solidarietà e il comunitarismo in primis;

 

vper migliorare e favorire, soprattutto a fronte del nuovo «analfabetismo di ritorno», vieppiù trionfante, soprattutto a livello comunicativo e lessicale, lo status linguistico. Che oggi risulta essere, in modo particolare nei giovani e negli stessi studenti, povero, banale, improprio, gergale

 

La lingua sarda è ancora libera, popolana, vera, indipendente, ricca di istinto e fantasia, passione e sentimento. A fronte delle lingue imperiali (l’inglese in primis, ma l’italiano), vieppiù fredde, commerciali e burocratiche, vieppiù liquide e gergali,invertebrate e povere, al limite dell’afasia: certo indossano cravatta e livrea ma rischiano di essere solo dei manichini.

 

Una lingua che –se insegnata con intelligenza nelle Scuole di ogni ordine e grado- potrebbe servire persino per migliorare e favorire, soprattutto a fronte del nuovo “analfabetismo di ritorno“, vieppiù trionfante, a livello comunicativo e lessicale, lo “status linguistico” . Che oggi risulta essere, in modo particolare nei giovani e negli stessi studenti, povero e banale. Tanto che qualche studioso sostiene la tesi dei giovani “semiparlanti”: che non conoscono più la lingua sarda  e parlano (e scrivono) un italiano frammentario, disorganizzato, improprio, gergale; la cui parola dice di sé solo le accezioni selezionate dal Piccolo Palazzi: senza metafore, senza natura,senza storia, senza vita.

 

Quella lingua che è soprattutto valore simbolico di autocoscienza storica e di forza unificante, il segno più evidente dell’appartenenza e delle radici che dominatori di ogni risma e zenia hanno cercato di recidere.

 

Inoltre – premesso che la sollecitazione delle capacità linguistiche deve partire dall’individuazione del retroterra linguistico, culturale, personale, familiare, ambientale dell’allievo e del giovane, non per fissarlo e inchiodarlo a questo retroterra ma, al contrario, per arricchire il suo patrimonio linguistico –, l’educazione bilingue svolge delle funzioni che vanno al di là e al di sopra dell’insegnamento della lingua: si pone infatti anche come strumento per iniziare a risolvere i problemi dello svantaggio culturale, dell’insuccesso scolastico e della stessa «dispersione» e mortalità come della precaria alfabetizzazione di gran parte della popolazione, evidente e diffusa a livello di scolarità di base ma anche superiore. Ma lo studio della lingua sarda, va al di là di questi pur importanti obiettivi.  

 

11. Studio della Lingua sarda e apprendimento delle altre lingue. Bilinguismo e Biculturalità

Lo studio e la conoscenza della lingua sarda può essere uno strumento formidabile per l’apprendimento e l’arricchimento della stessa lingua italiana e di altre lingue, lungi infatti dall’essere «un impaccio», «una sottrazione», sarà invece un elemento di «addizione», che favorisce e non disturba l’apprendimento dell’intero universo culturale e lo sviluppo intellettuale e umano complessivo. Ciò grazie anche alla fertilizzazione e contaminazione reciproca che deriva dal confronto sistemico fra codici comunicativi delle lingue e delle culture diverse, perché il vero bilinguismo è insieme biculturalità, e cioè immersione e partecipazione attiva ai contesti culturali di cui sono portatrici, le due lingue e culture di appartenenza, sarda e italiana per intanto, per poi allargarsi, sempre più inevitabilmente e necessariamente, in una società globalizzata come la nostra, ad altre lingue e culture, europee e mondiali. La Lingua sarda infatti in quanto concrezione storica complessa e autentica, è simbolo di una identità etno-antropologica e sociale, espressione diretta di una comunità e di un radicamento nella propria tradizione e nella propria cultura. Una lingua che non resta però immobile – come del resto l’identità di un popolo – come fosse un fossile o un bronzetto nuragico, ma si ‘costruisce’ dinamicamente nel tempo, si confronta e interagisce, entrando nel circuito della innovazione linguistica, stabilendo rapporti di interscambio con le altre lingue. Per questo concresce all’agglutinarsi della vita culturale e sociale. In tal modo la lingua, non è solo mezzo di comunicazione fra individui, ma è il modo di essere e di vivere di un popolo, il modo in cui tramanda la cultura, la storia, le tradizioni. 

