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Videosorveglianza smart, istruttorie per due comuni: di cosa si tratta?

Videosorveglianza smart, istruttorie per due comuni: di cosa si tratta?

 
Videosorveglianza smart, istruttorie per due comuni: di cosa si tratta?

Il Garante per la Protezione dei Dati Personali ha avviato procedimenti istruttori nei confronti di due Comuni (Arezzo e Lecce) per l’avvio di trattamenti di dati personali tramite sistemi di videosorveglianza intelligente, ovvero di progetti per il controllo del territorio e della popolazione, con riconoscimento facciale e occhiali infrarossi.

     Indice

1. I fatti

In particolare, il Comune di Arezzo avrebbe dichiarato di voler avviare a partire dal primo dicembre la sperimentazione occhiali infrarossi per il rilevamento delle infrazioni al codice della strada attraverso il numero di targa dei veicoli ed il collegamento con banche dati nazionali per la verifica dei documenti di guida del conducente. Il Comune di Lecce, invece, avrebbe optato per il riconoscimento facciale, sempre per rilevare infrazioni e per motivi di sicurezza urbana.

Né la prima né la seconda iniziativa sono passate inosservate agli occhi del Garante della Privacy, che ha aperto le relative istruttorie per verificare il rispetto della normativa sulla protezione dei dati personali.

Nello specifico, è stata richiesta ai Comuni la documentazione di accountability relativa ai trattamenti: l’informativa destinata agli interessati, cioè ai cittadini ed ai conducenti dei veicoli, con particolare riferimento alle finalità dei trattamenti ed alle basi giuridiche poste a fondamento, nonché l’elenco dei sistemi e delle misure di sicurezza e minimizzazione adottate (rispetto dei principi di privacy by design e by default), e le valutazioni di impatto sul trattamento effettuato dai dispositivi di identificazione e tracciamento intelligenti.

Il Garante ha precisato, nella sua nota ufficiale, che “in base alla normativa europea e nazionale il trattamento di dati personali realizzato da soggetti pubblici, mediante dispositivi video, è generalmente ammesso se necessario per l’esecuzione di un compito di interesse pubblico o per l’esecuzione di un compito di interesse pubblico o connesso all’esercizio di pubblici poteri” e che i Comuni possono usare tali strumenti “solo a condizione che venga stipulato il cosiddetto patto per la sicurezza urbana tra Sindaco e Prefettura”.


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2. Che cosa dice la normativa sul riconoscimento facciale

Il Garante ha ricordato che il Parlamento ha approvato un emendamento alla legge di conversione del decreto capienze (d.l. 139/2021, convertito con emendamenti con legge 205/2021) che ha inibito l’utilizzo del riconoscimento facciale fino al 31 dicembre 2023 in attesa di una legislazione ad hoc e dell’intervento normativo europeo (“fino all’entrata in vigore di precise normative in materia, nel nostro Paese non sono consentiti l’installazione e l’uso di sistemi di riconoscimento facciale tramite dati biometrici, a meno che il trattamento non sia effettuato per indagini della magistratura o prevenzione e repressione dei reati.”).

La moratoria di tre anni è stata adottata proprio allo scopo di avere il tempo di emanare una legge specifica in materia per regolamentare l’utilizzo di un sistema di trattamento e video sorveglianza così invasivo della vita dei cittadini, nell’alveo più ampio della normativa europea che, a partire dal Regolamento per la Protezione dei Dati Personali (GDPR. Reg. UE 679/2016) e con i successivi Digital Services Act, Digital Market Act, e bozze di Regolamento e-privacy e di Regolamento sull’intelligenza artificiale, sta cercando di uniformare e ridefinire il concetto di protezione dei dati personali e di privacy non solo dal punto di vista giuridico, ma anche alla luce dell’evoluzione tecnologica, che va sempre più veloce di qualsiasi iter legislativo.

3. I pericoli del riconoscimento facciale

L’utilizzo di sistemi di intelligenza artificiale per trattare dati biometrici e porre in essere il riconoscimento facciale è un sistema considerato ad altissimo rischio per i diritti e le libertà fondamentali dei cittadini: così si sono espressi l’EDPB (il Comitato per la protezione dei dati, nato dalle ceneri del WP 29) ed il Garante Europeo per la protezione dei dati (EDPS), che hanno espressamente richiesto la proibizione di tale tecnologia negli spazi pubblici, in quanto foriera di possibili discriminazioni a carico degli interessati. Non solo c’è il concreto pericolo di creare una rete di sorveglianza continua e utilizzabile anche per scopi illegittimi, non solo c’è la possibilità di errori e dunque di conseguenze pregiudizievoli per gli interessati (gli algoritmi di AI non sono infallibili), ma c’è anche il concreto rischio che l’eccessiva ingerenza delle Autorità porti a meccanismi di social scoring: assegnare ai cittadini, a seconda dei loro comportamenti (monitorati continuamente con sistemi biometrici) un punteggio sociale, con conseguenti vantaggi e svantaggi dinnanzi alle Autorità nella “vita reale”: l’applicazione più deteriore e pericolosa della tecnologia, che di per sé non è né “buona né cattiva”, ma buoni o cattivi possono essere gli utilizzi che se ne fatto.

Infine, non possiamo dimenticare che immagazzinare un numero così elevato di dati ultra sensibili pone davanti ad un rischio informatico elevatissimo (Hackeraggio dei sistemi informatici e di controllo, violazione dei database con i dati biometrici, manipolazione dei registri, furto di identità digitali biometriche degli utenti finali) in assenza di misure di sicurezza adeguate e resilienti.

In conclusione, appare piuttosto evidente che le iniziative dei Comuni di Arezzo e di Lecce, allo stato legislativo attuale, sembrerebbero destinate a non prendere il via ed essere bloccate dal Garante della Privacy: vedremo quali saranno i provvedimenti adottati.

A tutti noi, infine, non resta che stare a guardare non solo che cosa succederà in questi due Comuni, ma come evolverà la normativa sul riconoscimento facciale, che potenzialmente potrebbe avere effetti dirompenti nella vita quotidiana di ciascuno di noi.

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Compendio breve sulla privacy

Compendio breve sulla privacy

L’obiettivo del libro è quello di illustrare la disciplina privacy in maniera informale, ma non per questo meno puntuale.

Spesso, il tenore giuridico rende difficilmente comprensibile il senso, ovvero il contenuto e la ratio legis, ai non specialisti.

Parafrasarne il testo, con l’ausilio di esempi e casi concreti, invece, consente di entrare immediatamente in argomento senza alcuna anticamera, pur restando imprescindibile la consultazione della disposizione ufficiale.

Nello specifico, in questa monografia, la lettura della disciplina sulla protezione dei dati personali è guidata dall’articolazione del GDPR, integrato dai provvedimenti dell’Autorità Garante ed esplicato attraverso le pronunce della giurisprudenza su fattispecie particolari.

In tal modo, da un lato viene facilitata la comprensione del dettato normativo, dall’altro il dato normativo assume la propria peculiare sostanza attraverso l’applicazione concreta.

Questo manuale, grazie al suo taglio editoriale, intende rivolgersi non soltanto a professionisti e cultori della disciplina, ma anche a coloro che, nelle Pubbliche Amministrazioni e nelle imprese, si trovano a dover affrontare la materia e, altresì, a coloro che devono sostenere prove concorsuali.

Jean Louis a Beccara
Avvocato, certificato Responsabile della protezione dei dati (DPO) – Cepas Srl (Gruppo Bureau Veritas Italia Spa). Direttore dell’Ufficio Organizzazione e gestione della privacy della Provincia autonoma di Trento. Docente in corsi di formazione, relatore in convegni, nonché autore di numerose monografie e pubblicazioni in materia su riviste scientifiche e specialistiche.

