Archivi giornalieri: 10 maggio 2013

CIG Veneta

Cgil, in Veneto oltre 7 milioni di Cig straordinaria

E’ tornato l’incubo più nero, quello degli anni più duri della crisi. La cassa integrazione, che presenta valori crescenti mese dopo mese per tutto questo scorcio del 2013, ad aprile registra un forte balzo in avanti e si attesta a 11.369.838 ore, di cui ben 7.231.913 (ossia il 64% del totale) di cassa integrazione straordinaria, quella legata alle dichiarazioni di crisi aziendali, possibile anticamera di mobilità e licenziamenti. A denunciarlo è la Cgil del Veneto.

Un valore del genere è stato raggiunto solo nell’estate del 2010 che ridisegnò la mappa del Veneto produttivo con la sparizione di tante micro imprese che in parte rappresentavano il polmone flessibile delle aziende maggiori ed in parte svolgevano funzioni che vennero reintroitate nella grande impresa.

Nello stesso mese di aprile, anche nelle Marche si sono sfiorati gli 8 milioni di ore di cassa integrazione: è il picco massimo mai registrato dall’inizio della crisi. Si tratta in soprattutto di cassa integrazione straordinaria, legata al perdurare della difficile congiuntura: ne sono colpiti tutti i principali settori manifatturieri.

Dai dati resi noti dall’Inps ed elaborati dall’Ires Marche, risulta che ad aprile 2013 sono stati richiesti nelle Marche 7,9 milioni di ore di cig, di cui 1,5 milioni di cig ordinaria, 6,3 milioni di cigs e 91mila di cig in deroga. Le ore autorizzate sono raddoppiate rispetto all’aprile 2012 e sono triplicate rispetto al mese di marzo 2013.

Disabili

Disabili – Cgil, dopo le parole dare seguito con fatti concreti

In risposta ad in intervento del presidente del Senato, Grasso, che in un incontro con le associazioni dei disabili, ha auspicato che “le assemblee parlamentari mettano nelle proprie agende il tema dei diritti delle persone diversamente abili, della loro promozione e del loro riconoscimento, in ogni forma”, la responsabile nazionale per le politiche della disabilità della Cgil, Nina Daita, ha sottolineato come “Il richiamo di Grasso sia giusto e assolutamente condivisibile, ma deve dare seguito a fatti e azioni concrete, a partire dallo stanziamento di risorse adeguate per favorire quel processo di inclusione dei disabili nella vita quotidiana che la crisi e le passate e scellerate politiche hanno reso sempre più difficile.

“Ringraziamo – prosegue la dirigente sindacale – il presidente del Senato a nome di tutte le lavoratrici e i lavoratori disabili che appresentiamo: le sue parole rappresentano l’avvio della ricostruzione di un clima decisamente diverso da quello degli ultimi anni”. Parole però, aggiunge Daita, “che devono dare seguito ad azioni, a partire dal fatto che già nella prossima manovra ci siano congrue risorse economiche sui temi del lavoro a favore dei disabili che registrano livelli di occupazione decisamente bassi”. Così come, continua, “bisogna intervenire sul fondo per l’inclusione dei lavoratori disabili la cui soppressione è stata un atto inqualificabile, innervato di un cinismo estremo. Una ferita da sanare al più presto, perché alle persone con disabilità venga riconosciuto pienamente l’insostituibile diritto di essere pienamente cittadini, protagonisti – conclude Daita – della costruzione del bene comune”.

Tumori

Tumori: residenti aree a rischio più esposti dei lavoratori

Nelle aree considerate a rischio inquinamento gli abitanti sono più esposti ad alcune patologie tumorali rispetto ai lavoratori che operano all’interno di  fabbriche e stabilimenti. L’indicazione è emersa incrociando i dati di due studi, uno condotto da Asp di Siracusa ed Istituto superiore di sanità ed un altro della stessa Asp iracusana con l’Università di Catania, che sono stati illustrati nel corso dei lavori della 38/ma riunione del Gruppo per la registrazione e l’epidemiologia del cancro nei paesi di lingua Latina  (Grell), dell’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc) e dell’Organizzazione mondiale della sanità.

