Archivi giornalieri: 27 maggio 2013

Malattie professionali

Importante risultato dell’Inca Cgil in tema di malattie professionali

Importante risultato del patronato Inca in tema di malattie professionali che ha visto riconosciuto un indennizzo ad un bancario per accertata tecnopatia causata da “overuse” del mouse del computer. Il patronato Inca Cgil da sempre particolarmente attento ed impegnato sul versante dei diritti dei lavoratori in special modo per ciò che riguarda la tutela della salute sui posti di lavoro, ha ottenuto un risultato positivo in una causa contro l’Inail ottenendo il riconoscimento della malattia professionale in un bancario affetto da sindrome pronatoria dell’arto superiore destro.

In un periodo di crisi economica in cui le malattie professionali  pur aumentando, molto spesso non vengono denunciate per paura di perdere il lavoro, i risultati positivi ottenuti dalla tutela individuale esercitata dal patronato della Cgil devono essere conosciuti e diffusi, sottolineano i compagni dell’Inca di Penne (Pe), cui si è rivolto l’impiegato di banca per ottenere il riconoscimento dei suoi diritti.

Nei giorni scorsi è divenuta definitiva la sentenza della Corte d’Appello dell’Aquila che confermando la sentenza di primo grado del Tribunale di Pescara ha riconosciuto P.T., dipendente della Caripe e addetto alla movimentazione titoli, affetto da “sindrome  da overuse”. La consulenza tecnica d’ufficio ha, infatti, stabilito che l’insorgenza della malattia è da ritenersi determinata da fattori “morbigeni” cui il dipendente è stato esposto nell’esercizio della sua abituale attività lavorativa.

La vicenda assume particolare rilievo perché si tratta del primo caso accertato in Italia e va incontro alle nuove esigenze di tutela delle malattie professionali che possono esser causate dall’uso massivo delle nuove tecnologie informatiche. Determinanti per la buona riuscita della sentenza anche le consulenze legali e medico legale dell’Inca Cgil di Pescara.

Ilva

Amianto – processo Ilva

Tre lavoratori dell’Ilva hanno testimoniato nel processo a carico di 29 ex dirigenti del Siderurgico di Taranto accusati di disastro colposo, omissione di cautele contro gli infortuni sul lavoro e altri reati in relazione alla morte di operai che lavoravano a contatto con l’amianto e altri cancerogeni, deceduti per malattie professionali.

Nell’elenco degli imputati ci sono Emilio Riva, suo figlio Fabio, il direttore dello stabilimento di Taranto e diversi ex dirigenti che hanno gestito il passaggio del siderurgico dalla gestione pubblica (Finsider e Partecipazioni Statali) a quella privata, avvenuta nel 1995 con la vendita dell’Ilva a Riva da parte dell’Iri.   

I tre testi ascoltati dal Tribunale hanno riferito in merito alla presenza di amianto all’interno del siderurgico  e sulle modalità delle lavorazioni. Secondo le testimonianze l’amianto era utilizzato per le coibentazioni sino agli inizi degli anni ’90, ma confermano la sua diffusione all’interno della fabbrica anche nel decennio successivo.

I lavoratori hanno raccontato anche di come venivano rivestite con teli di amianto le condotte, tubi lunghi dieci metri e con diametri che raggiungevano anche i cento pollici. Nel Reparto Rivestimenti si producevano mediamente 40-70 tubi al giorno e il teli  di amianto venivano avvolti bendando la condotta e tagliandoli a misura con una falce, la polvere che si alzava era tanta e i lavoratori raccontano che
sembravano coriandoli che brillavano al sole…. 

Le prossime udienze sono previste il 30 maggio e il 13 giugno.

Servizi sanitari

Indagine Acoi/Cittadinanzattiva: scorciatoie per velocizzare accesso ai servizi sanitari

La chiamata all’amico di fiducia che lavora in ospedale è la ”scorciatoia” scelta dal 10% degli italiani per velocizzare l’accesso ai servizi delle strutture pubbliche rispetto al canale classico e diretto dell”attesa in ambulatorio. A fotografare le modalità di accesso nelle strutture e la qualità del lavoro dei chirurghi italiani è la ricerca ”La settimana dell’ascolto” a cura della Fondazione chirurgo e cittadino (Fcc), patrocinata dall’Associazione dei chirurghi ospedalieri italiani (Acoi) e da Cittadinanzattiva.

