Archivi giornalieri: 10 novembre 2022

Actionaid – realizza il cambiamentoopenpolis

Introduzione1

Centri d’Italia è la prima piattaforma liberamente accessibile da cui è possibile scaricare dati di dettaglio sul sistema di accoglienza per richiedenti asilo e rifugiati in Italia. Territorio per territorio, è possibile conoscere i tipi di centri, i posti disponibili, le presenze, i gestori e i prezzi giornalieri. Uno strumento per ricercatori, giornalisti e cittadini, che vogliono conoscere il sistema di accoglienza, dati alla mano.

Pubblicazioni2

Centri d’Italia
Mappe dell’accoglienza

Report 2021

Leggi la nostra analisi sui centri di accoglienza tra 2018 e 2020.

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Che cosa sono i Sai, i Cas e la prima accoglienza.

Si tratta delle tre principali categorie di centri di accoglienza presenti oggi in Italia. Nei centri di prima accoglienza le persone vengono identificate e indirizzate verso i passaggi successivi. Il Sai è il sistema ordinario di accoglienza. I Cas invece dovrebbero essere attivati solo in via straordinaria, a causa della mancanza di posti negli altri centri.

I numeri 3

ULTIMA RILEVAZIONE 2020

169.471169.471120.826120.826101.302101.302201820192020

Gli importi 4

Media costo procapite al giorno 25,6 € (escluso SAI)
CASPRIMA ACCOGLIENZAMEDIA201820192020

I territori 5

Posti disponibili
Presenze
N° strutture

Tutti i centri
CAS
SAI
PRIMA ACCOGLIENZA

Province
Comuni

Numero assoluto
Per 10.000 abitanti

2020
2018
2020
07236
200 km

Posti disponibili per classi dei comuni 6

Tutti i centri
CAS
SAI
PRIMA ACCOGLIENZA
169.471169.471120.826120.826101.302101.302POLOCINTURAINTERMEDIOPERIFERICOULTRAPERIFERICOALTRO201820192020

Le classifiche 7

Comune Posti disponibili % posti disponibili
rispetto agli abitanti
N° di presenze % presenze rispetto
agli abitanti
N° di strutture
ROMA (RM) 2563 9.13 2365 8.42 85
MILANO (MI) 2198 15.63 1916 13.62 73
TORINO (TO) 1799 20.97 1650 19.23 185
BOLOGNA (BO) 1787 45.19 1429 36.14 188
GENOVA (GE) 1313 23.21 1114 19.69 137
TRIESTE (TS) 1125 55.8 985 48.86 135
BARI (BA) 964 30.58 785 24.9 27
ANCONA (AN) 862 87 691 69.74 164
MODENA (MO) 832 44.02 527 27.88 117
ISOLA DI CAPO RIZZUTO (KR) 760 429.82 370 209.25 4
PALERMO (PA) 750 11.58 392 6.05 20
REGGIO NELL’EMILIA (RE) 738 43.14 639 37.35 128
FIRENZE (FI) 736 20.06 486 13.25 42
TRENTO (TN) 707 58.6 549 45.51 74
PARMA (PR) 701 34.97 602 30.03 90

I decreti sicurezza hanno prodotto effetti opposti a quelli promessi Migranti

I decreti sicurezza hanno prodotto effetti opposti a quelli promessi Migranti

Il governo Meloni ha promesso il ritorno ai decreti sicurezza. Ma nei due anni in cui sono stati pienamente operativi hanno prodotto più irregolarità, meno inclusione sociale e un sistema lontano dal modello dell’accoglienza diffusa.

 

Il neonato governo ha promesso il ritorno ai decreti sicurezza, con l’obiettivo di contrastare “l’immigrazione irregolare”.

Tuttavia, nei due anni in cui i decreti sono stati operativi (da ottobre 2018 a dicembre 2020), si è assistito a livelli maggiori di irregolarità nella posizione dei migranti in Italia, a una minore inclusione sociale e a cambiamenti nel sistema per richiedenti asilo e rifugiati che vanno nella direzione opposta al modello dell’accoglienza diffusa.

L’ennesima riforma del sistema?

Nel suo primo discorso in parlamento da presidente del consiglio, Giorgia Meloni ha parlato anche degli sbarchi sulle coste italiane, ponendo l’accento da un lato sui flussi di ingresso regolare da parte dei migranti e dall’altro sulla volontà di impedire le partenze dai paesi nordafricani.

In Italia, come in qualsiasi altro Stato serio, non si entra illegalmente, si entra solo attraverso i decreti flussi. […] È nostra intenzione recuperare la proposta originaria della missione navale Sophia dell’Unione Europea che nella terza fase prevista, anche se mai attuata, prevedeva proprio il blocco delle partenze dei barconi dal nord Africa.

Sul fenomeno migratorio Meloni ha fatto riferimento esclusivamente agli arrivi, ma non al sistema di accoglienza, più volte riformato negli ultimi anni.

Nel programma di coalizione i “decreti sicurezza” compaiono al primo punto nel capitolo dedicato alla “sicurezza e contrasto all’immigrazione illegale”. Vedremo se il governo intenderà realmente reintrodurre il sistema previsto dal decreto sicurezza. Intanto in campagna elettorale il vice presidente del consiglio Matteo Salvini ha più volte auspicato un ritorno alle disposizioni decise quando era ministro dell’interno, cancellate (in parte) dalla riforma Lamorgese del secondo governo Conte.

Ma quali sono stati gli effetti ottenuti dal decreto sicurezza nei due anni in cui è stato attivo? Ne abbiamo parlato in dettaglio nel rapporto Centri d’Italia, l’emergenza che non c’è, in occasione del lancio, avvenuto lo scorso febbraio, di Centri d’Italia, la prima piattaforma di monitoraggio indipendente sul sistema di accoglienza di richiedenti asilo e rifugiati, realizzata da ActionAid Italia e openpolis.

Il biennio del decreto sicurezza

Nell’analisi degli effetti del decreto sicurezza occorre fare una premessa imprescindibile: tra la fine del 2018 e la fine del 2020 le presenze nel sistema di accoglienza si sono quasi dimezzate, a causa della riduzione degli sbarchi, derivante a sua volta da politiche e disposizioni operate da governi precedenti, come il decreto Minniti e il memorandum Italia-Libia del 2017.

Oltre all’abolizione della protezione umanitaria, di cui abbiamo parlato in un precedente approfondimento, una delle novità più rilevanti del decreto sicurezza è stata la trasformazione del sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar) in Sistema di protezione per titolari di protezione internazionale e per minori stranieri non accompagnati (Siproimi).

Nel nuovo Siproimi, sistema a titolarità pubblica più incline all’inclusione sociale e all’orientamento lavorativo, sono potuti entrare solo i titolari di asilo, e non come era accaduto per anni anche ai richiedenti asilo, ovvero a chi aveva inoltrato la richiesta ma ancora non aveva ottenuto la risposta.

Ai richiedenti asilo veniva negato l’accesso al Siproimi.

Per questi ultimi, quindi, è stato istituito un passaggio obbligatorio ai centri di accoglienza straordinaria (Cas), strutture per lo più assistenziali, che rappresentavano quasi il 70% del totale dei centri in Italia e che, con il decreto sicurezza, hanno perso anche a livello formale il loro carattere di straordinarietà.

Si è andati insomma verso una direzione opposta al modello dell’accoglienza diffusa in strutture piccole e ben distribuite sul territorio. Un modello in grado di facilitare l’inclusione degli ospiti nelle comunità e ridurre l’impatto dei centri nelle città.

È evidente dai dati: i centri di piccole dimensioni (fino a 20 posti) rappresentano la categoria più penalizzata nei due anni in cui è stato attivo il decreto sicurezza.

Inoltre, i centri di grandi dimensioni – quelli con più di 50 posti a disposizione, e che più spesso presentano criticità nella gestione e nell’integrazione con il tessuto del territorio che li ospita – sono diventati sempre più grandi. Infatti se nel 2018 queste strutture avevano in media 98 posti, due anni dopo la loro capienza media era salita a 110. Con casi rilevanti soprattutto nelle aree metropolitane, come a Milano, dove in media i centri di accoglienza hanno una capienza dieci volte maggiore alla media nazionale.

Anche il sistema della seconda accoglienza, il Siproimi – che oggi per via della riforma Lamorgese ha preso il nome di sistema di accoglienza e integrazione (Sai) – è stato penalizzato nei due anni considerati. Si è registrato infatti un calo del 12,7% dei posti disponibili, pari a oltre 4mila unità.

