Archivi giornalieri: 7 novembre 2013

Ocse – famiglie italiane –

Ocse, reddito delle famiglie italiane giù del 7%

Il reddito disponibile reale delle famiglie italiane è calato del 7 per cento tra il 2007 e il 2012. È quanto emerge da uno studio dell’Ocse intitolato “How’s Life? 2013”, nel quale l’organizzazione parigina sottolinea che quella del nostro paese è una delle diminuzioni più forti registrate nell’area dei paesi più industrializzati.

Il benessere soggettivo, si legge nel dossier, si è deteriorato nei paesi più colpiti dalla crisi. Tra il 2007 e il 2012 il sentimento di soddisfazione nei confronti della vita ha registrato in media un calo di oltre il 20 per cento in Grecia, del 12 per cento in Spagna e del 10 per cento in Italia. Moderati aumenti, invece, si sono registrati in Germania, Israele, Messico, Russia e Svezia.

Tornando al nostro paese, il deterioramento delle condizioni lavorative e l’aumento della disoccupazione sono le principali cause del peggioramento del sentimento di benessere delle famiglie. Nello stesso periodo il tasso di occupazione è diminuito in Italia di un punto percentuale, mentre la disoccupazione è cresciuta di quasi 3 punti percentuali.

Nel 2012, poi, il 42 per cento degli italiani si è detto molto soddisfatto dalla propria vita contro il 58 per cento nel 2007, una delle percentuali più basse dell’area dell’Ocse. Anche la fiducia nelle nostre istituzioni è calata: quelli che si fidano del governo scendono dal 30 per cento del 2012 al 28 per cento nel 2012. Tuttavia, nello stesso periodo, rileva l’Ocse, è aumentata la solidarietà: il 22 per cento degli italiani nel 2012 ha dichiarato di avere aiutato qualcuno a fronte del 18 per cento osservato cinque anni prima.

Ocse

Ocse: donne italiane, 2 ore di lavoro su 3 non retribuite

Le donne italiane lavorano complessivamente quasi 11 ore a settimana più degli uomini, ma la maggior parte di questo lavoro non è retribuito. Lo rileva l’Ocse, nel suo rapporto periodico sul benessere.
Secondo i dati dell’organizzazione, aggiornati al 2010, una  donna italiana lavora in media 58,6 ore a settimana, contro le 47,7 di un uomo. Di queste, quasi i due terzi (36,1 ore) sono però di lavoro non retribuito – cura di bambini e anziani, pulizie domestiche, cucina e altri lavori legati alla casa e alla famiglia – mentre solo poco più di 22 ore sono retribuite.

Una situazione nettamente opposta rispetto a quella degli uomini, per cui il lavoro retribuito rappresenta oltre 33 ore su 47 (quasi undici in più delle donne), mentre quello non retribuito è di sole 14,5 ore, oltre 21 in meno rispetto alla parte femminile. Questo gap colloca l’Italia al primo posto tra i 34 Paesi Ocse per differenza tra uomini e donne nella distribuzione del lavoro non pagato, nettamente davanti a Francia (12,6 ore non retribuite in più per le donne), Gran Bretagna (12,2 ore in più), Usa (9,5 ore) e Germania (6,6 ore). Eppure, sempre secondo i dati Ocse, il tempo di lavoro non pagato delle donne italiane è diminuito di quasi due ore a settimana rispetto ai primi anni Duemila, mentre quello degli uomini è aumentato di oltre un’ora.

Questa suddivisione disuguale del lavoro domestico, sottolinea il rapporto, ”può’ avere effetti negativi sul benessere delle donne”, in almeno due modi. In primo luogo, ”grosse responsabilità per il lavoro in casa incidono direttamente sulla decisione della donna di inserirsi nel
mercato del lavoro e nel numero di ore che possono dedicarvi”, e così ”rafforzare le diseguaglianze di genere nell’accesso a
opportunità e risorse economiche”. Inoltre, ”carichi eccessivi di lavoro per donne con il ”doppio fardello” di avere un lavoro e prendersi cura della famiglia può generare mancanza di tempo e stress, con effetti negativi sulla salute”.

