Archivi giornalieri: 3 novembre 2022

Corte di Cassazione su padre iperprotettivo e maltrattamenti

Corte di Cassazione su padre iperprotettivo e maltrattamenti

di Concas Alessandra, Referente Aree Diritto Civile, Commerciale e Fallimentare e Diritto di Famiglia 
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Corte di Cassazione su padre iperprotettivo e maltrattamenti

Secondo la Suprema Corte di Cassazione, il fatto di essere dei genitori molto protettivi non implica che in automatico ci sia un reato di maltrattamenti in famiglia, per  il verificarsi del quale è necessario che vengano inflitte in modo abituale al minorenne delle umiliazioni e delle sofferenze che superano la soglia minima di offensività.

Ricordiamo che il reato di maltrattamenti in famiglia, disciplinato dall’articolo 572 del codice penale  e rubricato “ maltrattamenti contro familiari o conviventi” recita”:

Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, maltratta una persona della famiglia o comunque convivente, o una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l’esercizio di una professione o di un’arte, è punito con la reclusione da tre a sette anni.

La pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso in presenza o in danno di persona minore, di donna in stato di gravidanza o di persona con disabilità come definita ai sensi dell’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero se il fatto è commesso con armi.

La pena è aumentata se il fatto è commesso in danno di minore degli anni quattordici.

Se dal fatto deriva una lesione personale grave, si applica la reclusione da quattro a nove anni; se ne deriva una lesione gravissima, la reclusione da sette a quindici anni; se ne deriva la morte, la reclusione da dodici a ventiquattro anni.

Il minore di anni diciotto che assiste ai maltrattamenti di cui al presente articolo si considera persona offesa dal reato.

     Indice

  1. Comportamento del padre iperprotettivo
  2. Condanna agli arresti domiciliari per il padre iperprotettivo

1. Comportamento del padre iperprotettivo

I comportamenti molto protettivi da parte di un genitore configurano il reato di maltrattamenti in famiglia se determinano il superamento della soglia minima di offensività, traducendosi in una abituale inflizione di umiliazioni e di sofferenze che condizionano in modo negativo lo sviluppo psichico e fisico del figlio.

A questo proposito, la Suprema Corte di Cassazione, si è pronunciata con il provvedimento n. 34280/2022, sancendo che non rileva nel caso preso in considerazione in modo specifico.


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2. Condanna agli arresti domiciliari per il padre iperprotettivo

In relazione al caso del quale al paragrafo precedente, un uomo è stato condannato alla pena degli arresti domiciliari per il reato di maltrattamenti in famiglia ai danni del figlio e della ex compagna che conviveva con lui.

L’uomo da parte sua, ha respinto l’accusa, ritenendo di non avere un rapporto patologico con il figlio, stando anche a quello che è emerso dopo avere ascoltato il minorenne e dalla certificazione sul rapporto tra i due.

Le valutazioni sulle informazioni riportate dalle maestre e dalla madre di un compagno di classe del piccolo, dalle quali si evince una determinata aggressività e l’intolleranza da parte del minorenne alle regole, vengono definite errate.

La Suprema Corte, chiamata in causa dall’avvocato difensore dell’uomo, dopo avere proceduto a ripercorrere gli eventi, ha affermato che allo stesso sono state contestati, in relazione al figlio, diversi comportamenti.

Precisamente:

  • Avere ostacolato il rapporto del bambino con la madre, i nonni e le insegnanti
  • Avere assunto dei comportamenti di carattere ostruzionistico in relazione al diritto di visita previsto dal Tribunale in favore della madre
  • Avere denigrato la figura della donna
  • Avere chiesto al piccolo delle informazioni continue sugli spostamenti della madre
  • Avere accudito in modo eccessivo il minorenne, sottoponendo lo stesso a continue visite mediche in risposta a quelle disposte dalla madre
  • Avere esasperato il rapporto con il figlio, che ha assunto addirittura il soprannome del padre
  • Avere ritenuto il minorenne affetto da ritardo mentale
  • Avere registrato le telefonate e le conversazioni del figlio
  • Avere assecondato il bambino in racconti inverosimili dai quali sono emerse violenze da parte della madre e delle maestre

Secondo i Supremi Giudici, i comportamenti sopra esposti non configurano il reato di maltrattamenti in famiglia del quale all’articolo 572 del codice penale, perché lo stesso si deve ritenere integrato se quando chi infligge sofferenze e vessazioni in modo abituale a un altro soggetto, lo stesso resta succube di un regime di vita caratterizzato da persecuzioni e umiliazioni.

La iperprotettività può integrare il reato di maltrattamenti in famiglia se ha la capacità di incidere sullo sviluppo psicofisico del minorenne, ma nel caso specifico i comportamenti di iperprotezione sono quelli assunti, non da parte del padre, ma da parte della madre dello stesso.

I comportamenti addebitabili all’uomo non possono essere trascurati sotto il profilo della responsabilità genitoriale e non integrano il reato che a lui viene contestato perché non superano la soglia minima di offensività “rappresentata dall’infliggere in modo abituale sofferenze psicologiche o fisiche che siano idonee a incidere sullo sviluppo del minorenne ledendo l’integrità dello stesso, anche indipendentemente dalla soglia di sensibilità della vittima”.

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Mariagnese Cheli, psicologa, responsabile del Centro Specialistico Provinciale contro i Maltrattamenti all’Infanzia
“Il Faro”, Dipartimento di Cure Primarie, Azienda USL
di Bologna.
Cosimo Ricciutello, neuropsichiatra infantile,
direttore Unità Operativa di Neuropsichiatria dell’Infanzia
e dell’Adolescenza – Azienda USL di Imola.
Mirella Valdiserra, consulente giuridico, già direttore amministrativo Distretto Città di Bologna – Azienda USL
di Bologna.

Leggi descrizione
Mirella Valdiserra, Cosimo Ricciutello, Mariagnese Cheli, 2012, Maggioli Editore
24.00 € 19.20 €
 

Digital services pack: pubblicati in GU i due nuovi regolamenti europei per i servizi digitali

Digital services pack: pubblicati in GU i due nuovi regolamenti europei per i servizi digitali

 

Il Digital Services Act e il Digital Markets Act sono legge europea: entrambi i Regolamenti approvati nel luglio scorso, che costituiscono il “pacchetto” di norme europee sui servizi digitali sono stati pubblicati in Gazzetta e diventeranno esecutivi nel 2023.

Vediamo che cosa sono e che cosa prevedono i due nuovi Regolamenti.

    Indice

1. Il Digital Services Act

Il Regolamento sui servizi digitali è improntato su un principio semplice, ma rivoluzionario, nella pratica: ciò che è illegale offline deve essere illegale anche online. Ovvero, basta considerare il web come un mondo a parte, una terra di nessuno dove tutto è permesso e dove nessuno controlla.

Trasparenza sulle piattaforme e sugli algoritmi di profilazione, moderazione dei contenuti, obbligo dei fornitori di collaborare con le Autorità e di sottoporsi periodicamente a audit indipendenti sono i pilastri del DSA, che si applica ai servizi di informazione, ovvero a tutti gli intermediari, ivi compresi tutti i social network, che offrono servizi a distanza per via elettronica o telematica ed ha come obiettivo principale di creare un ambiente online sicuro ed affidabile, sia in termini di contenuti proposti, sia in termini di tutela dei consumatori.

I soggetti interessati avranno quindi una serie di obblighi, tra cui:

  • indicare le condizioni di servizio e i relativi requisiti in modo chiaro;
  • fornire informazioni esplicite sulla moderazione dei contenuti e sull’uso degli algoritmi per i sistemi di raccomandazione dei contenuti;
  • adottare trasparenza nei sistemi di suggerimento e nelle pubblicità online;
  • non profilare bambini o rivolgere pubblicità rivolta ai bambini;
  • non utilizzare dati sensibili per profilare gli utenti;
  • non utilizzare dark pattern o altre pratiche ingannevoli per manipolare le scelte;
  • collaborare con le autorità nazionali;
  • denunciare i reati;
  • creare un meccanismo di reclamo e ricorso e risoluzione extragiudiziale delle controversie;
  • adottare misure contro le segnalazioni e le repliche abusive;
  • controllare le credenziali di fornitori terzi, anche attraverso controlli a campione.