 

2. Valore etico, etnico e antropologico della Lingua sarda

 

La Lingua sarda, infine, essendo la più forte ed essenziale componente del patrimonio ricchissimo di tradizioni e di memorie popolari, sta a fondamento – per usare l’espressione di Giovanni Lilliu – «dell’Identità della Sardegna e del diritto ad esistere dei Sardi, come nazionalità e come popolo, che affonda le sue radici nel senso profondo della sua storia, atipica e dissonante rispetto alla coeva storia e cultura mediterranea ed europea». Assume cioè un valore etico, etnico-nazionale e antropologico e, se si vuole, anche politico, nel senso di riscatto dell’Isola e del suo diritto-dovere all’Autodeterminazione. Il che non significa che la nostra Identità debba tradursi in forme di chiusura autocastrante o di separazione: essa deve invece essere accettata e riconosciuta come la condizione base del nostro modo di situarci nel mondo e di dialogare con gli orizzonti più diversi, «senza cedere alla tentazione – come osserva acutamente il filosofo sardo Placido Cherchi – di usare la nostra differenza come ideologia o di caricarla, a seconda delle fasi, ora di arroganze etnocentriche, ora di significati autodepressivi ». .

 

Quella lingua che è soprattutto espressione della nostra civiltà e della nostra storia dunque ma nel contempo, strumento per difendere e sviluppare la nostra identità e la nostra coscienza di popolo e di nazione, i cui lemmi che la compongono, infatti, prima di essere un suono sono stati oggetti, oggetti che hanno creato una civiltà, oggetti che hanno creato storia, lavoro, tradizioni, letteratura, cultura. E la cultura è data dal battesimo dell’oggetto.

 

Ma occorre leggere e interpretare l’Identità non con le lenti logore di un’ideologia passatista, ma con un restylingconcettuale nuovo e complesso che rifiuta e oltrepassa una improbabile visione museale. Ovvero un’impostazione che riproponga un cliché che la riduce a semplice recupero acritico del passato e delle sue tradizioni o del suo folclore; o a un attributo eterno e immutabile. Provocatoriamente sosterrei anzi che la visione puramente etnografica dell’identità, certifica la morte dell’identità stessa.

 

L’attaccamento alla civiltà “primigenia”, in quanto realizza un continuum fra passato e presente, dà maggiore apertura al“mondo grande e terribile” (di cui parlava Gramsci) e sicurezza per il futuro. In questa continuità- simbiosi fra antico- moderno e post- industriale post- moderno, in cui la positività della Sardegna s’innesta nella positività mediterranea ed europea, consiste il significato profondo dell’Identità e dell’Etnia che da un lato ci libera dalle frustrazioni, dalla chiusura mentale e dal complesso dell’insularità; dall’altro ci salvaguarda dai processi imperialistici di acculturazione, distruttivi dell’autenticità delle minoranze e dal soffocamento operato dalla camicia di nesso degli interessi economico- finanziari.

 

Soprattutto i giovani devono sapere di appartenere a una peculiare storia e a una peculiare civiltà e di ereditare un patrimonio culturale, linguistico artistico e musicale, ricco di risorse da elaborare e confrontare con esperienze e proposte di un mondo più vasto e complesso. In cui, partendo da radici sicure e dotati di robuste ali, possano volare alti, i giovani e non solo.  

 

13. Cosa deve fare oggi la Regione sarda?

 

Per decenni abbiamo sentito pronunciare discorsi fumosi e generici sull’Autonomia della Sardegna e sulla necessità di adeguare il nostro sistema scolastico a quello europeo senza però che si siano operate scelte formative e iniziative politico-amministrative conseguenti dando spazio alla specificità etno-nazionale della Sardegna come valore e mettendo in campo una moderna politica educativa di collaborazione fra Scuola ed Enti Locali o iniziative legislative che fornissero strumenti per realizzare un sistema educativo integrato, per incoraggiare sperimentazioni, ricerche di gruppo e di singoli e per incrementare le potenzialità di intervento finalizzate all’istruzione.

