Archivi giornalieri: 26 novembre 2022

Cos’è il ciclo di bilancio

Cos’è il ciclo di bilancio

Il ciclo di bilancio è il percorso con cui si approva il bilancio dello stato. I principali documenti che lo compongono sono Def, Nadef e legge di bilancio.

Il ciclo di bilancio è un percorso complesso attraverso il quale viene elaborato e approvato il bilancio dello stato.

Tempi e strumenti sono fortemente influenzati dalle regole di governance economica stabilite dall’Unione europea, e in particolare dal semestre europeo. Si tratta di uno strumento introdotto nel 2011 tramite il quale l’Ue coordina le politiche economiche e di bilancio degli stati membri.

Le fasi principali del ciclo sono due: una prima programmatica e una seconda attuativa. La fase programmatica si apre entro il 10 aprile di ogni anno con la presentazione, da parte del governo, del Documento di economia e finanza (Def) al parlamento. Il Def mostra da un lato la situazione economica e finanziaria del paese e dall’altro gli obiettivi fissati dal governo.

Entro il 30 aprile poi l’esecutivo invia al Consiglio dell’Unione europea e alla commissione il Programma di stabilità e il Programma nazionale di riforma. Questi documenti costituiscono parte integrante del Def. All’inizio dell’estate le istituzioni europee esprimono le loro raccomandazioni. È sulla base di queste ultime e di eventuali variazioni economiche che, entro il 27 settembre, il governo presenta una Nota di aggiornamento del documento di economia e finanza (Nadef).

La fase successiva è la cosiddetta “sessione di bilancio”, tramite la quale vengono adottate le norme per realizzare concretamente gli obiettivi fissati nella fase precedente. Entro il 20 ottobre il governo presenta al parlamento il disegno di legge di bilancio, contenente la manovra triennale di finanza pubblica. La legge di bilancio deve essere approvata entro il 31 dicembre. Entro gennaio il governo deve infine presentare gli eventuali disegni di legge collegati alla manovra.

Il documento di economia e finanza (Def)

L’elaborazione del Def, primo importante documento del ciclo di bilancio, è la fase in cui è maggiore l’influenza dell’Unione europea. Redatto dal governo, contiene tra le altre cose il quadro di finanza pubblica a legislazione vigente. Si tratta cioè di una previsione sull’andamento dell’economia a norme invariate. Nel Def si trova anche il quadro di finanza pubblica programmatico, un pronostico dell’andamento economico basato sulle scelte di riforma che l’esecutivo mira a realizzare.

A partire dal 2014, in osservanza di quanto previsto dal regolamento europeo 473/2013, è stato istituito l’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb). Questo è un organismo indipendente che valuta le previsioni macroeconomiche e di finanza pubblica realizzate dal governo. L’Upb può validare o non validare le previsioni del governo. In quest’ultimo caso deve indicare i livelli di crescita economica previsti per gli anni successivi.

Come già detto, l’esecutivo deve inviare il Def al parlamento entro il 10 aprile di ogni anno. Le camere lo esaminano e approvano poi una risoluzione con la quale impegnano il governo a presentare una legge di bilancio per passare dalle condizioni del quadro a legislazione vigente a quelle del quadro programmatico.

La Nota di aggiornamento al Def (Nadef)

La Nadef contiene gli eventuali aggiornamenti degli obiettivi programmatici e consente al governo di effettuare delle modifiche rispetto agli obiettivi fissati dalla risoluzione parlamentare sul Def.

Il governo deve presentare il documento entro il 27 settembre alle camere le quali approvano una nuova risoluzione.

A partire dal 2013 gli obiettivi programmatici contenuti nella Nadef sono ripresi dal Documento programmatico di bilancio (Dpb). Il Dpb deve essere trasmesso alla commissione europea e all’eurogruppo, oltre che al parlamento nazionale, entro il 15 ottobre. Il testo deve tener conto delle raccomandazioni elaborate dalle istituzioni Ue. La commissione adotta poi un parere sul documento entro il 30 novembre.