Queste regole varranno per tutti, ma come se non bastasse, per i Big Tech, ovvero per le piattaforme con oltre 45 milioni di utenti al mese (il cosiddetto mondo GAFAM per intenderci) avranno una serie di obbligazioni aggiuntive, tra cui:

  • obblighi in materia di gestione dei rischi, di risposta alle crisi e di prevenzione di abuso dei propri sistemi;
  • condivisione dei propri dati chiave e dei propri algoritmi con le autorità e con i ricercatori autorizzati per comprendere l’evoluzione dei rischi online;
  • collaborazione nelle risposte alle emergenze;
  • codici di condotta specifici;
  • prevenzione dei rischi sistemici come la diffusione di contenuti illegali o con effetto negativo su diritti fondamentali, processi elettorali, violenza di genere, salute mentale;
  • obbligo di sottoporsi ad audit indipendenti, cioè alla verifica della correttezza dei dati di bilancio e delle procedure adottate;
  • abilitazione degli utenti al blocco delle “raccomandazioni” basate sulla profilazione.

Scopi principali del regolamento sono di protezione, soprattutto per i minori, (art.24, che stabilisce il divieto di impiegare “tecniche di targeting o amplificazione che trattano, rivelano o inferiscono i dati personali dei minori o delle persone vulnerabili ai fini della visualizzazione della pubblicità”), contrasto alla diffusione di contenuti illegali o di fake news, garantire una maggior concorrenza, competitività, sicurezza e trasparenza.

Le sanzioni in caso di violazione degli obblighi imposti dal DSA possono arrivare fino al 6% del fatturato annuo totale, oltre al risarcimento dei danni eventualmente richiesto dagli utenti.

A verificare che le normative vengano rispettate, sono state previste due nuove figure che si occuperanno della Governance:

il Compliance Officer, figura interna alla società, previsto solo per le piattaforme con oltre 45 milioni di utenti/mese, designato con il compito di verificare e monitorare l’osservanza del regolamento (una sorta di DPO dei servizi digitali). Inoltre, dovrebbe venire istituito un Digital Services Coordinator, nuova autorità nazionale indipendente per vigilare sulla applicazione del Regolamento con obblighi di trasparenza, imparzialità, tempestività di azione e report annuale sulle proprie attività, nonché per la gestione e risoluzione dei reclami.

I Digital Services Coordinator di tutti gli stati membri dell’Unione si riuniscono e compongono il Comitato Europeo per i Servizi Digitali, presieduto dalla Commissione Europea.

2. Il Digital Markets Act

Il secondo Regolamento facente parte del Digital Pack è il Digital Markets Act, ovvero il nuovo Regolamento Europeo sui mercati digitali, che diventerà operativo nel 2023, anch’esso promulgato in ottica di responsabilizzazione delle grandi piattaforme online, per regolare le condotte e gli obblighi in ottica preventiva.

Il Digital Markets Act introduce l’utilizzo di:

  • blacklist, ovvero liste di pratiche considerate scorrette a priori, con divieti e restrizioni a carico dei provider di servizi digitali, per prevenire la messa in atto di pratiche sleali;
  • whitelist, ovvero liste di pratiche virtuose, con elenchi di nuovi obblighi a carico delle aziende;
  • case by case assessment, cioè valutazioni da applicare caso per caso alle grandi piattaforme.

A titolo esemplificativo, nella blacklist sono comprese:

  • il leveraging, ovvero lo sfruttamento della propria posizione dominante per monopolizzare nuovi mercati;
  • il self preferencing, ovvero favorire arbitrariamente i propri prodotti sulla piattaforma a discapito di quelli proposti da altre società;
  • il rifiuto di accesso ai dati dell’utenza a terze parti terze, previa autorizzazione dell’utente stesso;
  • l’obbligo di termini e condizioni che bloccano l’accesso a determinate funzionalità;
  • le pratiche di vincolo (tying) e aggregazione (bundling), come la vendita o l’offerta congiunta e ingiustificata di beni/servizi diversi;
  • l’imposizione di termini e condizioni poco chiare;
  • la limitazione o il rifiuto della portabilità dei dati o del riuso dei dati, per scoraggiare o impedire all’utente l’abbandono della piattaforma;
  • il rifiuto immotivato di soluzioni di interoperabilità per rendere più difficile cambiare piattaforma;
  • la combinazione di dati personali dell’utente, ricavati dai servizi di piattaforma, con altri dati personali ricavati da altri servizi, anche di terze parti, senza espressa autorizzazione dell’utente stesso. (fonte: Agenda Digitale).

Mentre tra le pratiche raccomandate dalla whitelist elenchiamo:

  • possibilità per gli utenti di disinstallare qualsiasi applicazione software preinstallata;
  • astensione dal garantire posizionamento e trattamento più favorevole ai prodotti che appartengono alla stessa impresa rispetto a quelli altrui;
  • fornitura a inserzionisti ed editori di informazioni necessarie per effettuare verifica e monitoraggio dei dati indipendenti dell’offerta di spazio pubblicitario;
  • fornitura a titolo gratuito agli utenti commerciali, o a terzi autorizzati da un utente commerciale, di un accesso efficace, continuo e in tempo reale a dati aggregati e non aggregati forniti o generati nel contesto dell’uso dei pertinenti servizi di piattaforma di base (solo previo consenso dell’utente). (fonte: Agenda Digitale).

In caso di violazione delle norme, il Digital Markets Act prevede sanzioni fino al 10% del fatturato dell’azienda e fino al 20% in caso di recidiva (più del DSA e del GDPR messi insieme).

Gli obiettivi del Digital Market Act si possono dunque riassumere nell’esigenza di combattere gli abusi del mercato, stimolando la concorrenza leale, con conseguente maggiore offerta agli utenti ed inoltre una maggiore trasparenza nella gestione dei dati personali e dunque della privacy.

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Manuale di diritto alla protezione dei dati personali

Manuale di diritto alla protezione dei dati personali

Le novità introdotte dal Regolamento Europeo 2016/679, con la modifica del nostro “Codice privacy” ad opera del D.Lgs. n. 101/2018, rendono necessario riprogrammare il modo attraverso il quale i titolari (siano essi aziende, enti pubblici o associazioni) trattano i dati personali.

Si impone un cambiamento culturale e di approccio, che richiede anche una nuova consapevolezza del valore dei dati da parte dei titolari del trattamento: non si tratta più di un tema esclusivamente legale, ma di organizzazione, di gestione di processi produttivi e distributivi, di adeguatezza degli strumenti informatici utilizzati.

Il volume, partendo dalle prassi e dalle soluzioni operative, si propone di illustrare, con taglio pratico, l’impatto sul mercato del nuovo assetto normativo.

Per tali motivi, in questa nuova edizione si sono aggiunti capitoli che:
• esaminano il GDPR in rapporto con Blockchain, Bitcoin, Data Protection e Intelligenza Artificiale;
• illustrano il nuovo approccio delle misure di Cybersecurity, con profili pratico-operativi;
• propongono un’analisi compiuta di una casistica di Data Breach;
• affrontano i rapporti tra GDPR e D.Lgs. n. 231/2001, antiriciclaggio e misure di audit in campo privacy;
• offrono una più capillare analisi dell’applicazione dei principi di protezione dei dati personali veicolati nel Web.