La Regione Sarda deve intervenire per integrare i Programmi ministeriali, con scelte qualitativamente valide e adeguate rispetto ai bisogni degli studenti sardi, in specie per la salvaguardia e valorizzazione dei valori della società sarda e delle sue peculiarità etniche. A tal fine – lo ripeto – deve istituire le cattedre di Lingua, storia, letteratura e cultura sarda dedicando loro almeno il 15% dell’orario curriculare.

Inoltre:

 

vOccorre favorire la crescita dei giovani studenti stimolando il sistema scolastico  perché realizzi un reale processo di autonomia pedagogica e didattica che parta e muova dalla realtà sarda: un discorso pedagogico moderno e avveduto non può infatti prescindere dal pensare a una scuola radicata e ancorata alla tradizione, in grado di educare i giovani a conoscere prima e a padroneggiare poi la lingua e la cultura sarda: musica, arte, storia, teatro, letteratura, diritto, ecc. ecc.

 

vOccorre una scuola in cui la scoperta e la valorizzazione della tradizione negli aspetti più vivi e significativi, possa trovare l’humus per germogliare e per inserire il «locale» e il nostro specifico e peculiare nella cultura mediterranea, europea e mondiale, per continuare ad essere sardi e insieme vivere da cittadini mediterranei ed europei.

 

vOccorre cioè una scuola in cui i valori alti del passato, che reggono ai flutti di una modernità-modernizzazione effimera e fatua si coniughino dialetticamente con altre culture, con la scienza e la tecnologia, in una sorta di convivenza dei distinti, facendo cioè coesistere, conciliando dialetticamente gli elementi della «consuetudine autoctona» con quelli della modernità vera, mediando e facendo continuamente sintesi fra vecchio e nuovo, continuità e discontinuità, locale e globale. E dunque rifiutando da una parte l’etnocentrismo, dall’altra l’esterofilismo. Stando sempre attenti a che l’impatto della globalizzazione si risolva nella negazione, distruzione e/o devastazione delle culture (e delle economie) deboli, come è già avvenuto altrove – come dimostrano fra gli altri Claude Levi-Strauss in Il pensiero selvaggio e Joseph Rothscild in Etnopolitica– e come rischia di succedere anche in Sardegna.

 

Per questo

 

voccorre opporsi, a iniziare dunque dalla scuola, al fenomeno dello «sradicamento» dell’identità connaturato alla globalizzazione e al consumismo;

 

v–Occorre una scuola che ricordi – e insegni – ai giovani che senza legami con il passato, senza radici, non c’è presente né futuro, che se una comunità non dispone delle conoscenze fondamentali della sua storia (compresa quella dei singoli villaggi, che spesso consente di individuare il ceto sociale originario e il conseguente tipo di formazione storico urbanistico,

 

vedi Il giorno del giudizio di Salvatore Satta) non può maturare né il sentimento di appartenenza né la consapevolezza dell’importanza del nesso tra locale e globale che è in buona sostanza coscienza comunitaria, ossia accettazione dell’ideale della collaborazione tra popoli diversi.

 

Alla scuola spetta in definitiva il compito primario, sia di fornire gli elementi utili per la formazione moderna legata alla realtà e ai bisogni giovanili, sia gli strumenti metodologici per comprendere il nesso inscindibile, pur nella diversità, tra la storia millenaria dell’Isola e la condizione presente per permettere al giovane sardo di innestare – senza prevaricarla – la tradizione nel processo di sviluppo della società complessa; per evitare forme campanilistiche o esaltazione della minutaglia folclorica e insieme per rifiutare la mentalità caudataria tipo «pinta la legna e portala in Sardegna» che induce solo ad atteggiamenti esterofili e a complessi di inferiorità.

 

L’uomo contemporaneo, soprattutto nell’epoca della globalizzazione economica, della comunicazione planetaria in tempo reale e di Internet, non può vivere senza una sua dimensione specifica, senza radici, sia per ragioni psico-pedagogiche (un punto di riferimento certo dà sicurezza, consapevolezza di sé e fiducia nel proprio futuro), sia per motivi di ordine culturale. La comprensione del nuovo è sempre legata alla conoscenza critica della storia della società in cui si vive, alle tecniche di produzione, al senso comune, alle tradizioni. È questo l’antidoto più efficace contro la sub-cultura televisiva e à la page, circuitata ad arte da certa comunicazione mass-mediale che riduce la tradizione a folclore e spettacolo ad uso e consumo dei turisti. Altrimenti prevalgono solo processi di acculturazione imposti dal «centro», dalle grandi metropoli, dai poteri forti, arroganti ed egemonici che riducono le peculiarità etniche a espressione retorica, pura mastrucca, flatus vocis.