Il primo studio, condotto su alcune zone del polo industriale siracusano, ha evidenziato ad Augusta un’incidenza superiore del 20% di alcune patologie tumorali rispetto ai 275 nuovi casi l’anno per 100 mila abitanti, dato questo standardizzato a livello mondiale.

Il secondo studio ha comparato gruppi di lavoratori ed evidenziato che, a parità di tempo di esposizione a possibili fattori di rischio ed a parità di mansioni svolte, l’incidenza di alcune gravi patologie praticamente si dimezza per quei lavoratori che risiedono lontano dal luogo di lavoro.

Boldrini

Boldrini, senza coesione sociale giovani a rischio

“Abbiamo bisogno” di più solidarietà e non di meno solidarietà tra gli Stati e all’interno di essi, e di più solidarietà tra le generazioni. Abbiamo bisogno di riforme del lavoro che combattano la precarietà anziché estenderla” e “dobbiamo prendere atto degli effetti delle misure di austerità per rispondere alla richiesta di cambiamento nelle politiche, prima che sia troppo tardi”.

Lo ha detto la presidente della Camera Laura Boldrini, in un passaggio del suo intervento al summit ”The State of the Union”, in corso a Firenze, osservando che “se non facciamo questi passi, la coesione sociale dell’Europa è a rischio e i nostri giovani potrebbero essere considerati in futuro come la generazione perduta d’Europa”.

“L’Europa del Sud, il mio Paese, l’Italia, come anche Grecia, Spagna e Portogallo -ha sottolineato la Boldrini- ha bisogno di più welfare e non di meno welfare per contrastare gli effetti della crisi e consentire alle persone di rimettersi in piedi, e creare un futuro migliore per sè, per i loro Paesi e l’intera Europa”

Crisi

Crisi, guardare a lungo termine e non solo all’emergenza

Troppo spesso il Paese si è dedicato solo all’emergenza mentre invece bisognerebbe pensare anche agli obiettivi di lungo termine. Lo ha detto il ministro del Lavoro Enrico Giovannini intervenendo al Forum organizzato dalla Cassa di previdenza dei commercialisti.

Secondo Giovannini è essenziale che l’azione del governo si fonda su 3 principi ”la sostenibilità finanziaria a lungo termine, l’equità rispetto
alle generazioni future e l’adeguatezza, non solo delle prestazioni ma anche della P.A. in generale”.

”L’azione di vigilanza, ha detto Giovannini facendo riferimento agli enti di previdenza privatizzati, deve guardare alla sostenibilità finanziaria a lungo termine, all’equità rispetto alle generazioni future e all’adeguatezza. Sono tre parole, ha proseguito, che devono essere al centro dell’azione di qualsiasi governo. Sono sfide che il paese in passato non ha tenuto in debito conto”. Secondo Giovannini se la prospettiva di lungo termine viene dimenticata e la coesione sociale viene messa da parte la sostenibilità del sistema non è più assicurata. ”Il primo vincolo indispensabile per la società  –  ha detto ancora – è la questione sociale senza la quale il Paese non ha futuro”.

Malattia professionale

Patologie professionali delle unghie: malattia professionale o infortunio?

Le patologie professionali delle unghie sono alterazioni prodotte o aggravate dal lavoro e possono colpire lavoratori di ogni tipo, sesso ed età. Si tratta di segni frequenti anche se spesso non molto specifici.

A maggior rischio sono i lavoratori dell’industria manifatturiera, gli alimentaristi, gli edili, i metalmeccanici, i lavoratori dell’industria siderurgica, i tipografi e gli agricoltori.