4.557 posti disponibili in meno, nel sistema Siproimi, dal 2018 al 2020.

L’occasione persa

Se tracciamo un bilancio degli effetti prodotti dal decreto sicurezza, quindi, possiamo affermare che si è trattato di un’occasione persa per riformare il già lacunoso sistema dell’accoglienza.

Si sarebbe infatti potuto approfittare del netto calo degli arrivi per chiudere i grandi centri e strutturare tutto il sistema secondo il modello dei piccoli centri. Più efficace per l’inclusione, meno impattante sul tessuto sociale pre-esistente e meno appetibile per le organizzazioni che vogliono massimizzare i profitti economici con la gestione dei centri.

Nelle prossime settimane analizzeremo gli effetti del primo anno di riforma Lamorgese.

Riusciremo a comprendere nelle prossime settimane se la riforma Lamorgese, entrata in vigore alla fine del 2020, andrà invece in questa direzione. In questi mesi, infatti, abbiamo chiesto al ministero dell’interno i dati relativi alle strutture attive nel 2021, ottenendoli non senza difficoltà.

Nei prossimi mesi insieme ad ActionAid racconteremo, attraverso le mappe interattive di Centri d’Italia e il rapporto annuale sullo stato dell’accoglienza, i frutti della nostra analisi.

Nel frattempo siamo costretti a constatare che il parlamento ancora non rende pubblica la relazione sul sistema per gli anni 2020 e 2021, a dispetto di quanto prevede la legge.

FotoGeralt – licenza

 

Tra 2018 e 2020 si sono persi quasi 22mila posti in centri di accoglienza piccoli

I posti in meno nel sistema di accoglienza prefettizio tra 2018 e 2020, a seconda della dimensione del centro

GRAFICO
 
DESCRIZIONE

A registrare la riduzione di posti disponibili più significativa sono stati i centri piccoli (quasi 22mila posti in meno in 2 anni). Un calo che è stato invece più contenuto nel caso dei centri medi e soprattutto di quelli molto grandi (-7mila posti).

DA SAPERE

Per “posti disponibili” si intende la capienza di ciascun centro, indipendentemente dal fatto che in quel momento i posti siano occupati o meno. Per “centri piccoli” si intendono i centri con capienza fino a 20 posti, per “centri medi” con capienza da 21 a 50 posti, per “centri grandi” da 51 a 300 posti, per “centri molto grandi” oltre i 300 posti. Sono stati considerati i centri di accoglienza straordinaria (Cas) e i centri di prima accoglienza attivi al 31 dicembre di ogni anno.

 

I decreti sicurezza hanno prodotto effetti opposti a quelli promessi Migranti

I decreti sicurezza hanno prodotto effetti opposti a quelli promessi Migranti

Il governo Meloni ha promesso il ritorno ai decreti sicurezza. Ma nei due anni in cui sono stati pienamente operativi hanno prodotto più irregolarità, meno inclusione sociale e un sistema lontano dal modello dell’accoglienza diffusa.

 

Il neonato governo ha promesso il ritorno ai decreti sicurezza, con l’obiettivo di contrastare “l’immigrazione irregolare”.

Tuttavia, nei due anni in cui i decreti sono stati operativi (da ottobre 2018 a dicembre 2020), si è assistito a livelli maggiori di irregolarità nella posizione dei migranti in Italia, a una minore inclusione sociale e a cambiamenti nel sistema per richiedenti asilo e rifugiati che vanno nella direzione opposta al modello dell’accoglienza diffusa.

L’ennesima riforma del sistema?

Nel suo primo discorso in parlamento da presidente del consiglio, Giorgia Meloni ha parlato anche degli sbarchi sulle coste italiane, ponendo l’accento da un lato sui flussi di ingresso regolare da parte dei migranti e dall’altro sulla volontà di impedire le partenze dai paesi nordafricani.

In Italia, come in qualsiasi altro Stato serio, non si entra illegalmente, si entra solo attraverso i decreti flussi. […] È nostra intenzione recuperare la proposta originaria della missione navale Sophia dell’Unione Europea che nella terza fase prevista, anche se mai attuata, prevedeva proprio il blocco delle partenze dei barconi dal nord Africa.

Sul fenomeno migratorio Meloni ha fatto riferimento esclusivamente agli arrivi, ma non al sistema di accoglienza, più volte riformato negli ultimi anni.

Nel programma di coalizione i “decreti sicurezza” compaiono al primo punto nel capitolo dedicato alla “sicurezza e contrasto all’immigrazione illegale”. Vedremo se il governo intenderà realmente reintrodurre il sistema previsto dal decreto sicurezza. Intanto in campagna elettorale il vice presidente del consiglio Matteo Salvini ha più volte auspicato un ritorno alle disposizioni decise quando era ministro dell’interno, cancellate (in parte) dalla riforma Lamorgese del secondo governo Conte.

Ma quali sono stati gli effetti ottenuti dal decreto sicurezza nei due anni in cui è stato attivo? Ne abbiamo parlato in dettaglio nel rapporto Centri d’Italia, l’emergenza che non c’è, in occasione del lancio, avvenuto lo scorso febbraio, di Centri d’Italia, la prima piattaforma di monitoraggio indipendente sul sistema di accoglienza di richiedenti asilo e rifugiati, realizzata da ActionAid Italia e openpolis.

Il biennio del decreto sicurezza

Nell’analisi degli effetti del decreto sicurezza occorre fare una premessa imprescindibile: tra la fine del 2018 e la fine del 2020 le presenze nel sistema di accoglienza si sono quasi dimezzate, a causa della riduzione degli sbarchi, derivante a sua volta da politiche e disposizioni operate da governi precedenti, come il decreto Minniti e il memorandum Italia-Libia del 2017.

Oltre all’abolizione della protezione umanitaria, di cui abbiamo parlato in un precedente approfondimento, una delle novità più rilevanti del decreto sicurezza è stata la trasformazione del sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar) in Sistema di protezione per titolari di protezione internazionale e per minori stranieri non accompagnati (Siproimi).

Nel nuovo Siproimi, sistema a titolarità pubblica più incline all’inclusione sociale e all’orientamento lavorativo, sono potuti entrare solo i titolari di asilo, e non come era accaduto per anni anche ai richiedenti asilo, ovvero a chi aveva inoltrato la richiesta ma ancora non aveva ottenuto la risposta.

Ai richiedenti asilo veniva negato l’accesso al Siproimi.

Per questi ultimi, quindi, è stato istituito un passaggio obbligatorio ai centri di accoglienza straordinaria (Cas), strutture per lo più assistenziali, che rappresentavano quasi il 70% del totale dei centri in Italia e che, con il decreto sicurezza, hanno perso anche a livello formale il loro carattere di straordinarietà.

Si è andati insomma verso una direzione opposta al modello dell’accoglienza diffusa in strutture piccole e ben distribuite sul territorio. Un modello in grado di facilitare l’inclusione degli ospiti nelle comunità e ridurre l’impatto dei centri nelle città.

È evidente dai dati: i centri di piccole dimensioni (fino a 20 posti) rappresentano la categoria più penalizzata nei due anni in cui è stato attivo il decreto sicurezza.

Inoltre, i centri di grandi dimensioni – quelli con più di 50 posti a disposizione, e che più spesso presentano criticità nella gestione e nell’integrazione con il tessuto del territorio che li ospita – sono diventati sempre più grandi. Infatti se nel 2018 queste strutture avevano in media 98 posti, due anni dopo la loro capienza media era salita a 110. Con casi rilevanti soprattutto nelle aree metropolitane, come a Milano, dove in media i centri di accoglienza hanno una capienza dieci volte maggiore alla media nazionale.

Anche il sistema della seconda accoglienza, il Siproimi – che oggi per via della riforma Lamorgese ha preso il nome di sistema di accoglienza e integrazione (Sai) – è stato penalizzato nei due anni considerati. Si è registrato infatti un calo del 12,7% dei posti disponibili, pari a oltre 4mila unità.

4.557 posti disponibili in meno, nel sistema Siproimi, dal 2018 al 2020.

L’occasione persa

Se tracciamo un bilancio degli effetti prodotti dal decreto sicurezza, quindi, possiamo affermare che si è trattato di un’occasione persa per riformare il già lacunoso sistema dell’accoglienza.

Si sarebbe infatti potuto approfittare del netto calo degli arrivi per chiudere i grandi centri e strutturare tutto il sistema secondo il modello dei piccoli centri. Più efficace per l’inclusione, meno impattante sul tessuto sociale pre-esistente e meno appetibile per le organizzazioni che vogliono massimizzare i profitti economici con la gestione dei centri.

