Archivi giornalieri: 26 novembre 2021

Reddito di libertà, novità: al via le domande di aiuti per le donne vittime di violenza

Reddito di libertà, novità: al via le domande di aiuti per le donne vittime di violenza

Domanda di Reddito di libertà donne vittime di violenza da parte dei Comuni al via: a chi spetta, a quanto ammonta e come si ottiene.

 

Il Reddito di Libertà è un aiuto economico predisposto per le donne vittime di violenza. Si tratta di un nuovo contributo economico a favore di particolari categorie della popolazione, ma non stiamo ovviamente parlando di reddito di cittadinanza o reddito di emergenza, misure già ben note e varate diverso tempo fa, di cui peraltro ci siamo più volte occupati; ma di un contributo cumulabile con RdC, che al contempo è bonus, ma anche sussidio. Lo versa l’Inps ai destinatari con assegno mensile, ma per un massimo di 12 mesi.

Il sussidio di libertà consiste insomma in una speciale misura di sostegno economico, che è stata varata l’anno scorso durante il Governo Conte bis, ma soltanto ultimamente è entrata definitivamente in vigore. Infatti – già prevista nel decreto legge Rilancio – detto contributo ha trovato concretizzazione soltanto sette mesi dopo, con la pubblicazione del decreto attuativo del Presidente del Consiglio dei ministri, il quale stabilisce chi sono i beneficiari e le condizioni di applicazione del reddito di libertà.

Aggiornamento del 25 novembre 2021: aggiorniamo questa guida con un nuovo documento di prassi dell’INPS. Con il messaggio n. 4132 del 24 novembre 2021, a completamento della Circolare numero 166 del 08-11-2021, l’Istituto comunica infatti di aver rilasciato la procedura telematica di acquisizione delle domande – da parte dei Comuni – per ricevere il contributo denominato “Reddito di Libertà”, destinato alle donne vittime di violenza, senza figli o con figli minori, seguite dai centri antiviolenza riconosciuti dalle regioni e dai servizi sociali nei percorsi di fuoriuscita dalla violenza, al fine di contribuire a sostenerne l’autonomia.

Vediamo allora un po’ più da vicino il Reddito di libertà donne vittime di violenza: che cos’è e come funziona questa misura di sostegno entrata definitivamente in vigore il 21 luglio 2021? Scopriamolo.

Reddito di libertà: che cos’è e chi può fare richiesta

Il reddito di libertà consiste di fatto in un contributo economico, mirato esplicitamente alle donne vittime di violenza e che si trovano in condizioni di povertà. Lo scopo chiaro di questo sussidio è dunque rappresentato – così come delineato dalle norme in materia – dal “favorire, attraverso l’indipendenza economica, percorsi di autonomia e di emancipazione delle donne vittime di violenza in condizione di povertà“.

La misura consiste pertanto in un contributo economico, nella misura massima di 400 euro mensili pro capite, concesso in un’unica soluzione per massimo 12 mesi, finalizzato a sostenere prioritariamente:

  • le spese per assicurare l’autonomia abitativa e la riacquisizione dell’autonomia personale,
  • nonché il percorso scolastico e formativo dei figli o delle figlie minori.

La misura, inoltre, è compatibile, come detto in premessa, con altri strumenti di sostegno al reddito.

In buona sostanza, per domandare e conseguire l’assegnazione del RdL sono necessari i quattro seguenti requisiti:

  • essere una donna che vive da sola o con prole in minore età;
  • aver patito azioni lesive ed aver cioè subito violenza da parte di qualcuno;
  • essere in stato di povertà o particolare vulnerabilità;
  • essere seguiti da “centri antiviolenza riconosciuti dalle Regioni e dai servizi sociali nei percorsi di fuoriuscita dalla violenza, al fine di contribuire a sostenerne l’autonomia” (cosi recita la norma in proposito).

Per quanto riguarda la violenza patita dalla richiedente, le regole di legge che istituiscono il reddito di libertà non precisano di quale violenza si tratti. Pertanto, detto requisito è da interpretarsi in senso ampio, includendo sia le violenze fisiche, sia le violenze psicologiche. Tipico esempio è rappresentato dall’illecito penale dei maltrattamenti in famiglia.