Le patologie ungueali professionali possono essere schematicamente suddivise in base alle cause ossia:
1) meccaniche,
2) chimiche,
3) fisiche,
4) infettive.
Negli operai le malattie professionali delle unghie causate da agenti meccanici o chimici sono spesso conseguenza di traumi ripetuti a livello della matrice e/o della lamina ungueale. I sintomi solitamente sono presenti su una o più unghie. 

Fra le alterazioni ungueali di tipo chimico ricordiamo quelle  da leghe e composti di tallio nei   lavoratori addetti alla fabbricazione di semiconduttori, alla preparazione di farmaci e di medicamenti topici, ed all’industria cosmetica.

n 14° 2013 numero newsletter.doc

Canne al vento di Grazia Deledda – Capitolo VIII° –

Capitolo ottavo

Era un giovedì sera e l’usuraia non filava per timore della Giobiana, la donna del giovedì, che si mostra appunto alle filatrici notturne e può loro cagionare del male.

Pregava, invece, seduta sullo scalino della porta sotto la ghirlanda della vite argentea e nera, alla luna: e ogni volta che guardava intorno le sembrava ancora di vedere, qua e là sulla muraglia dei fichi d’India, gli occhi di Efix verdi scintillanti d’ira. Eran le lucciole.

Eran le lucciole: ma anche lei credeva alle cose fantastiche, alla vita soprannaturale degli esseri notturni e ricordava che da ragazzetta, quando era povera e andava a chieder l’elemosina ed a raccogliere sterpi sotto le rovine del castello, e la fame e la febbre di malaria la perseguitavano come cani arrabbiati, una volta mentre scendeva fra i ciottoli, acuti come coltelli, in faccia al sole cremis fermo sopra i monti violetti di Dorgali, un signore l’aveva raggiunta, silenzioso, toccandola per la spalla. Era vestito di colore del sole e dei monti, e il viso si rassomigliava a quello di un figlio di don Zame Pintor morto giovane.

Ella lo aveva subito riconosciuto: era il Barone, uno dei tanti antichi Baroni i cui spiriti vivevano ancora tra le rovine del Castello, nei sotterranei scavati entro la collina e che finivano nel mare.

«Ragazza», le disse con voce straniera, «corri dalla Maestra di parto, e pregala di venir su stanotte al Castello, perché mia moglie, la Barona, ha i dolori. Corri, salva un’anima. Tieni il segreto. Prendi questo.»

Ma Kallina tremava sostenendosi al suo fascio di legna che contro il sole cremis le pareva una nuvola nera; non poté quindi stendere la manina e le monete d’oro che il Barone porgeva caddero per terra.

Egli sparve. Ella buttò il fascio, raccolse i denari paurosa come l’uccellino che becca le briciole e scappò via agile saltellante; ma la Maestra di parto, sebbene vedesse le monete calde umide entro i pugni ardenti di lei, le sputacchiò sul viso per toglierle lo spavento e le disse ridendo:

«Vai che hai la febbre e il delirio; le monete le avrai trovate. Se ne trovano ancora, sotto il Castello. Dammele, che te le farò fruttare».

Kallina gliele diede; solo ne tenne una col buco e se la mise al collo infilata ad un correggiuolo rosso.

«Andate», disse alla donna. «Salvate un’anima. Voi fingete di non crederci perché io tenga il segreto. Ma lo terrò lo stesso.»

E cadde a terra come morta.

La levatrice si ostinò finché visse a dire ch’era stata un’illusione della febbre; ma si sa, ella diceva, questo perché Kallina tenesse il segreto.

Le monete intanto fruttavano: fruttavano tutti gli anni sempre più come i melograni che ella vedeva laggiù verdi e rossi intorno al cortile di don Predu Pintor.

