Archivi giornalieri: 20 maggio 2013

CIG

Cgil, quasi 9 milioni le persone in difficoltà

Studio Ires, 4,17 milioni tra disoccupati, scoraggiati e in Cig

Cresce l’area della difficoltà nel lavoro e ormai sfiora i 9 milioni di persone: nell’ultimo trimestre 2012 – calcola l’Ires-Cgil – l’area della sofferenza occupazionale (disoccupati, scoraggiati e in cig) interessava 4,57 milioni di persone (+16,6%) mentre quella del disagio (precari e part time involontario) superava 4,17 milioni.

Nel quarto trimestre 2012 – dice il presidente dell’Associazione Bruno Trentin, Fulvio Fammoni – l’area della sofferenza e quella del disagio occupazionale nel complesso sommano 8 milioni e 750.000 persone in età da lavoro (+10,3% sullo stesso periodo del 2011 con 818.000 persone in più in difficoltà). Rispetto all’ultimo trimestre del 2007, sottolinea lo studio Ires sulla base di dati Istat, l’area è cresciuta di 2,8 milioni di persone con un 47,4% in più.

L’area della sofferenza occupazionale (disoccupati, scoraggiati e cassa integrati) aumenta di 650.000 unità, (+16,6%) arrivando a quota 4 milioni 570 mila persone. L’aumento rispetto al periodo pre crisi (ultimo trimestre 2007) è di 1,9 milioni di persone (+70,1%).

L’area del disagio (precari e part time involontario) pari nell’ultimo trimestre 2012 a 4 milioni e 175 mila unità aumenta del 4,2% (+168.000 persone) e del 28,6% rispetto allo stesso trimestre del 2007 (+927.000 unità).   Il tasso di disoccupazione cresce su tutte e tre le ripartizioni territoriali ma nel Mezzogiorno è più marcata e si attesta al 18.3% (dal 14,9% di un anno prima). Aumenta anche la disoccupazione tra i lavoratori stranieri e raggiunge il 15.4%. Aumenta la disoccupazione giovanile (15-24 anni con tassi che al Sud superano il 46% per gli uomini e il 56,1% per le donne e la disoccupazione di lunga durata (raggiunge ormai il 54.8% del totale a fronte del 50,6% nel quarto trimestre 2011).

L’Ires ricorda come sia ampia in Italia l’area dell’inattività e come questo consenta a fronte di un basso tasso di occupazione di avere un tasso di disoccupazione sostanzialmente in linea con la media europea.  Il tasso di disoccupazione nel nostro Paese, sottolinea il Rapporto, ”non misura la dimensione reale della platea di chi vorrebbe lavorare” soprattutto quando la crisi economica moltiplica le posizioni border line di quanti si collocano in prossimità del mercato senza prendervi parte attiva. Le forze lavoro ”potenziali” ovvero coloro che non cercano lavoro ma sono
disponibili oppure lo cercano ma non sono immediatamente disponibili a lavorare hanno raggiunto nell’ultimo trimestre 2012 i 3 milioni 229.000 persone (il 12,5% in rapporto alla forza), ”un primato europeo”, sottolinea la Cgil.

Retribuzioni top manager

Fisac Cgil, cresce forbice diseguaglianze, serve tetto retribuzioni top manager

“Una forbice che cresce, allargando senza freni le diseguaglianze, producendo un rapporto di 1 a 163 tra la retribuzione media di un lavoratore dipendente (pari a 26 mila euro lordi) e il compenso, sempre medio, degli amministratori delegati e dei top manager (pari a 4 milioni e 326 mila euro)”.

E’ quanto emerge da un aggiornamento del rapporto sui salari 2012 presentato oggi dal segretario generale della Fisac, Agostino Megale, nel corso di un’iniziativa della Cgil Roma e Lazio. Per il leader della categoria del credito della Cgil, i numeri del rapporto sottendono “un distacco enorme che richiede subito una legge che imponga un tetto alle retribuzioni dei top manager”. Infatti, osserva, “in questi sei anni di crisi il potere d’acquisto dei salari e delle pensioni si è più che dimezzato mentre non hanno subito alcuna flessione i compensi dei top manager, così come nessuna incidenza ha subito quel 10% di famiglie più ricche, determinando e incrementando la vera forbice delle diseguaglianze”. Infatti dallo studio emerge che “il rapporto tra retribuzione lorda di un lavoratore dipendente e compenso medio di un top manager è attualmente di 1 a 163 mentre era nel 1970 di 1 a 20”.