Un’indagine su oltre 2.400 utenti che hanno usufruito delle cure chirurgiche, grazie ad un questionario inviato ad oltre 240 reparti corrispondenti a 200 aziende ospedaliere. Dallo studio emergono due situazioni contrapposte: da una parte i pazienti che hanno percorso la strada del contatto diretto con lo specialista attraverso una visita privata, anche in intramoenia (33,9%al Nord Ovest; 33,3% Nord Est; 44,5% al Centro; 43,8 Sud e Isole) o grazie all’amico che lavora all”interno (rispettivamente 6,5%; 8,2%; 9,8% e 12,6%).

Dall’altra invece chi si è rivolto all’ambulatorio divisionale (rispettivamente 59,7%; 58,5%; 45,7%; 43,6%). “Al Centro-Sud – evidenzia l”indagine – l’ingresso tramite visita privata o per ”amicizia” arriva a superare quello ambulatoriale: al centro il 54,3% e al sud il 56,4%”.

“Queste differenze territoriali – suggerisce la ricerca – evidenziano il ben noto fenomeno della maggiore capacità ricettiva delle strutture ospedaliere del Nord Italia. Mentre nel Centro-Sud i pazienti verosimilmente preferiscono rivolgersi a un professionista in forma privata e poi rientrare nel Servizio sanitario pubblico attraverso l’intermediazione del professionista o per ”amicizie” in ambiente sanitario”.

CEI

Cei – Il lavoro non è una questione economica, ma antropologica …

“L’alta percentuale di disoccupazione giovanile, la perdita del lavoro nella fascia adulta, le conseguenze economiche e il disorientamento psicologico sulle famiglie, la delusione a fronte di promesse di legalità sistematicamente disattese, l’inaccettabile sperequazione di risorse tra iper-garantiti e nuovi poveri, la condizione esposta degli immigrati, il degrado delle carceri”: sono i ”mali italiani” indicati dalla Cei e che figurano nel comunicato finale emesso al termine dei lavori della 65esima Conferenza Episcopale italiana.

“Pienamente condiviso”, si sottolinea, è stato “l’appello ai responsabili della cosa pubblica perché pensino al Paese e alla gente, senza ulteriori distrazioni né populismi inconcludenti e dannosi, ma ponendo ciascuno sul tavolo le migliori risorse di intelletto, di competenza e di cuore”. Nell’ambito della dottrina sociale della Chiesa, viene “avvertita l’esigenza di farsi coscienza critica della città degli uomini”, con la massima attenzione rivolta “a educare a nuovi stili di vita, sapendo che crescente è la fascia delle povertà”.

I vescovi, in ogni caso, esprimono “fiducia che dalla crisi si potrà uscire più saggi, maturando anche quella sobrietà intellettuale che prende le distanze tanto dall”indebita enfatizzazione della crescita continua, quanto dalla frammentazione della persona in un individualismo esasperato”.

”Bisogna tornare a una concezione dell”economia che non è solo tecnica finanziaria, logica dei mercati, modellistica”. Lo ha detto il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio per la Cultura.      ”Rispetto al Pil del pianeta – ha osservato Ravasi – la finanziarizzazione è 10 volte tanto, una marea in cui tutto è artificioso. E’ lì che viene buttato il giovane nella miseria. Ora però anche grandi economisti sostengono che l’economia deve tornare a essere una scienza umanistica. E anche quella del lavoro non è una questione economica è una questione antropologica”, ha concluso il cardinale Ravasi.

Riforma Fornero

La riforma Fornero va corretta …

“La forma del mercato del lavoro targata Fornero va corretta nelle parti che hanno dimostrato di non funzionare nel tempo della crisi. Non penso – ha detto Cesare Damiano (Pd) – che si debba affrontare il problema con una nuova riforma complessiva: il Paese è stanco di cambiamenti giudicati, di volta in volta, epocali che non producono gli effetti desiderati”.