MARCO MAGLIO
Avvocato in Milano e Data Scientist, nel 2001 ha fondato Lucerna Iuris, il primo Network Giuridico Internazionale di studi legali specializzati nella normativa sul trattamento dei dati personali e compliance legale nelle attività di marketing. Insegna Diritto della protezione dei dati personali in corsi di specializzazione in Italia e all’estero su Data Protection e Privacy Engineering, Diritto dei consumi e del marketing. Presidente dell’Osservatorio Europeo sulla Data Protection. Presiede il Giurì per l’Autodisciplina nella comunicazione commerciale diretta e nelle vendite a distanza. È referente italiano per le attività di ricerca della American Society of Comparative Law per le tematiche della data protectiony. Ricopre incarichi scientifici e professionali fin dagli anni ‘90 promuovendo la conoscenza della normativa sui dati personali. Partecipa al Gruppo di lavoro della Division of Data Science dell’Università di Berkeley. Sostenendo l’importanza di un approccio integrato alle tematiche della Data Protection, nel 2018 ha fondato con Miriam Polini e Nicola Tilli la Global Data Protection Alliance, che unisce le competenze di legali, informatici e manager internazionali per la tutela e valorizzazione effettiva dei dati.
MIRIAM POLINI
Avvocato in Milano, abilitato al patrocinio avanti le Corti Superiori, è Senior Partner di SLT&Partners – Novastudia da 16 anni. Laureata all’Università degli Studi di Pavia, Dottore di ricerca in Diritto penale interno e comparato presso l’Università degli Studi “Carlo Bo” di Urbino, è stata titolare di contratti di ricerca in importanti progetti con l’Università degli Studi “Carlo Bo” di Urbino e Università degli Studi di Macerata. Ha avuto incarichi di docenza per la SSPL dell’Università degli studi “Carlo Bo” di Urbino e per il Corso “Risk Management for SME and Emerging Risk” modulo Data Protection, dell’Università di Parma. Ha collaborato con la cattedra di diritto penale commerciale e progredito dell’Università Statale di Milano, è stata tutor della scuola di specializzazione per le professioni forensi dell’Università Statale di Milano. Autrice e Co-autrice di diverse pubblicazioni, relatore in eventi di formazione è responsabile scientifica di Novastudia Formazione. È ideatore, curatore e co-autore dell’opera.
NICOLA TILLI
Avvocato in Milano dal 1996, Cassazionista, Founding Partner del network di studi legali internazionalistici Novastudia Professional Alliance. Autore di varie pubblicazioni per primarie case editrici giuridico-professionali. Ha collaborato negli ultimi venticinque anni con l’Istituto di diritto civile (cattedra di diritto comparato) Università Statale di Milano, Libera Università di Castellanza (LUIC), Università Bocconi di Milano, Università del Piemonte Orientale e con incarichi di docenza o lecturer presso Università degli Studi “Carlo Bo” di Urbino, LUISS di Roma, Università di Parma. Trainer di Business School Il Sole 24 Ore, IKN, AIIA (Ass. Internal Auditors) È consulente e DPO per primarie imprese.

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Nicola Tilli, Marco Maglio, Miriam Polini, 2019, Maggioli Editore
84.00 € 67.20 €
 

Il differimento degli obblighi di comunicazioni relative allo smart working

Il differimento degli obblighi di comunicazioni relative allo smart working

 

      Indice

  1. Disciplina generale
  2. Qual è il termine per provvedere alla comunicazione?

1. Disciplina generale

Con il comunicato del Ministero del Lavoro 25 ottobre 2022, al fine di permettere ai datori di lavoro di adattare i propri sistemi informatici e provvedere alle comunicazioni inerenti l’accordo sullo smart working (lavoro agile), potranno essere espletati entro il 1° dicembre p.v. gli obblighi di comunicazione semplificata dovuti al Ministero del Lavoro. Giova ricordare, per completezza dell’esposizione, che il termine era stato fissato al 1° novembre 2022.

A partire dal 1° settembre 2022 la comunicazione ordinaria degli accordi di lavoro  avviene in modalità semplificata: il datore di lavoro è tenuto a trasmettere telematicamente al Ministero del Lavoro soltanto (art. 23, co. 1, Legge 22 maggio 2017, n. 8 – Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato -, art. 41 bis Decreto Legge 21 giugno 2022, n. 73 – Misure urgenti in materia di semplificazioni fiscali e di rilascio del nulla osta al lavoro, Tesoreria dello Stato e ulteriori disposizioni finanziarie e sociali – convertito con modificazioni dalla L. 4 agosto 2022, n. 122 (in G.U. 19/08/2022, n. 193):

i nominativi dei lavoratori;  inizio e cessazione delle prestazioni lavorative mediante smart working. La comunicazione avviene mediante un particolare modulo: All. 1 DM 22 agosto 2022 n. 149. Viene meno, dunque, l’obbligo di inviare i singoli accordi individuali.


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2. Qual è il termine per provvedere alla comunicazione?

È obbligo del datore di lavoro provvedere alla comunicare nel termine di 5 giorni al Ministero (art. 4 bis, co. 5, Decreto Legislativo 21 aprile 2000, n. 181 – Disposizioni per agevolare l’incontro fra domanda ed offerta di lavoro, in attuazione dell’articolo 45, comma 1, lettera a), della legge 17 maggio 1999, n. 144 -. Nell’ottica di favorire i datori di lavoro nell’adeguamento dei sistemi informatici delle proprie aziende, in una prima fase, il termine per l’adempimento dell’obbligo di comunicazione era stato fissato, mediante comunicato del Ministero del Lavoro, al 1° novembre 2022. Come scritto sopra, con il comunicato in scrutinio il Ministero del Lavoro ha postergato il termine ultimo per provvedere alla comunicazione al 1° dicembre 2022.

In merito alle richieste di supporto inerenti l’attivazione della modalità occorre inviare una richiesta mediante un apposito link, fruibile sul sito del Ministero del Lavoro.

Leggi anche: Smart working: istruzioni per l’uso in un approfondimento

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La proposta di legge sulla modifica dell’articolo 1 del codice civile

La proposta di legge sulla modifica dell’articolo 1 del codice civile

di Concas Alessandra, Referente Aree Diritto Civile, Commerciale e Fallimentare e Diritto di Famiglia 
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Il disegno di legge è da assegnare alla commissione competente ma sul sito del Senato è ufficiale l’avvenuto deposito del testo.

Il titolo è “Modifica dell’articolo 1 del codice civile in materia di riconoscimento della capacità giuridica del concepito”.

Con la modifica riconoscere capacità giuridica al concepito comporterebbe che i diritti si acquisiscono all’atto del concepimento e non esclusivamente dopo l’avvenuta nascita.

     Indice

1. Articolo 1 del codice civile

L’articolo 1 del codice civile, rubricato “capacità giuridica” recita:

La capacità giuridica si acquista dal momento della nascita.

I diritti che la legge riconosce a favore del concepito sono subordinati all’evento della nascita.


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2. La capacità giuridica

Nell’ordinamento giuridico le persone fisiche acquistano la capacità giuridica al momento della nascita.

È riconosciuta a ognuno dei consociati per l’unico fatto della nascita (art. 1 c.c.), vale a dire per l’unico fatto del distacco del nato dal grembo materno, anche quando subito dopo la nascita segua la morte o il nato sia destinato a morte sicura.

Spesso si è posta la questione della cosiddetta capacità giuridica prima dell’evento nascita, perché a volte sembrerebbe che la capacità giuridica sia da attribuire anche al nascituro.

In capo al nascituro è riconosciuta una particolare capacità giuridica, che distingue se si tratti di nascituro concepito o nascituro non concepito.

La questione, che interessa diversi aspetti della definizione del soggetto giuridico e diverse concezioni della rilevanza giuridica della vita, è fonte di nutrite disquisizioni dottrinali e di qualche incertezza applicativa di carattere pratico.

Il nascituro concepito, vale a dire, il feto nel grembo materno (si discute da quale momento della suddivisione embrionale), ha titolo a concorrere alla successione mortis causa e a ricevere donazioni.

È discusso se per questa ragione possa anch’esso stesso dare origine a un’eventuale linea successoria (le classiche ipotesi di scuola prevedono sia un feto divenuto erede per la premorienza del padre e successivamente morto ancora in fase fetale, sia il feto in grembo a madre morta e morto dopo di questa, prima di un parto ancorché forzoso).

Questo concetto si basa sul brocardo medievale Conceptus pro iam nato habetur si de eius commodo agitur (il concepito è considerato nato quando si tratta dei suoi interessi).

Il nascituro non concepito, oppure l’ipotetico figlio che potrebbe nascere a un dato potenziale genitore, ha la capacità di ricevere successioni e donazioni, come nel classico caso di disposizioni testamentarie che dispongano l’attribuzione di beni a condizione della nascita.