 

Occorre però concepire e tutelare lo «specifico individuale e collettivo», non come dicotomia ma in connessione con il generale, vivendo l’identità sarda con dignità e orgoglio ma senza attribuirgli un significato ideologico o di mito; identità non come dato statico e definitivo ma relativo, fluido e dinamico, da conquistare-riconquistare, costruire- ricostruire dialetticamente e autonomamente, adattandolo e sviluppandolo, quasi giorno per giorno. L’attaccamento alla civiltà primigenia, in quanto realizza un continuum fra passato e presente, dà maggiore apertura al gramsciano «mondo grande e terribile» e sicurezza per il futuro. In questa continuità-simbiosi fra antico/moderno e post-industriale/post-moderno, in cui la positività della Sardegna s’innesta nella positività europea, consiste il significato profondo dell’Identità e dell’Etnia che da un lato ci libera dalle frustrazioni, dalla chiusura mentale e dal complesso dell’insularità; dall’altro ci salvaguarda dai processi imperialistici di acculturazione, distruttivi dell’autenticità delle minoranze e dal soffocamento operato dalla  camicia di nesso degli interessi economico-finanziari. 

 

Pro cuncruire

La conoscenza e l’uso della Lingua sarda e dunque il ritrovamento e la valorizzazione della nostra Identità etno-nazionale deve servirci soprattuttoper superare il complesso del nanismo di cui parla in un bel romanzo lo scrittore Marcello Fois: «Da nani ci hanno trattato sempre. E noi da nani ci siamo lasciati trattare… a elemosinare contributi… con l’orgoglio attaccato a sputo e l’invidia per chi nano non è. Nani con lo sguardo nano. Uno sguardo che non oltrepassa il cortile di casa. Questo è il morbo: vederci nani anche quando siamo giganti. Si deve prendere la vita nelle proprie mani, rifiutando di continuare a delegarla a politici nani… abbiamo una storia talmente sussurrata che bisogna tacere per sentirla. Una storia di nani che aspettano giganti che li portino sulle spalle, oltremare, altrove, nel mondo». Dobbiamo liquidare insomma il complesso di nanismo che atavicamente ci portiamo nella nostra storia, smettendola di aspettare i giganti che ci salvino: i giganti non esistono e comunque non arriveranno mai per salvarci; possiamo salvarci solo con le nostre forze.

co.co.pro

Ass. 20 maggio, persi 63mila posti in un anno tra co.co.pro e partite Iva

Sono 63 mila i posti di lavoro persi in un anno fra i collaboratori a progetto e partite Iva iscritte alla gestione separata Inps. Calo che invece non ha interessato le forme di lavoro parasubordinato iscritte nella stessa gestione separata. Emerge dal 3° rapporto dell’Osservatorio dei Lavori dell’Associazione 20 maggio, che ha elaborato i dati dell’Inps sul lavoro atipico e li ha presentati questa mattina assieme alle altre associazioni di Alta Partecipazione.

Il titolo del report è eloquente: ”Lavoro a perdere: meno occupati, meno reddito”. Dopo la riforma Fornero, ha detto Patrizio Di Nicola, sociologo del lavoro all’Università Sapienza di Roma, illustrando la ricerca, si è verificato “un vero e proprio tracollo degli occupati a progetto e di partite Iva”. Dai dati emerge, infatti, un forte calo in particolare sui contratti a progetto (-45.137) ma anche, per la prima volta, sulle partite Iva (-21.446) che però, contrariamente ai collaboratori, riducono fortemente anche il loro reddito rispetto all’anno precedente.

Gli altri lavoratori parasubordinati, invece, non diminuiscono ma, anzi, nell’ultimo biennio aumentano la loro presenza nella gestione separata Inps, anche se di poco (+7.248). Anche l’Istat, dice l’Associazione 20 Maggio, conferma questa tendenza, con un decremento medio delle collaborazioni di 44.000 ogni trimestre da ottobre 2012.