La legge di bilancio

Dopo l’approvazione della risoluzione sulla Nadef si entra nella sessione di bilancio vera e propria, la fase del ciclo di bilancio detta “semestre nazionale”. Fino a pochi anni fa, secondo quanto previsto dalla legge 196/2009, il governo presentava due testi: la legge di bilancio, contenente un bilancio di previsione a legislazione vigente, e la legge di stabilità (prima ancora chiamata legge finanziaria), contenente le riforme. A partire dal 2016, al fine di semplificare la procedura, si presenta un unico testo, la legge di bilancio. La nuova legge, trasmessa ogni anno entro il 20 ottobre, si riferisce ai tre anni successivi ed è articolata in due sezioni, che corrispondono sostanzialmente alle due leggi precedenti.

Per prassi si presenta il testo alternando tra camera e senato. L’esame in prima lettura ha una durata massima di quarantacinque giorni alla camera (articolo 119, comma 2 del regolamento) e di trentacinque giorni al senato (articolo 126, comma 9 del regolamento). Nel periodo in cui si esamina la legge di bilancio, salvo alcune eccezioni, le commissioni parlamentari si limitano all’analisi degli eventuali disegni di legge collegati alla manovra.

Le legge di bilancio deve essere approvata entro il 31 dicembre di ogni anno.

La legge di bilancio deve essere tassativamente approvata dal parlamento entro il 31 dicembre di ogni anno, pena il passaggio all’esercizio provvisorio. L’intero ciclo si conclude definitivamente entro il mese di gennaio, con la presentazione degli eventuali disegni di legge collegati alla manovra.

Qualora fossero successivamente necessarie rettifiche degli stanziamenti inizialmente previsti, il governo approva decreti di variazione nel corso della gestione dell’esercizio finanziario.

Analisi

La proposta di legge di bilancio per il 2023 è stata approvata dal consiglio dei ministri del 21 novembre. Questo significa che il Ddl sarà consegnato al parlamento con più di un mese di ritardo rispetto a quanto previsto dalle norme. Indubbiamente su questo slittamento hanno influito anche le elezioni politiche tenutesi a settembre. Un caso unico nella storia del nostro paese. Questo ritardo però avrà delle conseguenze.

Come già detto infatti, la legge di bilancio deve essere approvata entro la fine dell’anno. Se ciò non avvenisse l’amministrazione dello stato andrebbe in esercizio provvisorio. Per fare in modo quindi che entrambe le camere possano approvare un documento così complesso, visti i tempi strettissimi, è probabile che il governo e la maggioranza che lo sostiene decida di ricorrere ad alcuni escamotage già stati utilizzati spesso negli ultimi anni.

In primo luogo le forze politiche potrebbero raggiungere un accordo per discutere il testo e presentare eventuali emendamenti in un solo ramo del parlamento. Con l’altra camera che si limiterebbe a ratificare quanto già deciso. Si tratta del cosiddetto “monocameralismo di fatto“. Una pratica non prevista – e non molto corretta – escogitata appositamente per velocizzare l’iter di approvazione delle leggi.

Visti i tempi stretti inoltre non è da escludere un probabile ricorso del governo alla questione di fiducia. In questo modo l’esecutivo di fatto toglierebbe al parlamento la possibilità di apportare modifiche al testo attraverso la presentazione di emendamenti. Eventualmente il governo potrebbe recepire alcune delle richieste pervenute da deputati e senatori attraverso la presentazione di un unico maxi-emendamento a propria firma.

I margini di intervento sulla legge di bilancio per parlamento e parti sociali sono estremamente limitati.

Le dinamiche sin qui descritte evidenziano come un ruolo preponderante nella definizione della legge di bilancio sia appannaggio dell’esecutivo. Come abbiamo appena visto infatti, i margini di manovra delle camere sono estremamente limitati. Ma lo sono ancora di più quelli delle parti sociali. Non esiste infatti un momento strutturato di confronto con la società civile. In questo modo solo chi ha i mezzi necessari riesce a incontrare il decisore nella speranza di influenzare la decisione pubblica. L’informalità del sistema implica poi un problema di trasparenza: non esiste un modo per tracciare i contatti tra rappresentanti di interesse e potere politico.

Senza dimenticare comunque che su queste dinamiche resta vigile il controllo delle istituzioni europee. L’esecutivo Meloni infatti non ha potuto discostarsi più di tanto rispetto al lavoro portato avanti dal precedente governo e che era stato concordato preventivamente con Bruxelles. Come hanno ricordato anche gli organi di stampa infatti, il testo definito dal governo dovrà essere inviato anche al parlamento e alle autorità europee che restituiranno un responso entro la metà di dicembre.

