Archivi giornalieri: 8 novembre 2022

Le purghe (infinite) di Kim

Le purghe (infinite) di Kim «Giustiziato anche il vicepremier»

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Guido Santevecchi, corrispondente da pechino4 ore fa
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Vola con l’auto nella scarpata, viva per miracolo

Una finta città per “allenarsi” a fare la guerra

A quanto pare i plotoni di esecuzione hanno molto da fare in queste settimane a Pyongyang. Il governo di Seul afferma di avere appena ricevuto la conferma che un vicepremier nordcoreano è stato giustiziato. Si tratterebbe di Kim Yong Jin, che oltre ad avere il grado di vicepremier guidava il ministero dell’Istruzione, strategico per la formazione e il controllo dei giovani nordcoreani.  È trascorso un solo giorno dall’altra informazione diffusa dalla Corea del Sud secondo la quale sono stati passati per le armi (il fuoco di cannoni contraerei addirittura) l’ex ministro dell’Agricoltura e un alto dirigente dell’Istruzione. Il secondo avrebbe pagato con la vita per essersi addormentato a una cerimonia presieduta da Kim Jong-un. E anche per la fucilazione del vicepremier Kim Yong Jin, un funzionario del governo sudcoreano ha detto all’agenzia Reuters a Seul che la colpa era stata «non aver tenuto una postura eretta in un’occasione pubblica». Il governo sudcoreano dice di aver avuto le notizie «confermate attraverso vari canali», ma non ha voluto precisare quali. Pyongyang non rivela quasi mai le purghe all’interno del gruppo dirigente: il segnale che qualche uomo di potere è stato epurato o eliminato fisicamente si evince dal fatto che il personaggio in questione smette di comparire in pubblico e di essere citato dagli organi d’informazione locali e la sua carica è attribuita a qualcun altro. Ma ci sono stati casi di gerarchi e generali dati per giustiziati e ricomparsi dopo mesi. Secondo il conto dei servizi segreti sudcoreani, dal 18 dicembre 2011 quando Kim Jong-un ha ereditato il potere dal padre Kim Jong-il, morto di malattia, sono centodieci almeno i dignitari epurati o messi a morte. Settanta subito dopo l’inaugurazione del nuovo dittatore, che evidentemente non si fidava di molti collaboratori del padre. L’anno scorso è stato giustiziato anche il ministro della Difesa. 

Giochi di servizi segreti

© Fornito da Corriere della SeraIn tutte queste informazioni e speculazioni sulle purghe, può esserci «intossicazione» da una parte e dall’altra: Seul potrebbe diffondere notizie per destabilizzare gli avversari e spaventare i generali e i dignitari di Kim; Pyongyang potrebbe inventare alcune voci di esecuzioni non avvenute per rendere inaffidabili le fonti sudcoreane.

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Il caso dello zio

In un caso clamoroso nel 2013 l’intelligence sudcoreana dimostrò di avere buoni informatori a Nord del 38esimo parallelo che spacca la penisola: anticipò la notizia che Kim aveva fatto uccidere lo zio Jang Song-thaek, potentissimo uomo di collegamento con la Cina, e solo settimane dopo venne la conferma da Pyongyang che diffuse anche una drammatica sequenza di immagini sull’arresto durante una riunione. In seguito, qualcuno disse ai sudcoreani che Jang era stato dato in pasto ai cani: questo particolare raccapricciante fu poi smentito (lo zio era stato «solo» fucilato in pubblico) e può darsi che la disinformazione fosse stata un modo scelto da Kim per vendicarsi screditando gli avversari. 

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 Campo di rieducazione

Oltre ai tre alti dirigenti passati per le armi, Kim Jong-un avrebbe mandato in «rieducazione» una figura importante con responsabilità per i servizi segreti e i rapporti inter-coreani: Kim Yong-chol. L’uomo avrebbe trascorso il mese di luglio in una località tra i boschi «per migliorarsi». Quella della rieducazione sembra una tecnica introdotta da Kim per i casi meno gravi di insubordinazione e deviazione dalla linea del Partito.

La fuga dei diplomatici 

Le informazioni sulla nuova ondata di purghe a Pyongyang arrivano dopo che nelle scorse settimane due importanti diplomatici nordcoreani (uno di base a Londra e uno in un Paese non rivelato) sono fuggiti con i loro segreti e a quanto pare molti milioni di dollari. Non tutti i gerarchi di Kim Jong-un evidentemente lo amano.