Le disposizioni per questo tipo molto particolare di soggetto giuridico sono sottoposte al vincolo dell’avveramento della condizione di venuta a esistenza.

La capacità giuridica si perde per morte (anche per morte presunta), e ci sono casi particolari che la limitano in caso di assenza o scomparsa (rileva talvolta se volontarie).

L’articolo 22 della Costituzione pone una garanzia a questa posizione del soggetto, stabilendo che “nessuno può essere privato, per motivi politici, della capacità giuridica”.

La capacità giuridica di diritto privato è riconosciuta in capo non esclusivamente ai cittadini, ma anche allo straniero, con l’unico limite del principio di res.

Secondo una corrente dottrinale che fa capo al civilista Angelo Falzea, la capacità giuridica è una posizione del soggetto rispetto all’effetto giuridico.

La capacità giuridica è una posizione astratta e potenziale per la quale il soggetto è portatore potenziale dei possibili effetti giuridici e in questo si distingue dalla titolarità che designa la posizione di destinatario di singoli effetti giuridici.

Essendo la capacità giuridica una posizione generale, astratta e potenziale, è relativa agli effetti, attuali o potenziali, che possono scaturire dall’ordinamento giuridico.

Secondo questa concezione cosiddetta globale oppure organica della capacità giuridica, questa posizione spetta a ognuno e si è destinatari della generalità degli effetti giuridici per due ordini di motivi:

La primo motivo si basa sul principio dell’eguaglianza formale che vuole “tutti i cittadini eguali davanti alla legge”.

Ne consegue che non ci possono essere aree normative precluse a priori a determinati soggetti.

Il secondo motivo si basa sul carattere sistematico dell’ordinamento giuridico secondo il quale le norme sono interconnesse tra loro e il soggetto fa da collante dell’intero sistema relativa a singoli effetti giuridici, ma deve essere relativa a ogni possibile effetto, attuale o potenziale.

Alla teoria globale si contrappone la concezione Atomistica Kelseniana che, assimilando la capacità giuridica alla titolarità, evidenzia la posizione del soggetto rispetto al singolo effetto giuridico.

In definitiva, la capacità giuridica ha efficacia costitutiva dell’ordinamento giuridico nei confronti dei consociati con i quali lo Stato, che secondo la definizione romaniana, è un “ordinamento giuridico originario, a fini generali, a base territoriale, dotato di un apparato autoritario, posto in una posizione di supremazia”, attribuisce ai soggetti,  così come si potrebbe astenere dal farlo, una simile capacità, distinguendosi dal riconoscimento con efficacia dichiarativa della soggettività giuridica, con il quale quale lo Stato prende atto della soggettività.

L’accoglimento del principio di eguaglianza formale in svariati ordinamenti giuridici comporta la spettanza della capacità giuridica a ogni consociato senza limitazioni, fermo restando che tale riconoscimento è un’attribuzione dello Stato.

Dal ragionamento fatto in precedenza consegue l’inammissibilità dell’incapacità giuridica che comporterebbe l’esclusione di determinati soggetti da qualsiasi effetto giuridico dell’ordinamento. È anche inammissibile l’esistenza di una incapacità giuridica speciale che comporterebbe l’esclusione del soggetto da determinati effetti giuridici.

Impropriamente si è parlato di incapacità giuridica speciale per connotare determinate scelte di vita del soggetto che lo escludono da determinate aree normative.

Questa concezione non comporta limitazioni della capacità giuridica, perché il soggetto, anche rinunciando a porre in essere determinate fattispecie normative, resta destinatario degli effetti giuridici, attuali o potenziali, dell’ordinamento giuridico.

 

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Rinvio riforma Cartabia e norme anti-rave: commento al d.l. n. 162/2022 in materia penale

Rinvio riforma Cartabia e norme anti-rave: commento al d.l. n. 162/2022 in materia penale

 

Scopo del presente scritto è quello di esaminare le misure introdotte nella prima normativa adottata dal nuovo Governo in materia penale, ovvero il decreto legge, 31 ottobre 2022, n. 162, intitolato “Misure urgenti in materia di divieto di concessione dei benefici penitenziari nei confronti dei detenuti o internati che non collaborano con la giustizia, nonche’ in materia di entrata in vigore del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, di obblighi di vaccinazione anti SARS-COV-2 e di prevenzione e contrasto dei raduni illegali”.

>>>Leggi il dl 162/2022<<<

Infatti, come già emerge da siffatto titolo, il “legislatore” è intervenuto in diversi ambiti penali, e, in particolare, in quello penitenziario, oltre mediante l’introduzione di un apposito reato volto in sostanza a contrastare il fenomeno del c.d. rave party.

Infine, si è intervenuti sulla riforma Cartabia, rinviando la sua entrata in vigore al 30/12/2022.

Orbene, non resta che vedere in cosa consistono siffatte misure normative.

     Indice

  1. Le modifiche apportate alla legge n. 354/1975
  2. Le modifiche apportate all’art. 2 del d.l. n. 152/1991
  3. Il varo di disposizioni transitorie in materia di divieto di concessione dei benefici penitenziari
  4. Le modifiche apportate all’articolo 25 della legge 13 settembre 1982, n. 646
  5. L’introduzione di norme in materia di occupazioni abusive e organizzazione di raduni illegali
  6. La modifica dell’entrata in vigore del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150

1. Le modifiche apportate alla legge n. 354/1975

L’art. 1 del d.l. n. 162/2022 interviene sulla legge n. 354 del 1975.

In particolare, al primo comma, lettera a), n. 1, è innanzitutto disposto che “all’articolo 4-bis: 1) al comma 1 e’ aggiunto, in fine, il seguente periodo: «La disposizione del primo periodo si applica altresì in caso di esecuzione di pene inflitte anche per delitti diversi da quelli ivi indicati, in relazione ai quali il giudice della cognizione o dell’esecuzione ha accertato che sono stati commessi per eseguire od occultare uno dei reati di cui al medesimo primo periodo ovvero per conseguire o assicurare al condannato o ad altri il prodotto o il profitto o il prezzo ovvero l’impunità di detti reati”.

Pertanto, la disposizione di cui all’art. 4-bis, co. 1, primo periodo, legge n. 354/1975 – che, come è noto, stabilisce che l’“assegnazione al lavoro all’esterno, i permessi premio e le misure alternative alla detenzione previste dal capo VI, esclusa la liberazione anticipata, possono essere concessi ai detenuti e internati per i seguenti delitti solo nei casi in cui tali detenuti e internati collaborino con la giustizia a norma dell’articolo 58-ter della presente legge o a norma dell’articolo 323-bis, secondo comma, del codice penale: delitti commessi per finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell’ordine democratico mediante il compimento di atti di violenza, delitti di cui agli articoli 314, primo comma, 317, 318, 319, 319-bis, 319-ter, 319-quater, primo comma, 320, 321, 322, 322-bis, 416-bis e 416-ter del codice penale, delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dallo stesso articolo ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni in esso previste, delitti di cui agli articoli 600, 600-bis, primo comma, 600-ter, primo e secondo comma, 601, 602, 609-octies e 630 del codice penale, all’articolo 12, commi 1 e 3, del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni, all’articolo 291-quater del testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43, e all’articolo 74 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309” – si applica adesso anche, in caso di esecuzione di pene inflitte anche per delitti diversi da quelli ivi indicati, in relazione ai quali il giudice della cognizione o dell’esecuzione ha accertato che sono stati commessi per eseguire od occultare uno dei reati di cui al medesimo primo periodo ovvero per conseguire o assicurare al condannato o ad altri il prodotto o il profitto o il prezzo, o ancora, l’impunità di detti reati.

Tale intervento normativo, dunque, comporta un allargamento dei reati ostativi ai fini della concessione di benefici penitenziari anche quando il giudice, sia quello della cognizione, che il giudice dell’esecuzione, abbia accertato che i reati, per cui si ritiene operante questa norma giuridica, siano stati comunque posti in essere per eseguire od occultare i reati menzionati dall’art. 4-bis, co. 1, primo periodo, legge n. 354/1975, ovvero abbiano procurato al condannato o a terzi il prodotto o il profitto o il prezzo, ovvero l’impunità di detti reati.