Esodati

Esodati: Cgil, interpretazione aberrante Inps su salvaguardia

La Cgil accusa l’Inps di ”interpretazione restrittiva” sui salvaguardati rispetto alla legge Fornero in modo da ridurre la platea dei beneficiari. In  pratica, si legge in un messaggio dell’Istituto di previdenza la salvaguardia non opera nei casi in cui i lavoratori oggetto di accordo di esodo raggiungono i nuovi requisiti previsti dalla riforma Fornero nel periodo di fruizione degli ammortizzatori sociali. Se invece non si raggiungono i nuovi requisiti nel periodo di cigs o mobilità ma si raggiungono quelli precedenti la riforma si va in pensione con quelli (e quindi si è salvaguardati). La Cgil sottolinea che in questo modo si crea disparità a sfavore di coloro che hanno un’anzianità maggiore (e che quindi ottengono i nuovi requisiti nel periodo di fruizione degli ammortizzatori).

La Cgil esprime il suo profondo dissenso – si legge nella nota – rispetto all’interpretazione data dall’Inps con il messaggio n. 17606 del 4 novembre 2013. La questione riguarda i lavoratori con accordi governativi stipulati alla data del 31 dicembre 2011, posti in mobilità in data antecedente, pari o successiva al 4 dicembre 2011, che maturano i requisiti per il diritto a pensione, in base alla normativa precedente alla legge Fornero, successivamente al 31 dicembre 2011 prima di essere posti in mobilità”.

La Cgil definisce l’interpretazione ”aberrante. Cercheremo in ogni modo – si legge in una nota – di far cambiare il messaggio che, purtroppo, ha già creato un grande disagio sociale e che se, non modificato, creerà un enorme contenzioso legale. Sarebbe bene poi che l’Inps per ragioni di trasparenza dei dati dicesse anche quanti sono i lavoratori che sono rientrati numericamente nella salvaguardia dei 55.000: non vorremmo scoprire all’ultimo minuto, come è già avvenuto per la salvaguardia dei 65.000, che anche in questo caso i lavoratori salvaguardati sono meno di quelli previsti. Tra i vincoli messi dai Ministeri e le interpretazioni restrittive dell’INPS la platea dei possibili beneficiari si riduce sempre di più”.

Immigrati

Immigrati: per stagionali permesso fin dal primo ingresso

Nei casi di domanda di conversione del permesso di soggiorno stagionale in permesso di soggiorno per lavoro subordinato, non deve essere accertato l’avvenuto rientro del lavoratore stagionale nel Paese di origine e l’ottenimento del secondo visto di ingresso in Italia per lavoro stagionale. Lo chiarisce una circolare congiunta del ministero dell’Interno e del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, con la quale si forniscono chiarimenti sulla conversione del permesso secondo quanto disposto dal dlgs 286/1998.

Secondo la circolare, è sufficiente, infatti, che le Direzioni territoriali del Lavoro e gli Sportelli unici verifichino la presenza dei requisiti per l’assunzione nell’ambito delle quote di ingresso specificatamente previste per tali conversioni, nonché l’effettiva assunzione in occasione del primo ingresso per lavoro stagionale (tramite il riscontro dell’esistenza di un’idonea comunicazione obbligatoria).

Lavoro – Cig –

Lavoro: Cig in calo, ma servono risorse per il 2013 e il rifinanziamento per il 2014

Oltre 1,4 milioni di domande di disoccupazione in 9 mesi con una crescita del 27,7% sullo stesso periodo del 2012: i dati diffusi dall’Inps confermano che la crisi economica è ancora profonda e anche la lieve riduzione che si registra nelle autorizzazioni sulla cassa integrazione (-1,8% nei primi 10 mesi a 879,9 milioni di ore) è solo dovuta al crollo delle autorizzazioni per la deroga mentre le richieste di cassa ordinaria e straordinaria continuano a salire. Cala
quindi solo la cassa per la quale sono necessarie risorse pubbliche (e si assiste a un freno delle autorizzazioni) mentre
crescono le altre.

Per le richieste di indennità di disoccupazione (dal 2013 Aspi e mini Aspi) si registra un vero e proprio boom con oltre 194.000 richieste nel solo mese di settembre (compresa la mobilità e la disoccupazione ordinaria e speciale edile). Nei primi 9 mesi si supera quota 1,4 milioni contro (1,1 milioni registrati nello stesso periodo del 2012).