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Jean Louis a Beccara, 2021, Maggioli Editore
24.00 € 19.20 €

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La lotta di Amazon alle recensioni false: prime azioni sul fronte italiano

La lotta di Amazon alle recensioni false: prime azioni sul fronte italiano

 

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1. L’esposto di Amazon

“Non c’è posto per le recensioni false su Amazon”. Esemplari le parole del vicepresidente per i servizi di vendita di Amazon Dharmesh Mehta nei confronti dei c.d. broker delle recensioni, soggetti terzi incaricati dai professionisti di procacciare recensioni positive -per prodotti in realtà dalle dubbie qualità- in cambio di promesse di denaro o prodotti gratuiti. Il fenomeno, ribattezzato astroturfing dalla dottrina statunitense, mina le fondamenta stesse dei sistemi di recensione e classificazione online adottati dai vari siti di e-commerce. Amazon, più che mai decisa nella lotta contro tali pratiche commerciali sleali, ha dunque deciso espandere in territorio europeo la lotta volta alla repressione di tali comportamenti. Dopo il primo esposto di natura civile presentato in Spagna contro “Agencia Reviews”, la squadra legale di Amazon ha deciso di raddoppiare l’impegno profuso, sporgendo denuncia -probabilmente una querela, data la possibile configurazione di truffa del reato contestato- presso la procura di Milano e nei confronti di ignoti. L’evento rappresenta il chiaro segnale della nuova sensibilità riservata all’argomento: l’azienda è più che mai determinata a reprimere tali comportamenti, in maniera tale da garantire l’affidabilità e la genuinità delle recensioni presenti sul sito. La pratica in questione, infatti, è dotata di un’offensività plurima poiché danneggia:

  • Da un lato l’immagine della piattaforma stessa, la quale perde di credibilità ed affidabilità agli occhi dei consumatori;
  • Dall’altro i professionisti concorrenti, i quali vedono erose le proprie fasce di mercato a causa dell’artificiosa manipolazione degli equilibri concorrenziali;

Per far fronte a tale fenomeno, infine, Amazon ha creato un team dedicato di investigatori, avvocati, analisti e altri specialisti esperti del settore informatico con la finalità di innovare i vari sistemi di rilevamento e prevenzione delle recensioni false, uniti dall’ obiettivo comune di “assicurare questi malfattori alla giustizia” – come dichiarato dallo stesso Dharmesh Mehta. Le suddette misure si pongono nel filone di lotta proattiva già perseguito da Amazon: tramite l’intensificazione dei controlli umani e l’introduzione delle più moderne tecnologie di machine learning, l’azienda punta alla totale repressione di tali pratiche e la recente azione delle vie legali nazionali ne è la prova.

2. La dannosità per i consumatori

I consumatori, in tale occasione, non necessariamente patiscono un danno a causa dalla pratica commerciale sleale: se il prezzo pagato rispecchia la qualità del prodotto acquistato, non è possibile configurare un profitto ingiusto da parte del venditore. La sola attribuzione di una recensione positiva, infatti, non è un elemento sufficiente per la configurazione di condizionamento tale da indurre il consumatore alla conclusione dell’acquisto: l’unico interesse meritevole di tutela in tale ipotesi è quello civile della libertà di scelta nella conclusione del contratto, bene giuridico fondamentale nella dottrina europea dei consumatori ma ancora non sedimentato in quella italiana.  Il consumatore, tuttavia, potrebbe costituirsi come parte lesa nell’ipotesi in cui il prodotto acquistato possegga un pessimo rapporto qualità prezzo, configurando così l’elemento dell’induzione in errore ai fini della configurabilità del reato di truffa.

Degna di nota, in conclusione, è la posizione adottata dall’associazione per la tutela dei consumatori “Altroconsumo”: il responsabile per le comunicazioni esterne –Federico Cavallo– ha infatti manifestato il favore dell’associazione per la decisione adottata della società di e-commerce, lamentando la dannosità delle recensioni false sui consumatori in buona fede. L’associazione a tutela dei consumatori non è nuova alla lotta contro tali servizi di boosting: già nel 2019, infatti, aveva condotto un’indagine europea volta a rivelare l’incidenza di illeciti sui consumatori in buona fede. Nelle scorse settimane ha riconfermato il proprio impegno presentando quattro esposti presso le procure di Milano, Bologna, Ivrea e Roma nei confronti dei responsabili di siti internet e gruppi che offrono la compravendita di recensioni.

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Telemarketing selvaggio: la CGUE si pronuncia sul diritto all’oblio

Telemarketing selvaggio: la CGUE si pronuncia sul diritto all’oblio

 

Qui la sentenza: CGUE -C-129/21- comunicato n. 171 del 27 ottobre 2022

Con Comunicato n. 171 del 27 ottobre ultimo scorso, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea si è pronunciata nella causa C-129/21 nei confronti della società Proximus, un fornitore di servizi di telecomunicazioni in Belgio, che si occupa anche di compilare anche elenchi telefonici e fornire servizi di consultazione di elenchi telefonici.

In questi elenchi telefonici è contenuto il nome, l’indirizzo e il numero di telefono degli abbonati dei diversi fornitori di servizi telefonici che sono accessibili al pubblico e Proximus fornisce appunto il servizio di comunicare ai vari operatori telefonici questi dati perché vengano utilizzati per fini commerciali, una ulteriore riprova, se ce ne fosse ancora davvero bisogno, del valore economico dei dati personali nell’economia moderna. Tutto ciò avviene a meno che gli interessati, cioè gli abbonati, non abbiano espresso la volontà di non comparire negli elenchi pubblici.

     Indice

  1. Il caso
  2. Il contenzioso

1. Il caso

La società Telenet, un operatore di servizi telefonici belga, trasmetteva dati di contatto dei suoi abbonati a vari fornitori di elenchi telefonici, tra cui figurava appunto la società Proximus.

A seguito di specifica richiesta di un interessato, che aveva esercitato il suo diritto a non far comparire i propri dati di contatto negli elenchi telefonici compilati da tutti i soggetti coinvolti nel trattamento, Proximus correttamente modificava la posizione dell’abbonato, in modo che i suoi dati di contatto non venissero resi pubblici.

Tuttavia, in un secondo tempo Proximus riceveva da Telenet un aggiornamento dei dati dello stesso, che non erano segnalati come riservati. Fidandosi di questa informazione, Proximus trattava i dati sottoponendoli a procedure di trattamento automatizzate, e l’abbonato che aveva negato il suo consenso si vedeva nuovamente comparire begli elenchi telefonici.

Esercitando per la seconda volta i propri diritti, l’interessato reiterava la richiesta a Proximus di non fare comparire i propri dati, ricevendo in risposta l’assicurazione che i dati erano stati eliminati dagli elenchi e che altresì la società aveva contattato Google affinché fossero eliminati i relativi link verso il sito Internet aziendale. Inoltre, Proximus informava l’interessato di aver trasmesso i suoi dati ad altri fornitori di elenchi telefonici, che tuttavia erano stati correttamente informati della richiesta di non comparire negli elenchi pubblici.


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2. Il contenzioso

L’interessato, ritenendo violati i propri diritti ai sensi del Regolamento Europeo 679/2016 sul trattamento dei dati personali (GDPR) ed in particolare l’art. 17 relativo al diritto di cancellazione (o diritto all’oblio), presentava denuncia presso l’Autorità belga per la protezione dei dati personali, la quale imponeva a Proximus misure correttive e irrogava un’ammenda dell’importo di 20.000 euro per violazione di diverse disposizioni del GDPR.