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I parlamentari incompatibili Mappe del potere

I parlamentari incompatibili Mappe del potere

Alcuni incarichi sono considerati incompatibili con il mandato parlamentare. Ciononostante la rinuncia a questi ruoli non avviene subito e in maniera automatica.

 

La disciplina delle incompatibilità

Molti parlamentari nel corso della loro carriera hanno ricoperto diversi incarichi politici e in alcuni casi li ricoprivano anche al momento della proclamazione. Non sempre il mandato parlamentare è incompatibile con altri ruoli. In diversi casi però la costituzione o la legge disciplinano le ipotesi d’incompatibilità.

Il mandato parlamentare infatti è incompatibile con i ruoli di:

  • presidente repubblica (articolo 84 della costituzione);
  • membro della corte costituzionale (articolo 134 della costituzione);
  • membro del consiglio supremo della magistratura (articolo 104 della costituzione);
  • parlamentare europeo (articolo 122 della costituzione);
  • membro di giunta o consiglio regionale (articolo 122 della costituzione);
  • sindaco di comune con oltre 15.000 abitanti (Dl 138/2011 articolo 13 comma 3). I sindaci dei comuni con più di 20.000 abitanti invece sono ineleggibili (Tuel articolo 62, Dpr 361/1957 articolo 7 e Dlgs 533/1993 articolo 5).

Se i primi tre casi non presentano questioni, non essendo stato eletto alcun deputato o senatore che ricopre al momento incarichi di quel tipo, più interessante è invece ricostruire chi, al momento dell’elezione, ricopriva gli altri incarichi. Chi tra questi si è dimesso prima di assumere il ruolo di parlamentare, chi dopo e chi ancora aspetta a farlo.

Oltre a questi incarichi politici poi esistono altri tipi d’incompatibilità. Come ad esempio incarichi amministrativi di vertice nelle amministrazioni statali, regionali e locali, nelle aziende sanitarie od ospedaliere, incarichi dirigenziali nelle pubbliche amministrazioni o nelle società a controllo pubblico.

Le incompatibilità risolte subito

Tra gli attuali parlamentari erano 60 quelli che ricoprivano incarichi incompatibili alla data delle elezioni (41 candidati alla camera e 19 al senato). Tra il 25 settembre e il 12 ottobre, data d’inizio della nuova legislatura, 18 di questi avevano già risolto la propria incompatibilità.

Nella maggior parte dei casi tuttavia si è trattato di un passaggio praticamente automatico. Sei di questi infatti facevano parte della giunta o del consiglio della regione Sicilia, incluso l’ex presidente Nello Musumeci. E in questa regione si è andati alle elezioni lo stesso giorno delle elezioni nazionali.

Al parlamento europeo le incompatibilità sono risolte non appena sopraggiungono.

Altri 9 invece erano parlamentari europei e, avendo questi accettato l’incarico di deputati (5) o senatori (4), sono automaticamente decaduti dall’incarico (articolo 3 del regolamento del parlamento europeo). Si trattava in particolare di 3 eurodeputati di Forza Italia, 2 della Lega e uno rispettivamente di Fratelli d’Italia, Partito democratico, Azione-Italia viva e Alleanza verdi e sinistra.

I tre parlamentari che invece si sono dimessi spontaneamente sono Marco Lisei e Giovanni Berrino, di Fratelli d’Italia, e Ilaria Cavo di Noi moderati. Il primo ha lasciato la posizione di consigliere della regione Emilia-Romagna, gli altri quello di assessori in Liguria.

A questi poi si potrebbero aggiungere 3 sindaci di comuni con più di 20.000 abitanti che, come previsto dalle norme (Dlgs 267/2000 articolo 62) si sono dovuti dimettere prima ancora di candidarsi. In questi casi infatti non si parla d’incompatibilità, ma di ineleggibilità. Si tratta in particolare di: Sabrina Licheri sindaca di Assemini del Movimento 5 stelle, e di Ilenia Malavasi e Emiliano Fossi sindaci di Correggio e Campi Bisenzio, entrambi del Partito democratico.