 

L’impatto delle violenze di genere e familiari sui minori #conibambini

L’impatto delle violenze di genere e familiari sui minori #conibambini

Le violenze domestiche contro le donne sono cresciute durante la pandemia. Quando presenti, ne sono vittima anche i minori, costretti ad assistere e spesso a subirle direttamente. Un quadro drammatico, in cui è importante il ruolo di tutele legali e centri antiviolenza.

 
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Nel periodo pandemico, e in particolare durante le chiusure, si è registrato un picco delle violenze contro le donne in ambito familiare. Una crescita testimoniata dalle chiamate al 1522, dai contatti ai centri antiviolenza e dai dati dei pronto soccorso.

Quando presenti, ne sono vittima anche i bambini, costretti ad assistere alle violenze, se non a subirle direttamente. Per uscire da situazioni così drammatiche è cruciale il ruolo dei centri antiviolenza e delle tutele garantite a chi subisce gli abusi. Ma soprattutto deve aumentare la consapevolezza sulla violenza di genere, con un cambio di paradigma sociale e culturale profondo, che coinvolga tutti quanti. In modo che vi siano le tutele adeguate e che nessuna donna debba essere messa nella condizione di dover decidere se denunciare. Come invece ancora oggi spesso accade, specie nelle situazioni in cui sono presenti dei figli in famiglia.

Acquisire tale consapevolezza passa anche da capire quanto, come e dove incida il fenomeno, in modo da innalzare l’attenzione e dotarsi degli strumenti per intervenire con efficacia. A maggior ragione dopo il Covid, il cui impatto purtroppo si misura anche sulle violenze domestiche e di genere.

È urgente capire come rafforzare le misure esistenti e implementare nuove misure per proteggere e sostenere le donne vittime di violenza da partner e i loro figli durante e all’indomani del Covid-19, così come in altri potenziali situazioni di crisi

L’aumento delle segnalazioni di violenze durante la pandemia

Ogni giorno decine di telefonate raggiungono il 1522, il numero verde per segnalare violenze di genere e stalking. Un servizio gratuito, attivo 24 ore su 24 e che garantisce l’anonimato. Attivato nel 2006, contribuisce all’attuazione da parte del nostro paese della convenzione del consiglio d’Europa per la lotta contro la violenza sulle donne. Un documento firmato a Istanbul nel 2011, sottoscritto e poi ratificato dall’Italia tra il 2012 e il 2013.

Le Parti adottano le misure legislative o di altro tipo necessarie per istituire a livello nazionale apposite linee telefoniche gratuite di assistenza continua, operanti 24 ore su 24, sette giorni alla settimana, destinate a fornire alle persone che telefonano, in modo riservato o nel rispetto del loro anonimato, delle consulenze su tutte le forme di violenza oggetto della presente Convenzione.

A partire dal 2020, si è registrato un aumento delle chiamate al numero verde, sia da parte delle vittime che di altri utenti. In particolare durante il primo lockdown, tra marzo e maggio di quell’anno, ma la tendenza è proseguita anche nei mesi successivi.

16.272 le chiamate da vittime al 1522 nel 2021. Il 3,6% in più del 2020 e l’88,2% in più del 2019.

Su questa crescita hanno influito numerosi fattori, non ultimo la maggiore consapevolezza sul fenomeno e sul servizio stesso, promosso con apposite campagne informative.

Purtroppo sembra essere riconducibile anche alla contingenza della fase pandemica. In un report dedicato, l‘istituto europeo per l’uguaglianza di genere (Eige) ha sottolineato come durante il lockdown sia incrementato il rischio di violenze intime, ossia quelle da parte dei partner. Una dinamica, riconducibile alla convivenza forzata con il partner violento, che appare confermata dai dati nazionali. E che è verosimilmente sottostimata rispetto al fenomeno reale, dal momento che comprende solo le vittime che si sono rivolte al servizio.

GRAFICO
DA SAPERE

I dati raffigurano l’andamento temporale delle chiamate ricevute al numero antiviolenza (1522) nei mesi da marzo a giugno. Sono messi a confronto la serie temporale giornaliera del 2020 con la media degli anni precedenti dal 2013 al 2019.