Proximus impugnava detta pronuncia dinanzi alla Corte d’appello di Bruxelles, sostenendo:

  • Che non sarebbe necessario il consenso preventivo dell’abbonato per la pubblicazione dei suoi dati personali negli elenchi telefonici;
  • Che gli abbonati dovrebbero esercitare un successivo “opt-out” da tali elenchi;
  • Che in mancanza di opt-out l’abbonato può comparire in tali elenchi.

Al contrario, l’Autorità Garante riteneva che il previo consenso fosse essenziale ai sensi del Regolamento affinché i fornitori di elenchi telefonici possano trattare e trasmettere i dati personali degli abbonati.

La Corte d’appello di Bruxelles sottoponeva la questione alla Corte di giustizia dell’Unione Europea.

Nella sua sentenza qui esaminata, la Corte ha confermato che per la pubblicazione in un elenco telefonico pubblico dei dati personali di un abbonato è necessario il consenso dell’abbonato.

Il consenso deve essere informato, ovvero prestato a seguito di un’informativa fornita ai sensi degli artt. 13 e 14 del Regolamento e si estende a qualsiasi trattamento ulteriore dei dati da parte di imprese terze attive nel mercato dei servizi di consultazione degli elenchi telefonici accessibili al pubblico e degli elenchi telefonici, sempre che tali trattamenti abbiano le medesime finalità e perseguano i medesimi scopi.

La Corte ha ribadito le caratteristiche del consenso, che deve consistere in una azione positiva inequivocabile, che non lasci dubbi circa l’accettazione (e la comprensione) da parte dell’interessato del trattamento dei suoi dati. Dunque, deve trattarsi di una manifestazione di volontà libera, specifica, informata e inequivocabile, nonché evidentemente revocabile in qualsiasi momento.

La Corte ha proseguito evidenziando che un consenso come quello sopra descritto non presuppone che, nel momento in cui esso è stato prestato, anche se validamente, venga emesso da un interessato a conoscenza di tutti i fornitori di elenchi telefonici successivi a cui i suoi dati personali verranno trasmessi e che si troveranno a trattare i suoi dati.

Pertanto, è necessario assicurare che un abbonato abbia la possibilità di fare eliminare i suoi dati (art. 17 GDPR) come estrinsecazione del suo diritto a essere dimenticato, o diritto all’oblio. Il principio che ne deriva è che l’interessato, per esercitare il proprio diritto, deve soltanto rivolgersi a uno dei soggetti che trattano i propri dati, essendo poi onere di quest’ultimo comunicare ai soggetti successivi la revoca di detto consenso.

Dunque spetta a ciascuno Titolare, nell’esercizio della propria accountability, porre in essere misure tecniche ed organizzative adeguate a garantire ed essere in grado di dimostrare di riuscire a gestire tutto l’iter di cancellazione e comunicazione ai successivi Titolari autonomi a cui i dati sono stati trasmessi.

Qualora, come nel caso in esame, diversi titolari del trattamento si basino sul consenso unico dell’interessato per trattare i dati personali di quest’ultimo, è sufficiente, infatti, perché la revoca del consenso sia valida, che egli si rivolga ad uno qualsiasi dei titolari del trattamento.

La portata di questa decisione potrebbe avere conseguenze davvero notevoli non solo per le aziende operanti nel settore del telemarketing, ma anche nella vita degli interessati. Nell’impossibilità di rintracciare tutti i consensi negli anni espressi, più o meno validamente, o carpiti con inganni più o meno evidenti, l’esercizio del diritto all’oblio ex art. 17 GDPR nei confronti dell’ultimo operatore che pone in essere un trattamento (magari quella telefonata molesta proprio durante l’ora di cena) potrebbe (almeno da un punto di vista squisitamente giuridico) mettere finalmente la parola fine ai trattamenti illegittimi da parte di tutti.

Questa pronuncia, in combinato disposto con il registro delle opposizioni, da luglio attivo anche per i numeri cellulari, ad oggi costituiscono le nostre migliori armi per opporci al telemarketing selvaggio, in alternativa al sempre valido metodo di salutare, possibilmente in maniera educata, riagganciare e poi bloccare il numero di telefono.

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Privacy e GDPR: Manuale applicativo con esempi e casistiche settoriali

Privacy e GDPR: Manuale applicativo con esempi e casistiche settoriali

Il volume si distingue per il suo carattere multidisciplinare ponendosi quale strumento pratico e immediato per rispondere in modo corretto alle finalità della legge.
Per ogni tipologia di attività, dalla sanità, alle assicurazioni, dalle banche, alle PMI fino ad arrivare al settore scolastico, il manuale diventa uno strumento per interpretare in modo efficace, il quadro regolatorio in materia di protezione dei dati personali e le sue indicazioni pratiche, riescono a dare criteri precisi su come applicarlo.

Il manuale oltre a contenere le disposizioni della legge, è dotato di un formulario che permette un’analisi accurata della situazione in cui il soggetto si trova e, con chek-list, fac-simili, lettere di nomina, informative, istruzioni operative a tutto quello che occorre, permette di riuscire ad avere in breve tempo, una soluzione a tutte le problematiche che il GDPR ha introdotto.

Il manuale può essere utilizzato, non solo a chi la legge la deve applicare, ma anche a quei soggetti, certificatori e verificatori delle norme UNI EN ISO, che sono preposti alla valutazione per i sistemi di qualità.
Sistemi che oggi sono fondamentali per porre le aziende nella condizione di trovarsi, in un mercato concorrenziale, pronte a soddisfare le sempre più esigenti richieste di tutti gli stakeholder. 

Il volume affronta, in particolare, i seguenti settori:
– banche;
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MONICA MANDICO
Già DPO e legal Specialist di privati e aziende, è avvocato e founder di Mandico & Partners. È stata coautrice di diverse opere, oltre ad aver pubblicato diverse monografie e contribuito ad opere collettanee in materia di privacy. Docente nel Corso di Perfezionamento “ Privacy e potere di controllo nelle imprese e nei rapporti di lavoro”, organizzato e patrocinato dalle Università delle Marche ed UNICAM.

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Monica Mandico, 2019, Maggioli Editore
32.00 € 25.60 €

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Le nuove controverse politiche dell’immigrazione

Le nuove controverse politiche dell’immigrazione
 

Le recenti politiche dell’immigrazione adottate dal nuovo governo di centro destra hanno determinato forti tensioni sia in Italia che nell’ambito dell’Unione Europea, soprattutto con la Francia. Gli stessi provvedimenti oltre ad avere, allo stato, scarsa efficacia, potrebbero determinare dei risvolti giudiziari, come già avvenuto con precedenti governi.

    Indice

  1. La disciplina internazionale in materia e il ruolo delle Ong
  2. Il possibile contrasto delle recenti direttive con le convenzioni internazionali e la giurisprudenza
  3. Gli eventuali risvolti penali
  4. Conclusioni 

1. La disciplina internazionale in materia e il ruolo delle Ong

Il fenomeno delle migrazioni ha ormai una dimensione planetaria indiscutibile. La sua origine deriva da due ragioni: la prima, economica, attribuibile ai grandi progressi realizzati nei settori delle comunicazioni e dei trasporti (globalizzazione); l’altra, di natura politica, attribuibile alla divisione in Stati che con i loro governi e sistemi di potere contribuiscono agli squilibri mondiali con regimi dittatoriali e lesivi dei diritti umani e democratici, conflitti armati, alimentazione di conflitti etnici e religiosi, politiche strutturali interne poco efficaci.[1]

Secondo la Convenzione di Ginevra stilata dagli Stati Membri delle Nazioni Unite subito dopo la Seconda Guerra Mondiale e conosciuta come Convenzione ONU del 1951, un rifugiato è colui che «temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trova fuori del Paese di cui è cittadino e non può o non vuole, a causa di questo timore, avvalersi della protezione di questo Paese».[2]

Pertanto, uno dei principi essenziali della Convenzione di Ginevra è il principio di non respingimento (non refoulement): una persona che chiede protezione non può essere in nessun caso respinta verso luoghi dove la sua libertà e la sua vita sarebbero minacciati.