Per quanto riguarda la cassa integrazione l’Inps ha autorizzato a ottobre 90,7 milioni di ore con un calo dell’11,9% sullo stesso mese del 2012. Il risultato è stato possibile grazie al crollo delle autorizzazioni per la cassa in deroga (-58,7%), strumento per il quale mancano all’appello per il 2013 ancora 350 milioni (il Governo sta cercando le coperture) oltre ai due miliardi e mezzo già stanziati nel complesso. Nel mese si è avuto invece un aumento sia per la cig ordinaria (+7,4%) che per la straordinaria (+9,5%).  Nel complesso dei primi 10 mesi dell’anno sono stati autorizzati 879,9 milioni di ore di cassa a fronte degli 895 milioni dello stesso periodo del 2012. Tra gennaio e ottobre sono stati autorizzati 293,3 milioni di ore di cassa ordinaria (+6%), 366 milioni di ore di cigs (+14,2%) e 220,6 milioni di cig in deroga (-26,2% sullo stesso periodo del 2012).

“La flessione della cassa integrazione, tutta imputabile al crollo di quella in deroga – afferma la Cgil in una nota – non sottende un’inversione di tendenza. L’andamento della cassa, infatti, al netto dei problemi di finanziamento e di burocrazia che investono la deroga, rimane a livelli elevatissimi, con un trend che sfonderà per l’ennesima volta il miliardo di ore di cassa autorizzate anche per il 2013”. 
Inoltre, prosegue la nota, “i dati sulla crescita delle domande di disoccupazione sono inquietanti ed è per questo che non è assolutamente tollerabile lasciare senza alcun tipo di sostegno centinaia di migliaia di lavoratori invischiati in una crisi profondissima, e alla deriva della disoccupazione, in attesa di una, al momento soltanto ipotetica, ”ripresina”. Serve garantire un finanziamento adeguato per gli ammortizzatori in deroga, non solo per quel che resta per il 2013 ma per tutto il prossimo anno”. Per la Cgil, infine, “non bisogna guardare alle sole emergenze. La legge di stabilità deve essere lo strumento per determinare quel cambiamento necessario per aggredire la crisi.

Scivolo d’oro per i militari

Scivolo d’oro per i militari: «Cresce l’ingiustizia»

“Con lo ”scivolo”  verso la pensione dei militari cresce l’iniquità del sistema previdenziale e crescono le diseguaglianze”. È quanto affermano in una nota il segretario nazionale Fp Cgil, Salvatore Chiaramonte, e il segretario confederale Cgil, Vera Lamonica, aggiungendo che: “Abbiamo più volte e in più sedi espresso un giudizio molto critico sulla legge ‘Di Paola’ di revisione dello strumento militare, soprattutto perché abbiamo considerato tale legge non in grado di produrre alcuna vera riorganizzazione, per mettere in efficienza il ‘servizio difesa’, eliminare sprechi e spese improduttive e rimuovere privilegi. Gli schemi di decreto che dovrebbero attuare la legge confermano e rafforzano il nostro giudizio negativo”.

In questo senso, proseguono i due dirigenti sindacali, “l’istituto dell’esenzione del personale militare dal servizio nel decennio antecedente il limite di età per la pensione, il cosiddetto ‘scivolo’, stabilisce per legge trattamenti che determinano un aumento del livello, già grave, di disuguaglianza e ingiustizia nella determinazione del diritto alla pensione, messo in discussione dai ripetuti interventi sul sistema previdenziale, ultimo quello della ‘riforma’ Fornero”. Tale istituto, osservano, “è la punta iniqua di un iceberg di privilegi e guarentigie riconosciute alla sola categoria dei militari (di ogni corpo e grado): si va, infatti, dalla promozione al grado successivo il giorno precedente al pensionamento, alle abbondanti riserve in tutti i concorsi pubblici dal 30 al 50%, all’indennità ‘di campagna’ riconosciuta anche a militari mai effettivamente impegnati in missioni o missioni militari ed erogata anche dopo la conclusione della campagna stessa, ecc. ecc”.

Questi trattamenti, precisano Chiaramonte e Lamonica, “paiono a noi il frutto dell’attività di pressione e di vera e propria lobbying che da sempre svolgono i corpi militari nel nostro ordinamento, e di certo non rispondono ad esigenze di equità e di efficienza del servizio difesa, il tutto con insopportabili carichi per la spesa pubblica e con effetti certamente drammatici sull’opinione pubblica e sul giudizio di lavoratrici e lavoratori, di esodati, di pensionati e di giovani disoccupati e precari. Giudizio negativo che, unito alla non condivisione delle scelte costosissime di riarmo dei governi (F35 e non solo), rischia di privare del giusto riconoscimento del Paese il ruolo delicato e difficile svolto dai militari italiani nelle missioni all’estero”.