La conclusione evidente è che, dopo l’approvazione della legge 92/2013 fortemente voluta dal precedente ministro del Lavoro, Elsa Fornero, “si sono persi molti più posti di lavoro che non sono diventati stabili ma, semmai, disoccupati o lavoratori in nero”. 

L’andamento della perdita di posti di lavoro a progetto negli ultimi 6 anni, spiega la ricerca, “conferma come le leggi sul lavoro possano incidere fortemente sulla vita delle persone e delle imprese e, soprattutto, dei giovani”. Dei 250 mila posti di lavoro atipici persi in 6 anni, infatti, circa 150 mila sono ragazzi sotto i 29 anni (60%) a cui si aggiungono altri 99 mila lavoratori tra i 30-39 anni (39%).

La gestione separata Inps è popolata da molteplici tipologie di lavori. Anche i redditi, quindi, sono diversi. I redditi dei quasi 650 mila lavoratori con contratti a progetto si attestano sui 9.953 euro lordi annui a fronte della media della gestione separata di 18.073 euro. Il dato più rilevante che emerge sui redditi è la notevole diminuzione dei compensi medi delle partite Iva passati da 18.836 del 2011 a soli 15.511 nel 2012 (-17,7% in un solo anno).

Questo tracollo, evidenzia la ricerca dell’Associazione 20 Maggio, ha portato il loro reddito netto medio nel 2012 a 8.065,72 euro annui, pari a 672,14 euro mensili. Nel 2011 era di 816,22 euro netti mensili. Una delle ingiustizie più evidenti nel lavoro parasubordinato è la differenza del reddito delle donne che, a parità di lavoro, guadagnano 11.365 euro lordi annui in meno rispetto ai maschi.

Tredicesima pesante

Inps: con pensioni dicembre, tredicesima pesante

Con la pensione di dicembre verrà pagata, nei casi in cui ricorrano le condizioni previste dalla legge, la cosiddetta “tredicesima pesante”. E’ una nota Inps a sottolinearlo. L’assegno di dicembre, dunque, sarà più pesante perché oltre alla tredicesima verrà corrisposto anche l’importo aggiuntivo di 155  euro previsto dalla Legge Finanziaria 2001 (art. 70, legge n. 388/2000) ai pensionati che abbiano un reddito personale non superiore a una volta e mezza il trattamento minimo (pari per il 2013 a 9.660,88 euro) o, in caso di reddito cumulato con quello del coniuge, non superiore a 3 volte il trattamento minimo (per il 2013, 19.321,77 euro). Nel caso in cui la pensione supera il minimo, ma l’ammontare complessivo del reddito resta comunque entro i limiti stabiliti, l’aggiunta alla tredicesima viene proporzionalmente ridotta.

L’assegno non costituisce reddito, né ai fini fiscali né ai fini della corresponsione di prestazioni previdenziali e assistenziali e, secondo le stime dell’Inps, a beneficiarne saranno circa un milione di pensionati anziani con redditi bassi.

Ius soli

Immigrati: Ipsos, 64% italiani favorevoli Ius soli

Il 64% degli italiani si ritiene molto d”accordo a estendere la cittadinanza italiana ai figli di immigrati stranieri nati in Italia, mentre per il 61% del totale degli intervistati gli immigrati presenti nel Paese rappresentano una  risorsa e non una minaccia. Sono alcuni dei dati di una ricerca presentata dall’Ipsos durante il convegno “Il lavoro è cittadinanza”, svoltosi oggi a Milano.

Sempre per quanto riguarda lo ius soli, il 15% si dice abbastanza d”accordo, mentre solo il 10% non è “per nulla” favorevole all”estensione della cittadinanza italiana ai figli di immigrati. Con prevalenza al Nord Ovest (67%) e al Centro Sud (68%), è invece pari al 18% il numero di italiani che al Nord Est si dice “per niente favorevole”. In generale, secondo la ricerca, si tende a sovrastimare il numero di immigrati clandestini presenti in Italia, ritenendolo “uguale o superiore” a quello degli immigrati regolari.