FONTE: elaborazione openpolis – Con i Bambini su dati Istat
(ultimo aggiornamento: martedì 30 Giugno 2020)

 

Nel 2020, primo anno di pandemia, si è assistito a una crescita del 60% nel numero di chiamate da vittime al 1522, rispetto a quelle rilevate in media nel periodo 2013-19. Tale incremento è stato registrato in prevalenza nei territori del centro-nord, ma non solo. Aumenti particolarmente netti si sono verificati nelle province di Catanzaro (+96%), Vicenza (+93%), Trieste (+89%), Bolzano (+88%), Prato (+85%), Teramo (+85%), Bologna (+82%), Rimini (+80%), Como (+78%) e Grosseto (+77%).

Nel 2021 si è registrato un ulteriore aumento del 3,6% a livello nazionale. Un incremento che addirittura supera il 70% rispetto al 2020 in province come Sondrio, Cremona, Verbano-Cusio-Ossola, Trapani, Caltanissetta e Isernia.

+63,1% il numero medio annuo di chiamate delle vittime al 1522 dal periodo 2013-19 a quello 2020-21.

Coerentemente con la crescita registrata a livello nazionale, nella stragrande maggioranza dei territori il numero di chiamate di vittime al 1522 è fortemente aumentato. In 4 aree è più che raddoppiato tra prima e dopo la pandemia. Nelle province di Sondrio, Grosseto, Bolzano e Trento si sono infatti registrati aumenti superiori al 100% tra quanto rilevato nel periodo 2013-19 e in quello 2020-21. Seguono, con aumenti superiori al 70%, Vicenza, Nuoro, Teramo, Potenza, Ferrara, Verona, Bologna, Como e Ravenna.

Dopo la pandemia, il fenomeno sembra essere cresciuto in modo generalizzato su tutto il territorio nazionale; una tendenza che anche altre fonti sembrano testimoniare.

Una recrudescenza segnalata anche da altre fonti

I dati appena visti mostrano una crescita netta delle chiamate da vittime al 1522. Come già sottolineato, tale incremento può essere attribuito, almeno in parte, a una maggiore consapevolezza sulla gravità del fenomeno rispetto ad alcuni anni fa. E anche a una conoscenza più diffusa del servizio stesso, promosso con campagne specifiche.

Tuttavia, è indicativo osservare come anche altre fonti a disposizione confermino le stesse tendenze emerse dalle chiamate al numero verde. In primo luogo, i dati sugli accessi ai pronto soccorso presentati dal ministero della salute durante un convegno organizzato da Istat nel marzo di quest’anno.

Negli ultimi anni la crescita è stata costante, e ciò può dipendere anche da una maggiore capacità e formazione degli operatori sanitari dei pronto soccorso nel “riconoscere” i casi di violenza.

Tuttavia l’aumento registrato nel primo anno di pandemia (+1,5 punti in un solo anno) appare particolarmente significativo. Nel 2020 l’emergenza sanitaria ha portato a un drastico abbattimento degli accessi al pronto soccorso, di conseguenza anche quelli per violenza sono diminuiti (-28% rispetto al 2019). Allo stesso tempo il tasso di accessi per violenza ogni 100mila accessi è fortemente aumentato: +19% tra 2019 e 2020.

Un’ulteriore conferma in questo senso arriva dal numero di donne che si sono rivolte ai centri antiviolenza. A causa delle restrizioni del Covid, gli accessi alle case rifugio sono diminuiti. Ma il numero di donne che hanno contattato un Cav è cresciuto quasi dell’8% tra prima e dopo la pandemia.

+7,8% la crescita delle donne che si sono rivolte ai Cav nel 2020 rispetto al 2019.

Fonti diverse che vanno nella stessa direzione di quanto visto con le telefonate al 1522. Per quanto parziale, l’analisi delle chiamate al numero verde da parte delle vittime offre un quadro abbastanza attendibile del fenomeno, come segnalato anche dall’istituto nazionale di statistica.

L’analisi del fenomeno della violenza e dello stalking che emerge dalla lettura dei dati del 1522 restituisce uno spaccato utile a comprenderne le dinamiche e le caratteristiche, che si avvicina sorprendentemente al profilo già rilevato dalle indagini campionarie condotte dall’Istat sulla stessa tematica.

Diventa quindi utile approfondire, attraverso le informazioni raccolte dal 1522, il profilo delle vittime e i motivi che più spesso portano a non denunciare, specie se in presenza di minori. Bambini e ragazzi che sono a loro volta vittime della violenza di genere, assistendovi e subendola.