Motivi per i quali la Fp e la Cgil chiedono che “si ponga mano quindi ai punti dei decreti attuativi che abbiamo segnalato, ripristinando inoltre criteri di equità di trattamento di militari e civili coinvolti nei processi di riorganizzazione, riduzione del personale e riallocazione delle risorse che pure riteniamo necessari. Si proceda ad ammodernare una amministrazione che deve tornare ad essere strategica per il paese, adeguandola alle necessità attuali in tema di difesa e mantenimento della pace. Si faccia, rimuovendo invece che aumentando diseguaglianze (a partire dall’accesso alla pensione) cancellando insopportabili privilegi e riconoscendo imprescindibili diritti”, concludono Chiaramonte e Lamonica. 

Crisi – Censis –

Italiani al tempo della crisi: preoccupati ma altruisti

Italia disperata, egoista e rinchiusa in sé? Non più, o piuttosto sempre meno: il 29,5% degli italiani afferma di ricevere “moltissima carica” dalla possibilità di aiutare qualcuno in difficoltà. È uno dei risultati di una ricerca Censis su “I valori degli italiani 2013. Il ritorno del pendolo”. Secondo i dati raccolti dal Censis il 40% degli italiani si dice molto disponibile a fare visita agli ammalati, più del 36% si dice assolutamente pronto a rendersi disponibile in caso di calamità naturale, per contribuire al bene comune.

Il 37% si dice molto o abbastanza disponibile a dare una mano nella manutenzione delle scuole (il 21% è “molto” disponibile). Questa percentuale al Sud aumenta fino al 41%, 6 punti percentuali in più rispetto al Nord-Ovest: evidentemente, laddove il bisogno è più forte, gli italiani sono pronti a mettersi in gioco. Anche per la manutenzione delle spiagge e dei boschi, più di un terzo degli italiani si dice pronto a collaborare (il 34%), mentre il 37% si trincera dietro un più interlocutorio “forse”. Anche in questo caso al Sud l’energia potenziale sembra maggiore (la percentuale sale al 36%) rispetto al Nord-Est (33%), dove probabilmente l’emergenza è meno sentita.

L’amore più forte rimane quello per le persone che ci sono vicine: l’80% degli italiani afferma di amare moltissimo i propri familiari, il 64% il proprio partner, il 22% i colleghi di lavoro. Il 26% ritiene di vivere in un territorio in cui la coesione sociale è forte, per il 64% è discreta, solo il 9% pensa che sia modesta. E soltanto il 10% pensa che l’onestà dei cittadini che abitano nel suo territorio sia scarsa. Il 59% degli italiani afferma che curare la propria spiritualità procura una buona dose di energia positiva. E si diffonde, sostiene il Censis, una sorta di ‘papafrancescanesimo’. “La figura del nuovo Papa sta risvegliando in molti l’interesse non solo per la fede, ma più in generale per la vita spirituale e il gusto per una certa frugalità nei consumi”.

Un’attitudine che comincia a riflettersi anche nella giornata lavorativa, profilando un futuro di minor competizione e maggior collaborazione: il 35% degli imprenditori italiani ritiene che collaborare bene con i colleghi darebbe molta carica, come anche quasi il 31% degli artigiani. “Potrebbe farsi strada una nuova cultura imprenditoriale, più collaborativa, in grado di essere trainante per il paese, se prevarrà la voglia di riscoprire l’altro come alleato e non come competitor”, è la chiosa del Censis.

Ma non è tutto rose e fiori, ancora. Oggi l’85% si dice preoccupato e il 71% indignato, e solo il 26,5% dice di sentirsi frustrato e il 13% disperato. Al contrario, il 59% degli italiani si sente vitale (e anche il 48% degli over 65 anni). Le preoccupazioni e l’indignazione, non solo non si sono mutate in frustrazione e disperazione, ma non hanno indebolito la vitalità individuale. Il Paese è tutt’altro che spento. Semmai è in attesa di un segnale: il 46% degli intervistati ammette di trovarsi nella condizione in cui vorrebbe fare qualcosa, ma non sa che cosa.

“Nel paese si prepara una reazione al degrado antropologico conclude il Censis-, una reazione che però aspetta di essere incanalata e condotta. La spinta ideale mostra di avere sufficiente energia per far sì che il ritorno del pendolo sia un percorso evolutivo e non involutivo. Ma si avverta l’assenza di una regia che coaguli tutte queste energie: oggi il 67% degli italiani non si sente rappresentato da nessuno”.