“Bisogna innanzitutto coinvolgere le parti sociali, – prosegue Damiano – auspicando che trovino le necessarie convergenze attraverso il metodo degli “avvisi comuni”. Si può sicuramente correggere l’intervallo tra un contratto a termine e quello successivo, diminuendolo, per rendere più agevoli le assunzioni. Così come, per quanto riguarda l’apprendistato, il tetto degli sgravi previsto può essere innalzato oltre l’attuale soglia dei dieci dipendenti”.

“Infine, – conclude, l’esponente del Pd – per quanto riguarda la cosiddetta staffetta generazionale, la possiamo sicuramente favorire introducendo un criterio strutturale di accesso flessibile al pensionamento, ad esempio a partire dall’età di 62 anni avendo maturato 35 anni di contributi. Una norma che potrebbe favorire la contestuale assunzione di giovani”.

Pensioni

Spi Cgil – No alle penalizzazioni

Con le penalizzazioni alle quali pensa il Governo un lavoratore che andasse in pensione a 62 anni invece che a 66 potrebbe perdere in media circa 115 euro al mese per un totale annuo di 1.495 euro. Il calcolo arriva dallo Spi Cgil sulla base dell’ipotesi, in caso di anticipo di 4 anni rispetto all’età di vecchiaia, di un taglio dell’8% di una pensione di 1.532 euro. Questo si aggiungerebbe – dice lo Spi – a quello già operativo con la riduzione dei coefficienti (circa 93 euro al mese per chi va in pensione con il calcolo misto).

La pensione di base utilizzata per il calcolo 1.532 euro è, spiega lo Spi, quella di un operaio con 35 anni di contributi che va in pensione a 66 anni. Per chi decidesse di andare in pensione a 65 anni la perdita mensile sarebbe di 30 euro ai quali si sommerebbero i 29,50 già persi con la revisione dei coefficienti (i nuovi sono scattati a inizio 2013) mentre chi andasse in pensione a 64 anni perderebbe circa 60 euro oltre ai 56 già persi con la previsione dei coefficienti. Chi decidesse di uscire dal lavoro a 63 anni perderebbe 87 euro al mese oltre agli 80 già persi con la riduzione dei coefficienti.

”Non siamo contrari alla flessibilità – afferma il segretario generale dello Spi-Cgil, Carla Cantone – purchè non si parli di penalizzazioni ma di incentivi per favorire l’entrata in pensione, perchè se si punta esclusivamente su un modello penalizzante ancora una volta si finisce per scaricare tutto sui pensionati. Il problema degli esodati – ha concluso – va risolto cosi’ come bisognerà intervenire per favorire
l’ingresso dei giovani in un mercato del lavoro oggi pieno di
lavoratori anziani. Ma non si possono sommare errori ad altri
errori perchè sarebbe davvero insostenibile”.

 

Spi Cgil – 

Beni sequestrati

Cgil – La legge sui beni sequestrati presto alle Camere

La Cgil ha completato la raccolta di firme per il progetto di legge “Io
riattivo il lavoro”. ”Proprio in questi giorni presenteremo il progetto alle Camere: è una legge che punta a sancire come i beni sequestrati laddove ci siano delle attività produttive vengano messi nelle condizioni di continuare a dare lavoro”. Lo ha detto Susanna Camusso, intervenuta a Pesaro  ad un’iniziativa dal titolo “I Fiori della legalità”.

Per la segretaria della Cgil va sconfitta ”l’idea che la lotta alla criminalità organizzata riduca il lavoro. Al contrario rende il lavoro legale e più certo”. ”Noi – ha continuato – abbiamo chiesto il ripristino del falso in bilancio e a livello unitario abbiamo deciso di fare un salto nella lotta
all’evasione fiscale, connessa alla criminalità e alla illegalità: deve essere certo che chi evade possa finire nelle patrie prigioni e non considerare questo un reato minore. Sostenere il contrario è un invito all’illegalità”.