Nelle prossime settimane analizzeremo gli effetti del primo anno di riforma Lamorgese.

Riusciremo a comprendere nelle prossime settimane se la riforma Lamorgese, entrata in vigore alla fine del 2020, andrà invece in questa direzione. In questi mesi, infatti, abbiamo chiesto al ministero dell’interno i dati relativi alle strutture attive nel 2021, ottenendoli non senza difficoltà.

Nei prossimi mesi insieme ad ActionAid racconteremo, attraverso le mappe interattive di Centri d’Italia e il rapporto annuale sullo stato dell’accoglienza, i frutti della nostra analisi.

Nel frattempo siamo costretti a constatare che il parlamento ancora non rende pubblica la relazione sul sistema per gli anni 2020 e 2021, a dispetto di quanto prevede la legge.

FotoGeralt – licenza

 

Prevenzione e contrasto dei raduni illegali: profili di legittimità costituzionale

Prevenzione e contrasto dei raduni illegali: profili di legittimità costituzionale

 

Il nuovo governo, insediatosi dopo le elezioni del 25 settembre 2022, per fronteggiare l’ennesima emergenza derivante da un raduno illegale, ha emanato il decreto legge n.162 del 31 ottobre 2022. Il provvedimento, apprezzabile nel merito sotto vari aspetti, ma eccessivamente generico e forse troppo frettolosamente adottato, potrebbe incorrere però nella declaratoria di illegittimità costituzionale per contrasto con l’art. 77, II comma, della Costituzione che disciplina la decretazione d’urgenza.

Indice

  1. Cenni sul reato di invasione di terreni e di edifici
  2. Il decreto legge n.162 del 31 ottobre 2022
  3. Conclusioni

1. Cenni sul reato di  invasione di terreni e di edifici

Per cercare di comprendere meglio il provvedimento normativo è opportuno soffermarsi brevemente sul reato di invasione di terreni e di edifici che presenta delle analogie con la nuova normativa.

Il reato di invasione di terreni o edifici è previsto dall’art. 633 c.p., secondo cui “Chiunque invade arbitrariamente terreni o edifici altrui, pubblici o privati, al fine di occuparli o di trarne altrimenti profitto, è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione da uno a tre anni e con la multa da euro 103 a euro 1.032.

Si applica la pena della reclusione da due a quattro anni e della multa da euro 206 a euro 2.064 e si procede d’ufficio se il fatto è commesso da più di cinque persone o se il fatto è commesso da persona palesemente armata.

Se il fatto è commesso da due o più persone, la pena per i promotori o gli organizzatori è aumentata”.

Si tratta di un reato comune, che dunque può essere commesso anche dal proprietario nei confronti del conduttore o altro soggetto che abbia il possesso dell’immobile, in quanto tale fattispecie richiede che l’agente non abbia il possesso o la disponibilità del bene.

L’invasione non deve, però, necessariamente avvenire attraverso il ricorso alla violenza fisica, ma deve sempre essere arbitraria ovvero posta in essere senza titolo autorizzativo.

La disposizione in esame è quindi diretta a tutelare l’inviolabilità e l’integrità della proprietà immobiliare, specificatamente intesa come diritto d’uso e godimento di tali beni.[1]

Il delitto può essere commesso da chiunque, anche dal proprietario stesso, in pendenza di un rapporto di locazione.

L’elemento materiale non è l’occupazione, ma l’invasione del terreno o dell’edificio, ovvero l’introduzione arbitraria nel terreno altrui, e se è esatto sostenere che la permanenza non deve essere momentanea, non è necessario che essa si protragga per lungo tempo, purché sia rivolta all’occupazione o abbia come scopo altre utilità.

Inoltre, la nozione di invasione non si riferisce ad un aspetto violento della condotta, che può anche mancare, ma al comportamento di colui che si introduce arbitrariamente.

La condotta, però, non è scriminata ex articolo 54 c.p., qualora lo stato di necessità non metta seriamente in pericolo la vita o altro diritto fondamentale dell’occupante abusivo. La mera esigenza abitativa non è pertanto causa di esclusione della punibilità.

Si tratta, quindi, di un reato permanente in quanto lo stato antigiuridico duraturo, realizzatosi in seguito alla sua consumazione, viene mantenuto attraverso un’ininterrotta condotta dell’agente, il quale può farlo cessare in qualsiasi momento con un atto della sua volontà.

È ammesso il tentativo qualora, ad esempio, non appena sia avvenuta l’introduzione, il colpevole venga espulso dall’immobile, senza che si sia potuta verificare una limitazione nella sfera giuridica del soggetto passivo, delle facoltà inerenti all’esercizio della proprietà o del possesso.

Per quanto concerne l’elemento psicologico del reato, ai fini dell’integrazione del delitto in esame, è necessario che sussista, in capo all’agente, il dolo specifico, quale coscienza e volontà di invadere un immobile altrui con il fine specifico di occuparlo o di trarne, comunque, un profitto.


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2. Il decreto legge n.162 del 31 ottobre 2022

Il provvedimento interrompe la cattiva prassi di pubblicare nella Gazzetta Ufficiale i decreti legge a distanza di molti giorni dalla loro adozione, come avvenuto di frequente negli ultimi anni. Infatti il decreto è stato pubblicato il giorno stesso della sua approvazione.

Il testo del decreto, all’articolo 5, inserisce nel corpo del codice penale, dopo l’articolo 434, l’art. 434-bis rubricato “Invasione di terreni o edifici per raduni pericolosi per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica”, così modificando le norme relative all’invasione di terreni o edifici, pubblici o privati, con la previsione della reclusione da 3 a 6 anni e della multa da 1.000 a 10.000 euro, se il fatto è commesso da più di 50 persone allo scopo di organizzare un raduno dal quale possa derivare un pericolo per l’ordine pubblico o la pubblica incolumità o la salute pubblica.

Per il solo fatto di partecipare all’invasione la pena è diminuita. In ipotesi di condanna o applicazione della pena su richiesta delle parti, si prevede la confisca delle cose utilizzate per commettere il reato[2].

Il rischio di avere una condanna è dunque anche per chi partecipa all’evento. Nei loro confronti il giudice, al termine del processo, deve applicare una diminuzione di pena che può arrivare fino ad un terzo rispetto al massimo della pena prevista.[3]

Secondo il governo, si introduce una previsione normativa dotata di maggior efficacia deterrente sulla base di una logica di prevenzione cui già si ispirano altre sanzioni del nostro ordinamento giuridico.

Già presente in altri Paesi, la norma voluta per contrastare i raduni illegali, i cosiddetti rave party, offre nuovi e più efficaci strumenti grazie ai quali si potrà intervenire tempestivamente per porre un freno ad un fenomeno che risulta particolarmente dispendioso per lo Stato, e dunque per la collettività, poiché rende necessario l’impiego di ingenti risorse e il coinvolgimento di numerosi operatori delle Forze dell’ordine.

In buona sostanza, è stato introdotto un delitto che punisce i raduni illegali, per tali dovendosi intendere tutti quelli a cui partecipano più di 50 persone, occupando abusivamente terreni o edifici per organizzare eventi dai quali può derivare pericolo “per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica”.[4]

A essere puniti sono tanto gli organizzatori quanto i semplici partecipanti: i primi con la reclusione da tre a sei anni (e con la multa da 1.000 a 10mila euro), i secondi con pena diminuita.

È inoltre prevista la confisca delle cose utilizzate per commettere e organizzare l’invasione arbitraria.

Tale reato ha destato immediatamente polemiche e sono tre le principali contestazioni principali che vengono eccepite:

  • il delitto non parla espressamente di rave, con la conseguenza che potrebbero essere puniti anche i partecipanti di una manifestazione pacifica;
  • il reato di invasione di terreni o edifici già esisteva;
  • la pena è sproporzionata, col risultato aberrante di sanzionare molto più pesantemente chi organizza una festa rispetto a chi, ad esempio, si rende autore di una lesione personale.

Pertanto, poiché il nuovo delitto che sanziona i raduni illegali non specifica quali riunioni punisce, ci sarebbe il concreto pericolo che il reato pregiudichi chi, esercitando il proprio diritto costituzionale di manifestare il proprio pensiero, voglia mettere in atto delle forme di protesta organizzando un corteo o un sit-in.

Si ritiene, in linea di massima, che tale pericolo non sussista perché la norma ha un raggio di azione in buona parte definito.