Le vittime, tra violenze e mancate denunce

Premessa d’obbligo è che si tratta di dati la cui analisi è molto complessa, anche per la difficoltà per le vittime di fornire informazioni al telefono sulla propria situazione. A causa della convivenza forzata con il familiare violento, ciò è stato esasperato durante pandemia.

Va notato che nel 2020 la quota delle non risposte ai dati anagrafici delle vittime è decisamente aumentata, a causa di un aumento delle telefonate che si interrompevano anticipatamente durante il lockdown, cosa che può essere intesa come un indicatore di difficoltà nella permanenza al telefono da parte delle vittime.

Con questo caveat, è possibile ricostruire che il 97% delle vittime sono donne, aggregando i dati del 2021 e del 2022 (fino al primo trimestre). L’età più frequente è tra 35 e 44 anni (16% delle vittime) e nella fascia centrale – 25-54 anni – si concentrano quasi la metà dei casi, pari al 44% del totale. Tuttavia il dato sull’età non è disponibile per oltre una vittima su 4 (27,5%).

La principale violenza subita è generalmente di tipo fisico (nei primi tre mesi di quest’anno 1.308 casi su 2.966). Seguono quelle di natura psicologica (1.010 casi nello stesso periodo), sessuale (181 casi) e minacce (172).

Violenze che nella grande maggioranza dei casi avvengono nella propria abitazione: oltre il 70% sia nel 2021 che nei primi 3 mesi del 2022. E consistono in ripetuti episodi nel corso di anni (1.675 casi nel primo trimestre 2022) o mesi (672). Solo in 129 casi su 2.966 la chiamata è seguita a un unico episodio.

Del resto, sono anche molti i casi in cui una violenza subita non si traduce in una denuncia formale alle forze dell’ordine. Nei primi mesi del 2022, meno del 13% ha denunciato, quasi 3 vittime su 4 non hanno denunciato e un ulteriore 3% ha successivamente ritirato la denuncia. Per circa il 10% delle vittime non si conosce tale informazione.

Tra i motivi addotti più di frequente per la mancata denuncia, vengono segnalati il “non voler compromettere la famiglia” e la paura del violento. Dati che vanno letti in relazione con la presenza di figli nel nucleo, vittime a loro volta della violenza di genere e familiare.

La violenza assistita dai minori

Oltre il 50% delle vittime di violenza hanno figli: il 51% nel 2021 e il 54% nei primi 3 mesi del 2022. A loro volta, circa la metà delle vittime con figli è genitore di un minore di 18 anni.

Situazioni che espongono anche bambine e bambini, ragazze e ragazzi alle violenze che avvengono nel nucleo familiare. Anche in questo caso, pesa l’alta quota di non risposte: in oltre un caso su 5 (22,6%) questa informazione non è disponibile.

Tuttavia i dati mostrano chiaramente che i ragazzi nella stragrande maggioranza dei casi assistono alle violenze e in diversi casi ne sono vittima in prima persona.

La casistica più frequente è infatti quella dove la vittima con figli indica che questi non hanno subito direttamente la violenza, ma hanno assistito a quella perpetrata. Seguono le situazioni in cui viene dichiarato che i figli non assistono e non subiscono, quelle non note e quelle in cui i figli sono sia vittime che testimoni della violenza al proprio genitore.

La conseguenza più spesso segnalata per i figli che assistono è l’inquietudine (421 casi su 1.602 nel primo trimestre 2022). Seguita dall’aggressività (85 casi), da comportamenti adultizzati di accudimento verso i familiari (76) e dai disturbi del sonno. Anche in questo caso tuttavia, nella maggioranza dei casi non disponiamo di informazioni: la reazione dei figli delle vittime ad esempio nei primi mesi del 2022 non è indicata per 781 casi su 1.602).

Inoltre, come abbiamo visto in precedenza, solo in una minoranza dei casi queste situazioni portano a una denuncia. Si tratta di un aspetto cruciale, perché solo la possibilità di conoscere la situazione consente di intervenire in modo tempestivo e efficace, trasferendo la chiamata al servizio più utile, caso per caso. Dai centri antiviolenza alle forze dell’ordine, dai pronto soccorso al numero di emergenza per l’infanzia.

+15% vittime minori di 18 anni del reato di abuso dei mezzi di correzione o di disciplina tra 2020 e 2021, in base ai nuovi dati del ministero dell’interno.

Centri antiviolenza e case rifugio sono il primo sbocco delle chiamate da parte delle donne che subiscono violenza. Approfondiamo come sono diffusi sul territorio nazionale.