Una sera poi aveva provato, vecchia com’era, la stessa impressione di gioia e di terrore di quella volta. Un giovane signore le era apparso, tale e quale il Barone. Era Giacinto. E ogni volta che lo vedeva, si rinnovava in lei quel senso di vertigine, il ricordo confuso d’una vita anteriore, antica e sotterranea come quella dei Baroni nel Castello.

Eccolo che viene. Alto, nero, col viso bianco alla luna, entra, siede accanto a lei sulla soglia.

«Zia Kallina», disse una voce straniera, «perché avete raccontato i miei affari al servo?»

«È lui che ha voluto. Mi ha aggredita e voleva uccidermi.»

«Uccidervi? Per così poco? Oh, quell’uomo e le mie zie fanno tanto strepito per delle miserie, mentre c’è gente, laggiù, che fa debiti per milioni e nessuno lo sa!»

Ma alla vecchia non importava nulla della gente di laggiù.

«Ho dovuto prendere il palo per difendermi! Intende, vossignoria? Il servo è feroce: non si fidi!»

Giacinto stette un momento immobile, guardandosi le mani su cui cadeva l’ombra tremula d’un riccio di vite. Poi trasalì.

«Non mi fiderò. Anzi voglio partire. Non posso più vivere, qui… Anzi, guadagnerò: fra quaranta giorni vi restituirò tutto, fino all’ultimo centesimo. Adesso però mi dovete dare i soldi per il viaggio. Vi rilascerò un’altra cambiale.»

«Firmata da chi?»

«Da me!», egli disse risoluto. «Da me! Fidatevi. Salvate un’anima. Su, presto! E tenete il segreto.»

Le tocco la spalla come il Barone, ed ella s’alzò e andò a prendere i denari dalla cassa: due biglietti da cinquanta lire che palpò a lungo, guardandoli attraverso la luna e pensando che per il viaggio di Giacinto bastava uno. Così l’altro lo ripose. La luna alta sul finestrino sopra la cassa mandava un nastro d’argento fino al suo petto legnoso, e dalla scollatura della camicia si vedeva la moneta d’oro infilata nel correggiuolo diventato nero.

Giacinto non rimase contento. Cos’era quel foglietto sottile in paragone dei tesori dei grandi signori del Continente? Ma come l’usuraia diceva di non voler la cambiale, egli capì che ella gli faceva una elemosina, e provò un’angoscia insostenibile: gli parve d’essere ancora nell’anticamera del capitano di porto, immobile ad aspettare.

«Allora non più tardi di domani ve li restituirò», promise alzandosi.

E andò dal Milese per dirgli che l’indomani partiva.

Anche là, attraverso la porta si vedeva il cortile bianco e nero di luna e dell’ombra del pergolato: la suocera seduta sulla sua scranna da regina primitiva non filava per rispetto alla Giobiana, chiacchierando con la figlia febbricitante e con le serve pallide sedute per terra appoggiate al muro.

«Mio genero è uscito un momento fa; dev’essere andato da don Predu», disse a Giacinto. «E le zie di vossignoria stan bene? Le saluti tanto e le ringrazi per il regalo che han mandato a mio fratello il Rettore.»

«Le susine nere!», disse una serva golosa. «Natòlia, corfu ‘e mazza a conca, se le ha mangiate tutte di nascosto.»

«Se me ne dà ancora, don Giacì, vengo giù al podere con lei» disse Natòlia provocante.

«Vieni pure», egli rispose, ma la sua voce era triste; e sebbene la vecchia padrona ammonisse:

«Ognuno deve andare coi pari suoi, Natòlia!», quando fu nella strada, egli sentì che le donne ridevano parlando di lui e di Grixenda.

Sì, bisognava partire, andare in cerca di fortuna.

Per non ripassare davanti alla casa della fidanzata, scese un viottolo, poi un altro, fino ad uno spiazzo su cui guardavano le rovine d’una chiesa pisana.