Le incompatibilità a inizio mandato

Tra i 42 parlamentari che il giorno dopo l’insediamento ancora ricoprivano incarichi incompatibili 11 non avevano ancora rinunciato a un incarico in giunta regionale32 in un consiglio regionale e 1 al ruolo di sindaco di un comune con popolazione compresa tra i 15.000 e i 20.000 abitanti.

GRAFICO
DA SAPERE

L’articolo 122 della costituzione disciplina l’incompatibilità del mandato parlamentare con i ruoli di parlamentare europeo, membro di un consiglio o di una giunta regionale. Il decreto legge 138/2011 invece stabilisce l’incompatibilità con la carica di sindaco dei comuni con più di 15.000 abitanti.

Per verificare se un parlamentare ricopra ancora incarichi incompatibili, abbiamo consultato i siti delle giunte, dei consigli regionali e dei comuni. Nel caso in cui le dimissioni non siano state rese evidenti sui siti dei rispettivi organi tali incarichi potrebbero essere stati considerati ancora attivi.

FONTE: openpolis

 

Dall’entrata in carica ad oggi tuttavia 20 parlamentari hanno risolto autonomamente la propria incompatibilità, rinunciando agli incarichi precedenti. Si tratta in particolare di 15 consiglieri regionali (5 di Fratelli d’Italia, 4 della Lega, 3 del Partito democratico e 1 rispettivamente di Forza Italia, Azione-Italia-viva e Alleanza verdi e sinistra), di 3 assessori regionali (2 della Lega e 1 di Fratelli d’Italia) e di 2 vicepresidenti di regioneMirco Carloni della Lega (Marche) ed Elly Schlein del Partito democratico (Emilia-Romagna).

Le incompatibilità ancora in corso

Ad oggi dunque sono 22 i parlamentari che risultano ancora incompatibili.

Fratelli d’Italia è il partito che ne conta di più, ovvero 6 deputati e 2 senatori. Tra questi si trovano 5 consiglieri regionali che ancora devono rassegnare le dimissioni e 3 assessori delle regioni Abruzzo, Calabria e Sardegna. In realtà l’assessore della regione Calabria Fausto Orsomarso, ricopre anche l’incarico di consigliere nella stessa regione, ma in questo caso il doppio incarico non è stato preso in considerazione, assumendo che le incompatibilità saranno poi risolte congiuntamente.

GRAFICO
DA SAPERE

L’articolo 122 della costituzione disciplina l’incompatibilità del mandato parlamentare con i ruoli di parlamentare europeo, membro di un consiglio o di una giunta regionale. Il decreto legge 138/2011 invece stabilisce l’incompatibilità con la carica di sindaco dei comuni con più di 15.000 abitanti. Nel caso in cui un componente di una giunta regionale ricopra contemporaneamente anche il ruolo di consigliere nella stessa regione questo secondo incarico non è stato preso in considerazione, assumendo che le incompatibilità saranno poi risolte congiuntamente.

Per verificare se un parlamentare ricopra ancora incarichi incompatibili, abbiamo consultato i siti delle giunte, dei consigli regionali e dei comuni. Nel caso in cui le dimissioni non siano state rese evidenti sui siti dei rispettivi organi tali incarichi potrebbero essere stati considerati ancora attivi.

FONTE: openpolis

 

Segue il Pd dove, oltre a 3 consiglieri regionali, risultano ancora incompatibili Valentina Ghio, sindaca di Sestri Levante, e soprattutto Nicola Zingaretti, che tutt’ora ricopre il ruolo di presidente della regione Lazio (e tecnicamente anche quello di consigliere regionale anche se qui, come nel caso di Orsomarso, questo incarico non è stato considerato).

Zingretti dovrebbe dimettersi a breve ma al momento ricopre due incarichi costituzionalmente incompatibili.

Zingaretti ha pubblicamente dichiarato che intende rassegnare le dimissioni dopo che saranno completati tutti i passaggi relativi al collegato di bilancio della regione Lazio. Un atto considerato importante per la conclusione ordinata della legislatura. La questione teoricamente dovrebbe essere risolta a breve, ma indipendentemente da questo resta il fatto che al momento Zingaretti ricopre a tutti gli effetti 2 incarichi costituzionalmente incompatibili.

Nella la Lega invece risultano ancora incompatibili la senatrice Clotilde Minasi, assessore alle politiche sociali in Calabria, e 3 consiglieri regionali (tutti deputati).

Nonostante l’incompatibilità Fabrizio Sala è stato nominato vicepresidente della Lombardia.

