Archivi giornalieri: 10 maggio 2023

CFC113a

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Come si calcola il periodo di comporto nel caso di un dipendente con contratto a tempo parziale di tipo verticale (di 18 ore settimanali, ripartite su tre giornate infrasettimanali)?

Il rapporto di lavoro a tempo parziale è disciplinato, per quanto qui interessa, dall’art. 59 del CCNL comparto Funzioni Centrali del 12 febbraio 2018 il quale, con riguardo alla tipologia di part-time verticale al comma 9 riconosce il diritto alla fruizione dei singoli istituti contrattuali applicando il cd. criterio di proporzionalità, il quale vale non solo per le ferie ma anche “per le altre assenze dal servizio previste dalla legge e dal CCNL, ivi comprese le assenze per malattia”.

Dal contenuto della clausola suindicata si evince che in caso di rapporto di lavoro a tempo parziale di tipo verticale trova applicazione un principio di riproporzionamento mediante il quale l’Amministrazione, in relazione alle assenze per malattia e fermo restando il periodo di osservazione (un triennio), dovrà riproporzionare il periodo di comporto e imputare allo stesso le giornate di assenza del dipendente ricomprese nel certificato medico e coincidenti con i giorni in cui avrebbe dovuto prestare l’attività lavorativa anche se coincidenti con una giornata festiva (es. festività del Santo Patrono).

Inoltre, con riguardo al giorno di riposo settimanale (di norma, la domenica) è applicabile la medesima presunzione di continuità alla quale si ricorre per calcolare il periodo di comporto del personale con rapporto di lavoro a tempo pieno. Sul punto, infatti, oltre all’art. 29, comma 10, lett. a) del CCNL 9 maggio 2022, sussiste anche un orientamento giurisprudenziale consolidato, secondo il quale i giorni festivi, i giorni non lavorativi nonché il giorno di riposo settimanale ricadenti all’interno di tale arco temporale non vengono computati solo nel caso in cui vi sia una previsione contrattuale in tal senso (ex multis, Cass. Civ. sez. Lavoro sent. del 24/11/2016 n. 24027; Cass. sent. del 24/9/2014 n. 20106; Cass. sent. del 15/12/2008 n. 29317).

CSAN121

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L’articolo 47, comma 7 del CCNL 2019-2021 stabilisce che “La misura oraria dei compensi per lavoro straordinario è rideterminata maggiorando la misura oraria di lavoro ordinario calcolata, convenzionalmente, dividendo per 156 la retribuzione base mensile, di cui all’art. 94, comma 2 lett. b) (Retribuzione e sue definizioni), comprensiva del rateo di tredicesima mensilità ad essa riferita”. L’articolo 94, comma 2, lett. b) prevede nella valorizzazione mensile il valore economico dello stipendio tabellare mensile e i differenziali economici di professionalità di cui all’art. 19, c. 1. Quest’ultima disposizione include i differenziali economici di professionalità fra gli incrementi stabili del trattamento economico, cioè fra quelli ricompresi nella tabella E del CCNL. È incluso in tale previsione anche il differenziale economico di professionalità di cui all’art. 99 comma 3, lett. b)?

L’articolo 94 del CCNL 2019-2021 nella sua stesura, resasi necessaria a seguito dell’introduzione del nuovo istituto dei differenziali economici di professionalità, adegua la nozione di retribuzione base mensile, utile per l’applicazione dell’algoritmo nella definizione del calcolo della misura oraria dei compensi per lavoro straordinario. Il riferimento all’articolo 19, comma 1 deve ovviamente intendersi all’istituto dei differenziali economici di professionalità che sono descritti e declinati nella loro natura proprio nel citato articolo 19, comma 1. Conseguentemente, la base di calcolo su cui applicare l’algoritmo per la determinazione dello straordinario, deve considerare nella base di calcolo anche eventuali differenziali economici di professionalità attribuiti all’1.1.2023 in prima applicazione ai sensi dell’art. 99, comma 3, lett. b).