Reddito di libertà 2021: ecco l’importo assegnato a ciascuna beneficiaria

Ovviamente per garantire il conferimento delle somme costituenti RdL ai soggetti aventi diritto, il Governo ha varato un Fondo ad hoc proprio per questa misura di sostegno.

Parliamo di circa 3 milioni di euro, suddivisi poi tra  le Regioni e le Province autonome sulla scorta delle fasce di popolazione femminile residente e di età tra un minimo di 18 e un massimo di 67 anni. Attenzione però: ciascuna Regione può scegliere di innalzare la dotazione del citato Fondo con ulteriori stanziamenti a livello locale.

Vi sono alcuni limiti da considerare, per meglio delineare le caratteristiche del reddito di libertà. Ebbene, l’ammontare massimo del contributo corrisponde a 400 euro al mese per persona, per un totale di 12 mensilità. In buona sostanza, l’assegno arriva per ciascun mese fino al dodicesimo, dopo un anno si perde di fatto il diritto.

Reddito di libertà donne vittime di violenza: come fare domanda

Come già accade per tante altre prestazioni, per domandare e conseguire il RdL, l’interessata avente i requisiti richiesti, deve fare domanda all’Inps, compilando un modulo ad hoc per il tramite degli operatori comunali addetti ai servizi sociali. In esso sono da includersi:

  • la dichiarazione sottoscritta dal rappresentante legale del centro antiviolenza, che attesti l’adesione ad un percorso di emancipazione ed autonomia;
  • la dichiarazione dei servizi sociali, la quale chiarisce lo stato di bisogno legato alla situazione straordinaria o urgente della donna vittima di violenze fisiche o psicologiche.

La domanda può essere fatta pervenire all’Inps personalmente o attraverso un intermediario autorizzato, come ad es. un patronato. Il modulo in questione altro non è che un’autocertificazione recante i propri dati.

Schema di Domanda di Reddito di Libertà

Di seguito lo Schema di Domanda di Reddito di Libertà rilasciato dall’INPS.

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Quali spese è possibile compiere con il reddito di libertà?

In verità non vi sono specifici vincoli o regole da seguire, per spendere i soldi del reddito di libertà. Infatti nelle norme in materia si trova scritto genericamente che detta misura è mirata “a sostenere prioritariamente le spese per assicurare l‘autonomia abitativa e la riacquisizione dell’autonomia personale nonché il percorso scolastico e formativo dei figli minori”. In buona sostanza, la donna beneficiaria potrà usare questo contributo, ad esempio, per pagare l’affitto della propria abitazione; oppure le spese dei libri scolastici dei figli. Sarà dunque la destinataria a scegliere come suddividere le spese che il reddito consente, in base alle proprie necessità e a quelle della (eventuale) prole.

Lo abbiamo accennato all’inizio, ma giova ribadire che il RdL non è contributo incompatibile con altri strumenti di aiuto economico. In particolare, questo reddito e il reddito di cittadinanza sono pienamente cumulabili. D’altronde, la finalità è sempre la stessa: garantire un apporto economico in situazione di disagio sociale e indigenza.

Concludendo, per l’avvio definitivo della misura, restiamo in attesa delle istruzioni INPS di dettaglio, circa la trasmissione delle domande e le modalità di pagamento. Queste ultime dovrebbero arrivare in tempi brevi.

Circolare INPS numero 166 del 08-11-2021

Di seguito il testo della circolare INPS illustrativa del Reddito di Libertà.

Riforma pensioni 2022, tra conferme e novità: la guida dei Consulenti del lavoro

Riforma pensioni 2022, tra conferme e novità: la guida dei Consulenti del lavoro

La Fondazione Studi Consulenti del lavoro rilascia un approfondimento sul tema della Riforma Pensioni 2022 dopo il superamento di Quota 100.

La Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro ha rilasciato, in data 23 novembre, un utile approfondimento sul tema della Riforma delle Pensioni 2022, dal titolo “Pensioni, tra proposte di riforma e nuova platea di lavori usuranti”; con l’approfondimento i Cdl fanno il punto della situazione attuale, in vista delle modifiche che arriveranno o che potrebbero arrivare nei prossimi mesi.