L’importanza del divieto di rinviare un rifugiato verso un luogo a rischio di persecuzione è reso palese dal fatto che l’art. 33 della Convenzione di Ginevra non può essere sottoposto ad alcuna riserva, come stabilito dall’art. 42 della stessa.[3]

Il principio di non refoulement non si applica solo ai rifugiati riconosciuti, ma anche a quei richiedenti asilo che siano in attesa della decisione finale sul loro status e che quindi potrebbero essere riconosciuti rifugiati. E ciò perché il riconoscimento dello status di rifugiato ha natura dichiarativa e non costitutiva.[4]

A tale riguardo, è opportuno sottolineare come la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), con sentenza del 23 febbraio 2012, ha posto una pietra miliare in tema di respingimenti in acque internazionali. Il ricorso ipotizzava la violazione da parte dell’Italia degli artt. 3 e 13 della Convenzione Europea dei Diritti Umani e dell’art. 4 del Protocollo addizionale n. 4 alla Convenzione stessa. La Corte ha riconosciuto l’esercizio della giurisdizione italiana nel caso di specie, anche se le operazioni di soccorso e poi di respingimento sono avvenute al di fuori del suo territorio in acque internazionali.[5]

Il diritto d’asilo, è anche espressamente previsto dalla Costituzione italiana, all’articolo 10 che recita: «Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge».

Inoltre, l’art. 3 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo dispone che «Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà ed alla sicurezza della propria persona». Questa norma riconosce un carattere prioritario al diritto alla vita che si identifica con la persona umana ed ha un valore assoluto.

Inoltre, la convenzione internazionale sulla ricerca ed il salvataggio marittimo (nota anche come SAR, acronimo di search and rescue) siglata ad Amburgo il 27 aprile 1979 ed entrata in vigore il 22 giugno 1985, è un accordo internazionale elaborato dall’Organizzazione Marittima Internazionale (IMO), volto a tutelare la sicurezza della navigazione mercantile, con esplicito riferimento al soccorso marittimo.

In Italia ad essere investito per legge delle funzioni SAR in mare è il Corpo delle Capitanerie di Porto, il quale, pur essendo uno dei corpi specialistici della Marina Militare italiana, svolge compiti relativi agli usi civili del mare con funzioni amministrativo-burocratiche, di polizia giudiziaria e di guardia costiera.

Il regolamento di attuazione della Convenzione di Amburgo (D.P.R. 28 settembre 1994, n.662), è il documento di coordinamento in materia di ricerca e soccorso in mare. Esso dispone l’organizzazione del sistema di soccorso secondo precisi criteri aderenti alla normativa internazionale. In questo assetto, il Comando Generale del Corpo delle Capitanerie di Porto, attraverso la propria centrale operativa, ha assunto le funzioni di Italian Maritime Resue Coordination Centre con l’acronimo IMRCC (Centro Nazionale di coordinamento del soccorso marittimo).

L’evoluzione del principio generale del soccorso in mare si è avuta con l’art. 98, §1, della CNUDM che così dispone:

  1. ogni Stato deve esigere che il comandante di una nave che batte la sua bandiera, nella misura in cui gli sia possibile adempiere senza mettere a repentaglio la nave, l’equipaggio o suoi passeggeri:
  2. presti soccorso a chiunque sia trovato in mare in condizioni di pericolo;
  3. proceda quanto più velocemente è possibile al soccorso delle persone in pericolo, se viene a conoscenza del loro bisogno di aiuto nella misura in cui ci si può ragionevolmente aspettare da lui tale iniziativa;
  4. presti soccorso, in caso di collisione, all’altra nave, al suo equipaggio e ai suoi passeggeri e, quando è possibile, comunichi all’altra nave il nome della propria e il porto presso cui essa è immatricolata e qual è il porto più vicino presso cui fare scalo.

La CNUDM, al §2 dell’art. 98, tiene conto delle responsabilità in materia di SAR imposte agli Stati dalla convenzione di Amburgo 1979, affermando che «Ogni Stato costiero promuove la costituzione e il funzionamento permanente di un servizio adeguato ed efficace di ricerca e soccorso per tutelare la sicurezza marittima e aerea e, quando le circostanze lo richiedono, collabora a questo fine con gli Stati adiacenti tramite accordi regionali».

Pertanto, le fasce di mare, individuate come SAR, rientrano nella responsabilità dello Stato costiero e devono sottostare al controllo ed al potere di intervento di ogni singolo Stato.[6]

Ai fini della configurazione dell’omissione di soccorso si dovrebbe, pertanto, ritenere che le responsabilità sarebbero ipotizzabili nei seguenti casi:

  • Non intervento di navi le quali siano a conoscenza della situazione (anche a seguito di warning emanato dalle autorità italiane) e siano in condizioni di intervenire in tempo utile in ragione della distanza e della velocità e non sussistano condizioni ostative attinenti alla sicurezza della navigazione e delle persone che sono a bordo nonché alla tipologia di navi, sprovviste di spazi per ospitare le persone salvate o addirittura pericolose nei confronti dei migranti da trasportare;
  • Mancata emissione di warning ai mercantili in transito da parte delle autorità SAR italiane.

Per completezza di analisi, e per delineare un’eventuale responsabilità penale nei confronti delle autorità italiane, meritano un cenno le ONG, «associazioni transnazionali private, senza scopo di lucro, che, tramite un apparato organico stabile, perseguono fini altruistici in maniera pacifica», già da anni nell’occhio del ciclone.[7]

In primo luogo, nella produzione delle norme internazionali, esse danno un contributo diretto, uno indiretto ed uno autonomo. Il primo coincide con il coinvolgimento delle organizzazioni non governative nella redazione dei testi di trattati e atti giuridicamente non vincolanti; il secondo comprende tutte le attività di natura informale mediante cui le stesse sono in grado di influenzare lo svolgimento e gli esiti dei negoziati per l’elaborazione di tali strumenti; il terzo, invece, consiste nell’elaborazione di standards internazionali di condotta nella forma di principi, linee guida o codici.

Tuttavia, l’unico mezzo per verificare che vi sia osservanza di tali principi è quello di dare un’informativa diffusa al pubblico in modo da recare pregiudizio agli attori che pongano in essere condotte contrastanti e indurli ai uniformarsi ai medesimi. Infatti, tali strumenti possono acquisire valore giuridico sul piano dell’ordinamento internazionale solo se incorporati nel testo di trattati o qualora siano supportati da una prassi costante e uniforme degli Stati e da una corrispondente opinio juris.


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2. Il possibile contrasto delle recenti direttive con le convenzioni internazionali e la giurisprudenza

Con decreti interministeriali adottati in base all’articolo 1.2 del decreto-legge 130/2020, convertito in legge n.173/2020, notificati in data 4 e 6 novembre 2022, ai comandanti delle navi Humanity 1, che batte bandiera tedesca e Geo Barents, che batte bandiera norvegese, dai tre ministri firmatari dell’Interno, della Difesa e delle Infrastrutture, è stato intimato il ritorno delle navi in acque internazionali e quindi di fatto il respingimento dei migranti.