L’euforbia odorava intorno, la luna azzurrognola splendeva sul rudero della torre come una fiamma su un candelabro nero, e pareva che in quell’angolo di mondo morto non dovesse più spuntare il giorno. Ma subito dietro lo spiazzo biancheggiava fra i melograni e i palmizi, simile a un’abitazione moresca, con porte ad arco, logge in muratura, finestre a mezza luna, la casa di don Predu.

Attraversando il grande cortile ove luccicavano alla luna larghi graticolati di canna su cui di giorno s’essiccavano i legumi adesso coperti da stuoie di giunco, Giacinto vide la grossa figura di suo zio e quella smilza del Milese immobili sullo sfondo dorato d’una porta preceduta da un portico. Bevevano, seduti nella queta stanza terrena, con le gambe accavallate e il gomito sullo spigolo del tavolo: e tutti e due, l’uomo grasso e l’uomo magro, sembravano contenti della vita.

«Bevi, bevi!», dissero assieme porgendo a Giacinto il loro vino; ma egli respinse assieme i due bicchieri.

«Stai male, che non bevi?»

«Sto male, sì.»

Però non disse che male, tanto quei due non l’avrebbero capito.

«Tua zia Noemi t’ha bastonato?»

«Grixenda non ti ha baciato abbastanza? Corfu ‘e mazza a conca», disse il Milese ripetendo l’imprecazione della serva golosa.

«Ohuff!», sbuffò Giacinto appoggiando i gomiti al tavolino per stringersi la testa fra le mani; e come la sua spalla tremava, don Predu gliela guardò, sbiancandosi lievemente in viso; e quella spalla convulsa parve dargli tale noia che si alzò e vi posò la mano dicendo:

«Usciamo, andiamo a prendere il fresco».

Andarono a prendere il fresco; i loro passi risuonavano nel silenzio come quelli della ronda notturna. Gira e rigira anche Giacinto fu preso dall’allegria un po’ amara de’ suoi compagni.

«Andiamo a teatro, zio Pietro? A quest’ora nelle città del Continente comincia la vita e il divertimento. Davanti ai teatri passano tante carrozze, come un fiume nero. Si vedono persino delle signore in giro ancora coi cagnolini…»

Il Milese rise tanto che gli venne il singhiozzo. Don Predu era più riserbato, ma il suo sorriso, a guardarlo bene, tagliava come un coltello.

«E tornatene là, allora! E portati dietro Grixenda come un cagnolino.»

«Ohuff! Come siete stupidi, in questo paese.»

«Non come nel tuo, però.»

Egli tacque, ma dopo riprese:

«Perché mi chiamate stupido? perché ho buon cuore? Perché vorrei passar bene la gioventù? E voi, che fate? È vita, la vostra? Che vita è la tua? Non vuoi bene neanche a tua moglie malata. E voi, zio Pietro? Che vita è la vostra? Accumulare i denari, come le fave sulla stuoia, per darle poi ai porci. Non volete bene a nessuno, neanche a voi stesso».

I due amici s’urtavano sorridendo.

«Sei malato davvero, stanotte: male di borsa.»

«La mia borsa è più colma della vostra! Andiamo nella bettola e vedrete», egli disse arrossendo nell’ombra.

«Tu non hai voluto bere con noi! Neppure se ti vedo morire accetto il tuo vino!»

Tuttavia finirono nella bettola quasi deserta; solo due uomini giocavano silenziosi e un terzo guardava ora le carte dell’uno ora le carte dell’altro, ma a un cenno di don Predu si avvicinò ai nuovi venuti e tutti e quattro sedettero intorno a un altro tavolo.

Il bettoliere, un piccolo paesano che pareva un ebreo della Bibbia, col giustacuore slacciato sulle brache orientali, portò il vino in un boccale levantino e depose una lucerna di ferro nero in mezzo alla tavola; e il Milese con la testa reclinata a destra mescolò pensieroso le carte guardando ora l’uno ora l’altro dei suoi compagni.

«Quanto la posta?»