www.fisac-cgil.it

Save the children

Save the children – Il furto di futuro ai danni dei minori italiani

Quattro le principali e più pesanti “ruberie” commesse a spese del nostro ben poco considerato “giovane capitale umano”: il taglio dei fondi per minori e famiglia – con l’Italia al 18esimo posto nell’ Europa dei 27 per spesa per l’infanzia e famiglia, pari all’1,1% del Pil; la mancanza di risorse indispensabili per una vita dignitosa – dunque “furto” di cibo, vestiti, vacanze, sport, libri, mensa e rette scolastiche e universitarie: quasi il 29% di bambini sotto i 6 anni, pari a 950.000 circa – vive ai limiti della povertà tanto che il nostro paese è al 21esimo posto in Europa per rischio povertà ed esclusione sociale fra i minori 0-6 anni, e il 23,7% vive in stato di deprivazione materiale; il furto d’istruzione: Italia 22esima per giovani con basso livello d’istruzione – il 28,7% tra i 25 e i 34 anni (1 su 4), per dispersione scolastica, pari al 18,2% di under 25; (1 su 5); Italia all’ultimo posto per tasso di laureati, il 20% dei giovani fra 30 e 34 anni, pari a 760.000; furto di lavoro: i giovani disoccupati sono il 38, 4% degli under 25, il quarto peggior risultato a livello europeo mentre i NEET (giovani che non lavorano e non sono in formazione) sono 3 milioni e 200.000 e posizionano il nostro paese al 25esimo posto su 27.
 
E’ il drammatico scenario che emerge dal nuovo dossier di Save the Children “L’isola che non sarà” diffuso oggi insieme alla indagine “Le paure per il futuro dei ragazzi e genitori italiani”1 e realizzata per l’Organizzazione da Ipsos, in occasione del lancio della campagna Allarme infanzia, a sostegno dell’infanzia a rischio in Italia. Attraverso di essa, dal 20 maggio al 5 giugno l’Organizzazione denuncerà il gravissimo deficit di futuro delle giovani generazioni e chiederà una massiccia mobilitazione dell’opinione pubblica affinché le istituzioni mettano in campo interventi urgenti e strutturali in favore di minori e giovani, sempre più minacciati nel diritto ad una vita dignitosa.

www.savethechildren.it

ILO

Ilo/Cgil-Cisl-Uil: siglati accordi per protezione lavoratori migranti

Accordi di cooperazione fra Cgil, Cisl e Uil e i sindacati della Moldavia e Ucraina che impegnano i firmatari a promuovere e a proteggere i diritti dei lavoratori migranti coerentemente con le Convenzioni delle Nazioni Unite e dell’Ilo. Sono stati firmati al termine di un workshop di due giorni, organizzato dall’organizzazione internazionale del lavoro nella capitale moldava Chisenau.

“L’Italia ha ratificato le Convenzioni Ilo n. 97 e 143 sui lavoratori migranti e la 189 sui lavoratori domestici, la Moldavia ha ratificato solo la Convenzione n.97 e l’Ucraina deve ancora ratificare tutte e tre le norme internazionali”, spiega l”Ilo in una nota. “La promozione della ratifica e la piena osservanza e applicazione di questi strumenti normativi è un aspetto centrale degli accordi: i rappresentanti dei sindacati italiani hanno chiaramente ribadito che gli accordi si applicano a tutti i lavoratori migranti indipendentemente dal loro status, in quanto essi si riferiscono ai diritti umani e del lavoro fondamentali”.

I documenti si basano su un modello di accordo di cooperazione sviluppato dall’ufficio dell’Ilo per le attività dei lavoratori (Acitrav). L’iniziativa fa parte di un più ampio progetto finanziato dall’Ue sul tema della efficace governance della migrazione per lavoro attuato dall’Ilo in partenariato con l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim). Anche i rappresentanti dei sindacati russi presenti al workshop hanno annunciato la loro intenzione di sviluppare accordi di questo tipo con i sindacati moldavi e ucraini.