Le autorità competenti e i medici si sono visti costretti ad attuare una selezione dei profughi: quelli identificati come vulnerabili sono potuti scendere subito dalle navi e hanno avuto accesso al primo soccorso; mentre gli altri, in un primo momento sono stati costretti a rimanere sulle navi e successivamente sono stati fatti scendere in quanto ritenuti anch’essi fragili per gravi problemi psicologici.

Inoltre, dal governo continua il richiamo persistente agli Stati di bandiera, che secondo il ministro dell’interno dovrebbero prendersi in carico i migranti. Una teoria questa che darebbe per scontato che le navi valgano come territorio nazionale e che punterebbe ad aggirare il regolamento di Dublino, ma che potrebbe non rispettare le direttive europee.[8]

In primo luogo, si ritiene che i citati decreti interministeriali contengano un’interpretazione non coerente con le convenzioni internazionali, compresa quella di Amburgo e con le ultime pronunce della Cassazione. Si tratta di convenzioni «che antepongono il diritto alla vita, il divieto di tortura e di trattamenti inumani e degradanti, il principio di non refoulement e il diritto di chiedere asilo in frontiere».

Il governo sostiene anche, come detto, che l’assistenza e il salvataggio potrebbero essere assicurati dal Paese di bandiera. In realtà, è impossibile presumere in anticipo la sicurezza dei porti stranieri, in quanto la valutazione del porto più sicuro deve essere effettuata caso per caso, anche perché non è presumibile in anticipo che la nave soccorritrice disponga di risorse sufficienti per raggiungere il paese di bandiera.

3. Gli eventuali risvolti penali

E’ necessario anche esaminare i possibili risvolti penali che potrebbero essere originati dall’attuazione dei provvedimenti in argomento, partendo dall’analisi delle più recenti vicende.

Nel caso della nave “Gregoretti”[9], la Procura di Catania aveva aperto un’inchiesta per sequestro di persona e, il 21 settembre 2019, il PM aveva avanzato richiesta motivata di archiviazione.

Tuttavia, su richiesta del Tribunale dei Ministri di Catania, in conseguenza dell’autorizzazione a procedere da parte della Giunta per le immunità del Senato, si è svolta l’udienza davanti al GUP di Catania conclusasi con il proscioglimento di tutti gli imputati.

Ulteriori considerazioni ci vengono suggerite dall’ordinanza del GIP di Agrigento in data 2 luglio 2019, confermata dalla Suprema Corte di Cassazione, a proposito del caso analogo della nave “Sea Watch 3” che, il giorno 29 giugno 2019, decideva di entrare nel porto di Lampedusa per far sbarcare alcuni migranti che aveva precedentemente soccorso. Alla luce di quanto sopra, la comandante della nave, Carola Rackete, veniva tratta in arresto dalle forze dell’ordine per aver opposto resistenza alla nave della Guardia di Finanza. Il GIP non convalidava l’arresto della citata comandante, ritenendo non integrato il reato di cui all’art. 1100 del codice della navigazione e scriminato, ex art. 51 c.p., il reato di cui all’art. 337 c.p.

Un caso analogo, ma con alcune rilevanti diversità, si è verificato per la vicenda della nave spagnola “Open Arms” che, nel mese di agosto 2019, soccorse 164 migranti, tra cui numerosi minori non accompagnati, in attesa dal 14 agosto sino all’esecuzione del sequestro preventivo, in data 20 agosto, di ottenere un porto sicuro. Tale procedimento si trova, allo stato, nella fase dibattimentale dinanzi al Tribunale dei Ministri di Palermo.

Anche nei casi in esame, quindi, potrebbe essere presente l’elemento materiale del reato di sequestro di persona e cioè la privazione della libertà personale; infatti «l’elemento oggettivo previsto dall’art. 605 cod. pen. consiste nella privazione della libertà personale della vittima, intesa come libertà di movimento, mentre sono irrilevanti il suo grado di privazione, la durata di questa ed i mezzi usati per imporla»[10] . Ma potrebbe sussistere anche l’elemento soggettivo del reato «L’elemento psicologico del reato di sequestro di persona si concreta nel dolo generico e cioè nella volontà, cosciente e libera, dell’agente di menomare l’altrui libertà di movimento, senza che occorra alcun fine specifico».[11]

Tale analisi potrebbe far propendere per una responsabilità penale dei ministri interessati al decreto interministeriale in argomento. Però, deve anche rilevarsi che, secondo una parte della giurisprudenza «Il reato di sequestro di persona richiede, sotto il profilo soggettivo, la consapevolezza di infliggere alla vittima una illegittima privazione della libertà personale. Ne consegue che deve escludersi la configurabilità del suddetto reato allorchè la privazione della libertà costituisca il risultato di una condotta che, sebbene oggettivamente illegittima, sia contrassegnata soggettivamente dalla finalità di realizzare l’esercizio di un potere del quale l’agente sia legittimamente investito e non si caratterizzi come comportamento privo di ogni legame con l’attività istituzionale».[12]

Quindi, potrebbero sussistere nelle fattispecie in questione disposti normativi che hanno fatto venir meno l’elemento soggettivo del reato, soprattutto con riferimento alla citata legge n.173/2020, contenente disposizioni urgenti in materia di contrasto all’immigrazione illegale e di ordine e sicurezza pubblica.

L’art.1.2 ha introdotto, infatti, una norma, in base alla quale il Ministro dell’Interno, in quanto Autorità Nazionale di Pubblica Sicurezza ai sensi dell’art. 1 della legge n.121/1981, nell’esercizio delle funzioni di coordinamento e nel rispetto degli obblighi internazionali dell’Italia, può limitare o vietare l’ingresso, il transito o la sosta di navi nel mare territoriale, salvo che si tratti di naviglio militare o di navi in servizio governativo non commerciale, per motivi di ordine e sicurezza pubblica.

Il provvedimento è adottato di concerto con il Ministro della Difesa e con il Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, secondo le rispettive competenze, informandone il Presidente dei Consiglio dei Ministri, come avvenuto nei casi in esame.

Dal tenore letterale della norma si evince anche che non dovrebbe sussistere discrezionalità in capo al Ministro dell’Interno nel caso siano sorti motivi di ordine e sicurezza pubblica, sempre che siano stati rispettati gli obblighi internazionali assunti dall’Italia, con la conseguente limitazione della propria sovranità nel mare territoriale.

Attualmente il Viminale sta lavorando ad una nuova norma che disciplini le attività delle navi delle ONG nelle acque territoriali italiane. Si tratta di un provvedimento analogo al primo decreto sicurezza, e cioè del decreto legge 4 ottobre 2018, n.118, convertito con la legge 17 dicembre 2018, n.132, nel punto in cui disciplinava le sanzioni amministrative e il sequestro dei battelli umanitari.[13]

Tale provvedimento prevedeva, tra l’altro, l’irrogazione di multe per le navi delle ONG sino ad un milione di euro. Il testo era stato, poi, modificato dal governo successivo con la citata legge n.173/2020, il quale stabiliva che, in caso di violazione del divieto, si doveva applicare la reclusione fino a due anni e una multa da 10.000 a 50.000 euro. In tal modo venivano eliminate le sanzioni amministrative introdotte in precedenza.

La stessa norma precisava che, per le operazioni di soccorso, la disciplina di divieto non si sarebbe applicata nell’ipotesi in cui vi sia stata la comunicazione al centro di coordinamento ed allo Stato di bandiera e siano rispettate le indicazioni della competente autorità per la ricerca ed il soccorso in mare.[14]

Il provvedimento allo studio, che attribuisce maggiori poteri ai prefetti, vorrebbe ripristinare le citate sanzioni amministrative, ritenute più efficaci e tempestive, ma potrebbe incorrere nelle censure della Corte di Cassazione, della Corte costituzionale e soprattutto del Presidente della Repubblica che rilevò, in sede di promulgazione della menzionata legge n.132/2018, due rilevanti criticità: la prima sulla sanzione pecuniaria e l’altra sulla reiterazione della condotta, indicazioni dalle quali l’attuale governo non potrà prescindere.