L’approfondimento, è a cura di Antonello Orlando, Consulente del Lavoro, nonché esperto previdenziale della Fondazione Studi dei CdL e firma del Sole 24 Ore e di altre prestigiose testate economiche.

Ecco i dettagli.

Fondazione Studi Consulenti del lavoro: il cantiere delle pensioni

Nella prima parte dell’approfondimento si ricostruisce la situazione attuale in materia di lavori gravosi e dei lavori utili all’accesso all’Ape sociale e all’anticipo pensionistico; successivamente si vanno ad analizzare sinteticamente gli accessi ordinari alla pensione:

  • la pensione di vecchiaia
  • e la pensione anticipata ordinaria

Per poi finire con gli altri anticipi pensionistici e infine Opzione donna. Ampio spazio viene quindi dato a Quota 100 e Quota 102.

Nella seconda parte del documento, invece, con lo strumento delle FAQ l’autore si dedica ad alcune idee di revisione normativa con cui si potrebbe aiutare il ricambio generazionale; ad esempio con strumenti quali il riscatto gratuito della laurea o la sostituzione della Quota 100.

Questa la premessa dell’approfondimento del dott. Antonello Orlando:

Il 2022 sarà l’anno di un intervento normativo di revisione più sostanzioso del sistema pensionistico, mentre le misure a oggi contenute nel disegno di legge della manovra in
discussione in Parlamento non appare avere le pretese di una vera e propria riforma.

Per prima cosa è definitivamente confermato che non sarà possibile prorogare Quota 100. La nuova Quota 102, attiva per il 2022, prevede nella sua forma attuale una combinazione di anzianità contributiva identica a quella di Quota 100 (38 anni di contributi) con una maggiore età anagrafica (64 anni); si mantengono le stesse peculiarità della Quota 100, come, in particolare, il divieto di cumulo reddituale dal momento della decorrenza della pensione fino al compimento dell’età pensionabile di vecchiaia.

Ai fini dell’accesso all’Ape Sociale, la manovra si propone di identificare con maggiore realismo lavoratori addetti a mansioni gravose che hanno più bisogno di facilitazioni dell’accesso pensionistico.

Riforma Pensioni 2022: tra proposte e nuova platea di lavori usuranti

Di seguito il testo dell’approfondimento della Fondazione Studi “Pensioni, tra proposte di riforma e nuova platea di lavori usuranti” (maggiori info qui).

Restituzione somme indebitamente percepite dall’INPS: nuove indicazioni

Restituzione somme indebitamente percepite dall’INPS: nuove indicazioni

Fornite le indicazioni operative dell’INPS sulla nuova modalità di restituzione delle somme indebitamente percepite.

Fornite le indicazioni operative sulla nuova modalità di restituzione delle somme indebitamente percepite dall’INPS, disciplinata dall’art. 150 del D.L. n. 34/2020. In particolare è stato specificato che le somme restituite al soggetto erogatore, se assoggettate a ritenuta, sono restituite al netto della ritenuta subita e non costituiscono oneri deducibili.

Inoltre, il sostituto d’imposta quale soggetto erogatore, ha la possibilità di usufruire, al posto del rimborso, di un credito di imposta pari al 30% delle somme ricevute, utilizzabile senza limiti in compensazione.

È quanto chiarito dall’INPS, con la Circolare n. 174 del 22 novembre 2021. Ecco i dettagli del documento di prassi.

Restituzione somme indebitamente percepite dall’INPS: modalità di restituzione

L’art. 150 del D.L. n. 34/2020, convertito con modificazioni in L. n. 77/2020, disciplinante le modalità di ripetizione dell’indebito su prestazioni previdenziali e retribuzioni assoggettate a ritenute alla fonte a titolo di acconto, ha introdotto nell’art- 10 del Dpr. 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR), il co. 2-bis, ai sensi del quale le somme restituite al soggetto erogatore, “se assoggettate a ritenuta, sono restituite al netto della ritenuta subita e non costituiscono oneri deducibili”.