Ciò posto, al primo comma, lettera a), n. 2, è invece disposto quanto segue: “il comma 1-bis e’ sostituito dai seguenti: «1-bis. I benefici di cui al comma 1 possono essere concessi, anche in assenza di collaborazione con la giustizia ai sensi dell’articolo 58-ter, ai detenuti e agli internati per delitti commessi per finalita’ di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell’ordine democratico mediante il compimento di atti di violenza, per i delitti di cui agli articoli 416-bis e 416-ter del codice penale, per delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall’articolo 416-bis del codice penale ovvero al fine di agevolare l’attivita’ delle associazioni in esso previste, per i delitti di cui all’articolo 12, commi 1 e 3, del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e per i delitti di cui all’articolo 291-quater del testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43, e all’articolo 74 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, purche’ gli stessi dimostrino l’adempimento delle obbligazioni civili e degli obblighi di riparazione pecuniaria conseguenti alla condanna o l’assoluta impossibilita’ di tale adempimento e alleghino elementi specifici, diversi e ulteriori rispetto alla regolare condotta carceraria, alla partecipazione del detenuto al percorso rieducativo e alla mera dichiarazione di dissociazione dall’organizzazione criminale di eventuale appartenenza, che consentano di escludere l’attualita’ di collegamenti con la criminalita’ organizzata, terroristica o eversiva e con il contesto nel quale il reato e’ stato commesso, nonche’ il pericolo di ripristino di tali collegamenti, anche indiretti o tramite terzi, tenuto conto delle circostanze personali e ambientali, delle ragioni eventualmente dedotte a sostegno della mancata collaborazione, della revisione critica della condotta criminosa e di ogni altra informazione disponibile. Al fine della concessione dei benefici, il giudice accerta altresi’ la sussistenza di iniziative dell’interessato a favore delle vittime, sia nelle forme risarcitorie che in quelle della giustizia riparativa”.

Pertanto, alla stregua di quanto statuito in codesto precetto normativo, è adesso stabilito che i benefici penitenziari di cui all’art. 4-bis, co. 1, legge n. 354/1075, ossia l’assegnazione al lavoro all’esterno, i permessi premio e le misure alternative alla detenzione, possono essere concessi anche chi non collaborato giustizia, e purchè sia stato condannato per i delitti appena menzionati in precedenza, sempreché costui abbia dimostrato l’adempimento delle obbligazioni civili e degli obblighi di riparazione pecuniaria conseguenti alla condanna o l’assoluta impossibilita’ di tale adempimento.

Oltre a ciò, è altresì richiesto che siano allegati elementi, specifici, diversi e ulteriori rispetto alla regolare condotta carceraria, alla partecipazione del detenuto al percorso rieducativo e alla mera dichiarazione di dissociazione dall’organizzazione criminale di eventuale appartenenza, che consentano di escludere l’attualita’ di collegamenti con la criminalita’ organizzata, terroristica o eversiva e con il contesto nel quale il reato e’ stato commesso, nonche’ il pericolo di ripristino di tali collegamenti, anche indiretti o tramite terzi, tenuto (anche) conto delle circostanze personali e ambientali, delle ragioni eventualmente dedotte a sostegno della mancata collaborazione, della revisione critica della condotta criminosa e di ogni altra informazione disponibile.

Al fine della concessione dei benefici, il giudice accerta altresi’ la sussistenza di iniziative dell’interessato a favore delle vittime, sia nelle forme risarcitorie che in quelle della giustizia riparativa.

Precisato ciò, sempre al primo comma, lettera a), n. 2, sono inoltre previsti due nuovi commi, in seno all’art. 4 bis della legge n. 354/1975, che così provvedono: “1-bis.1. I benefici di cui al comma 1 possono essere concessi, anche in assenza di collaborazione con la giustizia ai sensi dell’articolo 58-ter della presente legge o dell’articolo 323-bis del codice penale, ai detenuti o internati per i delitti di cui agli articoli 314, primo comma, 317, 318, 319, 319-bis,  319-ter, 319-quater, primo comma, 320, 321, 322, 322-bis, 600, 600-bis, primo comma, 600-ter, primo e secondo comma, 601, 602, 609-octies e 630 del codice penale, purche’ gli stessi dimostrino l’adempimento delle obbligazioni civili e degli obblighi di riparazione pecuniaria conseguenti alla condanna o l’assoluta impossibilita’ di tale adempimento e alleghino elementi specifici, diversi e ulteriori rispetto alla regolare condotta carceraria e alla partecipazione del detenuto al percorso rieducativo, che consentano di escludere l’attualita’ di collegamenti, anche indiretti o tramite terzi, con il contesto nel quale il reato e’ stato commesso, tenuto conto delle circostanze personali e ambientali, delle ragioni eventualmente dedotte a sostegno della mancata collaborazione, della revisione critica della condotta criminosa e di ogni altra informazione disponibile. Al fine della concessione dei benefici, il giudice di sorveglianza accerta altresi’ la sussistenza di iniziative dell’interessato a favore delle vittime, sia nelle forme risarcitorie che in quelle della giustizia riparativa. 1-bis.2. Ai detenuti e agli internati, oltre che per taluno dei delitti di cui al comma 1-bis.1, anche per il delitto di cui all’articolo 416 del codice penale finalizzato alla commissione dei delitti ivi indicati si applicano le disposizioni del comma 1-bis.”.

Orbene, procedendo per gradi, il “nuovo” comma 1-bis.1. statuisce che i benefici già citati in precedenza, anche in assenza di collaborazione con la giustizia ai sensi dell’articolo 58-ter della presente legge o dell’articolo 323-bis del codice penale, ai detenuti o internati per i delitti di cui agli articoli 314, primo comma, 317, 318, 319, 319-bis,  319-ter, 319-quater, primo comma, 320, 321, 322, 322-bis, 600, 600-bis, primo comma, 600-ter, primo e secondo comma, 601, 602, 609-octies e 630 del codice penale, purchè costoro: a) dimostrino l’adempimento delle obbligazioni civili e degli obblighi di riparazione pecuniaria conseguenti alla condanna o l’assoluta impossibilita’ di tale adempimento; b) alleghino elementi specifici, diversi e ulteriori rispetto alla regolare condotta carceraria e alla partecipazione del detenuto al percorso rieducativo, che consentano di escludere l’attualita’ di collegamenti, anche indiretti o tramite terzi, con il contesto nel quale il reato e’ stato commesso, tenuto conto delle circostanze personali e ambientali, delle ragioni eventualmente dedotte a sostegno della mancata collaborazione, della revisione critica della condotta criminosa e di ogni altra informazione disponibile.

A sua volta il giudice della sorveglianza, nel decidere in ordine alla concedibilità di siffatti benefici, accerta altresi’ la sussistenza di iniziative dell’interessato a favore delle vittime, sia nelle forme risarcitorie, che in quelle della giustizia riparativa.

Ciò posto, per quanto invece riguarda il “nuovo” comma 1-bis.2, esso stabilisce che, ai detenuti e agli internati, oltre che per taluno dei delitti di cui al comma 1-bis.1, anche per il delitto di cui all’articolo 416 del codice penale finalizzato alla commissione dei delitti ivi indicati, si applicano le disposizioni del comma 1-bis (già esaminate in precedenza).