Quasi la metà degli intervistati (il 48% su un campione di mille persone) ritiene che l’Unione europea stia scaricando sull’Italia la soluzione del problema della clandestinità, evitando di occuparsene come dovrebbe. Nelle città del Nord si lamenta la competizione tra italiani e immigrati nell’accesso ai servizi sociali mentre delineata “con luci e ombre” l’immagine dell’imprenditore immigrato: “la scarsa predisposizione alle regole, per molti di loro – afferma l’Ipsos – deriva dal contesto in cui vivono”. Ossia, l’Italia.

Sul fronte del contributo degli immigrati alle finanze del Paese attraverso contributi Inps e tasse, per il 55% degli intervistati è “molto importante”, in particolare al Centro Nord, dove ne è convinto il 65%. Quasi nessuno, poi, immaginava che fosse in atto “un consistente rientro di immigrati nei paesi d’origine”. Solo il 37% del totale è molto d’accordo con questa constatazione.

Cecile Kyenge, ministro per l’Integrazione presente al convegno ha sottolineato che “L’introduzione dello ius soli “non è demagogia ma è un’esigenza per il Paese”. “Il lavoro è cittadinanza” e, seconod il ministro – “è una bella sorpresa” scoprire che la maggioranza degli italiani è favorevole ad estendere la cittadinanza ai figli degli immigrati, così come è emerso dalla ricerca dell’Ipsos. “La cittadinanza servirà ad incrementare i diritti per tutti”ha aggiunto Kyenge – e se vogliamo uscire dalla crisi bisogna partire da un concetto di pari opportunità e capire che il contributo di ogni persona è importante anche per lo sviluppo economico” ed ha sottolineato che “quando si parla di lavoratori non esiste etnia, appartenenza o colore. Il lavoro deve essere uguale per tutti con lo stesso accesso per ogni persona”. In merito agli accordi bilaterali di reciprocità sulle pensioni degli immigrati, secondo il ministro “è un tema importante e credo ci siano le condizioni per poterlo affrontare ma serve una direzione politica”. Per questo motivo con gli altri ministeri competenti “lavoriamo per riuscire a trovare insieme una soluzione” ha concluso Kyenge.

Adeguamento pensioni

Inps: adeguamento importi pensione a partire dalla rata di novembre 2013

Nel messaggio n. 18041 l’Inps ha comunicato le operazioni di ricostituzione delle pensioni delle gestioni private effettuate a livello centrale dall’Istituto e che avranno effetto con le rate di pensione di questo mese.

L’attività a cui si riferisce l’Istituto riguarda la ricostituzione automatica delle pensioni con conguagli fiscali, quelle confermate a seguito di revisione sanitaria, ma anche le pensioni variate per l’aumento delle rendite erogate dall’Inail e quelle di invalidità civile sospese per assenza a visita così come le pensioni individuate come “ricostituzioni d’ufficio” per particolari situazioni che ne comportano il ricalcolo (nuova liquidazione della prestazione a soggetti titolari di più pensioni, nuova liquidazione a coniuge di un soggetto titolare di pensione, cessazioni di familiari per decesso, etc.).

Sicurezza sul lavoro

Eu Osha – Campagna mondiale per la sicurezza e la salute sul lavoro

L’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro (EU-OSHA) ha portato a termine la sua campagna sul tema “Lavoriamo insieme per la prevenzione dei rischi” in occasione di una grande conferenza che si chiuderà oggi a Bilbao.

Il vertice di due giorni sugli ambienti di lavoro sani e sicuri ha riunito i principali operatori del settore della sicurezza e della salute sul lavoro (SSL) per la creazione di reti e momenti di discussione, favorendo lo scambio di buone prassi e lo sviluppo di strategie future.

Christa Sedlatschek, direttrice dell’EU-OSHA, ha affermato: “Ancora una volta le campagne Ambienti di lavoro sani e sicuri si sono rivelate una delle strategie più fruttuose ed efficaci per promuovere buone condizioni di SSL a un livello base. Siamo lieti del fatto che un gran numero di aziende e organizzazioni di tutta Europa abbia aderito a questa campagna per la prevenzione dei rischi. Tutti i partecipanti comprendono e apprezzano l’enorme contributo che la SSL può offrire per migliorare le condizioni di lavoro”.