La disposizione in esame ha, inoltre, previsto in favore del sostituto d’imposta, quale soggetto erogatore, la possibilità di usufruire, in luogo del rimborso, di un credito di imposta pari al 30% delle somme ricevute, utilizzabile in compensazione senza i limiti di cui all’art- 17 del D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241.

Quindi, fermo restando il diritto del contribuente, nel rapporto diretto con il Fisco, di dedurre dal reddito complessivo gli oneri per somme restituite su cui non sia stata applicata la ritenuta alla fonte, qualora l’INPS, in qualità di sostituto di imposta, abbia titolo a ripetere somme indebitamente erogate, assoggettate in anni precedenti a ritenute alla fonte a titolo di acconto, si attiene alle seguenti modalità operative:

  • le somme sono richieste e restituite al netto e non costituiscono onere deducibile per il contribuente;
  • al sostituto di imposta spetta un credito d’imposta pari al 30% delle somme oggetto di restituzione, utilizzabile senza limite di importo in compensazione ai sensi dell’art. 17 del D.Lgs n. 241/1997.

Determinazione e computo delle somme

La disposizione in argomento prevede genericamente che le somme “sono restituite al netto della ritenuta subita”, senza specificare le modalità di determinazione dell’importo netto oggetto di restituzione.

Per quanto concerne la determinazione della somma netta da restituire, con particolare riferimento ai casi in cui l’indebito sia relativo a una parte della somma complessivamente erogata in anni precedenti, trova applicazione il criterio di proporzionalità. Secondo tale meccanismo, il sostituto sarà tenuto a sottrarre dall’importo lordo che il contribuente è tenuto a corrispondere, la quota parte delle ritenute operate ai fini IRPEF, proporzionalmente riferibili all’indebito.

Quindi, il sostituto è tenuto a sottrarre dall’importo lordo che il contribuente è tenuto a corrispondere, la quota parte delle ritenute operate ai fini IRPEF, proporzionalmente riferibili all’indebito.

Dovranno dunque essere applicate le seguenti procedure di calcolo:

  • individuazione delle somme nette oggetto di recupero per ciascuna annualità nei casi di indebiti pluriennali;
  • all’interno delle singole annualità del periodo di riferimento dell’indebito, ai fini della determinazione del reddito imponibile, occorre tener conto della complessiva posizione del soggetto, cioè considerare gli importi complessivamente erogati dall’Istituto al medesimo soggetto e non soltanto quelli erogati dalla singola prestazione del cui indebito si tratta;
  • ai fini della determinazione delle ritenute operate sul predetto reddito complessivo imponibile è necessario computare tutte le trattenute erariali, comprese le addizionali regionali e comunali determinate e riferite agli anni d’imposta cui si riferisce l’indebito.

Ripetizione degli indebiti INPS, credito d’imposta

Stabilendo la restituzione al netto, si ritiene che la norma abbia configurato il credito d’imposta nei confronti del Fisco come diritto autonomo e distinto dal credito nei confronti del percipiente. Pertanto, l’accertamento amministrativo dell’indebito è il momento rilevante per la costituzione:

  • da un lato, del diritto alla ripetizione nei confronti del soggetto interessato;
  • dall’altro, del diritto al credito di imposta verso l’Erario, a prescindere dall’effettiva restituzione delle somme da parte del debitore che, si ripete, può anche non avvenire. Si ritiene, infatti, che quest’ultima circostanza non debba pregiudicare il recupero delle somme indebitamente versate all’Erario.

L’Istituto, quindi, si avvarrà del credito di imposta in esito all’accertamento del diritto alla ripetizione delle somme indebitamente percepite, indipendentemente dalla loro effettiva restituzione.

Ferie convertite in cassa integrazione: arriva l’ok dell’INL

Ferie convertite in cassa integrazione: arriva l’ok dell’INL

È possibile convertire ferie già programmate in Cassa Integrazione con causale Covid-19. Chiarimenti dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro.

Convertire le ferie già programmate in periodi di Cassa Integrazione? Secondo l’INL è possibile. Con la Nota n. 1799 del 23 novembre 2021, è stato chiarito dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro che è possibile convertire in cassa integrazione, con causale “Covid-19”, i periodi di ferie, già programmati e concessi, ai propri lavoratori dipendenti. Tale facoltà è ammessa esclusivamente in caso di sospensione totale dell’attività per cause attinenti l’emergenza sanitaria in corso.