La rete di centri antiviolenza e case rifugio

Il sistema di protezione per le donne vittime di violenza si regge sui centri antiviolenza (Cav) e sulle case rifugio per le donne maltrattate (Cr).

Strutture che devono avere dei requisiti minimi per operare, stabiliti con l’intesa stato-regioni nella conferenza unificata del 27 novembre 2014. Sulla base di questo accordo, sono le regioni ad accreditare i centri che ne fanno richiesta.

Per quanto riguarda i primi, sono strutture in cui vengono accolte, a titolo gratuito e indipendentemente dal luogo di residenza, le donne di qualsiasi età e i loro figli minorenni. Intervengono in tutti i casi in cui la donna abbia subito o sia esposta alla minaccia di violenza di qualsiasi tipo.

15.387 le donne che nel 2020 hanno concordato con il centro antiviolenza un percorso personalizzato di uscita dalla violenza.

Le case rifugio sono luoghi che garantiscono un alloggio sicuro e gratuito alle donne che hanno subito violenza e ai loro bambini. Una mappatura non è possibile data la necessità di garantire a queste strutture la massima sicurezza e protezione.

Le Case Rifugio sono strutture dedicate, a indirizzo segreto, che forniscono alloggio sicuro alle donne che subiscono violenza e ai loro bambini a titolo gratuito e indipendentemente dal luogo di residenza, con l’obiettivo di proteggere le donne e i loro figli e di salvaguardarne l’incolumità fisica e psichica.

La regione con più case rifugio è la Lombardia, sia rispetto alle donne residenti (0,29 case ogni 10mila donne) che rispetto a quelle vittima di violenza (3,97). Segue il Friuli-Venezia Giulia (0,24 ogni 10mila residenti e 3,74 ogni 10mila vittime).

Per quanto riguarda i centri antiviolenza la prima regione è il Molise (0,26 ogni 10mila donne, 3,28 rispetto alle vittime). Segue l’Umbria, considerando entrambi gli indicatori.

Il sostegno alle vittime e l’investimento educativo necessario

Intervenire nel contrasto delle violenze di genere e domestiche richiede quindi un complesso coordinato di interventi. Dalla possibilità di segnalazione e consulenza, attraverso il numero verde dedicato, alle strutture rivolte all’accoglienza delle donne che escono da una situazione di violenza, spesso con i propri figli.

Fino a tutele ulteriori in situazioni ancora più drammatiche, purtroppo non infrequenti.

116 donne vittime di omicidio volontario nel 2020. Nel 2019 erano state 111 (Istat).

Situazioni che richiedono un intervento ancora più particolare, come previsto dalla legge 4 del 2018 che tutela gli orfani a causa di crimini domestici. Giovani ai quali vengono riconosciute tutele processuali ed economiche, come il diritto al patrocinio gratuito a spese dello stato, la possibilità di modificare il proprio cognome o quella di accedere alla pensione di reversibilità.

Oltre a borse di studio, finanziamenti per il reinserimento lavorativo e per l’assistenza psicologica e sanitaria.

La prevenzione passa anche da un investimento educativo sulla parità e il rispetto di genere.

Accanto a questo tipo di interventi, è evidente l’urgenza di intervenire anche sulla prevenzione. Parliamo di un vero e proprio investimento educativo che miri a trasmettere a bambini e ragazzi tutti gli strumenti per essere parte attiva del contrasto alla violenza di genere.

Dagli aspetti culturali già evidenziati, come la parità di genere e il rifiuto della violenza, alle modalità concrete per contrastare i casi di violenza, quando avvengono. Per esempio l’importanza della denuncia e il ricorso all’aiuto offerto da associazioni e centri antiviolenza.

Scarica, condividi e riutilizza i dati

I contenuti dell’Osservatorio povertà educativa #conibambini sono realizzati da openpolis con l’impresa sociale Con i Bambini nell’ambito del fondo per il contrasto della povertà educativa minorile. Mettiamo a disposizione in formato aperto i dati utilizzati nell’articolo. Li abbiamo raccolti e trattati così da poterli analizzare in relazione con altri dataset di fonte pubblica, con l’obiettivo di creare un’unica banca dati territoriale sui servizi. Possono essere riutilizzati liberamente per analisi, iniziative di data journalism o anche per semplice consultazione. La fonte dei dati sul numero di chiamate da vittime al 1522 è Istat.