Stress da lavoro

Salute: stress da lavoro. Per il 70% degli italiani la precarietà è tra le cause principali

Per sette lavoratori su 10 in Italia le cause principali dello stress da lavoro sono la precarietà o la riorganizzazione dell’impiego, seguite dalle ore o dal carico di lavoro (65%), dalla mancanza di supporto da parte di colleghi o superiori (63%), dalla poca chiarezza di ruoli e responsabilità (63%) e da comportamenti inaccettabili come il bullismo o le molestie (62%).

Questi i principali risultati- per il nostro Paese – della terza edizione del sondaggio d”opinione paneuropeo condotto dalla Ipsos Mori per conto dell’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro (Eu-Osha) in 31 nazioni europee, gli attuali 27 Stati membri dell’Ue insieme a Islanda, Liechtenstein, Norvegia e Svizzera, come si legge su ”Lavoro in sicurezza”, periodico dell’Inail.

Le risposte dei lavoratori italiani – si legge sul periodico – riflettono le opinioni raccolte nel resto d”Europa. La precarietà dell’impiego o la riorganizzazione del lavoro, infatti, sono considerate le cause più comuni di stress legato al lavoro in tutto il continente. Oltre la metà (51%) del campione interpellato, attraverso 16.622 interviste realizzate tra il 23 novembre e il 5 febbraio, ritiene inoltre che lo stress da lavoro sia comune nel proprio luogo di lavoro, mentre il 16% degli intervistati lo ritiene ”molto comune”.

Le lavoratrici, rispetto ai colleghi maschi, sono più propense a considerare lo stress un fenomeno comune (54% contro il 49%). Lo stesso accade per i lavoratori di età compresa tra 18 e 54 anni (53%)rispetto ai lavoratori di oltre 55 anni (44%). La percezione dello stress da attività lavorativa varia anche a seconda del settore: più colpiti gli addetti al settore sociosanitario (61%, compreso il 21% che ritiene che tali casi siano ”molto comuni”).

Secondo il 41% dei lavoratori europei lo stress non viene gestito adeguatamente sul luogo di lavoro e, fra questi, il 15% ritiene che sia gestito in modo ”del tutto inadeguato”.

In Italia il 55% dei lavoratori ritiene comuni i casi di stress legati all”impiego, ma il 60% sostiene che il problema è gestito bene sul posto di lavoro, rispetto al 34% che pensa che il fenomeno non sia adeguatamente controllato. Questa percentuale, però, varia sensibilmente in base alle dimensioni delle imprese: in quelle che impiegano più di 10 lavoratori, infatti, i lavoratori che bocciano la gestione dello stress sono più di quattro su dieci, mentre nelle realtà produttive più piccole lo stesso dato scende al 26%.

“Siamo molto attenti a come affrontare i rischi psicosociali come questo – sottolinea il direttore dell’Agenzia di Bilbao – e la nostra campagna ”Ambienti di lavoro sani e sicuri” l’anno prossimo affronterà proprio il tema della gestione dello stress. Il messaggio da trasmettere alle aziende europee di dimensioni e settori diversi è che i rischi psicosociali possono essere trattati in modo logico e sistematico, esattamente come altri problemi correlati alla salute e alla sicurezza”.

“ius soli”

Dati Ismu: gli effetti dello “ius soli” per chi nasce in Italia

Secondo i numeri stimati dalla Fondazione Ismu c’è una lista d’attesa di circa 720mila persone, quasi tutti bambini. Tanti, infatti,  sono gli stranieri che potrebbero diventare a tutti gli effetti cittadini italiani se venisse approvata la legge sullo “ius soli” temperato, quella che attribuisce la nazionalità in base al luogo dove si nasce con una correzione legata alla stabilità di residenza.

Secondo la proposta di legge richiesta dal nuovo ministro per l’integrazione  Kyenge, potrebbero diventare “nuovi italiani” 660 mila minorenni che oltre ad essere nati in Italia hanno anche genitori residenti nel nostro Paese da almeno 5 anni.

La soluzione dello ius soli con 5 anni di anzianità – spiega Khalid Chaouki, responsabile nuovi italiani per il Pd – potrebbe mettere d’accordo tutti perché i 5 anni provano il radicamento della famiglia sul territorio italiano, scongiurando quello che in molti temono e cioè l’arrivo delle partorienti.

Alla partita però dei minori nati in Italia e in lista d’attesa si aggiunge anche quella dei minori nati all’estero ma arrivati in Italia da piccoli e per loro – prosegue Chaouki – pensiamo ad una cittadinanza che possa essere acquista al termine del percorso scolastico.