È quanto emerge a seguito di una richiesta di parere concernente la sussistenza di profili di illiceità a carico del datore di lavoro che modifichi in CIG, seppur con causale Covid-19, le giornate di ferie richieste dai lavoratori “già programmate e concesse”.

Ecco i dettagli della Nota INL.

Ferie convertite in cassa integrazione covid-19

Nel caso di specie, l’azienda nel mese di agosto avrebbe unilateralmente tramutato la terza settimana di ferie in CIG con causale Covid-19. Ma andiamo con ordine.

Disciplina delle ferie

La norma che disciplina le ferie è l’art. 10 del D.Lgs. n. 66/2003, il quale afferma che ogni lavoratore ha diritto ad un periodo annuale di ferie retribuite non inferiore a quattro settimane. Tale periodo, salvo quanto previsto dalla contrattazione collettiva va goduto:

  • per almeno due settimane consecutive, in caso di richiesta del lavoratore nel corso dell’anno di maturazione;
  • per le restanti due settimane, nei 18 mesi successivi al termine dell’anno di maturazione.

In tal contesto, in forza dell’art. 2109 c.c., si evince il riconoscimento in capo al datore di lavoro, nell’ambito dei poteri di organizzazione dell’attività imprenditoriale, di una facoltà di determinare la collocazione temporale delle ferie, nonché in alcune ipotesi di modificarla.

Leggi anche: ferie lavorative

Eccezionalità ed imprevedibilità della fruizione delle ferie

Sempreché sia rispettato il dovere di comunicazione preventiva al lavoratore del periodo feriale, eventuali deroghe alla fruizione delle ferie diritto risultano ammissibili esclusivamente in due casi:

  • eccezionalità;
  • imprevedibilità.

Entrambe le caratteristiche, chiaramente, devono essere supportate da adeguata motivazione.

Ad esempio, costituiscono ipotesi oggettive derogatorie all’ordinaria modalità di fruizione delle ferie, tra gli altri, gli interventi a sostegno del reddito ordinari e straordinari, in cui si assiste ad una “sospensione totale o parziale delle obbligazioni principali scaturenti dal rapporto medesimo, ossia l’espletamento dell’attività lavorativa e la corresponsione della retribuzione”.

Leggi anche: cassa integrazione covid-19 nel decreto fiscale

Maturazione ferie in caso di Cassa Integrazione a zero ore: recupero psicofisico compromesso

Particolare è il caso di sospensione totale dell’attività lavorativa, ovvero nell’ipotesi di CIG a zero ore, non sembra sussistere il presupposto della necessità di recuperare le energie psico-fisiche cui è preordinato il diritto alle ferie.

L’esercizio del diritto in questione, sia con riferimento alle ferie già maturate sia riguardo a quelle infra annuali in corso di maturazione, può quindi essere posticipato al momento della cessazione dell’evento sospensivo coincidente con la ripresa dell’attività produttiva.

Diversamente avviene nell’ipotesi di CIG parziale, nella quale deve comunque essere garantito al lavoratore il ristoro psico-fisico correlato all’attività svolta, sebbene in misura ridotta.

Mancata comunicazione delle Ferie

Infine, l’INL precisa che la mancata comunicazione preventiva della trasformazione in CIG del periodo di ferie già autorizzato, in violazione dell’art. 2109, non è assistita da sanzione.

In tal caso, infatti, non è possibile il ricorso al potere di disposizione considerato che, risultando inalterato il plafond di ferie maturate dai lavoratori (fruibili al termine della CIG), non c’è danno alla cui “riparazione” dovrebbe essere finalizzato il ricorso al potere di disposizione.