Al primo comma, lettera a), n. 3, viceversa, è disposto che “al comma 2 sono aggiunti, in fine, i seguenti periodi: «Nei casi di cui ai commi 1-bis e 1-bis.1, il giudice, prima di decidere sull’istanza, chiede altresi’ il parere del pubblico ministero presso il giudice che ha emesso la sentenza di primo grado o, se si tratta di condanne per i delitti indicati all’articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, del codice di procedura penale, del pubblico ministero presso il tribunale del capoluogo del distretto ove e’ stata pronunciata la sentenza di primo grado e del Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, acquisisce informazioni dalla direzione dell’istituto ove l’istante e’ detenuto o internato e dispone, nei confronti del medesimo, degli appartenenti al suo nucleo familiare e delle persone ad esso collegate, accertamenti in ordine alle condizioni reddituali e patrimoniali, al tenore di vita, alle attivita’ economiche eventualmente svolte e alla pendenza o definitivita’ di misure di prevenzione personali o patrimoniali. I pareri, le informazioni e gli esiti degli accertamenti di cui al quarto periodo sono trasmessi entro sessanta giorni dalla richiesta. Il termine puo’ essere prorogato di ulteriori trenta giorni in ragione della complessita’ degli accertamenti. Decorso il termine, il giudice decide anche in assenza dei pareri, delle informazioni e degli esiti degli accertamenti richiesti. Quando dall’istruttoria svolta emergono indizi dell’attuale sussistenza di collegamenti con la criminalita’ organizzata, terroristica o eversiva o con il contesto nel quale il reato e’ stato commesso, ovvero del pericolo di ripristino di tali collegamenti, e’ onere del condannato fornire, entro un congruo termine, idonei elementi di prova contraria. In ogni caso, nel provvedimento con cui decide sull’istanza di concessione dei benefici il giudice indica specificamente le ragioni dell’accoglimento o del rigetto dell’istanza medesima, tenuto conto dei pareri acquisiti ai sensi del quarto periodo. I benefici di cui al comma 1 possono essere concessi al detenuto o internato sottoposto a regime speciale di detenzione previsto dall’articolo 41-bis solamente dopo che il provvedimento applicativo di tale regime speciale sia stato revocato o non prorogato”.

Il giudice, quindi, prima di decidere sulla istanza, deve chiedere il parere del pubblico ministero presso il giudice che ha emesso la sentenza di primo grado o, se si tratta di condanne per i delitti indicati all’articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, del codice di procedura penale, del pubblico ministero presso il tribunale del capoluogo del distretto ove e’ stata pronunciata la sentenza di primo grado e del Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, acquisisce informazioni dalla direzione dell’istituto ove l’istante e’ detenuto o internato e dispone, nei confronti del medesimo, degli appartenenti al suo nucleo familiare e delle persone ad esso collegate, accertamenti in ordine alle condizioni reddituali e patrimoniali, al tenore di vita, alle attivita’ economiche eventualmente svolte e alla pendenza o definitivita’ di misure di prevenzione personali o patrimoniali, fermo restando che, per un verso, i pareri, le informazioni e gli esiti degli accertamenti sono trasmessi entro sessanta giorni dalla richiesta, per altro verso, detto termine puo’ essere prorogato di ulteriori trenta giorni in ragione della complessita’ degli accertamenti,

Ad ogni modo, spirato il termine in questione, il giudice decide anche in assenza dei pareri, delle informazioni e degli esiti degli accertamenti richiesti, fermo restando che, quando dall’istruttoria svolta emergono indizi dell’attuale sussistenza di collegamenti con la criminalita’ organizzata, terroristica o eversiva o con il contesto nel quale il reato e’ stato commesso, ovvero del pericolo di ripristino di tali collegamenti, e’ onere del condannato fornire, entro un congruo termine, idonei elementi di prova contraria.

In ogni caso, nel provvedimento con cui decide sull’istanza di concessione dei benefici il giudice indica specificamente le ragioni dell’accoglimento o del rigetto dell’istanza medesima, tenuto conto dei pareri acquisiti.

Oltre a ciò, è da ultimo preveduto che i benefici di cui sopra possono essere concessi al detenuto o internato sottoposto a regime speciale di detenzione previsto dall’articolo 41-bis solamente dopo che il provvedimento applicativo di tale regime speciale sia stato revocato o non prorogato.

Conclusa la disamina di questi nuovi commi, se il primo comma, lettera a), n. 4 prevede, per mere esigenze di coordinamento, che “al comma 2-bis, le parole: «Ai fini della concessione dei benefici» sono sostituite dalle seguenti: «Nei casi»”, nel seguente numero 5 è concepito un ulteriore comma, ossia il comma 2-ter che dispone quanto segue: “Alle udienze del tribunale di sorveglianza che abbiano ad oggetto la concessione dei benefici di cui al comma 1 ai condannati per i reati di cui all’articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, del codice di procedura penale, le funzioni di pubblico ministero possono essere svolte dal pubblico ministero presso il tribunale del capoluogo del distretto ove e’ stata pronunciata la sentenza di primo grado”.

E’ quindi stabilito, in tale evenienza, che le funzioni della pubblica accusa possano, e pertanto non debbano, essere svolte dall’autorità requirente del Tribunale del capoluogo del distretto ove e’ stata pronunciata la sentenza di primo grado.

L’ultima previsione normativa, contenuta nella lettera a) del primo comma, è quella preveduta al numero 6) ove è stabilito l’abrogazione del comma 3-bis che così disponeva “L’assegnazione al lavoro all’esterno, i permessi premio e le misure alternative alla detenzione previste dal capo VI, non possono essere concessi ai detenuti ed internati per delitti dolosi quando il Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo o il Procuratore distrettuale comunica, d’iniziativa o su segnalazione del comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica competente in relazione al luogo di detenzione o internamento, l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata. In tal caso si prescinde dalle procedure previste dai commi 2 e 3”.

Precisato ciò, alla seguente lettera b) è enunciato che “all’articolo 21, comma 4, e’ aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Quando sono ammessi al lavoro esterno detenuti o internati condannati per delitti commessi per finalita’ di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell’ordine democratico mediante il compimento di atti di violenza, nonche’ per i delitti di cui all’articolo 416-bis del codice penale o commessi avvalendosi delle condizioni previste dallo stesso articolo ovvero al fine di agevolare l’attivita’ delle associazioni in esso  previste, all’approvazione provvede il tribunale di sorveglianza.»”.

Tal che ne consegue che, ove siano riportate condanne per questi delitti, l’approvazione al provvedimento di ammissione al lavoro esterno [condizione questa necessaria perché tale provvedimento diventi esecutivo (così: art. 21, co. 4, primo periodo, legge n. 354/1975)], ove siano state riportate condanne per questi delitti, spetta, non al Magistrato di Sorveglianza (come di norma accade), ma al Tribunale di Sorveglianza.

Lo stesso dicasi per i permessi premio stante quanto disposto dall’art. 1, co. 1, lett. c), n. 1, d.l. n. 162/2022 (“all’articolo 30-ter: (…) al comma 1, primo periodo, dopo le parole: «magistrato di sorveglianza» sono inserite le seguenti: «o, quando si tratta di condannati per delitti commessi per finalita’ di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell’ordine democratico mediante il compimento di atti di violenza, nonche’ per i delitti di cui all’articolo 416-bis del codice penale o commessi avvalendosi delle condizioni previste dallo stesso articolo ovvero al fine di agevolare l’attivita’ delle associazioni in esso previste, il tribunale di sorveglianza,»”).

Da ultimo, l’art. 30-ter della legge è stato modificato anche al comma settimo atteso che l’art. 1, co. 1, lett. c), n. 2, d.l. n. 162/2022 statuisce quanto segue: “al comma 7, dopo le parole: «permessi premio» sono aggiuntele seguenti: «, emesso dal magistrato di sorveglianza,» e dopo le parole: «le procedure di cui all’art. 30-bis» sono inserite le seguenti: «, entro il termine di quindici giorni dalla comunicazione del provvedimento medesimo”.

Pertanto, se prima era stabilito che il provvedimento relativo ai permessi premio era soggetto a reclamo al Tribunale di sorveglianza, secondo le procedure di cui all’art. 30-bis, è ora disposto, da un lato, che questo provvedimento sia adottato dal magistrato di sorveglianza, dall’altro, che sempre tale provvedimento debba essere adottato entro 15 giorni dalla sua comunicazione.


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2. Le modifiche apportate all’art. 2 del d.l. n. 152/1991 

L’art. 2 del d.l. n. 162/2022 interviene sull’art. 2 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203.