Per converso, la norma potrebbe legittimamente essere applicata agli studenti che occupano abusivamente le scuole, poichè anche in questo caso, teoricamente, la manifestazione potrebbe sfociare in comportamenti pericolosi per l’ordine pubblico, oltre a determinare un’interruzione di pubblico servizio, con la conseguenza che la polizia sarebbe sempre legittimata a intervenire per ordinare lo sgombero.

Non si ritiene, invece, che il nuovo decreto possa consentire alla polizia di intervenire anche in presenza di cortei sindacali dei lavoratori, in quanto l’art. 39 della Costituzione sancisce espressamente che l’organizzazione sindacale è libera e fa quindi salva la possibilità di manifestare legittimamente.

In sostanza, quindi, il provvedimento non determina il pericolo di una repressione generalizzata della libertà di espressione del pensiero e di manifestazione pubblica in quanto la norma punisce solo i raduni abusivi da cui può derivare un pericolo effettivo per l’ordine pubblico, l’incolumità pubblica o la salute pubblica; tali non sarebbero i cortei, i sit-in e le altre forme di protesta pacifiche.

Lo stesso Viminale ha testualmente affermato che “La norma anti-rave illegali interessa una fattispecie tassativa che riguarda la condotta di invasione arbitraria di gruppi numerosi tali da configurare un pericolo per la salute e l’incolumità pubbliche”.

Peraltro, c’è da dire che già prima dell’entrata in vigore del nuovo decreto legge, la legge stabiliva l’obbligo di chiedere il permesso per una manifestazione, quando questa deve svolgersi in un luogo pubblico.

La Costituzione all’art. 21 prevede, infatti, che tutti i cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente, senza portare armi con sé.

Tuttavia, quando le riunioni avvengono in luogo pubblico deve essere dato preavviso al questore territorialmente competente, con almeno tre giorni di anticipo rispetto all’evento, che può vietarle per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica (Art. 18 TULPS).

Quindi, poiché la legge ha previsto che, per organizzare una manifestazione in luogo pubblico, occorra dare il preavviso alle autorità, non vi sarebbe nessuna anomalia nel voler punire i raduni illegali organizzati su suolo pubblico o privato.

In realtà la formulazione della norma non specifica in concreto le fattispecie concrete in cui viene commesso il reato. È per questo motivo che alcuni autori ritengono che il nuovo reato sia privo di “tassatività, nel senso che non sono indicati dettagliatamente gli estremi del fatto penalmente rilevante, e cioè quando un raduno diventa pericoloso per l’ordine pubblico, l’incolumità o la salute pubblica.

Anche il numero dei partecipanti necessario a far scattare il reato pone degli interrogativi. Nel caso in cui il numero iniziale di “partecipanti” era inizialmente inferiore a 50 ma poi, per progressive aggiunte, tale quorum viene raggiunto e superato, scatterebbe lo stesso il reato in capo all’organizzatore, il quale aveva previsto molte meno persone? A risponderne penalmente, poi, sarebbero anche i partecipanti?

La norma, infatti, non chiarisce se l’organizzazione del raduno debba prevedere sin dall’inizio almeno 51 partecipanti (la legge parla di “un numero di persone superiore a 50”) per costituire reato oppure se tale soglia possa essere raggiunta anche progressivamente e integrare comunque l’illecito.

Un’altra censura al nuovo decreto riguarda l’esistenza di un delitto del tutto simile a quello appena introdotto e cioè quella invasione di terreni o di edifici di cui si è fatto cenno sopra.

In effetti, questo delitto presenta delle analogie a quello dei raduni illegali, sia perché punisce l’invasione di terreni o edifici, pubblici o privati, sia perché prevede pene più severe quando il fatto è commesso da più persone (almeno sei).

Tuttavia, si ritiene che la nuova fattispecie sia sostanzialmente diversa dalla precedente per tre ragioni:

  • il nuovo delitto tutela l’ordine pubblico, l’incolumità o la sanità pubblica, cioè le condizioni di tranquillità e di benessere della società, tant’è vero che è stato inserito all’interno dei delitti contro l’ordine pubblico. Il precedente reato di invasione di terreni e di edifici, invece, come visto, tutela la proprietà e il patrimonio;
  • il nuovo reato, proprio perché protegge l’ordine pubblico, stabilisce pene più severe, evitando così che la competenza sia devoluta al giudice di pace (come avviene invece per il reato di invasione di terreni ed edifici, quando non ricorre l’ipotesi aggravata);
  • il nuovo reato che sanziona i raduni illegali è procedibile d’ufficio, al contrario di quello di invasione di terreni o edifici, che è procedibile a querela di parte (salvo il ricorrere delle ipotesi aggravate).

Inoltre, il nuovo reato prevede, come già detto, una sanzione rilevante: da 3 a 6 anni per gli organizzatori e promotori, mentre è diminuita per i partecipanti.

Ovviamente, le pene previste per i rave party si aggiungerebbero a quelle, eventuali, stabilite per altri reati che possono essere commessi all’interno del raduno stesso, come, ad esempio, lo spaccio di droga.

La scelta di prevedere pene così elevate per gli organizzatori di rave party e altri raduni illegali ha anche un’altra conseguenza: quella di consentire alla polizia di effettuare intercettazioni. Proprio per questo motivo la stessa maggioranza di governo ha deciso, in sede di conversione del decreto, di ridurre la pena massima a cinque anni di reclusione.
Infine, sempre il decreto in esame ha previsto la possibilità di applicare misure di prevenzione personali (come la sorveglianza speciale) per gli indiziati dell’invasione per raduni pericolosi.

3. Conclusioni

In conclusione si ritiene che il provvedimento legislativo, forse troppo frettolosamente adottato, sia stato determinato da circostanze oggettive, anche se l’indeterminatezza delle fattispecie previste potrebbe determinare un’applicazione estensiva delle norme, oltre le stesse intenzioni del legislatore (ad esempio, come già detto, lo sgombero di scuole occupate illegittimamente dagli studenti).

Ma soprattutto possono definirsi profili di illegittimità costituzionale. Infatti, nonostante nella premessa si afferma “la straordinaria necessità ed urgenza di introdurre disposizioni in materia di prevenzione e contrasto del fenomeno dei raduni dai quali possa derivare un pericolo per l’ordine pubblico o la pubblica incolumità o la salute pubblica”, in realtà tale straordinaria necessità o urgenza non sussiste. Infatti, il fenomeno dei raduni illegali, pur essendo ricorrente, non assume una rilevanza tale da richiedere l’adozione di un decreto legge, e quindi si pone in contrasto con l’art. 77, II comma, della Costituzione.

Il decreto-legge[5], infatti, è un atto normativo di carattere provvisorio avente forza di legge, adottato in casi straordinari di necessità e urgenza dal Governo ai sensi dell’art.77 della Carta costituzionale, e regolato ai sensi dell’art. 15 della legge 23 agosto 1988, n. 400.[6]

E’ pur vero che il sindacato sulla necessità e l’urgenza[7] dell’atto è di natura prettamente politica; tuttavia è consolidata[8] la tradizione di una ricaduta giurisdizionale (con conseguente valutazione dell’atto, anche solo sotto il profilo formale)[9], per cui è accaduto che la Corte costituzionale[10] abbia dichiarato incostituzionale un comma di un decreto in materia di enti locali per mancanza dei requisiti di necessità e urgenza[11].

Inoltre, una declaratoria d’illegittimità costituzionale da parte della Consulta potrebbe produrre effetti anche sulla legge di conversione eventualmente approvata dal Parlamento o pubblicata in Gazzetta Ufficiale prima della pronuncia, rendendola nulla[12]

Pertanto, sarebbe stato opportuno adottare il provvedimento con legge ordinaria, altrimenti si corre il rischio che il Presidente della Repubblica possa rinviarla alle Camere, ma soprattutto che la Corte Costituzionale possa dichiararla illegittima.

Si auspica, tuttavia, che almeno in sede di conversione, possano essere adottate tutte quelle cautele necessarie per rendere il provvedimento meno generico e si confida che la Magistratura possa applicarla con il consueto necessario equilibrio e nel rispetto dei principi costituzionali.