«Cinquanta lire», rispose Giacinto.

Trasse il biglietto dell’usuraia. Perdette.

Sulla lucerna nera la fiammella azzurrognola immobile pareva la luna sul rudero della torre.


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Malattia professionale o infortunio?

Patologie professionali delle unghie: malattia professionale o infortunio?

Le patologie professionali delle unghie sono alterazioni prodotte o aggravate dal lavoro e possono colpire lavoratori di ogni tipo, sesso ed età. Si tratta di segni frequenti anche se spesso non molto specifici.

A maggior rischio sono i lavoratori dell’industria manifatturiera, gli alimentaristi, gli edili, i metalmeccanici, i lavoratori dell’industria siderurgica, i tipografi e gli agricoltori.

Le patologie ungueali professionali possono essere schematicamente suddivise in base alle cause ossia:
1) meccaniche,
2) chimiche,
3) fisiche,
4) infettive.
Negli operai le malattie professionali delle unghie causate da agenti meccanici o chimici sono spesso conseguenza di traumi ripetuti a livello della matrice e/o della lamina ungueale. I sintomi solitamente sono presenti su una o più unghie. 

Fra le alterazioni ungueali di tipo chimico ricordiamo quelle  da leghe e composti di tallio nei   lavoratori addetti alla fabbricazione di semiconduttori, alla preparazione di farmaci e di medicamenti topici, ed all’industria cosmetica.

n 14° 2013 numero newsletter.doc

Aspi-mobilità

Dell’Aringa, possibile rinvio riforma Aspi-mobilità

Il rinvio della parte della riforma del lavoro che prevede il passaggio dalla mobilità all’Aspi (con l’eliminazione dal 2017 della prima) “è una possibilità”. ”Il rinvio è  possibile – dice – in relazione alla gravità del fenomeno”. Bisogna pensare a un sostegno del reddito.

Più volte in questi mesi la Cgil ha chiesto al Governo di rinviare la parte sul passaggio dalla mobilità all’Aspi (la nuova assicurazione contro la disoccupazione) al momento in cui partirà la ripresa economica perché altrimenti molti lavoratori che perdono il lavoro ma restano lontani dalla pensione potrebbero trovarsi in difficoltà.

L’Aspi, partita quest’anno per sostituire a regime nel 2017 tutte le indennità di disoccupazione e quella di mobilità, ha una durata più lunga del sussidio di disoccupazione esistente fino al 2012 ma più corta della mobilità che per gli over 50 del Sud poteva arrivare fino a 4 anni (saranno 18 mesi per gli over 55 con l’Aspi a regime nel 2017, 12 mesi per chi è sotto la soglia dei 55 anni).

Cassazione

La Cassazione sugli infortuni mortali in itinere

Anche quando a causare la morte di un lavoratore è un evento indiretto all’infortunio professionale, l’Inail non può sottrarsi dal riconoscimento della rendita ai superstiti. E’ questo in estrema sintesi il contenuto della sentenza della Corte di Cassazione del 7 maggio, chiamata a pronunciarsi su un ricorso sollecitato dallo stesso Istituto assicuratore, contro un il pronunciamento della Corte d’Appello di Catanzaro, con il quale l’Inail era stato condannato a pagare la rendita agli eredi di una persona, vittima di un incidente sul lavoro, morto per una epatite cronica, contratta a seguito di tre trasfusioni di sangue eseguite durante l’intervento chirurgico resosi necessario per curare le fratture provocate dall’infortunio.  

Per l’Alta corte il ricorso Inail è infondato poiché, afferma: “in materia di infortuni sul lavoro e di malattie professionali, trova diretta applicazione la regola contenuta nell’articolo 41 del Codice Penale, per cui il rapporto causale tra evento e danno è governato dal principio dell’equivalenza delle condizioni, in forza del quale va riconosciuta l’efficienza causale ad ogni antecedente che abbia contribuito, anche in maniera indiretta e remota, alla produzione dell’evento”. 