In particolare, al primo comma, lettera a), è preveduto che “il comma 1 e’ sostituito dal seguente: «1. I condannati per i delitti indicati nei commi 1, 1-ter e 1-quater dell’articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, possono essere ammessi alla liberazione condizionale solo se ricorrono le condizioni indicate nello stesso articolo 4-bis per la concessione dei benefici. Si osservano le disposizioni dei commi 2, 2-bis e 3 dell’articolo 4-bis della legge n. 354 del 1975.»”.

La possibilità di essere ammessi alla liberazione condizionale, ove siano state condanne per i reati di cui all’art. 4-bis, commi 1, 1-ter e 1-quater, legge n. 354/1975, dunque, è concepibile solo se ricorrano le condizioni previste da questo stesso articolo per la concessione dei benefici ivi previsti, e già esaminati in precedenza.

Ad ogni modo, nel procedere a siffatto vaglio di ammissibilità si osservano anche i commi 2, 2-bis 3 3 sempre dell’art. 4-bis della legge n. 354 del 1975 (a cui si rinvia).

Sempre in questo articolo, nella lettera b), è altresì enunciato come sia disposto che “il comma 2 e’ sostituito dal seguente: «2. Fermi restando gli ulteriori requisiti e gli altri limiti di pena previsti dall’articolo 176 del codice penale e fatto salvo quanto stabilito dall’articolo 8 della legge 29 maggio 1982, n. 304, i soggetti di cui al comma 1 non possono comunque essere ammessi alla liberazione condizionale se non hanno scontato almeno due terzi della pena temporanea o almeno trenta anni di pena, quando vi e’ stata condanna all’ergastolo per taluno dei delitti indicati nel comma 1 dell’articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354. In tal caso, la pena dell’ergastolo rimane estinta e le misure di sicurezza personali ordinate dal giudice con la sentenza di condanna o con provvedimento successivo sono revocate, ai sensi dell’articolo 177, secondo comma, del codice penale, decorsi dieci anni dalla data del provvedimento di liberazione condizionale e la liberta’ vigilata, disposta ai sensi dell’articolo 230, primo comma, numero 2, del codice penale, comporta sempre per il condannato il divieto  di incontrare o mantenere comunque contatti con soggetti condannati per i reati di cui all’articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, del codice di procedura penale o sottoposti a misura di prevenzione ai sensi delle lettere a), b), d), e), f) e g) del comma 1 dell’articolo 4 del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, o condannati per alcuno dei reati indicati nelle citate lettere.»”.

Pertanto, i condannati, per i delitti indicati nei commi 1, 1-ter e 1-quater dell’articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, non possono comunque essere ammessi alla liberazione condizionale se non hanno scontato almeno due terzi della pena temporanea o almeno trenta anni di pena, quando vi e’ stata condanna all’ergastolo per taluno dei delitti indicati nel comma 1 dell’articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354.

In tal caso e, quindi, quando si è ammessi alla liberazione condizionale, la pena dell’ergastolo rimane estinta e le misure di sicurezza personali ordinate dal giudice con la sentenza di condanna o con provvedimento successivo sono revocate, ai sensi dell’articolo 177, secondo comma, del codice penale, decorsi dieci anni dalla data del provvedimento di liberazione condizionale.

Ad ogni modo, la liberta’ vigilata, disposta ai sensi dell’articolo 230, primo comma, numero 2, del codice penale, ossia quando il condannato è ammesso alla liberazione condizionale, comporta sempre per il condannato il divieto  di incontrare o mantenere comunque contatti con soggetti condannati per i reati di cui all’articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, del codice di procedura penale o sottoposti a misura di prevenzione ai sensi delle lettere a), b), d), e), f) e g) del comma 1 dell’articolo 4 del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, o condannati per alcuno dei reati indicati nelle citate lettere.

3. Il varo di disposizioni transitorie in materia di divieto di concessione dei benefici penitenziari

L’art. 3, co. 1, d.l. n. 162/2022 stabilisce che la “disposizione di cui all’articolo 1, comma 1, lettera a), numero 1), non si applica quando il delitto diverso da quelli indicati nell’articolo 4-bis, comma 1, della legge 26 luglio 1975, n. 354, e’ stato commesso prima della data di entrata in vigore del presente decreto”.

Al comma secondo, invece, è disposto quanto sussegue: “Ai condannati e agli internati che, prima della data di entrata in vigore del presente decreto, abbiano commesso delitti previsti dal comma 1 dell’articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, nei casi in cui la limitata partecipazione al fatto criminoso, accertata nella sentenza di condanna, ovvero l’integrale accertamento dei fatti e delle responsabilita’, operato con sentenza irrevocabile, rendano comunque impossibile un’utile collaborazione con la giustizia, nonche’ nei casi in cui, anche se la collaborazione che viene offerta risulti oggettivamente irrilevante, nei confronti dei medesimi detenuti o internati sia stata applicata una delle circostanze attenuanti previste dall’articolo 62, numero 6, anche qualora il risarcimento del danno sia avvenuto dopo la sentenza di condanna, dall’articolo 114 ovvero dall’articolo 116, secondo comma, del codice penale, le misure alternative alla detenzione di cui al capo VI del titolo I della citata legge n. 354 del 1975 e la  liberazione condizionale possono essere concesse, secondo la procedura di cui al comma 2 dell’articolo 4-bis della medesima legge n. 354 del 1975, purche’ siano acquisiti elementi tali da escludere l’attualita’ di collegamenti con la criminalita’ organizzata, terroristica o eversiva. In tali casi, ai condannati alla pena dell’ergastolo, ai fini dell’accesso alla liberazione condizionale, non si applicano le disposizioni di cui all’articolo 2, comma 1, lettera b), del presente decreto. Nondimeno, la liberta’ vigilata, disposta ai sensi dell’articolo 230, primo comma, numero 2, del codice penale, comporta sempre per il condannato il divieto di incontrare o mantenere comunque contatti con soggetti condannati per i reati di cui all’articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, del codice di procedura penale o sottoposti a misura di prevenzione ai sensi delle lettere a), b), d), e), f) e g) del comma 1 dell’articolo 4 del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, o condannati per alcuno dei reati indicati nelle citate lettere”.

Pertanto, alla stregua di tale dettato normativo, è stabilito che, per i condannati e gli internati che, prima della data di entrata in vigore del presente decreto, abbiano commesso delitti previsti dal comma 1 dell’articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, nei casi in cui la limitata partecipazione al fatto criminoso, accertata nella sentenza di condanna, ovvero l’integrale accertamento dei fatti e delle responsabilita’, operato con sentenza irrevocabile, rendano comunque impossibile un’utile collaborazione con la giustizia, nonche’ nei casi in cui, anche se la collaborazione che viene offerta risulti oggettivamente irrilevante, nei confronti dei medesimi detenuti o internati sia stata applicata una delle circostanze attenuanti previste dall’articolo 62, numero 6, anche qualora il risarcimento del danno sia avvenuto dopo la sentenza di condanna, dall’articolo 114 ovvero dall’articolo 116, secondo comma, del codice penale, le misure alternative alla detenzione di cui al capo VI del titolo I della citata legge n. 354 del 1975 e la  liberazione condizionale possono essere concesse, secondo la procedura di cui al comma 2 dell’articolo 4-bis della medesima legge n. 354 del 1975, purche’ siano acquisiti elementi tali da escludere l’attualita’ di collegamenti con la criminalita’ organizzata, terroristica o eversiva fermo restando che, in tali casi, ai condannati alla pena dell’ergastolo, ai fini dell’accesso alla liberazione condizionale, non si applicano le disposizioni di cui all’articolo 2, comma 1, lettera b), del presente decreto.

Nondimeno, la liberta’ vigilata, disposta ai sensi dell’articolo 230, primo comma, numero 2, del codice penale, comporta sempre per il condannato il divieto di incontrare o mantenere comunque contatti con soggetti condannati per i reati di cui all’articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, del codice di procedura penale o sottoposti a misura di prevenzione ai sensi delle lettere a), b), d), e), f) e g) del comma 1 dell’articolo 4 del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, o condannati per alcuno dei reati indicati nelle citate lettere.