Note 

  1. Invasione di terreni o edifici, in Brocardi.it, senza data.
  2. L. Biarella, Riforma del processo penale, rave party, ergastolo ostativo: il decreto-legge in Gazzetta, in Altalex del 2 novembre 2022.
  3. Rave party, rischia anche chi partecipa. L’allarme dei penalisti sulle intercettazioni, in Repubblica del 2 novembre 2022.
  4. M. Acquaviva, Decreto rave party: cosa prevede la legge, in La legge per tutti del 3 novembre 2022.
  5. Decreto, in Treccani Portale (XML), su Treccani.it. URL.
  6. S. Battaglia, Grande dizionario della lingua italiana, vol. IV DAH-DUU, p. 103.
  7. C. Tintori, L’urgenza legislativa e la prassi dei decreti-legge. Aggiornamenti Sociali 48, no. 3, marzo 1997, pp. 223-231.
  8. G. Sabini, La funzione legislativa e i decreti-legge. in Maglione & Strini, 1923.
  9. Consulta OnLine – Sentenza Corte cost. n° 171/2007, su giurcost.org. 
  10. S Sentenza n° 171 del 2007. 
  11. R. Romboli, Una sentenza «storica»: la dichiarazione di incostituzionalità di un decreto legge per evidente mancanza dei presupposti di necessità e di urgenza, in Foro It., 2007, 1986 ss.
  12. R. Bin, L’abuso del decreto-legge e del voto di fiducia sul maxi-emendamento, in lacostituzione.info, del 16 gennaio 2019.

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Telemedicina: in Gazzetta Ufficiale le linee guida

Telemedicina: in Gazzetta Ufficiale le linee guida

 

Nella G.U. del 2 novembre 2022 è stato pubblicato il D.M. Salute 21 settembre 2022 recante l’”Approvazione delle linee guida per i servizi di telemedicina-Requisiti funzionali e livelli di servizio”.

     Indice

1. Il decreto che approva le linee guida per i servizi di telemedicina

Il decreto del Ministero della Salute del 21 settembre 2022 ha approvato le “Linee guida per i Servizi di telemedicina – Requisiti funzionali e livelli di servizio”, di cui all’art.  12, c. 15-undecies, d.l. n. 179/12, riportate nell’allegato A al medesimo decreto, che ne costituisce quindi parte integrante. Le Linee guida stabiliscono i requisiti tecnici indispensabili per garantire l’omogeneità a livello nazionale e l’efficienza nell’attuazione dei  servizi  di telemedicina.

2. La telemedicina nell’ambito del PNRR

La Missione 6 del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), dedicata alla Salute, è nata dall’esigenza di colmare il divario tra le disparità territoriali e offrire maggiore integrazione tra i servizi sanitari nei diversi ambiti assistenziali. La Componente 1 “Reti di prossimità, strutture intermedie e telemedicina per l’assistenza sanitaria territoriale” ha l’obiettivo di:

  • potenziare il Servizio sanitario nazionale (SSN) allineando i servizi ai bisogni delle comunità e dei  pazienti;
  • rafforzare le strutture e i servizi sanitari di prossimità e i servizi domiciliari;
  • sviluppare la telemedicina e superare la frammentazione e la mancanza di omogeneità dei servizi sanitari offerti sul territorio;
  • sviluppare soluzioni di telemedicina avanzate a sostegno dell’assistenza domiciliare.

Nell’ambito della Missione 6 Componente 1 (M6C1) del PNRR e dell’intervento 1.2 “Casa come primo luogo di cura  e  telemedicina”, il sub-investimento 1.2.3 “Telemedicina per un migliore  supporto  ai pazienti cronici” ha l’obiettivo di promuovere e rendere  strutturali nel SSN  servizi  e  prestazioni  di  telemedicina,  a  supporto  dei pazienti con malattie croniche. A tale sub-investimento viene destinato 1 miliardo di euro per  il finanziamento di progetti che consentano interazioni  medico-paziente a distanza e  di  iniziative  di  ricerca  ad  hoc  sulle  tecnologie digitali in materia di telemedicina.

Per approfondimenti sul tema leggi: Telemedicina: dagli scenari attuali agli obiettivi del PNRR

3. La ripartizione degli investimenti

Il decreto del Ministro della salute del 1° aprile 2022, nella ripartizione analitica dei diversi sub-investimenti, ha definito la seguente sub-codifica all’investimento: 1.2.3 “Telemedicina  per  un  migliore  supporto  ai pazienti cronici”:

  • 2.3.1: per la Piattaforma di telemedicina, per un importo pari a 250 milioni di euro,
  • 2.3.2: per i Servizi di telemedicina, per un importo pari a 750 milioni di euro.

4. Obiettivo e struttura linee guida

Le linee guida in questione hanno l’obiettivo supportare, dal punto di vista tecnico, le regioni e le province autonome per la definizione e composizione delle iniziative progettuali sui servizi di telemedicina afferenti al PNRR Missione 6 Componente 1, sub-codifica 1.2.3.2 del sub-investimento 1.2.3.

5. Le 3 sezioni del documento

Il documento risulta articolato in tre sezioni:

  • Requisiti funzionali dei servizi di telemedicina. Tale sezione identifica i requisiti minimi   di   carattere funzionale che dovranno caratterizzare le soluzioni oggetto di sviluppo nei contesti regionali.
  • Requisiti tecnologici dei servizi di telemedicina. Tale sezione identifica i requisiti minimi di carattere tecnologico che dovranno caratterizzare le soluzioni oggetto di sviluppo nei contesti regionali per garantire l’erogazione omogenea dei servizi sanitari in regime di telemedicina.
  • Competenze e formazione. Tale sezione identifica le competenze e la conseguente formazione relativa allo sviluppo e alla efficacia dei servizi di telemedicina nei contesti sanitari regionali per professionisti e utenti.

6. Servizi minimi di telemedicina

I servizi minimi che la infrastruttura regionale di telemedicina deve erogare sono i seguenti:

  • televisita;
  • teleconsulto/teleconsulenza;
  • telemonitoraggio;

7. I cluster

Ciascun servizio minimo risulta composto da un set di micro-servizi logici che ne implementano il relativo perimetro funzionale.  Ciascun micro-servizio viene classificato all’interno di uno dei seguenti cluster:

  • specifici: sono identificati come “specifici” quei micro-servizi logico/funzionali essenziali e propri per l’erogazione dei servizi di telemedicina, in questo  senso  debbono  far  parte dell’implementazione dell’infrastruttura regionale  di  Tali micro-servizi debbono essere sviluppati perché utilizzati esclusivamente per la Infrastruttura regionale di telemedicina (IRT). Si aggiunge che questa deve: usufruire dei servizi abilitanti erogati dall’Infrastruttura nazionale di telemedicina, conferire i dati e gli eventi tramite il Gateway (di cui FSE 2.0) e integrarsi con i servizi “trasversali” di ogni regione, rispettando i processi definiti all’interno delle linee d’indirizzo elaborate a livello nazionale (rif. “Linee guida organizzative contenenti il Modello digitale per l’attuazione    dell’assistenza    domiciliare” e “Indicazioni metodologiche per la perimetrazione delle proposte di PPP per la Piattaforma nazionale di telemedicina”);
  • trasversali: sono identificati come “trasversali” quei micro-servizi logici necessari, nel singolo contesto regionale, per l’integrazione coi servizi funzionali   all’erogazione   delle prestazioni siano esse erogate in presenza e/o in telemedicina. Per esempio, per il micro-servizio “refertazione e firma digitale” non si deve realizzare un modulo ad hoc per la gestione della refertazione e della firma digitale di una prestazione in telemedicina ma si deve prevedere l’integrazione con il modulo regionale, se già presente. Tali servizi risultano a supporto del sistema sanitario regionale per integrare la telemedicina all’interno del modello organizzativo, tecnologico   e   normativo    esistente e, pertanto, devono obbligatoriamente essere inclusi nelle progettualità regionali afferenti alle Infrastrutture regionali di telemedicina;
  • opzionali: vengono identificati come “opzionali” quei micro-servizi che possono essere inclusi all’interno del perimetro di funzionalità delle iniziative progettuali di telemedicina presentate dalle regioni, ma che non rappresentano un presupposto necessario per lo sviluppo dei servizi minimi, in quanto non strettamente necessari per l’erogazione delle prestazioni in telemedicina. Rientrano in questo cluster di   servizi   tutte   le   componenti   applicative identificate come “sperimentali innovative” all’interno del documento di linee guida piattaforma che andranno a innestarsi sui servizi “specifici” e “trasversali” che sono da  includere  obbligatoriamente fin dalla prima release della soluzione.

8. Le iniziative regionali

La classificazione dei micro-servizi sopra riportata consente a ogni regione di presentare una propria iniziativa (regionale) di telemedicina attraverso la progettazione di  una  soluzione  modulare che possa adattarsi al proprio contesto organizzativo  e  tecnologico in continuità coi piani di ammodernamento e  completamento  degli ecosistemi regionali (es. realizzazione di CUP regionale, servizi  di firma remotizzata, e via dicendo).