 

IL 29 NOVEMBRE 1847 La perfetta fusione della Sardegna con il Piemonte: una data infausta per la Sardegna

 

 
 
IL 29 NOVEMBRE 1847
La perfetta fusione della Sardegna con il Piemonte:
una data infausta per la Sardegna
Il 29 novembre prossimo ricorre il 174° Anniversario di una data infausta per la Sardegna: la Fusione perfetta con gli stati sabaudi di terraferma, Con essa l’Isola veniva deprivata del suo Parlamento e finiva così il Regnum Sardiniae.
Se si è scritto che siano stati i Sardi stessi a rinunciarvi. Si tratta di una grossa balla: non è assolutamente vero. A chiedere la Fusione, che verrà decretata da Carlo Alberto, furono alcuni membri degli Stamenti di Cagliari e di Sassari, senza alcuna delega né rappresentatività né stamentaria né, tanto meno, popolare. Il Parlamento neppure si riunì. Tanto che Sergio Salvi, lo scrittore e storico fiorentino gran conoscitore di cose sarde ha parlato di “rapina giuridica”.
Mi si potrà obiettare : e le manifestazioni pubbliche che si svolsero a Cagliari (dal 19 al 24 novembre) e a Sassari nel 1847 non servono come titolo di rappresentatività popolare? Non sono esse segno e testimonianza che la popolazione sarda voleva e richiedeva la Fusione?
Per intanto occorre chiarire che quelle pubbliche manifestazioni, erano poco rappresentative della popolazione sarde in quanto i partecipanti appartenevano sostanzialmente ai ceti urbani. Ma soprattutto esse rispondevano esclusivamente agli interessi della nobiltà ex feudale, illecitamente arricchitasi, con la cessione dei feudi in cambio di esorbitanti compensi, che riteneva più garantite le proprie rendite dalle finanze piemontesi piuttosto che da quelle sarde. Nella fusione inoltre vedevano una possibile fonte di arricchimento la borghesia impiegatizia e i ceti mercantili. Dentro la cortina fumogena del riformismo liberale europeo, avanzavano inoltre anche in Sardegna, spinte ideologiche e patriottarde – rappresentate soprattutto dalla borghesia intellettuale (avvocati, letterati, professionisti in cerca di lustrini) e dagli studenti universitari – che vedevano nella Fusione la possibilità che venissero estese anche alla Sardegna riforme liberali quali l’attenuazione della censura sulla stampa, la limitazione degli abusi polizieschi, qualche libertà commerciale e persino un primo passo verso l’unificazione degli Stati italiani.
“Per la ex nobiltà feudale – scrive Girolamo Sotgiu – la conservazione delle vecchie istituzioni non aveva alcun interesse. La possibilità di conservare un peso politico era ormai data soltanto dalle posizioni da conquistare nelle istituzioni militari e civili del regno sabaudo e dalla conservazione di una forza economica fondata non più tanto sul possesso della terra, quanto delle cartelle del debito pubblico, e « le cedole di Sardegna – come afferma il Baudi di Vesme – colla riunione delle due finanze [avrebbero acquistato] il dieci e più per cento di valore commerciale, ed il capitale che dava cinque lire di entrata, e [che si vendeva ] a lire 108 sarebbe immediatamente salito alle 120 e più» (1).
Comunque, se le stesse Manifestazioni contengono una serie di ambiguità, specie rispetto agli obiettivi che si proponevano, in ogni caso ben altre e diverse erano le aspirazioni delle masse popolari, urbane come quelle dei pastori e contadini e difforme l’atteggiamento verso il Piemonte.
Scrive ancora Girolamo Sotgiu:”Che gli orientamenti più largamente diffusi fossero diversi è dimostrato da molti fatti. L’ostilità contro i piemontesi era forte come non mai, e le riforme erano viste anche come strumento per alleggerire il peso di un regime di sopraffazione politica che era tanto più odioso in quanto esercitato dai cittadini di un’altra nazione; per ottenere cioè non una fusione ma quanto più possibile di separazione”. (2).
Tanto che lo storico piemontese Carlo Baudi di Vesme scrive che “correvano libelli sediziosi forieri della tempesta e quasi ad alta voce si minacciava un rinnovamento del novantaquattro” (.3).
Ovvero una nuova cacciata dei piemontesi, considerati i responsabili principali della drammatica situazione economica aggravata dalla crisi delle campagne (fallimento dei raccolti) e dall’esosità del fisco. Lo stesso Vesme ricorda ancora che “un sarto, per nome Manneddu, sollevò il grido di Morte ai Piemontesi in teatro, nel colmo delle manifestazioni di esultanza per la concessione delle riforme”. (4).
E sulla Torre dell’Elefante, a Cagliari, il giorno della partenza per Torino di alcuni membri degli Stamenti, il 24 novembre, per chiedere la sciagurata fusione, apparve un manifesto con la scritta:Viva la lega italiana/e le nuove riforme/Morte ai Gesuiti e ai piemontesi/Concittadini:ecco il momento disiato/della sarda rigenerazione.
Giovanni Siotto Pintor inoltre scrive che nei giorni delle dimostrazioni “Moltissimi contadini di Teulada traevano a Cagliari credendo a una rivolta” per sostenerla e rafforzarla e che “cinquecento armati del vicino paese di Selargius stavano pronti a venire al primo avviso” e che “v’erano uomini di Aritzo, d’Orgosolo, di Fonni mandati per sapere se [c’era] mestieri d’aiuto nel qual caso [sarebbero venuti] otto centinaia di uomini armati”. (5).
Con la Fusione Perfetta con gli stati del continente, la Sardegna perderà ogni forma residuale di sovranità e di autonomia statuale per confluire nei confini di uno stato più grande e il cui centro degli interessi risultava naturalmente radicato sul continente. L’Unione Perfetta non apportò alcun vantaggio all’Isola, né dal punto di vista economico, né da quelli politico, sociale e culturale. Tale esito fallimentare fu ben chiaro sin dai primi anni con l’aggravamento fiscale e una maggiore repressione che sfociò nello stato d’assedio, – che divenne sistema di governo – sia con Alberto la Marmora (1849) che con il generale Durando (1852)
Uno dei principali sostenitori della Fusione, visti i risultati ebbe a dire:”Fummo presi da una follia collettiva, errammo tutti e ci pentimmo amaramente”
Gianbattista Tuveri sostenne che dopo la Fusione “La Sardegna era diventata una fattoria del Piemonte, misera e affamata di un governo senza cuore e senza cervello”.
Note Bibliografiche
1. Girolamo Sotgiu, Storia della Sardegna sabauda, Edizioni Laterza, Roma.Bari, 1984, pag. 306.
2. Ibidem, pagg. 307-308
3. Carlo Baudi di Vesme, Considerazioni politiche ed economiche sulla Sardegna, Stamperia reale, Torino 1848 pag.181.
4. Ibidem, pag. 189.
5. Giovanni Siotto Pintor, Storia civile dei popoli sardi dal 1798 al 1848, Casanova, Torino, 1877, pag. 518.