4. Conclusioni

Si ritiene che le disposizioni di cui trattasi incidono sulle menzionate convenzioni internazionali senza avere una reale efficacia deterrente, determinando situazioni conflittuali con gli altri Paesi dell’Unione Europea, come avvenuto di recente con la Francia.

Pertanto, si rende necessario il bilanciamento con gli altri diritti inviolabili dei cittadini, italiani e stranieri. Tra questi certamente si deve considerare il diritto alla salute, tutelato dall’art. 32 della Costituzione e il diritto al trattamento umano sancito dagli artt. 2, 10 e 27, comma 3, della stessa Costituzione. Alle previsioni della nostra Carta costituzionale devono aggiungersi quelle contenute nelle Convenzioni internazionali e in quella europea dei diritti dell’uomo – al cui rispetto il nostro ordinamento è tenuto in forza dell’art. 117 della Costituzione – che parimenti qualificano come inderogabili il divieto di trattamenti inumani (art. 3) e la protezione della vita e dell’integrità fisica. Si tratta di previsioni alle quali la Convenzione europea accorda una tutela assoluta, poiché – secondo quanto previsto dall’art. 15 della stessa CEDU – ad esse non si può derogare nemmeno “in caso di guerra o in caso di altro pericolo pubblico che minacci la vita della nazione”.

Per affrontare il fenomeno migratorio, non può quindi considerarsi risolutiva l’emanazione dei citati decreti interministeriali, ma sarà necessaria una previgente politica governativa, con il coinvolgimento degli altri paesi dell’UE, già avviata con notevoli difficoltà, la quale soltanto potrà razionalizzare il flusso dei migranti destinato ad incrementare ulteriormente.

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UE: dal 14 novembre in vigore la Direttiva sui salari minimi adeguati

UE: dal 14 novembre in vigore la Direttiva sui salari minimi adeguati

 

Sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione europea è stata pubblicata la DIRETTIVA (UE) 2022/2041 DEL Parlamento Europeo e del Consiglio del 19 ottobre 2022 relativa a salari minimi adeguati nell’Unione europea.

     Indice

1. Oggetto e ambito di applicazione

Per migliorare le condizioni di vita e di lavoro nell’UE, in particolare l’adeguatezza dei salari minimi per i lavoratori al fine di contribuire alla convergenza sociale verso l’alto e alla riduzione delle disuguaglianze retributive, la direttiva in disamina istituisce un quadro per:

  1. l’adeguatezza dei salari minimi legali al fine di conseguire condizioni di vita e di lavoro dignitose;
  2. la promozione della contrattazione collettiva sulla determinazione dei salari;
  3. il miglioramento dell’accesso effettivo dei lavoratori al diritto alla tutela garantita dal salario minimo ove previsto dal diritto nazionale e/o da contratti collettivi.

Resta salvo il pieno rispetto dell’autonomia delle parti sociali, nonché il loro diritto a negoziare e concludere contratti collettivi. Inoltre, resta salva la competenza degli Stati membri di fissare il livello dei salari minimi, nonché la scelta degli Stati membri di fissare salari minimi legali, di promuovere l’accesso alla tutela garantita dal salario minimo prevista nei contratti collettivi o entrambi.

2. Ambito di applicazione

Si applica ai lavoratori dell’UE che hanno un contratto di lavoro o un rapporto di lavoro quali definiti dal diritto, dai contratti collettivi o dalle prassi in vigore in ciascuno Stato membro, tenendo conto della giurisprudenza della Corte di giustizia.


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3. Procedura per la determinazione di salari minimi legali adeguati

Gli Stati membri in cui sono previsti salari minimi legali istituiscono le necessarie procedure per la determinazione e l’aggiornamento dei salari minimi legali. Tale determinazione e aggiornamento sono basati su criteri stabiliti per contribuire alla loro adeguatezza, al fine di conseguire un tenore di vita dignitoso, ridurre la povertà lavorativa, promuovere la coesione sociale e una convergenza sociale verso l’alto e ridurre il divario retributivo di genere. Gli Stati membri definiscono tali criteri conformemente alle rispettive prassi nazionali, nel pertinente diritto nazionale, nelle decisioni degli organi competenti o in accordi tripartiti. I criteri nazionali comprendono almeno gli elementi seguenti:

  1. il potere d’acquisto dei salari minimi legali, tenuto conto del costo della vita;
  2. il livello generale dei salari e la loro distribuzione;
  3. il tasso di crescita dei salari;
  4. i livelli e l’andamento nazionali a lungo termine della produttività.

Fatti salvi gli obblighi succitati, gli Stati membri possono inoltre ricorrere a un meccanismo automatico di adeguamento dell’indicizzazione dei salari minimi legali, basato su criteri appropriati e conformemente al diritto e alle prassi nazionali, a condizione che l’applicazione di tale meccanismo non comporti una diminuzione del salario minimo legale. Gli Stati membri utilizzano valori di riferimento indicativi per orientare la loro valutazione dell’adeguatezza dei salari minimi legali. A tal fine, possono utilizzare valori di riferimento indicativi comunemente utilizzati a livello internazionale, quali il 60 % del salario lordo mediano e il 50 % del salario lordo medio, e/o valori di riferimento indicativi utilizzati a livello nazionale. Gli stessi Stati membri garantiscono che i salari minimi legali siano aggiornati periodicamente e tempestivamente le almeno ogni due anni o, per gli Stati membri che ricorrono a un meccanismo di indicizzazione automatica, almeno ogni quattro anni.

4. Variazioni e trattenute

Se autorizzino salari minimi legali diversi per specifici gruppi di lavoratori o consentano trattenute che riducono la retribuzione versata portandola a un livello inferiore a quello del salario minimo legale pertinente, gli Stati membri provvedono affinché tali variazioni e trattenute rispettino i principi di non discriminazione e di proporzionalità, il quale comprende il perseguimento di un obiettivo legittimo.

5. Non regresso e disposizioni più favorevoli

La direttiva non costituisce un motivo valido per ridurre il livello generale di protezione già offerto ai lavoratori negli Stati membri, in particolare per quanto riguarda la riduzione o l’abolizione dei salari minimi. Lascia impregiudicata la prerogativa di uno Stato membro di applicare o introdurre disposizioni legislative, regolamentari o amministrative più favorevoli ai lavoratori o di promuovere o consentire l’applicazione di contratti collettivi che siano più favorevoli ai lavoratori. Lo stesso documento non deve essere interpretato in modo da impedire a uno Stato membro di aumentare i salari minimi legali.

6. Recepimento e attuazione

Gli Stati membri adottano le misure necessarie per conformarsi alla direttiva in parola entro il 15 novembre 2024. Gli Stati membri adottano, conformemente al diritto e alle prassi nazionali, le misure adeguate per garantire un efficace coinvolgimento delle parti sociali ai fini dell’attuazione della direttiva. A tal fine, possono affidare alle parti sociali tale attuazione, in tutto o in parte, compresa l’elaborazione di un piano d’azione, laddove le parti sociali lo richiedano congiuntamente. Nel farlo, gli Stati membri adottano tutte le misure necessarie per essere sempre in grado di assicurare il rispetto degli obblighi stabiliti dalla direttiva.