Si richiama nel merito anche l’indicazione contenuta nell’articolo 99, comma 4 che espressamente stabilisce che i differenziali economici di professionalità di cui al comma 3, lett. b) dello stesso articolo, originati in prima applicazione alla data dell’1.1.2023, non pregiudicano l’attribuzione degli ulteriori “differenziali economici di professionalità” di cui all’art. 19: con tale locuzione si è inteso precisare quanto concordato fra le parti, ovvero che il maturato delle fasce in godimento al 31.12.2022 costituisce uno “zainetto” personale all’1.1.2023 che consente a tutti i dipendenti – anche e soprattutto per coloro che risultano inquadrati  nelle fasce più elevate – di ripartire dal valore del nuovo stipendio base con la possibilità di acquisire ulteriori differenziali che hanno la stessa natura contrattuale di quelli attribuiti in prima applicazione: in tal modo non viene alterato l’impatto sul valore orario dello straordinario.

CSAN116

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In relazione a quanto previsto dall’art. 49, comma 6 del CCNL 2/11/2022 (“A tutti i dipendenti sono altresì attribuite 4 giornate di riposo da fruire prioritariamente nell’anno solare ai sensi ed alle condizioni previste dalla menzionata legge n. 937/77), si chiede come vada inteso l’inciso “prioritariamente” inserito nella nuova disciplina delle Ferie e Festività soppresse?  La precisazione che le giornate di riposo non fruite non sono monetizzabili consente comunque l’applicazione del comma 11 del medesimo articolo, come per le ferie?

L’inciso “prioritariamente” deve intendersi nel senso che le giornate di festività soppresse devono essere fruite nell’anno solare in via prioritaria rispetto alle giornate di ferie. Si precisa che l’art. 49, comma 6 del CCNL 2019-2021 (così come l’art. 33, comma 6 del CCNL 21.5.2018 sul quale l’Agenzia si è espressa con specifico parere CSAN81a) ha qualificato le quattro giornate della legge n. 937/1977 come giornate di riposo, assimilandole alle ferie. Tuttavia, tale equiparazione non vale per tutti gli aspetti applicativi essendo tali giornate di riposo disciplinate anche dalla legge citata che ne prevede, a differenza delle ferie, la fruibilità esclusivamente nell’anno di riferimento senza possibilità di trasferimento all’anno successivo. In nessun caso inoltre, tali giornate, possono essere oggetto di monetizzazione.

In materia di monetizzazione delle ferie poi, si richiamano le circolari applicative emanate in relazione all’art. 5, comma 8, del D.L. 95/2012 convertito nella legge 135 del 2012 (MEF-Dip. Ragioneria Generale Stato prot. 77389 del 14.9.2012 e prot. 94806 del 9.11.2012- Dip. Funzione Pubblica prot. 32937 del 6.08.2012 e prot. 40033 dell’8.10.2012), all’atto della cessazione del servizio le ferie non fruite sono monetizzabili solo nei casi in cui l’impossibilità di fruizione non è imputabile o riconducibile al dipendente come nelle ipotesi di decesso, malattia e infortunio, risoluzione del rapporto di lavoro per inidoneità fisica permanente e assoluta, congedo obbligatorio per maternità o paternità.

CSAN120

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Si chiede di conoscere qual è la corretta modalità di calcolo della tredicesima mensilità prevista dal nuovo art. 96 del CCNL 2019-2021, in particolare con riferimento al servizio prestato per un periodo inferiore all’anno o in caso di cessazione del rapporto nel corso dell’anno di cui al comma 4, alla mancata spettanza di cui al comma 5 e alla riduzione di cui al comma 6.