4. Le modifiche apportate all’articolo 25 della legge 13 settembre 1982, n. 646

L’art. 4 del d.lgs. n. 162/2022 modifica l’art. 25 della legge n. 646/1982 nella seguente maniera: “All’articolo 25 della legge 13 settembre 1982, n. 646, sono apportate le seguenti modificazioni: a) al comma 1, dopo le parole: «nei cui confronti» sono inserite le seguenti: «sia stato adottato un decreto di cui al comma 2-bis dell’articolo 41-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354,»; b) al comma 3, e’ aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Copia del decreto di cui al comma 2-bis dell’articolo 41-bis della legge 26 luglio 1975, n.  354, e’ trasmessa, a cura del Ministero della giustizia, al nucleo di polizia economico-finanziaria di cui al comma 1.»”.

Per effetto di queste emende, pertanto, la verifica concessa al nucleo di polizia tributaria del Corpo della guardia di finanza, in merito alla posizione fiscale, economica e patrimoniale ai fini dell’accertamento di illeciti valutari e societari e comunque in materia economica e finanziaria, anche allo scopo di verificare l’osservanza della disciplina dei divieti autorizzatori, concessori o abilitativi di cui all’articolo 10 della citata legge n. 575 del 1965, e successive modificazioni, può essere adesso disposto anche nei confronti della persona a carico della quale sia stato adottato il regime carcerario differenziato, fermo restando che copia del decreto con cui è stato disposto siffatto regime è trasmessa, a cura del Ministero della giustizia, al nucleo di polizia economico-finanziaria appena menzionato.


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5. L’introduzione di norme in materia di occupazioni abusive e organizzazione di raduni illegali

L’art. 5, co. 1, d.l. n. 162/2022 dispone che dopo “l’articolo 434 del codice penale e’ inserito il seguente: «Art. 434-bis (Invasione di terreni o edifici per raduni pericolosi per l’ordine pubblico o l’incolumita’ pubblica o la salute pubblica). – L’invasione di terreni o edifici per raduni pericolosi per l’ordine pubblico o l’incolumita’ pubblica o la salute pubblica consiste nell’invasione arbitraria di terreni o edifici altrui, pubblici o privati, commessa da un numero di persone superiore a cinquanta, allo scopo di organizzare un raduno, quando dallo stesso puo’ derivare un pericolo per l’ordine pubblico o l’incolumita’ pubblica o la salute pubblica. Chiunque organizza o promuove l’invasione di cui al primo comma e’ punito con la pena della reclusione da tre a sei anni e con la multa da euro 1.000 a euro 10.000. Per il solo fatto di partecipare all’invasione la pena e’ diminuita. E’ sempre ordinata la confisca ai sensi dell’articolo 240, secondo comma, del codice penale, delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato di cui al primo comma nonche’ di quelle utilizzate nei medesimi casi per realizzare le finalita’ dell’occupazione.».

E’ dunque introdotta questa norma incriminatrice che innanzitutto definisce l’oggetto del suo intervento, ossia l’invasione di terreni o edifici per raduni pericolosi per l’ordine pubblico o l’incolumita’ pubblica o la salute pubblica, definendola quale invasione arbitraria di terreni o edifici altrui, pubblici o privati, commessa da un numero di persone superiore a cinquanta, allo scopo di organizzare un raduno, quando dallo stesso puo’ derivare un pericolo per l’ordine pubblico o l’incolumita’ pubblica o la salute pubblica.

Ciò posto, è previsto che sia punito, con la pena della reclusione da tre a sei anni e con la multa da euro 1.000 a euro 10.000, chiunque organizza o promuove tale invasione mentre è contemplata una diminuente di pena per chi partecipa essendo previsto che per il solo fatto di partecipare all’invasione. Essendo unicamente stabilito che la pena e’ diminuita, e quindi sino ad un terzo, va da sé come si tratti di una attenuante ad effetto comune.

Pur tuttavia, è ordinata la confisca ai sensi dell’articolo 240, secondo comma, del codice penale, delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato di cui al primo comma nonche’ di quelle utilizzate nei medesimi casi per realizzare le finalita’ dell’occupazione.

Ciò posto, a sua volta il comma secondo statuisce che all’“articolo 4, comma 1, del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, dopo la lettera i-ter), e’ aggiunta la seguente: «i-quater) ai soggetti indiziati del delitto di cui all’articolo 434-bis del codice penale.».

Pertanto, le misure di prevenzione personali applicate all’autorità giudiziaria possono essere comminate pure ai soggetti indiziati del delitto appena esaminato.

Infine, al terzo comma è enunciato che le “disposizioni del presente articolo si applicano dal giorno

successivo a quello della pubblicazione del presente decreto nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana”.

6. La modifica dell’entrata in vigore del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150

Come accennato nella parte introduttiva di questo scritto, con il decreto legge qui in commento è stata anche posticipata l’entrata in vigore della riforma Cartabia.

L’art. 6 del d.l. n. 162/2022, infatti, dispone quanto segue: “Dopo l’articolo 99 del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, e’ aggiunto il seguente: «Art. 99-bis (Entrata in vigore). – 1. Il presente decreto entra in vigore il 30 dicembre 2022.»”.

Pertanto, se prima l’entrata in vigore di questa normativa era prevista per il 1 novembre del 2022, adesso, per effetto di questo innesto legislativo, tale riforma sarà efficace a partire dal 30 dicembre del 2022.

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Santa Silvia

 

Santa Silvia


Nome: Santa Silvia
Titolo: Madre di S. Gregorio Magno
Nascita: VI Secolo, Roma
Morte: 3 novembre 592, Italia
Ricorrenza: 3 novembre
Martirologio: edizione 2004
Tipologia: Commemorazione
Silvia nacque a Roma intorno al 520 in una famiglia di modeste condizioni, terza di tre figlie tra cui Emiliana e Tarsilla, anch’esse sante. Nel 538 sposò il senatore Gordiano appartenente ad una nobile famiglia romana. La coppia andò ad abitare nella villa degli Anici sul colle Celio al Clivo di Scauro, dove oggi si trova la chiesa di San Gregorio al Celio. Ebbe due figli, il primogenito fu Gregorio, poi eletto al soglio pontificio nel 590.

Rimasta vedova intorno al 573, si ritirò in una casa sull’Aventino chiamata Cella Nova, seguendo la regola benedettina e dedicando il resto della sua vita alla preghiera, alla meditazione e all’aiuto dei malati e dei più bisognosi. Il figlio Gregorio continuò invece ad abitare nella villa paterna, che trasformò in monastero e dove eresse una chiesa dedicata a sant’Andrea (l’attuale oratorio di Sant’Andrea al Celio). In questo periodo sua madre si preoccupava di fargli recapitare ogni giorno un pasto caldo, temendo che l’austerità della vita eremitica compromettesse ulteriormente la salute già cagionevole di Gregorio.

Silvia morì nel 592; papa Gregorio la fece seppellire nel monastero di Sant’Andrea, nel sepolcro dove già si trovavano le sorelle Tarsilla ed Emiliana, e vi fece dipingere la sua immagine con la croce nella destra e un libro nella sinistra recante la scritta: «Vivit anima mea et laudabit te, et iudicia tua adiuvabunt me» (“Vive la mia anima e ti loderà, e i tuoi giudizi mi aiuteranno”).

Qui, nel 1603, il cardinale Cesare Baronio fece erigere l’oratorio di Santa Silvia al Celio e in quello stesso anno ottenne da papa Clemente VIII che il nome di santa Silvia venisse inserito nel Martirologio Romano al 3 novembre.

Su sollecitazione invece di papa Giovanni XXIII, il 23 febbraio del 1959, nel quartiere Portuense, venne istituita una parrocchia dedicata alla madre di San Gregorio Magno, la cui chiesa fu aperta al culto nel 1968

MARTIROLOGIO ROMANO. A Roma, commemorazione di santa Silvia, madre del papa san Gregorio Magno, che, secondo quanto lo stesso Pontefice riferì nei suoi scritti, raggiunse il vertice della vita di preghiera e di penitenza e fu per il prossimo un eccelso esempio.