Anche in Forza Italia sono 4 le figure ancora incompatibili, tutte elette alla camera. Tra questi si trovano 4 consiglieri regionali e l’assessore all’istruzione della regione Lombardia Fabrizio Sala. Su quest’ultimo è da segnalare un aspetto paradossale. Infatti negli scorsi giorni, in seguito alle dimissioni date da Letizia Moratti, il presidente della Lombardia lo ha nominato nuovo vicepresidente, nonostante l’incompatibilità di questo ruolo (come quello di assessore) con il mandato parlamentare. Non si capisce dunque il senso di una nomina che, oltre a essere costituzionalmente incompatibile, avrà comunque breve durata, visto che a un certo punto Sala dovrà comunque risolvere l’incompatibilità.

Infine anche l’Alleanza sinistra-verdi conta un deputato che non ha ancora rassegnato le dimissioni dall’incarico di consigliere regionale.

I farraginosi meccanismi delle giunte per le incompatibilità

Come abbiamo visto dunque, quando un membro del parlamento di Strasburgo accetta un incarico incompatibile con quello di parlamentare europeo, quest’ultimo decade automaticamente. Lo stesso invece non avviene per deputati e senatori.

Come di consueto ognuna delle due camere regola la materia tramite il proprio regolamento. In entrambi i casi comunque gli organi deputati a occuparsi della materia sono noti come giunte delle elezioni. Affinché questo avvenga però tali organi devono innanzitutto costituirsi e, a oggi, questo non risulta che sia avvenuto in nessuna delle due camere.

Anche quando costituite comunque i tempi previsti per la verifica dei titoli di ammissione alla carica sono molto lunghi.

I regolamenti delle due aule divergono in parte nelle procedure per la risoluzione delle incompatibilità, in ogni caso a deputati e senatori sono forniti 30 giorni per consegnare alle giunte l’elenco di tutte le cariche ricoperte (incompatibili o meno). Solo a quel punto può iniziare la verifica vera e propria. Una procedura che richiede diverso tempo per la costituzione di appositi comitati, le richieste di chiarimenti, la possibilità di ricorsi e altri complessi meccanismi burocratici.

Un processo complesso e farraginoso dunque, anche se le incompatibilità, se non altro quelle costituzionali, sono del tutto evidenti, e non c’è alcuna ragione per non risolverle automaticamente. Come peraltro succede nel caso del parlamento europeo.

Per verificare se un parlamentare ricopra ancora incarichi incompatibili, abbiamo consultato i siti delle giunte, dei consigli regionali e dei comuni. Nel caso in cui le dimissioni non siano state rese evidenti sui siti dei rispettivi organi tali incarichi potrebbero essere stati considerati ancora attivi.

 

Pensioni dal 2023

Pensione, cambia tutto dal 2023: si esce dal lavoro a questa età. Ecco quanti anni servono

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PENSIONESOLDI

Nodo pensioni da sciogliere per il Governo Meloni. la Legge di Bilancio 2023 prevederà una serie di incentivi e conferme sulle pensioni. Da alcune indiscrezioni si prevedono riconferme di Opzione Donna e Ape sociale e si lavora a Quota 41. Ecco quale sarà la nuova età pensionabile per il 2023 e quanti anni servono per uscire dal lavoro.

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Nodo pensioni da sciogliere per il Governo Meloni. La Legge di Bilancio 2023 prevederà una serie di incentivi e conferme sulle pensioni. Da alcune indiscrezioni si prevede la riconferma di Opzione Donna e Ape sociale e si lavora a Quota 41. Ma quale sarà la nuova età pensionabile per il 2023 e quanti anni servono per uscire dal lavoro? Vediamo subito cosa ci attende dal prossimo anno.

Il governo Meloni a lavoro sulla nuova Legge di Bilancio 2023. La corsa contro il tempo sta spingendo l’esecutivo di centro destra a valutare numerose misure fondamentali per il bene del Paese.

Molti sono gli interventi da porre in essere circa l’aiuto alle famiglie soffocate dall’aumento dei costi di luce e gas.

Sul tavolo del governo numerose le proposte su misure volte a sostenere gli italiani sul fronte della crisi energetica. Parrebbero riconfermati molti bonus posti in essere dal governo Conte e dal governo Draghi.