Foto: Jason Leung (unsplash) – Licenza

 

San Leonardo da Porto Maurizio

 

San Leonardo da Porto Maurizio


Nome: San Leonardo da Porto Maurizio
Titolo: Sacerdote
Nome di battesimo: Paolo Girolamo Casanova
Nascita: 20 dicembre 1676, Portomaurizio
Morte: 26 novembre 1751, Roma
Ricorrenza: 26 novembre
Martirologio: edizione 2004
Tipologia: Commemorazione
Questo mistico fiore della numerosa famiglia dei seguaci di S. Francesco d’Assisi ebbe i natali a Portomaurizio, cittadina della Liguria, il 20 dicembre 1676.

I genitori, cristiani di specchiata virtù, l’educarono secondo le massime del Vangelo, ed il fanciullo corrispose fedelmente alle loro cure.

Per la sua svegliata intelligenza, ancora bambino, fu chiamato a Roma da uno zio paterno, perché potesse attendere allo studio con maggior frutto. Ammesso nelle scuole dei Gesuiti, fu tanto il profitto intellettuale e morale di Leonardo, che in breve fu il modello di tutti i suoi condiscepoli.

Durante i corsi di studio, si sentì inclinato alla vita religiosa e manifestò il suo desiderio di lasciare il mondo, ma lo zio si mostrò contrario, e poichò il nipote insisteva lo cacciò’ di casa ricolmandolo di ingiurie. Il Signore però benedisse i suoi desideri e poco dopo potè entrare in un convento di Padri Francescani. Compì con singolare fervore l’anno di noviziato, terminato il quale emise la professione religiosa. Ordinato sacerdote, si diede al ministero della predicazione manifestando il suo zelo apostolico in modo tutto particolare nelle Missioni tenute al popolo. Le sue parole producevano nelle anime i più salutari effetti. Numerosissime furono le Missioni da lui predicate, ed è per questo che per 44 anni continui lo vediamo correre in ogni parte d’Italia. Il Lazio, la città di Roma, la Toscana, l’Emilia, le Marche, la Campania, la Corsica, furono i principali campi del suo apostolato. Dovunque conduceva a Dio i peccatori, confermava i buoni nella retta via, eccitava i ferventi alla santità.

I Novissimi e particolarmente la Passione del Divin Salvatore erano i suoi argomenti prediletti. A Roma, tutte le persone più ragguardevoli accorrevano ad ascoltarlo, e più di una volta furono presenti alle sue prediche oltre venti cardinali e lo stesso Sommo Pontefice Benedetto XIV.

A lui si deve la grande diffusione della pratica della Via Crucis che egli istituì in bén 572 luoghi.

Digiunava ogni sabato, faceva ogni giorno particolari pratiche di pietà in onore di Maria, non celebrava mai la S. Messa senza cilicio, camminava sempre scalzo e visse sempre nella più stretta povertà.

Mentre predicava le Missioni nelle montagne del Bolognese nel 1751, ebbe ordine dal Papa di ritornare a Roma prima della fine di novembre. Ubbidiente come sempre, benchè malaticcio, il 15 del mese si mise in viaggio e giunse a Roma la mattina del 25, ma era moribondo. Dopo poche ore volava in cielo. Benedetto XIV all’annuncio della sua morte, esclamò: «Abbiamo perduto molto, ma abbiamo acquistato un protettore in cielo ».

Fu canonizzato da Pio IX il 29 giugno 1867, e Pio XI il 17 marzo 1923 lo proclamava patrono delle Missioni popolari.

PRATICA. Accorriamo alle prediche e procuriamo di farvi accorrere parenti, amici e conoscenti.

PREGHIERA. O Dio, che per ridurre a penitenza i cuori ostinati dei peccatori hai reso potente in opere ed in parole il beato Leonardo tuo confessore, concedici, te ne preghiamo, che per i suoi meriti e preghiere possiamo pentirci dei nostri peccati.

MARTIROLOGIO ROMANO. A Roma nel convento di San Bonaventura sul Palatino, san Leonardo da Porto Maurizio, sacerdote dell’Ordine dei Frati Minori, che, pieno di amore per le anime, impegnò tutta la sua vita nella predicazione, nel pubblicare libri di devozione e nel far visita ad oltre trecento missioni a Roma, in Corsica e nell’Italia settentrionale.