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Telemedicina: dagli scenari attuali agli obiettivi del PNRR

Telemedicina: dagli scenari attuali agli obiettivi del PNRR

 

Il 21 settembre 2022, presso la facoltà di Economia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, sede di Roma, ha avuto luogo il Convegno “La telemedicina: Dagli scenari attuali agli obiettivi del PNRR”, evento Organizzato da ALTEMS (Alta Scuola di Economia e Management dei Sistemi Sanitari), col contributo di un prestigioso panel di relatori.

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  1. Il focus del convegno
  2. Telemedicina per un migliore supporto ai pazienti cronici

1. Il focus del convegno

La pandemia da Covid 19 ha fornito l’impulso per lo sviluppo di soluzioni di telemedicina implementate e utilizzate dalle aziende, anche in frammentario, e coi limiti imposti dall’emergenza sanitaria, per la cura e l’assistenza ai pazienti. La validità dell’approccio e i benefici conseguiti trovano riscontro nell’importanza attribuita alla telemedicina nell’ambito dell’evoluzione prevista in favore del sistema sanitario. Su tali premesse, il focus della discussione è stato l’importanza della capitalizzazione dell’esperienza acquisita e le soluzioni realizzate, anche rispetto alle esigenze delle specifiche patologie e dei differenti contesti clinico-organizzativi, in modo da evolvere nel quadro integrato e sinergico previsto dal PNRR.

2. Telemedicina per un migliore supporto ai pazienti cronici

La creazione di una Piattaforma Nazionale per i servizi di Telemedicina e il finanziamento di progetti che consentano interazioni medico-paziente a distanza e le iniziative di ricerca ad hoc sulle tecnologie digitali in materia di sanità e assistenza, risulta tra gli obiettivi del PNRR, focalizzati sull’erogazione di prestazioni e servizi di telemedicina, e si affianca a quelli previsti dall’investimento relativo alla Piattaforma Nazionale di Telemedicina, relativa alla divulgazione della cultura in merito alla stessa e all’incontro tra domanda e offerta, afferente alla Componente 2. I dati raccolti durante le prestazioni in telemedicina andranno sinergicamente a beneficio di altri investimenti del PNRR, come il Rafforzamento dell’infrastruttura tecnologica e degli strumenti per la raccolta, l’elaborazione, l’analisi dei dati e la simulazione, relativo alla creazione della Piattaforma nazionale di Telemedicina. Lo stanziamento è pari a 1 miliardo di euro.

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Green New Deal: deadline al 17 novembre

Green New Deal: deadline al 17 novembre

 

L’incentivo “Green New Deal” sostiene, per il tramite di agevolazioni finanziarie; la realizzazione di progetti di ricerca, sviluppo e innovazione nell’ambito delle finalità di transizione ecologica e circolare.

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1. In cosa consiste

Il beneficio risulta destinato al sostegno dei progetti di imprese ammesse ai finanziamenti agevolati del FRI (Fondo rotativo per il sostegno alle imprese e gli investimenti in ricerca), e prevede la concessione di contributi a sostegno delle attività di ricerca industriale, sviluppo sperimentale e, per le piccole e medie imprese, di industrializzazione dei risultati della ricerca e sviluppo.

2. La normativa

L’intervento, realizzato nell’ambito del Fondo per la crescita sostenibile (FCS), è disciplinato dal decreto I dicembre 2021 del Ministro dello sviluppo economico di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze. Il decreto interministeriale 1° dicembre 2021 delinea i contenuti dell’intervento. Con decreto direttoriale 23 agosto 2022 sono state definite le ulteriori condizioni di finanziamento e procedure attuative per la prima applicazione della misura.

3. I destinatari

Sono individuati nelle imprese di qualsiasi dimensione che esercitano attività industriali, agroindustriali, artigiane, di servizi all’industria e centri di ricerca, che presentano progetti singolarmente o in forma congiunta.

4. I progetti finanziabili

L’intervento sostiene progetti coerenti con gli ambiti di intervento del Green New Deal italiano, con particolare riguardo agli obiettivi di:

  • decarbonizzazione dell’economia
  • economia circolare
  • riduzione dell’uso della plastica e sostituzione della plastica con materiali alternativi
  • rigenerazione urbana
  • turismo sostenibile
  • adattamento e mitigazione dei rischi sul territorio derivanti dal cambiamento climatico.

Le attività di ricerca industriale e sviluppo sperimentale devono essere finalizzate alla realizzazione di nuovi prodotti, processi o servizi o al notevole miglioramento di prodotti, processi o servizi esistenti. Gli investimenti per l’industrializzazione, ammessi esclusivamente per le PMI, devono rivestire un elevato contenuto di innovazione e sostenibilità, essere volti a diversificare la produzione di uno stabilimento mediante prodotti nuovi aggiuntivi, o a trasformare radicalmente il processo produttivo complessivo di uno stabilimento esistente. Possono essere ammessi distintamente ovvero insieme ad un progetto di ricerca industriale e sviluppo sperimentale nell’ambito di un programma integrato presentato per l’ottenimento di agevolazioni, alle condizioni previste dal decreto. I progetti ammissibili devono, inoltre:

  • essere realizzati nell’ambito di una o più unità locali ubicate nel territorio nazionale
  • prevedere spese e costi ammissibili non inferiori a 3 milioni e non superiori a 40 milioni di euro
  • avere una durata non inferiore a 12 mesi e non superiore a 36 mesi
  • essere avviati successivamente alla presentazione della domanda di agevolazioni

5. Le modalità per accedere

Le imprese possono accedono alle agevolazioni secondo due distinte procedure:

  • a sportello, per i programmi di importo non inferiore a 3 milioni e non superiore a 10 milioni di euro, con un massimo di tre imprese partecipanti
  • negoziale, per i programmi di importo superiore a 10 milioni e non superiore a 40 milioni di euro, con un massimo di cinque imprese partecipanti.

6. I termini e le modalità di presentazione delle domande

Sono stati stabiliti con il decreto direttoriale 23 agosto 2022. Le imprese possono presentare l’istanza solo on line, dal 17 novembre 2022, anche in forma congiunta, dal lunedì al venerdì (ore 10.00-18.00), mentre dal 4 novembre 2022 è possibile avviare la procedura di precompilazione delle domande accreditandosi all’area riservata, accessibile dal sito del Soggetto gestore.

7. Le risorse

Per l’agevolazione dei progetti risultano disponibili:

  • 600 milioni di euro per la concessione dei finanziamenti agevolati, a valere sul Fondo rotativo per il sostegno alle imprese e gli investimenti in ricerca (FRI), di cui:
  • 300 milioni destinati ai progetti che accedono alla procedura a sportello;
  • 300 milioni destinati ai progetti che accedono alla procedura negoziale.
  • 150 milioni di euro per la concessione dei contributi, di cui:
  • 75 milioni destinati ai progetti che accedono alla procedura a sportello;
  • 75 milioni destinati ai progetti che accedono alla procedura negoziale.

8. Le agevolazioni

I finanziamenti agevolati del FRI sono di importo pari al 60% dei costi di progetto, accompagnati da finanziamenti bancari per il 20% e in presenza di idonea attestazione creditizia. Quanto ai contributi a fondo perduto, sono disponibili per una percentuale massima delle spese e dei costi ammissibili di progetto:

  • pari al 15% come contributo alla spesa, a sostegno delle attività di ricerca industriale e sviluppo sperimentale e per l’acquisizione delle prestazioni di consulenza relative alle attività di industrializzazione;
  • pari al 10% come contributo in conto impianti, per l’acquisizione delle immobilizzazioni oggetto delle attività di industrializzazione.

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Il rapporto ONU sulla privacy nell’era digitale

Il rapporto ONU sulla privacy nell’era digitale

 

Il nuovo rapporto sulla privacy nell’era digitale stilato dalle Nazioni Unite evidenza la connessione ormai indissolubile tra privacy e nuove tecnologie e quanto sempre di più la prima sia minacciata dall’utilizzo pervasivo delle seconde.

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1. Il rapporto

L’Alto Commissario ad interim per i diritti umani, Nada Al-Nashif, nell’affermare che il diritto alla privacy è a rischio più che mai, ha ribadito la necessità di una regolamentazione strutturata ed efficace, basata sul diritto: altra dimostrazione che nel futuro, diritto e tecnologie saranno sempre più interconnessi tra loro.