Il calcolo deve essere effettuato considerando che il diritto alla tredicesima mensilità matura per 365esimi in proporzione ai giorni di effettiva prestazione lavorativa. Pertanto, nel caso di servizio prestato per un periodo inferiore all’anno e nell’ipotesi di cessazione del rapporto di lavoro, la tredicesima mensilità è dovuta in ragione di tanti 365esimi quanti sono i giorni di servizio prestato.   Per i periodi temporali di assenza di cui al comma 5 (periodi trascorsi in aspettativa per motivi personali o di famiglia o in altra condizione che comporti la sospensione o la privazione del trattamento economico) il rateo giornaliero della tredicesima mensilità non spetta. Per i periodi temporali di assenza che comportino la riduzione del trattamento economico di cui al comma 6, il rateo della tredicesima mensilità, relativo ai medesimi periodi, è ridotto nella stessa proporzione della riduzione del trattamento economico.

 

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In relazione a quanto previsto dall’art. 49, comma 6 del CCNL 2/11/2022 (“A tutti i dipendenti sono altresì attribuite 4 giornate di riposo da fruire prioritariamente nell’anno solare ai sensi ed alle condizioni previste dalla menzionata legge n. 937/77), si chiede come vada inteso l’inciso “prioritariamente” inserito nella nuova disciplina delle Ferie e Festività soppresse?  La precisazione che le giornate di riposo non fruite non sono monetizzabili consente comunque l’applicazione del comma 11 del medesimo articolo, come per le ferie?

L’inciso “prioritariamente” deve intendersi nel senso che le giornate di festività soppresse devono essere fruite nell’anno solare in via prioritaria rispetto alle giornate di ferie. Si precisa che l’art. 49, comma 6 del CCNL 2019-2021 (così come l’art. 33, comma 6 del CCNL 21.5.2018 sul quale l’Agenzia si è espressa con specifico parere CSAN81a) ha qualificato le quattro giornate della legge n. 937/1977 come giornate di riposo, assimilandole alle ferie. Tuttavia, tale equiparazione non vale per tutti gli aspetti applicativi essendo tali giornate di riposo disciplinate anche dalla legge citata che ne prevede, a differenza delle ferie, la fruibilità esclusivamente nell’anno di riferimento senza possibilità di trasferimento all’anno successivo. In nessun caso inoltre, tali giornate, possono essere oggetto di monetizzazione.

In materia di monetizzazione delle ferie poi, si richiamano le circolari applicative emanate in relazione all’art. 5, comma 8, del D.L. 95/2012 convertito nella legge 135 del 2012 (MEF-Dip. Ragioneria Generale Stato prot. 77389 del 14.9.2012 e prot. 94806 del 9.11.2012- Dip. Funzione Pubblica prot. 32937 del 6.08.2012 e prot. 40033 dell’8.10.2012), all’atto della cessazione del servizio le ferie non fruite sono monetizzabili solo nei casi in cui l’impossibilità di fruizione non è imputabile o riconducibile al dipendente come nelle ipotesi di decesso, malattia e infortunio, risoluzione del rapporto di lavoro per inidoneità fisica permanente e assoluta, congedo obbligatorio per maternità o paternità.

 

Gli alimenti trainano la spinta inflazionistica in Europa Europa

Gli alimenti trainano la spinta inflazionistica in Europa Europa

Nell’area euro, l’inflazione è in calo rispetto ai mesi precedenti. Il rincaro dei prezzi è principalmente dovuto al settore alimentare, dopo un calo di quello dell’energia.

 

Si continua a parlare di caro vita in Europa. Perdura infatti l’inflazione, ovvero l’aumento generalizzato dei prezzi che riduce il potere d’acquisto dei cittadini, nonostante le previsioni mostrino dei dati in calo.

Secondo la commissione europeasono stati numerosi gli sviluppi positivi per l’economia dell’Unione, come ad esempio per quanto riguarda la diversificazione delle fonti energetiche e un calo del prezzo del gas. Ciò nonostante, l’inflazione ha ancora una spinta sui consumi di famiglie e imprese.

Cos’è l’inflazione

Ci si riferisce con questo termine all’aumento generale dei prezzi di beni e servizi che vengono consumati da una famiglia media nel corso di un anno.