Quote di capitale cooperative: esenzione per antic…

Quote di capitale cooperative: esenzione per anticipazioni NASpI

Il lavoratore che ha diritto alla NASpI può richiedere la liquidazione anticipata della prestazione non ancora erogata, in un’unica soluzione, al fine di avviare un’attività lavorativa autonoma o di impresa individuale, nonché per la sottoscrizione di una quota di capitale sociale di una cooperativa nella quale il rapporto mutualistico ha a oggetto la prestazione lavorativa da parte del socio.

Nel caso in cui si instauri un rapporto di lavoro subordinato prima della scadenza del periodo per cui è riconosciuta la liquidazione anticipata della NASpI il lavoratore è tenuto a restituire per intero l’anticipazione ottenuta, salvo il caso in cui il rapporto di lavoro subordinato avvenga con la cooperativa con cui esso ha sottoscritto una quota di capitale sociale.

La legge 27 dicembre 2019, n. 160, dispone che la liquidazione anticipata, in un’unica soluzione, della prestazione di disoccupazione NASpI si considera non imponibile ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche quando la stessa è destinata alla sottoscrizione di una quota di capitale sociale di una cooperativa nella quale il rapporto mutualistico ha ad oggetto la prestazione di attività lavorativa da parte del socio.

Con la circolare INPS 26 novembre 2021, n. 178 vengono fornite le istruzioni contabili, fiscali e gli adempimenti a carico del richiedente e dell’INPS in qualità di sostituto d’imposta.