La tecnologia non ha, di per sé, una connotazione negativa, al contrario porta enormi benefici alla società, ma a volte il prezzo da pagare si rivela troppo alto, in termini di rischi per i diritti e le libertà fondamentali degli uomini e delle donne che la utilizzano.

Il rapporto ONU esamina tre aree ritenute cruciali per la privacy: l’utilizzo e l’abuso di strumenti invasivi di sorveglianza da parte delle autorità statali (i cosiddetti spyware), la necessità e centralità di utilizzare metodi di crittografia robusti nella protezione dei dati online, per evitare la fuga dei dati stessi e gli impatti potenzialmente dirompenti del monitoraggio regolare e sistematico del suolo pubblico mediante videocamere, che di fatto stanno trasformando le nostre citta in una macroscopica versione del Grande Fratello.

2. Il problema dei software spia

Il rapporto descrive come i software spia possono trasformare la maggior parte degli smartphone in “dispositivi di sorveglianza 24 ore su 24”, consentendo agli esterni di spiare la nostra vita, avendo accesso a quella che è, secondo la definizione ormai divenuta celebre, pur se in altro contesto, la scatola nera della nostra vita.

Naturalmente gli spyware vengono progettati ed utilizzati per proteggere la sicurezza nazionale, per combattere la criminalità, il terrorismo, ma il report non fa mistero del fatto che in molti casi (alcuni dei quali eclatanti) siano stati usati per motivi illegittimi, per spiare e controllare opinioni politiche dissidenti da quelle di regime, e per monitorare i movimenti di politici, giornalisti, attivisti per i diritti umani.

Il report definisce il problema “urgente” chiedendo una moratoria sul loro utilizzo e vendita prima che siano approvate normative internazionali di salvaguardia e garanzia e non vengano poste in essere misure adeguate a proteggere i diritti e le libertà fondamentali dei cittadini. Non solo, ma il report relega l’utilizzo di software spia per infiltrarsi elettronicamente in dispositivi altrui come ultima spiaggia e solo per atti e indagini specifiche, per prevenire gravi minacce per la sicurezza nazionale. Purtroppo, per quanto indubbiamente condivisibili le parole del report ONU, come già più volte sottolineato su queste pagine, il concetto di sicurezza nazionale si declina molto più da un punto di vista politico che giuridico, con conseguente enorme difficoltà a stabilire un confine tra cosa sia eticamente e giuridicamente accettabile e cosa invece possa considerarsi abuso, seppur commesso per la tutela di un astratto bene superiore.

3. Il Grande fratello

Sulla crescente sorveglianza degli spazi pubblici il report denuncia la massima allerta. Tra smart city, monitoraggio regolare e sistematico di ciò che le persone fanno e dicono online (il quotidiano dare in pasto la nostra privacy ai social network, allegramente, volontariamente e inconsapevolmente è diventata una prassi che ormai non desta più alcuno scandalo, ma molta preoccupazione tra gli addetti ai lavori), big data, sconfinate banche dati biometriche e attività di sorveglianza su larga scala, il report indica come concreto e non più fantastico, o fantascientifico, il rischio paventato nell’ormai celeberrimo romanzo, distopico, ma non troppo, 1984, di Orwell: un sistema di sorveglianza onnisciente, inizialmente implementato per nobili motivi e successivamente riconvertito a scopi di mero controllo.

Il report ONU auspica che gli Stati limitino le misure di sorveglianza pubblica a quelle “strettamente necessarie e proporzionate”, incentrate su luoghi e tempi di conservazione specifici e limitati nel tempo e sempre agli Stati dovrebbe essere demandato l’onere di controllare le esportazioni per le tecnologie di sorveglianza che comportano gravi rischi per i diritti umani. A questo proposito il previo svolgimento di una valutazione di impatto dovrebbe diventare un adempimento non più opzionale, ma imperativo e vincolante, senza il quale i sistemi di sorveglianza non dovrebbero essere resi leciti (peraltro in Europa è già così, poiché il trattamento della video sorveglianza è uno di quelli che obbligatoriamente dovrebbero essere sottoposti a DPIA).

Infine, il report considera la crittografia dei contenuti online una pietra miliare per la salvaguardia della privacy e dei diritti umani nel mondo del web, con una forte raccomandazione per gli Stati stessi a incrementarla nell’utilizzo quotidiano e ad evitare soluzioni tecnologiche che potrebbero indebolirla.

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Gestione di Autostrade per l’Italia s.p.a. senza procedura di evidenza pubblica: questione alla CEDU

Gestione di Autostrade per l’Italia s.p.a. senza procedura di evidenza pubblica: questione alla CEDU

di Biarella Laura, Avvocato, Giornalista Pubblicista, Docente 
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Prosecuzione della gestione della rete autostradale di Autostrade per l’Italia s.p.a. senza procedura di evidenza pubblica: questione alla CEDU

Il T.a.r. per il Lazio (sezione IV, sentenza non definitiva 19 ottobre 2022, n. 13434) ha rimesso alla Corte di giustizia UE alcune questioni pregiudiziali in tema di concessioni autostradali e, in particolare, sulla compatibilità eurounitaria della disciplina contenuta nell’art. 43 del d.l. n. 201/2011, convertito con l. n. 214/2011 in rapporto alla disciplina prevista nella direttiva n. 2014/23/UE.

     Indice

  1. L’esperimento della procedura di gara secondo i ricorrenti
  2. Le questioni rimesse alla Corte di giustizia UE

1. L’esperimento della procedura di gara secondo i ricorrenti

Il T.a.r. per il Lazio, su ricorso proposto da alcune associazioni imprenditoriali e di utenti dei servizi bancari e finanziari ha posto alcuni quesiti pregiudiziali alla Corte di giustizia UE circa la sussistenza di un obbligo o meno, discendente dalla normativa UE, di esperimento di una procedura di gara in conseguenza della modifica della convenzione originaria e il riassetto societario di Autostrade per l’Italia s.p.a. (ASPI), nonché dell’obbligo di effettiva verifica di affidabilità del concessionario già ritenuto “inaffidabile” per la ricostruzione del Ponte Morandi di Genova. La controversia che ha condotto al rinvio pregiudiziale ha a oggetto la concessione della società ASPI e, segnatamente, l’assetto dell’istruttoria nel procedimento riguardante gli “aggiornamenti” e le “revisioni” delle convenzioni autostradali, distinguendo a seconda che le concessioni in questione comportino, o meno, variazioni o modificazioni al piano degli investimenti ovvero ad aspetti di carattere regolatorio a tutela della finanza pubblica.

2. Le questioni rimesse alla Corte di giustizia UE

Il Tar ha quindi rimesso alla CEDU i seguenti quesiti interpretativi:

se sia, o meno, contrastante con il diritto comunitario l’interpretazione della normativa nazionale nel senso che l’Amministrazione concedente possa istruire un procedimento di modificazione soggettiva ed oggettiva di una concessione autostradale in corso di validità, o di sua rinegoziazione, senza valutare ed esprimersi sull’obbligo di indire una procedura di evidenza pubblica;

se sia, o meno, contrastante con il diritto comunitario l’interpretazione della normativa nazionale nel senso che l’Amministrazione concedente possa istruire un procedimento di modificazione soggettiva ed oggettiva di una concessione autostradale in corso di validità, o di sua rinegoziazione, senza valutare l’affidabilità di un concessionario che si sia reso autore di un grave inadempimento;

se in caso di rilevata violazione del principio di evidenza pubblica e/o di rilevata inaffidabilità del titolare di una concessione autostradale, la normativa comunitaria imponga l’obbligo della risoluzione del rapporto.

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Biarella Laura

Laureata cum laude presso la facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Perugia, è Avvocato e Giornalista. È autrice di numerose monografie giuridiche e di un contemporary romance, e collabora, anche come editorialista, con redazioni e su banche dati giuridiche (tra le altre Altalex, Quotidiano Giuridico, NTPLus, 24OreAvvocato, AlVolante, InSella, Diritti e Risposte, Orizzonte Scuola, Fisco e Tasse, poliziamunicipale.it). Ha svolto le funzioni di membro aggiunto presso la Corte d’Appello di Perugia, ai sensi della L. n. 69/1963. Già “cultore della materia” presso Università degli Studi E Campus nelle cattedre di “diritto privato” e “diritto della conciliazione, della mediazione e dell’arbitrato”, è moderatrice e relatrice di convegni, docente presso corsi di formazione e corsi di preparazione all’esame di abilitazione di avvocato. E’ stata professore a contratto di “Arbitrato” presso l’Università degli Studi E Campus, Master in ADR, sedi di Roma e Novedrate. E’ stata membro del Comitato Scientifico del corso di preparazione dell’esame di avvocato Altalex. Ha svolto docenze di diritto e procedura civile presso la Scuola Forense dell’Ordine degli Avvocati di Perugia, ed ivi ha ricoperto il ruolo di Segretario del Comitato Scientifico. Svolge la funzione di Tutore legale presso il Tribunale dei Minorenni dell’Umbria. E’ membro del Comitato di Redazione del mensile 24Ore Avvocato.