L’inflazione è un rincaro dei prezzi di ampia portata che non riguarda esclusivamente una voce di spesa. Questo aumento riduce il valore della moneta nel tempo, dal momento che con la stessa quantità di denaro si possono acquistare meno beni e servizi. Vai a “Che cos’è l’inflazione”

L’aumento dei prezzi può essere legato a una serie di fattori sia interni che esterni all’economia del paese, come per esempio l’aumento dei costi di produzione, tensioni a livello geopolitico o eventi particolari che possono portare a una riduzione della disponibilità di determinati prodotti e causare uno squilibrio tra domanda e offerta.

Ci sono però ulteriori elementi importanti da considerare quando si parla di inflazione. Innanzitutto, il livello dei salari, che determina la possibilità di acquistare beni e servizi. Ma anche l’entità dell’aumento dei prezzi in particolari ambiti del paniere, che potrebbero star trainando i rincari.

Ogni mese, Eurostat mette a disposizione le stime sull’inflazione. I dati definitivi più recenti fanno riferimento al periodo di marzo 2023. Il tasso tendenziale, ovvero quello su base annua, si attesta per l’Europa a 8,3%.

6,9% il tasso di inflazione su base annua nell’area euro a marzo 2023.

I paesi che registrano i tassi maggiori sono l’Ungheria (25,6%), la Lettonia (17,2%) e la Repubblica Ceca (16,5%). Al contrario, si riportano valori minori nei Paesi Bassi (4,5%), in Spagna (3,1%) e in Lussemburgo (2,9%). In Italia si assesta all’8,1%, un valore leggermente inferiore rispetto alla media misurata in Europa ma maggiore di circa un punto percentuale rispetto a quella dell’area euro.

Ancora non si registrano dei valori negativi, significa quindi che rispetto allo stesso mese dell’anno precedente, i prezzi sono comunque incrementati. Risultano comunque in calo da ottobre 2022 per l’area euro e per i quattro paesi più popolosi dell’Europa. Il picco maggiore era stato raggiunto proprio in quel mese dall’Italia (12,6%). L’andamento più regolare è quello della Francia mentre in Spagna il valore maggiore è stato raggiunto a luglio 2022 (10,7%).

Nell’area euro, i beni energetici hanno avuto un peso importante in termini di inflazione su base annua. Si riportano ad esempio i due picchi registrati a giugno 2022 (41,9%) e ottobre 2022 (41,3%). Si registra poi un calo della differenza dei livelli di prezzi fino al raggiungimento di un valore negativo a marzo 2023 (-0,9%). I rincari sono trainati principalmente dagli alimenti (15,5%) mentre i beni industriali non energetici e i servizi risultano avere degli andamenti di crescita piuttosto stabili.

Situazione simile anche per l’Italia. L’inflazione per i beni energetici è in calo rispetto ai mesi precedenti, passando dal 71,7% di ottobre 2022 al 10,7% di marzo 2023, un valore che rimane ancora alto rispetto alla media dell’area euro. Per quel che riguarda invece gli alimenti, la differenza su base annua si assesta al 12% (circa tre punti percentuali in meno rispetto all’area euro). Stabili gli altri prodotti industriali (5,9%) e i servizi (4,9%).

Foto: nrd – licenza

 

San Cataldo di Rachau

 

San Cataldo di Rachau


Nome: San Cataldo di Rachau
Titolo: Vescovo
Nascita: VII secolo, Rachau, Irlanda
Morte: 8 marzo 685, Taranto
Ricorrenza: 10 maggio
Martirologio: edizione 2004
Tipologia: Commemorazione
San Cataldo è un Santo irlandese ma venerato a Taranto, dove si trova la sua tomba, in una ricchissima e bella cappella del Duomo, detta il « Capellone ». Sarebbe approdato sulla piana terra pugliese nella rada che si apre, sul lido adriatico, presso la città di Lecce, e che da allora s’intitola perciò a San Cataldo, ed è oggi celebre località balneare.