In sostanza, per l’Alta Corte, se la vittima sul lavoro non fosse stata costretta a sottoporsi a trasfusioni per curarsi dai danni provocati dall’incidente in itinere, nulla sarebbe accaduto e l’Inail, avendo già riconosciuto l’origine professionale dell’accaduto, avrebbe dovuto pagare la rendita ai legittimi eredi. 

Prima della Cassazione, già due volte il Tribunale di Catanzaro si era espresso in tal senso riconoscendo il nesso di causalità tra l’evento morte e il lavoro, ma l’Inail, nei due gradi di giudizio precedenti, si è opposto sostenendo che “il decesso fosse riconducibile ad un pregresso contagio da epatite per le conseguenze di una emotrasfusione, erroneamente ricondotte a causa lavorativa”. Il tentativo dell’Inail, in buona sostanza, è stato quello di ricondurre alla sola negligenza degli operatori sanitari, che hanno effettuato le emotrasfusioni, la causa del decesso.     

Per l’Alta Corte, invece, la concatenazione degli eventi non interrompe il nesso causale, da qui la decisione di respingere la richiesta dell’Inail di annullare le sentenze del Tribunale di Catanzaro e della Corte d’appello territoriale. 

“Si tratta di una sentenza importante – spiega Franca Gasparri, della presidenza dell’Inca – che rafforza il principio di una estensione della tutela delle vittime del lavoro che deve comprendere tutte le conseguenze di un infortunio o di una malattia professionale dirette e indirette, mettendo al centro il valore dei diritti nell’accezione più ampia”. 

Amianto

Amianto: oggi, convegno Inca Cgil a Milano su problematiche medico-legali aperte

Si svolge oggi a Milano un convegno su “Amianto: problematiche medico-legali aperte”, presso la sala NH CONCORDIA, in via L. Lama, 10 – Sesto San Giovanni.

Il programma dell’iniziativa,  promossa dalla Scuola italiana di formazione e ricerca in medicina di famiglia, in collaborazione con l’Inca Cgil Lombardia, prevede:

alle ore 9.30 la presentazione del corso con Giampiero Cassina, medico del lavoro di Inca Bergamo;

seguiranno le relazioni su:

“I meccanismi onco-patogenetici delle fibre di amianto” della prof. ssa Bice Fubini, chimica generale, facoltà di Farmacia Università di Torino;

“Mesotelioma e ricerca genomica”, con la prof.ssa Irma Dianzani, patologia genetica Università Piemonte orientale;

“Stato delle conoscenza epidemiologiche sulle patologie neoplastiche amianto-correlate diverse da quelle pleuro-polmonari”, con il professor Alessandro Marinaccio, ricercatore del dipartimento Medicina del lavoro, lab. Epidemiologia Inail di Roma;

“L’esposizione ad amianto nei settori produttivi” con il dott. Carlo Sala, già dirigente UO Rischio chimico e Epid. Ambientale Arpa Lombardia;

“Casistica Inail in tema di amianto e nesso di causa”, con la dott.ssa Tiziana Taroppio. dott. Lorenzo Polo – Inail Milano;

“Amianto e mesotelioma: ruolo dell’esposizione su rischio e latenza”, del prof. Corrado Magnani – Dipartimento prevenzione secondaria tumori – AO “Maggiore della Carità” di Novara;

“Sinergia fra amianto e fumo di sigaretta nel tumore polmonare”, con il prof. Corrado Magnani – Dipartimento Prevenzione secondaria tumori – AO “Maggiore della Carità” di Novara.

Nel pomeriggio, alle ore 15.45 si svolgerà una tavola rotonda con gli interventi di Marta Clemente, Inail Milano Sabaudia, Marco Bottazzi, Inca nazionale e Carolina Mensi, del registro Mesoteliomi Lombardia.