Ma altro nodo da non far passare inosservato è legato alle pensioni. Numerose sono le indiscrezioni che circolano, si sta parlando insistentemente di Quota 41, fortemente sponsorizzata dalla Lega e Opzione Uomo, proposta da Fratelli d’Italia.

La Legge di Bilancio dovrà provvedere, quindi, ad individuare i fondi necessari per la conferma degli scivoli per andare in pensione in anticipo e per evitare che dal primo gennaio 2023 si torni alla legge Fornero.

Il Ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, Marina Elvira Calderone, è al lavoro insieme all’intero governo per la riforma delle pensioni.

Ma già trapelano i primi dettagli. Si parte partirà da Quota 41 e verranno riconfermate Ape sociale e Opzione Donna, misure che supportano donne e lavoratori con mansioni usuranti e che rappresentano deroghe alle regole per andare in pensione.

I conti parlano chiaro. Si stimano circa cinque miliardi di investimento proprio per l’argomento pensioni, soprattutto per il rinnovo di Opzione Donna e dell’Ape Sociale e per un nuovo sistemi di incentivi, il tutto per bypassare un ritorno alla legge Fornero e rinnovare Quota 102.

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Ma quali saranno i requisiti di accesso alla pensione dal 2023? E a quale età si potrà andare in pensione dal prossimo anno?

Pensioni, cambia tutto dal 2023: si esce dal lavoro a questa età. Ecco quanti anni servono

Che il neo governo Meloni stia spingendo da tempo su rendere maggiormente flessibile la Legge Fornero non è un mistero.

Non è nascosto che lo schieramento capeggiato dal Premier Meloni voglia permettere a coloro che hanno una contribuzione elevata di andare in pensione prima dei 67 anni richiesti per la pensione INPS di vecchiaia.

La cosiddetta Quota 41 ha però notevoli costi da affrontare e probabilmente non sarà indipendente dall’età anagrafica.

Nel 2023, perciò, non sono previste modifiche ai requisiti di accesso rispetto alla legge Fornero. In parole povere, non ci sarà alcun adeguamento delle aspettative di vita perché l’emergenza sanitaria mondiale da Covid 19 le ha ridotte, determinando una stabilizzazione dell’età pensionabile.

In estrema sintesi, per il 2023 si andrà in pensione raggiunti i: 

  • 67 anni di età e 20 anni di contributi;
  • 71 anni e 15 anni di contributi;
  • 64 anni di età richiesti dalla pensione anticipata contributiva e 20 anni di contributi e un assegno pari o superiore a 2,8 volte l’assegno sociale.

Se non si tiene conto dell’età anagrafica si potrà andare in pensione anticipatamente qualora si raggiungessero i 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini, un anno in meno per le donne.

Ape sociale e Opzione donna, a quanti anni si andrà in pensione nel 2023

Indiscrezioni hanno fatto trapelare la riconferma delle due misure da parte del governo Meloni e da parte del neo ministro del Lavoro, Marina Calderone.

L’Ape sociale, in scadenza il 31 dicembre 2022, sarà sicuramente prorogata al 2023.

I disoccupati, gli invalidi, i caregiver e i lavoratori addetti a mansioni usuranti andranno in pensione con un’età anagrafica di 63 anni ma possedendo almeno 30 anni di contributi e 36 in caso di lavoro usuranti.

L’Ape sociale però non è una vera e propria pensione, ma è considerata un’indennità sostitutiva alla pensione pagata direttamente dallo Stato.

Per Opzione Donna, invece, si tratta di una vera e propria pensione riservata solo alle donne.

L’Opzione prevede di andare in pensione a 58 anni o 59 anni nel caso delle lavoratrici autonome a fronte di 35 anni di contributi. Si potrà accedere ad opzione Donna soltanto se nate entro il 1963. 

Tuttavia, si sta lavorando per estendere i requisiti di possesso anche al 31 dicembre 2022, includendo così anche le nate nel 1964.

Quota 41, ecco la possibile età pensionabile

La proposta fortemente sostenuta dal Fratelli d’Italia di Quota 41 è allo studio del Governo Meloni. l’ipotesi della nuova Quota 41 prevede la possibilità di andare in pensione con 41 anni di contributi e cui va però affiancata un’età anagrafica.

Alcune indiscrezioni parlano di un’età tra i 61 e i 63 anni, istituendo cosi una sorta di Quota 102, Quota 103 o Quota 104. Naturalmente la decisione spetterà al governo in base alle risorse disponibili, anche risulta papabile la sola Quota 103.