Fra i partecipanti, rappresentanti della Commissione europea e rappresentanti della presidenza dell’UE, delle parti sociali dell’Unione, nonché dei governi locali e nazionali che hanno sostenuto la campagna.

Oltre alla rete europea di punti focali dell’EU-OSHA, la campagna ha visto l’adesione di un numero record di partner ufficiali (87 aziende e organizzazioni). Avviata nell’aprile 2012, la campagna ha incentivato la collaborazione di lavoratori e dirigenti per la gestione dei rischi sul luogo di lavoro.

Presenti all’iniziativa anche i vincitori del Premio europeo per le buone pratiche, dieci organizzazioni premiate per la straordinaria collaborazione tra lavoratori e dirigenti nella prevenzione dei rischi, in rappresentanza di settori quali l’agricoltura, l’assistenza sanitaria e l’industria manifatturiera.

Al vertice è stato presentato inoltre il vincitore del premio SSL, conferito per la prima volta nel contesto dell’iniziativa Enterprise Europe Network (EEN). Il nuovo premio, il primo nel suo genere che, nell’ambito dell’EEN, riconosce l’eccellente promozione della salute e sicurezza sul lavoro, è stato assegnato alla spagnola “Confederación de Empresarios de Aragón” per la sua campagna di prevenzione “Dalla scuola al lavoro”, rivolta a oltre 400 studenti, 12 insegnanti e 110 piccole e medie imprese.

I delegati del vertice hanno preso parte a uno dei tre workshop sulla SSL, scegliendo tra le seguenti tematiche: buone prassi nella direzione gestionale e partecipazione dei lavoratori; benchmarking (analisi comparativa); creazione di reti e realizzazione di campagne di successo.

All’evento è stata presentata anche un’anteprima della campagna 2014–2015 dell’EU-OSHA dal titolo “Insieme per la prevenzione e la gestione dello stress lavoro correlato”, che sarà avviata nella primavera 2014. La campagna porterà avanti il tema della collaborazione, applicandolo alla gestione dello stress lavoro-correlato e ai rischi psicosociali, che costituiscono il secondo problema in materia di SSL maggiormente segnalato in Europa.

 

Sicurezza sul lavoro

Eu Osha – Campagna mondiale per la sicurezza e la salute sul lavoro

L’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro (EU-OSHA) ha portato a termine la sua campagna sul tema “Lavoriamo insieme per la prevenzione dei rischi” in occasione di una grande conferenza che si chiuderà oggi a Bilbao.

Il vertice di due giorni sugli ambienti di lavoro sani e sicuri ha riunito i principali operatori del settore della sicurezza e della salute sul lavoro (SSL) per la creazione di reti e momenti di discussione, favorendo lo scambio di buone prassi e lo sviluppo di strategie future.

Christa Sedlatschek, direttrice dell’EU-OSHA, ha affermato: “Ancora una volta le campagne Ambienti di lavoro sani e sicuri si sono rivelate una delle strategie più fruttuose ed efficaci per promuovere buone condizioni di SSL a un livello base. Siamo lieti del fatto che un gran numero di aziende e organizzazioni di tutta Europa abbia aderito a questa campagna per la prevenzione dei rischi. Tutti i partecipanti comprendono e apprezzano l’enorme contributo che la SSL può offrire per migliorare le condizioni di lavoro”.

Fra i partecipanti, rappresentanti della Commissione europea e rappresentanti della presidenza dell’UE, delle parti sociali dell’Unione, nonché dei governi locali e nazionali che hanno sostenuto la campagna.

Oltre alla rete europea di punti focali dell’EU-OSHA, la campagna ha visto l’adesione di un numero record di partner ufficiali (87 aziende e organizzazioni). Avviata nell’aprile 2012, la campagna ha incentivato la collaborazione di lavoratori e dirigenti per la gestione dei rischi sul luogo di lavoro.

Presenti all’iniziativa anche i vincitori del Premio europeo per le buone pratiche, dieci organizzazioni premiate per la straordinaria collaborazione tra lavoratori e dirigenti nella prevenzione dei rischi, in rappresentanza di settori quali l’agricoltura, l’assistenza sanitaria e l’industria manifatturiera.