San Leonardo da Porto Maurizio

 
 

San Leonardo da Porto Maurizio


Nome: San Leonardo da Porto Maurizio
Titolo: Sacerdote
Nascita: 20 dicembre 1676, Portomaurizio
Morte: 26 novembre 1751, Roma
Ricorrenza: 26 novembre
Tipologia: Commemorazione

Questo mistico fiore della numerosa famiglia dei seguaci di S. Francesco d’Assisi ebbe i natali a Portomaurizio, cittadina della Liguria, il 20 dicembre 1676.

I genitori, cristiani di specchiata virtù, l’educarono secondo le massime del Vangelo, ed il fanciullo corrispose fedelmente alle loro cure.

Per la sua svegliata intelligenza, ancora bambino, fu chiamato a Roma da uno zio paterno, perché potesse attendere allo studio con maggior frutto. Ammesso nelle scuole dei Gesuiti, fu tanto il profitto intellettuale e morale di Leonardo, che in breve fu il modello di tutti i suoi condiscepoli.

Durante i corsi di studio, si sentì inclinato alla vita religiosa e manifestò il suo desiderio di lasciare il mondo, ma lo zio si mostrò contrario, e poichò il nipote insisteva lo cacciò’ di casa ricolmandolo di ingiurie. Il Signore però benedisse i suoi desideri e poco dopo potè entrare in un convento di Padri Francescani. Compì con singolare fervore l’anno di noviziato, terminato il quale emise la professione religiosa. Ordinato sacerdote, si diede al ministero della predicazione manifestando il suo zelo apostolico in modo tutto particolare nelle Missioni tenute al popolo. Le sue parole producevano nelle anime i più salutari effetti. Numerosissime furono le Missioni da lui predicate, ed è per questo che per 44 anni continui lo vediamo correre in ogni parte d’Italia. Il Lazio, la città di Roma, la Toscana, l’Emilia, le Marche, la Campania, la Corsica, furono i principali campi del suo apostolato. Dovunque conduceva a Dio i peccatori, confermava i buoni nella retta via, eccitava i ferventi alla santità.

I Novissimi e particolarmente la Passione del Divin Salvatore erano i suoi argomenti prediletti. A Roma, tutte le persone più ragguardevoli accorrevano ad ascoltarlo, e più di una volta furono presenti alle sue prediche oltre venti cardinali e lo stesso Sommo Pontefice Benedetto XIV.

A lui si deve la grande diffusione della pratica della Via Crucis che egli istituì in bén 572 luoghi.

Digiunava ogni sabato, faceva ogni giorno particolari pratiche di pietà in onore di Maria, non celebrava mai la S. Messa senza cilicio, camminava sempre scalzo e visse sempre nella più stretta povertà.

Mentre predicava le Missioni nelle montagne del Bolognese nel 1751, ebbe ordine dal Papa di ritornare a Roma prima della fine di novembre. Ubbidiente come sempre, benchè malaticcio, il 15 del mese si mise in viaggio e giunse a Roma la mattina del 25, ma era moribondo. Dopo poche ore volava in cielo. Benedetto XIV all’annuncio della sua morte, esclamò: «Abbiamo perduto molto, ma abbiamo acquistato un protettore in cielo ».

Fu canonizzato da Pio IX il 29 giugno 1867, e Pio XI il 17 marzo 1923 lo proclamava patrono delle Missioni popolari.

PRATICA. Accorriamo alle prediche e procuriamo di farvi accorrere parenti, amici e conoscenti.

PREGHIERA. O Dio, che per ridurre a penitenza i cuori ostinati dei peccatori hai reso potente in opere ed in parole il beato Leonardo tuo confessore, concedici, te ne preghiamo, che per i suoi meriti e preghiere possiamo pentirci dei nostri peccati.

MARTIROLOGIO ROMANO. A Roma nel convento di San Bonaventura sul Palatino, san Leonardo da Porto Maurizio, sacerdote dell’Ordine dei Frati Minori, che, pieno di amore per le anime, impegnò tutta la sua vita nella predicazione, nel pubblicare libri di devozione e nel far visita ad oltre trecento missioni a Roma, in Corsica e nell’Italia settentrionale.