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San Goffredo di Amiens

 

San Goffredo di Amiens


Nome: San Goffredo di Amiens
Titolo: Vescovo
Nascita: 1066, Moulincourt, Francia
Morte: 8 novembre 1115, Soissons, Francia
Ricorrenza: 8 novembre
Martirologio: edizione 2004
Tipologia: Commemorazione
San Goffredo, Vescovo di Amiens, fu quasi contemporaneo di Goffredo di Buglione, « Avvocato del Santo Sepolcro ». Al tempo della Crociata, egli era giovinetto. Nato da genitori benestanti e devoti, era entrato nell’Abbazia di Monte San Quintino. Vi acquistò una profonda preparazione spirituale, e presto il giovanissimo monaco si distinse come esempio di una austerità piuttosto rara per quei tempi.

Era un devoto dei due Santi calzolai Crispino e Crispiniano. Quando poteva, il 25 ottobre, giorno della loro festa, si recava a Soissons, nel monastero a loro intitolato. Quei monaci celebravano la ricorrenza mangiando e bevendo più del conveniente. Si ricorda perciò un giorno in cui San Goffredo, ancora novizio, uscì in un severo rimprovero e rifiutò di sedersi alla loro mensa.

Fu ordinato sacerdote. Divenne Abate di un altro monastero, a Nogent. Abate zelante, amministratore ottimo. E di cristallina integrità, in tempi di simonia e di compromessi morali. Per i meriti spirituali, e non per tornaconto politico, i feudatari ed il Re lo elessero allora Vescovo di Amiens.

Entrò in città a piedi nudi, in abito da pellegrino, evitando ogni pompa. In tempi nei quali i Vescovi erano considerati soprattutto come potenti signori di città, il suo esempio suscitò un’impressione profonda e consolante.

Goffredo, anzi, come si diceva anticamente, Gottifredo, è nome germanico che significa « pace di Dio ». Un nome devoto e spirituale, insolito tra i nomi germanici, quasi tutti di origine guerresca e paganeggiante. San Goffredo, da Vescovo, cercò senza riposo di ristabilire nella diocesi quella pace di Dio a cui il suo nome accennava. Pace di Dio, che significava spesso guerra da parte di chi non vuole accettare i precetti divini insegnati dalla Chiesa.

E nemici della pace di Dio ce n’erano dappertutto. Ce n’erano tra popolo e tra i feudatari; ce n’erano anche tra i religiosi e i sacerdoti. Perciò la vita del Vescovo San Goffredo fu difficile, la sua attività di riformatore e pacificatore, continuamente ostacolata. Si tentò perfino di avvelenarlo, ma il veleno fece morire un cane, e la povera bestia salvò così la vita del Vescovo.

Un giorno di Natale, i signori del luogo portarono al Vescovo, come di consueto, le loro ricche offerte. Egli le rifiutò, perché l’aspetto di quei gentiluomini era troppo mondano, come troppo frivola era la loro condotta.

Intanto la città di Amiens cercava di organizzarsi in libero Comune, scrollando il giogo dei feudatari. In molte città, i Vescovi, eletti dai feudatari, e gelosi dei propri privilegi temporali, appoggiavano la causa di chi aveva in mano la potenza delle armi e quella del denaro. San Goffredo, invece, fu con il suo popolo, appoggiando l’iniziativa comunale. Il tentativo fallì. I feudatari tornarono in possesso della città, e la vita del Vescovo che amava la giustizia più del proprio tornaconto divenne ancora più difficile.

Il 25 ottobre del 1115, egli era, come al solito, a Soissons, presso la Chiesa dei Santi Crispino e Crispiniano. Partendo, s’ammalò, e dovette essere riportato indietro. L’8 novembre morì, nell’Abbazia dedicata ai due Santi calzolai. Fu sepolto in quella chiesa, ma dovettero passare quattro secoli, prima che le reliquie di San Goffredo, Vescovo di contrastata e difficile vita, ricevessero anch’esse il culto riservato ai Santi.

MARTIROLOGIO ROMANO. A Soissons in Francia, deposizione di san Goffredo, vescovo di Amiens, che, formatosi per un quinquennio alla vita monastica, patì molto nel ricomporre i dissidi tra i signori e gl