Al vertice è stato presentato inoltre il vincitore del premio SSL, conferito per la prima volta nel contesto dell’iniziativa Enterprise Europe Network (EEN). Il nuovo premio, il primo nel suo genere che, nell’ambito dell’EEN, riconosce l’eccellente promozione della salute e sicurezza sul lavoro, è stato assegnato alla spagnola “Confederación de Empresarios de Aragón” per la sua campagna di prevenzione “Dalla scuola al lavoro”, rivolta a oltre 400 studenti, 12 insegnanti e 110 piccole e medie imprese.

I delegati del vertice hanno preso parte a uno dei tre workshop sulla SSL, scegliendo tra le seguenti tematiche: buone prassi nella direzione gestionale e partecipazione dei lavoratori; benchmarking (analisi comparativa); creazione di reti e realizzazione di campagne di successo.

All’evento è stata presentata anche un’anteprima della campagna 2014–2015 dell’EU-OSHA dal titolo “Insieme per la prevenzione e la gestione dello stress lavoro correlato”, che sarà avviata nella primavera 2014. La campagna porterà avanti il tema della collaborazione, applicandolo alla gestione dello stress lavoro-correlato e ai rischi psicosociali, che costituiscono il secondo problema in materia di SSL maggiormente segnalato in Europa.

 

Pensioni

Pensioni: Istat, nel 2011 spesa pensionistica + 2,9%

La spesa pensionistica totale in Italia è aumentata nel 2011 del 2,9% rispetto al 2010. L’incremento è stato più elevato nelle Isole (3,7%) mentre in sensibile controtendenza è il dato per l’Estero (-4%). Lo rende noto l’Istat in un comunicato.

Nel 2011 la spesa per prestazioni pensionistiche è stata di 265.976 milioni di euro. A livello regionale l’incidenza sul Pil ha raggiunto il valore massimo in Liguria (21,25%) e il minimo (11,47%) nella provincia autonoma di Bolzano.

La spesa pensionistica procapite ha raggiunto il valore massimo, pari a 6.006 euro, in Liguria, mentre il valore minimo, pari a 3.211 euro, si registra in Campania (anche a causa della diversa struttura per età della popolazione). La quota di spesa più elevata (30,1%) è stata erogata nel Nord-ovest, mentre valori prossimi al 20% si sono registrati nel Sud (18,6%), nel Centro (21,4%) e nel Nord-est (20,3%).

Il 9,1% è stato corrisposto ai pensionati delle Isole e il rimanente 0,6% a quelli residenti all’estero.

 

Sicurezza

Sicurezza: Basilicata, firmato accordo tra Prefetture ed Enel

Le prefetture di Matera e Potenza hanno siglato questa mattina con Enel spa due protocolli di partenariato con lo scopo di combattere e prevenire il rischio di infiltrazioni della criminalità organizzata nel settore degli appalti e per la tutela della legalità. La sottoscrizione è avvenuta presso la prefettura di Matera, alla presenza del viceministro dell’Interno Filippo Bubbico.

Gli accordi territoriali fanno seguito al protocollo quadro nazionale, siglato il 2 maggio 2012 tra il Ministero dell”Interno ed Enel. Tra gli impegni assunti dall”Enel sono previsti piani operativi di sicurezza per la protezione dei siti industriali e delle attività dei cantieri da attentati, intrusioni ed interferenze della criminalità attraverso misure organizzative, procedurali e tecnologiche. L’accordo, della durata triennale, prevede diversi campi di applicazione per consentire interventi più rapidi in caso di sottrazione di materiali destinati alle infrastrutture elettriche, per contrastare i furti, attentati alla sicurezza degli impianti e a combattere le frodi di energia elettrica.

Prevede, inoltre, azioni per prevenire il ricorso al lavoro nero e garantire la sicurezza dei avoratori, impedire fenomeni di corruzione e concussione pubblica e privata nel rilascio di atti amministrativi strumentali alla esecuzione di appalti nonchè per evitare frodi contrattuali nel processo di smaltimento dei rifiuti.

”La sottoscrizione del protocollo di partenariato – ha detto il viceministro dell’Interno – costituisce un valore aggiunto e un fattore di merito a tutela della sicurezza, della legalità e della trasparenza. Costituisce, inoltre, un valido supporto per le forze di polizia per prevenire qualsiasi forma di illegalità”.