I Tarantini, orgogliosi sia del loro Cappellone, sia del loro San Cataldo, avrebbero desiderato considerarlo secondo Vescovo della loro città, se a questo desiderio non si fosse opposta una croce d’oro ritrovata nella tomba del Santo nell’anno 1094, durante la ricostruzione della chiesa distrutta dai Saraceni.

Si tratta di una di quelle croci, dette benedizionali, che venivano infisse a un bastoncino e impugnate anticamente dai Vescovi con la sinistra, mentre con la mano destra benedicevano i fedeli.

Sulla croce ritrovata nella tomba di Taranto era scritto: Cataldus Rachau, cioè Cataldo Vescovo di Rachau. Da un attento esame dell’incisione, gli studiosi hanno potuto stabilire che la scritta risale al VII secolo.

E’ stato così possibile ricostruire la personalità di questo Santo, nato al principio del secolo in Irlanda. Allievo e poi maestro nel celebre monastero di Lismore, fondato da San Cartago, egli sarebbe poi giunto all’episcopato in modo insolito, cioè con la morte del Duca dei Desii, il quale lo aveva accusato di stregoneria, a causa dei suoi miracoli.

Dopo aver retto santamente il vescovado, Cataldo si sarebbe imbarcato, verso il 666, per un viaggio in Terrasanta. All’andata o al ritorno, approdato o naufragato sulla costa salentina, si sarebbe recato a Taranto, dove i cittadini lo vollero porre sulla cattedra vescovile vacante. Morto nel 685, venne sepolto sotto l’impiantito della cattedrale dove il suo corpo fu rinvenuto e chiaramente identificato, come abbiamo detto, nel 1094. Della sua santità fecero fede innumerevoli miracoli, che diffusero prima in Puglia, poi in tutta Italia, la devozione per il Vescovo irlandese, al cui nome s’intitolarono cappelle e chiese, località e paesi, dalla costa del mare al crinale dei monti. Insieme alla sua fama, al suo culto e al suo nome, si diffusero anche i proverbi sul suo conto. Uno di questi, legato alla sua festa celebrata in maggio, dice: « Quando è il giorno di San Cataldo, passa il freddo e viene il caldo ».

Non comune, ma diffuso un po’ dappertutto in Italia, il nome di Cataldo è frequente particolarmente in Puglia, e soprattutto nella città di Taranto, di cui è Patrono, da tempi remoti, l’unico Santo di nome Cataldo.

MARTIROLOGIO ROMANO. Presso Taranto san Cataldo Vescovo, illustre per miracoli.

PROVERBIO. Il giorno di San Cataldo sparisce il freddo e arriva il caldo.

L’ Editto delle Chiudende irrompe nel romanzo sardo.

L’Editto delle Chiudende irrompe nel romanzo sardo.

di Francesco Casula

L’Editto delle Chiudende è senza ombra di dubbio l’evento che maggiormente entra prepotentemente nella poesia e nella tradizione popolare sarda: perché è uno dei più funesti in quanto colpisce a morte non solo l’economia sarda ma il comunitarismo, che in tutta la storia, fin dalla civiltà nuragica, aveva caratterizzato la società sarda.

Contro tale editto per primo lanciò i suoi strali dell’ironia il principe dei poeti satirici in lingua sarda, Diego Mele, soprattutto con “In Olzai non campat pius mazzone” (In Olzai non campat pius mazzone/ca nde l’hana leadu sa pastura,/sa zente ingolumada a sa dulzura/imbentat sapa dae su lidone). La sua critica all’Editto gli varrà la condanna all’esilio, comminatagli dalle autorità politiche e religiose.

La tradizione popolare ci consegna poi la bella quartina (Tancas serradas a muru/fattas a s’afferra afferra/si su chelu fit in terra/l’aiant serradu puru): in quattro brevissimi versi abbiamo la sintesi perfetta di quell’evento. Attribuita a Melchiorre Murenu, in realtà l’Autore è stato un frate cappuccino, Gavino Achena di Ozieri.