7. Entrata in vigore

La direttiva entra in vigore il ventesimo giorno successivo alla pubblicazione (25 ottobre 2022) nella Gazzetta ufficiale dell’UE.

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Riforma Cartabia Penale: prime questioni di legittimità costituzionale

Riforma Cartabia Penale: prime questioni di legittimità costituzionale

 

il Tribunale di Siena ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, d.l. n. 162/22, che ha disposto il differimento al 30 dicembre 2022 della riforma della giustizia penale (d.lgs. n. 150/22).

>>>Leggi l’ordinanza<<<

     Indice

1. Il d.l. di differimento della riforma penale Cartabia

Nel giudizio a quo si è evidenziato che il d.l. n. 162/2022 fa slittare al 30 dicembre 2022, con l’effetto che per taluni reati contro la persona e contro il patrimonio, il più sfavorevole regime di procedibilità d’ufficio, impedisce di fatto l’estinzione del reato per intervenuta remissione della querela, ovvero la declaratoria di improcedibilità per mancanza della querela.


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2. La questione emersa

La questione si attesta su tre livelli:

  • i primi due afferiscono alla legittimità costituzionale del ricorso, operato dal Governo, al decreto-legge, per realizzare il differimento dell’entrata in vigore della riforma penale Cartabia che, per l’effetto, risulta suscettibile di interessare ogni parte di detta riforma, inclusi gli interventi relativi al processo penale;
  • il terzo afferisce alla disciplina del sistema sanzionatorio penale contemplata dalla riforma, passibile di espansione alle previsioni più favorevoli all’indagato o all’imputato, ulteriori rispetto a quelle relative al regime di procedibilità.

3. La rimessione

Pertanto, il Tribunale di Siena, mediante Ordinanza 11 novembre 2022, ha dichiarato rilevante e non manifestamente infondata, la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 6 del decreto-legge 31 ottobre 2022, n. 162 (Misure urgenti in materia di divieto di concessione dei benefici penitenziari nei confronti dei detenuti o internati che non collaborano con la giustizia, nonché in materia di entrata in vigore del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, di obblighi di vaccinazione anti SARS-COV-2 e di prevenzione e contrasto dei raduni illegali), in riferimento:

  • agli articoli 73, terzo comma, e 77, secondo comma,
  • al coordinato disposto degli articoli 3 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’articolo 7, primo paragrafo, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, e all’articolo 15, primo comma, del Patto internazionale sui diritti civili e politici, adottato a New York il 16 dicembre 1966, entrato in vigore il 23 marzo 1976, ratificato e reso esecutivo con legge 25 ottobre 1977, n. 881.

Il Tribunale ha quindi sospeso il giudizio sino alla decisione sulla proposta questione di legittimità costituzionale, ordinando la trasmissione alla Corte costituzionale dell’ordinanza, unitamente agli atti del giudizio.

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Il governo Meloni conta 65 membri

Il governo Meloni conta 65 membri

Il numero di componenti del governo Meloni e il confronto con gli esecutivi precedenti

GRAFICO
 
DESCRIZIONE

Il governo Meloni conta complessivamente 65 membri, il massimo possibile per legge. Oltre alla presidente del consiglio, l’attuale esecutivo si compone di 15 ministro con portafoglio, 9 senza portafoglio, 8 viceministri e 32 sottosegretari. Negli ultimi anni anche i due governi Conte avevano raggiunto il numero massimo di componenti, mentre il governo Draghi si era fermato a 64.

DA SAPERE

Il primo grafico mostra il numero totale di componenti di ogni esecutivo italiano al momento del suo insediamento dal dopoguerra a oggi. Nel conteggio sono considerati il presidente del consiglio dei ministri, i ministri e viceministri, i sottosegretari e anche altre figure oggi non più in uso come gli alti commissari. Il secondo grafico invece mostra il numero di ministri, viceministri e sottosegretari che costituiscono il governo Meloni suddivisi in base al dicastero di appartenenza. I ministri che rientrano all’interno della presidenza del consiglio sono i cosiddetti “senza portafoglio”. Non sono cioè posti a capo di una struttura amministrativa.

 

Previdenza forense: riforma in partenza dal 2024

Previdenza forense: riforma in partenza dal 2024

 

Con comunicato del Presidente della Cassa Forense, l’ente annuncia l’approvazione della riforma del sistema pensionistico per l’avvocatura, che passerà dal calcolo retributivo delle pensioni a quello contributivo. La partenza è prevista per il 1°/1/2024.

     Indice

1. L’origine della riforma

La riforma è in studio ormai da due anni, secondo il comunicato. Il percorso si è reso necessario a seguito delle risultanze del bilancio tecnico di fine 2020. Nel comunicato, infatti, la riforma viene definita “Un passaggio necessario per far fronte alle mutate esigenze e rispondere alle previsioni emerse dall’ultimo bilancio tecnico attuariale a 30 anni che ipotizzano, nel lungo periodo, problemi di sostenibilità finanziaria del sistema legati principalmente alla mutata demografia della professione.”

A questo certamente si deve il passaggio ad un sistema contributivo, che, secondo un articolo dello stesso Militi[1],  “garantirà una maggiore equità tra contribuzione versata e pensione erogata mantenendo, comunque, un livello adeguato delle future prestazioni, grazie anche alla buona patrimonializzazione che l’Ente ha raggiunto…”.

2. Un’introduzione graduale

Gli interventi saranno introdotti in maniera graduale. Dal 2024, infatti, ai futuri iscritti si applicherà integralmente il sistema di calcolo contributivo; per gli avvocati con anzianità di iscrizione inferiore a 18 anni al 31/12/2023 si applicherà un sistema di calcolo “misto”, con sistema retributivo per gli anni antecedenti l’entrata in vigore della riforma e contributivo per gli anni successivi; per gli avvocati con un’anzianità di almeno 18 anni al 31/12/2023, rimarrà il sistema retributivo, modificando il rendimento da 1,40% a 1,30%, solo per gli anni successivi all’entrata in vigore della riforma.

3. Interventi previsti

In generale, la riforma viene presentata come “equilibrata sulla falsariga della c.d. “Riforma Dini” (legge 335/95) che riserva una particolare attenzione all’adeguatezza delle prestazioni delle future generazioni senza penalizzare i diritti e le aspettative degli iscritti già pensionati o prossimi al pensionamento.” Ecco gli interventi principali.

  • L’aliquota per il calcolo del contributo soggettivo verrà gradualmente innalzata di due punti (16% dal 2024 e 17% dal 2026) mentre il contributo soggettivo minimo verrà ridotto da circa 3.000 euro attuali a 2.200 euro.
  • Il periodo iniziale di iscrizione, per i primi quattro anni, sarà caratterizzato da una contribuzione soggettiva direttamente proporzionale al reddito professionale prodotto. Dal quinto all’ottavo anno, il minimo soggettivo sarà ridotto al 50% (€ 1.100). Resta la possibilità, entro i primi 12 anni di iscrizione, di integrare i minimali non versati.
  • L’aliquota per la contribuzione modulare volontaria viene elevata dal 10 al 15%, mantenendo gli attuali benefici fiscali.
  • È previsto un innalzamento dal 7.5% al 10% dell’aliquota del contributo soggettivo dovuto dai pensionati che proseguano nell’attività professionale. I pensionati potranno contare su periodici aumenti della pensione legati al ripristino di supplementi di pensione triennali che tengono conto, comunque, di una quota di contributi versata a titolo di solidarietà.
  • Le regole per l’accesso alla pensione di vecchiaia, vecchiaia anticipata e anzianità restano invariate.
  • Per gli iscritti dal 2024 i tre istituti verranno riunificati, in pensione di vecchiaia, con calcolo interamente contributivo e con requisiti di accesso più favorevoli (20 anni di anzianità contributiva).
  • L’adeguatezza delle prestazioni per i nuovi iscritti resta garantita da un meccanismo di calcolo che aggiunge al montante contributivo anche un punto percentuale di quanto versato a titolo di contributo integrativo.
  • Per i casi di maternità, adozione e paternità (nelle fattispecie riconosciute meritevoli di tutela dalla Corte Costituzionale) è previsto un ulteriore beneficio, con il coefficiente di trasformazione aumentato di un anno rispetto all’effettiva età anagrafica.
  • L’integrazione al minimo della pensione, riservata a chi, nell’intera vita lavorativa, si limita a versamenti del solo contributo minimo, sarà gradualmente rimodulata sino a € 9.000 annui.