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Welfare dipendenti: fino a 600 euro per le utenze domestiche

Welfare dipendenti: fino a 600 euro per le utenze domestiche

 

L’Agenzia delle Entrate, con la circolare n. 35/E ha fornito istruzioni sul bonus che il datore di lavoro può riconoscere ai propri dipendenti per contenere il costo di energia elettrica, acqua e gas naturale.

     Indice

  1. L’innalzamento della soglia a 600 euro
  2. La Circolare n. 35/E
  3. Nei fringe benefit anche le utenze domestiche
  4. Beni e servizi ceduti al coniuge o ai familiari non imponibili

1. L’innalzamento della soglia a 600 euro

Il decreto-legge cd. Aiuti-bis ha innalzato per l’anno 2022 fino a 600 euro (in luogo degli ordinari 258,23 euro) il limite entro cui il datore di lavoro può riconoscere ai dipendenti beni e servizi esenti da imposte, includendo anche le somme erogate ovvero rimborsate per il pagamento delle utenze domestiche.

2. La Circolare n. 35/E

Per il tramite della circolare n. 35/E del 4 novembre 2022, l’Agenzia delle Entrate ha fornito alcune precisazioni sulla nuova misura di welfare aziendale, soffermandosi in particolare sull’ambito applicativo, documentale e temporale.

3. Nei fringe benefit anche le utenze domestiche

Per l’anno 2022 vengono incluse tra i fringe benefit concessi ai lavoratori dipendenti anche le somme erogate o rimborsate per il pagamento delle utenze domestiche. La circolare n. 35/E spiega che per utenze domestiche si intendono quelle relative a immobili a uso abitativo posseduti o detenuti dal dipendente, dal coniuge o dai suoi familiari, a prescindere che vi abbiano o meno stabilito la residenza o il domicilio. Vi rientrano, pertanto, anche le utenze per uso domestico intestate al condominio (per esempio quelle idriche o di riscaldamento) e quelle per le quali, pur essendo le utenze intestate al proprietario dell’immobile (locatore), nel contratto di locazione viene prevista espressamente una forma di addebito analitico e non forfetario a carico del lavoratore (locatario), ovvero del proprio coniuge e familiari.

4. Beni e servizi ceduti al coniuge o ai familiari non imponibili

Vengono ricompresi tra i fringe benefit pure i beni ceduti e i servizi prestati al coniuge del lavoratore o ai familiari, indicati nell’articolo 12 del TUIR, come anche i beni e i servizi per i quali venga attribuito il diritto di ottenerli da terzi. Detti benefit, inoltre, risultano erogabili anche ad personam e riguardano sia i titolari di redditi di lavoro dipendente che quelli assimilati a quelli di lavoro dipendente.

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San Leone Magno

 

San Leone Magno


Nome: San Leone Magno
Titolo: Papa e dottore della Chiesa
Nascita: 390 circa, Toscana
Morte: 10 novembre 461, Roma
Ricorrenza: 10 novembre
Martirologio: edizione 2004
Tipologia: Commemorazione
S. Leone visse nella prima metà del fortunoso secolo v, che vide il dissolvimento e lo sfacelo finale dell’impero dei Cesari, e gli effetti meravigliosi del Pontificato cattolico, che trasformò ed avviò l’Europa in quei secoli di ferro alla civiltà cristiana.

Nato in Toscana, ma educato nella città eterna, rivelò fin da principio un ingegno non comune, ingegno che applicava con tutto il vigore della sua verginale giovinezza alla scienza sacra.

Per l’alta dottrina che ben presto raggiunse e per il suo zelo, fu caro al Papa S. Celestino I, che lo creò arcidiacono: fu stimato dal popolo e dai dotti, tanto che il celebre Cassiano gli dedicò i suoi libri sull’incarnazione, chiamandolo « decoro e splendore della Chiesa Romana e del sacro ministero ».

Ma Iddio lo riserbava a cose più grandi. Nell’anno 440, trovandosi Leone in Francia, ove s’era recato per dirimere una enntesa mori S. Sisto III. ed il clero concorde lo elesse Papa. Reduce dalle Gallie, umile e fidente in Dio, abbracciò la sublime e ardua missione, che esercitò in modo sì mirabile da meritarsi il titolo di « Grande ».

Esplicò la sua attività in tutti i campi dello zelo: attese instancabilmente all’istruzione del popolo e alla santificazione del clero che formarono le sue maggiori preoccupazioni. Nel frattempo, col concorso di ricche e pie persone costruì molte chiese.

Fu il martello degli eretici : combattè i Manichei, ma soprattutto smascherò l’eresia di Eutiche, il quale, adulterando il mistero adorabile dell’Incarnazione del Verbo, scuoteva i fondamenti della religione cristiana. E nel Concilio di Calcedonia, dove per ordine suo si erano radunati ben 630 Vescovi, l’eresia di Eutiche e nuovamente quella di Nestorio furono confutate e condannate, principalmente coll’esposizione della lettera che egli aveva inviato a S. Flaviano, capolavoro e monumento dell’antichità cristiana sul dogma dell’Incarnazione.

Leone si prese pure la cura materiale dell’Italia e di Roma, e quando l’imperatore e l’esercito, impotenti a frenare le orde sitibonde del Flagello di Dio, Attila, fuggivano impauriti, il santo Pontefice, fidente nell’aiuto di Dio, si recò sulle rive del Mincio e fece retrocedere il fiero conquistatore. Poco dopo risparmiò pure Roma dalla totale distruzione minacciata dal vandalo Generico.

Questa forza morale per cui Leone s’imponeva perfino agli imperatori più crudeli, era l’effetto della sua umiltà, della sua carità e della sua dolcezza, che lo facevano amare e rispettare non solo dal popolo, ma dai principi e dagli imperatori, dai barbari e persino dagli stessi eretici.

Dopo un pontificato glorioso di ben 21 anni, nel 461 andava a ricevere il premio da quel Dio che aveva tanto amato e glorificato. Fu scrittore profondo tanto che la Chiesa lo dichiarò Dottore. Anzi san Leone è debitore d’una gran parte della gloria che sempre godè nella Chiesa alle sue 69 omelie e 173 lettere, monumenti autentici della sua pietà e del suo ingegno.

PRATICA. Cerchiamo, nella nostra vita quotidiana, di imitare l’amabilità di questo Santo.

PREGHIERA. Deh! Signore esaudisci le nostre preghiere che t’indirizziamo nella solennità del tuo beato confessore e Pontefice Leone e per intercessione dei meriti di lui, che tí servì sì degnamente, assolvici da tutti i peccati.

MARTIROLOGIO ROMANO. Memoria di san Leone I, papa e dottore della Chiesa: nato in Toscana, fu dapprima a Roma solerte diacono e poi, elevato alla cattedra di Pietro, meritò a buon diritto l’appellativo di Magno sia per aver nutrito il gregge a lui affidato con la sua parola raffinata e saggia, sia per aver sostenuto strenuamente attraverso i suoi legati nel Concilio Ecumenico di Calcedonia la retta dottrina sull’incarnazione di Dio. Riposò nel Signore a Roma, dove in questo giorno fu deposto presso san Pietro.

NON TI ARRENDERE MAI

Non ti arrendere mai,
neanche quando la fatica si fa sentire,
neanche quando il tuo piede inciampa,
neanche quando i tuoi occhi bruciano,
neanche quando i tuoi sforzi sono ignorati,
neanche quando la delusione ti avvilisce,
neanche quando l’errore ti scoraggia,
neanche quando il tradimento ti ferisce,
neanche quando il successo ti abbandona,
neanche quando l’ingratitudine ti sgomenta,
neanche quando l’incomprensione ti circonda,
neanche quando la noia ti atterra,
neanche quando tutto ha l’aria del niente,
neanche quando il peso del peccato ti schiaccia…
Invoca il tuo Dio, stringi i pugni, sorridi e ricomincia!
San Leone Magno ~ Papa

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Domande Frequenti

  • Quando si festeggia San Leone Magno?

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  • Di quali comuni è patrono San Leone Magno?

  • Chi sono i dottori della Chiesa?

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