Nella seconda metà dell’Ottocento a Nuoro si afferma un cenacolo di poeti (Salvatore Rubeddu, Giovanni Antonio Murru, Pasquale Dessanai ecc) che si scagliarono, con la loro poesia popolare e in lingua sarda, contro le leggi ingiuste che avevano permesso a pochi privilegiati di impossessarsi di vaste tanche. E mi piace ricordare che fu nel clima di questo rinascimento locale che si affermarono personaggi come Grazia Deledda, Sebastiano Satta e Francesco Ciusa, il maggior scultore sardo, e con loro Antonio Ballero e Giacinto Satta, pittori e romanzieri nello stesso tempo.

E proprio in quel momento storico, esattamente il 26 aprile del 1868, una domenica, a Nuoro Paskedda Zau, diede vita a una ribellione, passata alla storia come rivolta di “Su Connotu”, Brevemente: Paskedda Zau, vedova, con 10 figli a carico, in strada, all’uscita della messa, si rivolse alle donne che con lei avevano assistito alla celebrazione. Raggiunta la piazza antistante la chiesa, cominciò a chiamare anche gli altri nuoresi invitandoli alla ribellione. Che si trasforma in vera e propria rivolta con più di 300 persone – soprattutto donne – che assaltano il Municipio, scardinano le porte, asportano i fucili della Guardia nazionale, scaraventano in piazza i mobili e i documenti dello stato civile ma soprattutto i documenti catastali (su papiru bullau) sulle lottizzazioni dei terreni demaniali (dell’Ortobene e di Sa Serra, circa 8 mila ettari), che l’Amministrazione comunale – espressione degli interessi dei printzipales e della borghesia intellettuale e professionale, per lo più massonica – aveva deciso di vendere a famelici possidentes. Sottraendoli all’uso comunitario di pastori e contadini (che consentiva legnatico ghiandatico e pascolo per le pecore), viepiù ridotti alla miseria: uso che costituiva, per le comunità, un sollievo alla povertà, aggravatasi in seguito alla violenta carestia, che, nel 1866, li aveva colpiti duramente, mettendoli in ginocchio e portandoli sull’orlo della catastrofe.

In tempi a noi più vicini, uno scrittore del calibro di Giuseppe Dessì, nel suo capolavoro “Paese d’ombre”, parlando dell’Editto delle Chiudende, lo definisce “Una legge famigerata… che sovvertiva un ordine durato nell’Isola da secoli”

Ed oggi irrompe in uno straordinario romanzo in lingua sarda “Sas primas abbas”, di Giuanne Fiore di Ittiri, valente poeta e ora anche prosatore de giudu.

Ecco che cosa scrive:”A mastru Pitzente li faghiat piaghere a iscultare sos piseddos chistionende in Carrela ‘e Sas mendulas. E b’hait bortas ch’issu puru intraiat in s’arrejonamentu, tzitende s’istoria. Lis ammentaiat s’impreu cumonale chi in s’antighidade si faghiat de sass terras pro su recattu a su bestiamene e pro sa linna, a domos e a cuiles. Usos seculares, arraighinados in sa zente e passados da-i babbu in fizu. Li naraian “Su connottu”. Gai pro tempus longu. Fintzas a cando, inter sa fine de su 1700 e-i sa prima mesania de su 1800, cun disamistades sambenosas in tottu sos biddattones, su podere uffitziale de domo e de foras hat dadu manu franca a sos printzipales. E los han tancados a muru, cussos terrinos, battende a giompimentu l’evento del passaggio dalla utilizzazione collettiva delle terre alla formazione della proprietà privata. Gasichì in su mese de santuaine de su 1820 beniat imbandizadu su “Regio Editto sopra le Chiudende e sopra i terreni comuni…nel Regno di Sardegna”.