Nota

[1] https://www.adepp.info/2022/09/cassa-forense-militi-inutilmente-allarmistiche-le-anticipazioni-sulla-riforma-previdenziale/

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Normativa

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ARAN: Comparto Funzioni locali – sottoscritto il CCNL definitivo

Il 16 novembre 2022 l’Aran e i sindacati hanno sottoscritto il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro per il triennio 2019-2021, relativo ai circa 430.000 dipendenti del Comparto delle Funzioni locali.

08NOV2022

Fonarcom: Nasce DGTales, la Community di Fonarcom dedicata al Digital Learning

Fonarcom informa della nascita di DGTales, la Community dedicata al Digital Learning.

07NOV2022

ARAN: sottoscritto il testo del CCNL del Comparto Sanità 2019-2021

In data 2 novembre 2022 l’Aran e le parti sindacali hanno definitivamente sottoscritto il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro relativo al personale del Comparto Sanità per il triennio 2019/2021.

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CIFA Italia: corso di Contrattazione collettiva aziendale di qualità

CIFA Italia, in un comunicato stampa del 26 settembre 2022, informa l’avvio di un corso di Contrattazione collettiva aziendale di qualità per i nuovi modelli organizzativi.

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CIFA Italia, in un comunicato stampa dell’8 settembre 2022, informa che FederItaly, federazione di imprese per la Tutela e Promozione del Made in Italy, entra nel sistema associativo CIFA Italia.

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L’ENPACL (Ente Nazionale di Previdenza e Assistenza per i Consulenti del Lavoro) informa che a partire da giovedì 1° settembre è disponibile nell’area riservata dei ‘Servizi ENPACL on line’ la procedura per rendere la dichiarazione obbligatoria del volume d’affari IVA e del reddito professionale prodotti nell’anno 2021.

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L’Aran (Agenzia per la Rappresentanza Negoziale delle Pubbliche Amministrazioni) comunica di aver sottoscritto, in data 10 agosto 2022, il CCNQ per la definizione della composizione delle aree di contrattazione collettiva nazionale di cui all’art. 7 del CCNQ 3 agosto 2021.

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CIFA: Programmi elettorali – l’appello ai partiti

Il presidente di CIFA Italia, Andrea Cafà, ha pubblicato, in data 12 agosto 2022, un comunicato stampa con il quale fa un appello ai partiti politici: “Si presti grande attenzione ai titolari di partita Iva ai professionisti e alle micro e piccole imprese”.

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EBIPROinforma che in via sperimentale e nei limiti delle risorse stanziate, al fine di incentivare l’utilizzo del trasporto pubblico, rimborsa ai dipendenti di datori di lavoro in regola con i versamenti alla bilateralità (C.A.DI.PROF/E.BI.PRO.) e con un’anzianità contributiva di almeno 6 mesi al momento della richiesta, parte delle spese sostenute a titolo personale per l’utilizzo in abbonamento del trasporto pubblico nel tragitto casa-lavoro e viceversa.

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02MAG2022

Sanilog: scadenze al 16 maggio 2022

Sanilog ha pubblicato la circolare n. 4 del 19 aprile 2022, con la quale ricorda che entro e non oltre il 16 maggio 2022 le aziende dovranno versare: …

20APR2022

ASSOLAVORO: accordo per il sostegno dei soggetti sottoposti a protezione internazionale e temporanea

Assolavoro e i sindacati di categoria Nidil Cgil, Felsa Cisl, UilTemp hanno sottoscritto un accordo volto a promuovere una serie di azioni finalizzate ad agevolare l’accoglienza, l’inclusione e l’inserimento socio-lavorativo dei titolari di protezione internazionale (status di rifugiato e protezione sussidiaria), protezione temporanea e protezione speciale.

13APR2022

CIFA: Il futuro dell’Italia parte da un nuovo patto sociale

Il presidente dell’associazione di imprese CIFA Italia, Andrea Cafà, in un comunicato stampa del 13 aprile 2022, chiede al Governo investimenti e impegno per spingere il nostro Paese verso il nuovo modello economico dettato dal nuovo scenario geopolitico.

06APR2022

Fondo mètaSalute: aggiornamento delle condizioni di Assicurazione 2022-2023

Il Fondo mètaSalute comunica a tutti gli Iscritti che nella sezione del sito “I Piani Sanitari” sono state pubblicate le Condizioni di Assicurazione 2022-2023 aggiornate.

06APR2022

Energia/CIFA: Aiuti alle imprese su rinnovabili

Il presidente di CIFA Italia, Andrea Cafà, in un comunicato stampa del 6 aprile 2022, chiede al Governo sostegno alle imprese sulle energie rinnovabili, che oggi potrebbero diventare un nuovo canale di approvvigionamento energetico.

28MAR2022

Fondo mètaSalute: contribuzione – pagamento tramite modello F24

Il Fondo Metasalute, con la circolare n. 4 del 24 marzo 2022 comunica che a decorrere dal 1° aprile 2022 il versamento della contribuzione mensilmente dovuta al Fondo per ciascun lavoratore iscritto potrà essere effettuato dall’azienda esclusivamente tramite modello di pagamento unificato F24.

ANF per Fondi solidarietà e FIS: flusso UNIEMENS e istruzioni

ANF per Fondi solidarietà e FIS: flusso UNIEMENS e istruzioni

A decorrere dal 1° gennaio 2022, ai lavoratori destinatari dell’Assegno di Integrazione Salariare (AIS), erogato dai Fondi di solidarietà e dal Fondo di Integrazione Salariale (FIS), spetta, in rapporto al periodo di paga adottato e alle medesime condizioni dei lavoratori a orario normale, l’Assegno per il Nucleo Familiare (ANF) a carico delle gestioni dei Fondi stessi.

Dal 1° marzo 2022, inoltre, l’ANF è riconosciuto in relazione ai nuclei familiari senza figli a carico, in seguito alle novità introdotte dal decreto legislativo 230/2021, in materia di Assegno unico e universale per i figli a carico.

Con il messaggio 17 novembre 2022, n. 4167, l’Istituto fornisce ai datori di lavoro le istruzioni relative alle modalità di compilazione del flusso UNIEMENS ai fini del conguaglio degli ANF e le relative istruzioni contabili.

Per la modalità di pagamento diretto della prestazione di Assegno di Integrazione Salariale erogata dal FIS e dai Fondi di solidarietà, occorre fare riferimento alle indicazioni contenute nella circolare INPS 14 aprile 2021, n. 62 e nel messaggio 23 marzo 2022, n. 1320.

Per l’esposizione degli ANF nei nuovi flussi telematici UNIEMENS -CIG (UNI41) e per i periodi di integrazione salariale (CIGO, CIGS , AIS) decorrenti dal 1° maggio 2022, si rinvia invece alle istruzioni fornite con il messaggio 21 giugno 2022, n. 2519.