Archivi giornalieri: 13 aprile 2021

Corso di lingue all’estero: presentazione della documentazione

Corso di lingue all’estero: presentazione della documentazione

21 marzo: Giornata mondiale dellla poesia

di FRANCESCO CASULA
De Poesiā sarda 1. la poesia orale, come canto. La lingua sarda, la nostra lingua materna, è soprattutto senso, suoni, musica. Lingua di vocali. Dunque corporale e fisica e insieme aerea, leggera e impalpabile. E le vocali sono per il poeta l’anima della lingua, sono il nesso fra la lingua e il canto; fra la poesia, i numeri della musica, il ritmo e il ballo. Tanto che, storicamente, i confini fra poesia e musica e danza, sono sempre stati labili e sfumati a tal punto che gli antichi poeti – gli aedi greci per esempio – non scrivevano poesie ma le cantavano, accompagnandosi con la lira: non a caso nasce il termine “lirica” e aoidòs in greco significa “cantore”. Ma “cantano” anche Dante e Petrarca, Ariosto e Tasso,Leopardi e persino poeti del ‘900 come Umberto Saba (Il Canzoniere, un’ampia raccolta di poesie) e Dino Campana (I canti orfici). E i “cantadores” sardi, soprattutto gli improvvisatori. Anzi questi cantano e basta: non scrivono la poesia. 2. la poesia come canto e musica. Per ballare. I grandi poeti in limba sarda i versi sembrano carezzarli e coccolare tessendoli così abilmente, che spesso essi si risolvono nel terso nitore della parola, nel giro musicale della frase, nella misura metrica di ritmi sapientemente scanditi e guidati da un orecchio musicale che riesce a ordire, con acuta selezione di lessemi, aggettivi e fonemi, fini ricami di immagini potenti e di metafore ardite. Essi cantano con quella lingua materna che riassume la fisionomia, il timbro, l’energia inventiva, la cultura, la civiltà peculiare del nostro popolo. Una lingua – il Sardo – che è insieme memoria e universo di saperi e di suoni. Che sottende – talvolta in modo nascosto e subliminale – senso e insieme oltresenso, musica, ritmo e ballo. Segnatamente il ballo tondo: momento magico in cui l’intera comunità, tott’umpare, si pesat a ballare, si muove in cerchio. E con questo esprime una molteplicità di segni, significati, simboli e riti: l’armonia dell’universo, il movimento dell’acqua e del fuoco, il Nuraghe. E con esso tutta la civiltà e la cultura nuragica che evoca e richiama: la democrazia federalista e comunitaria, il rifiuto del capo, del gerarca, del sovrano – la Sardegna è sempre stata acefala – la difesa intransigente dell’autonomia e dell’indipendenza di ogni singola comunità, di ogni singolo villaggio. 3. la lingua materna ricca, libera e pregante, Quella lingua che è soprattutto espressione della nostra civiltà e della nostra storia dunque ma nel contempo, strumento per difendere e sviluppare la nostra identità e la nostra coscienza di popolo e di nazione. Una lingua, i cui lemmi che la compongono, infatti, prima di essere un suono sono stati oggetti, oggetti che hanno creato una civiltà, oggetti che hanno creato storia, lavoro, tradizioni, letteratura, cultura. E la cultura è data dal battesimo dell’oggetto. Quella lingua che è ancora libera, popolana, vera, indipendente, ricca: istinto e fantasia, passione e sentimento. A fronte delle lingue imperiali, viepiù fredde, commerciali e burocratiche, viepiù liquide e gergali, invertebrate e povere, al limite dell’afasia: certo indossano cravatta e livrea ma rischiano di essere solo dei manichini. Una lingua, quella sarda che – se insegnata con intelligenza nelle Scuole di ogni ordine e grado – potrebbe servire persino per migliorare e favorire, soprattutto a fronte del nuovo “analfabetismo di ritorno“, viepiù trionfante, a livello comunicativo e lessicale, lo “status linguistico”. Che oggi risulta essere, in modo particolare nei giovani e negli stessi studenti, povero e banale. Tanto che qualche studioso sostiene la tesi dei giovani “semiparlanti”: che non conoscono più la lingua sarda e parlano (e scrivono) un italiano frammentario, disorganizzato, improprio, gergale; la cui parola dice di sé solo le accezioni selezionate dal Piccolo Palazzi: senza metafore, senza natura ,senza storia, senza vita. 4. la lingua sarda: segno e simbolo dell’appartenenza e dell’identità Quella lingua che è soprattutto valore simbolico di autocoscienza storica e di forza unificante, il segno più evidente dell’appartenenza e delle radici che dominatori di ogni risma e zenìa hanno cercato di recidere. Ma nessun ripiegamento nostalgico o risentito verso il passato: ma il passato sepolto, nascosto, rimosso, censurato e falsificato, si tratta prima di tutto di ricostruirlo, di dissotterrarlo, di conoscerlo e in qualche modo, anche di inverarlo, perché diventi fatto nuovo che interroga l’esperienza del tempo attuale, per affrontare il presente nella sua drammatica attualità, per definire un orizzonte di senso, per situarci e per abitare, aperti al suo respiro, il mondo, lottando contro il tempo della dimenticanza e della smemoratezza.

Pensioni, Quota 100 addio: ecco cosa cambierà

 

I 100 anni di storia del Partito sardo: 1946, quando propose uno statuto federalista.

 

di Francesco Casula
Il 10 gennaio 1946 il Partito sardo d’azione pubblica su “Il Solco” il proprio Progetto di Statuto, che riprende alcune parti della precedente bozza di Gonario Pinna in cui si rifletteva la formazione repubblicana e azionista e lo spessore culturale del suo estensore, inquadrando la Sardegna in una repubblica federale, esplicitamente basata su principi di democrazia, di uguaglianza e di partecipazione.
Particolarmente ampie e corpose nel Progetto risultano le competenze legislative “esclusive”: fra cui Istruzione, Lavoro, Trasporti, Agricoltura, Industria, Commercio nell’interno e con l’estero, Finanze, Igiene e sanità, Pubblica sicurezza, Previdenza sociale, Affari interni, Servizi postelegrafonici. Lavori pubblici, Determinazione delle Circoscrizioni giudiziarie.
Come si può notare, siamo al limite dell’indipendenza!
La struttura amministrativa della Regione è organizzata attraverso delle circoscrizioni o distretti, che sostituiscono le Province: l’abolizione di queste con il relativo Prefetto, storicamente la figura più centralista e statalista che conosciamo, è un ricorrente obiettivo di Emilio Lussu e dei Sardisti.
I Comuni sono dotati di ampie autonomie ed è prevista un’autonomia doganale che sottrae la Sardegna al regime doganale dello Stato .
L’accoglienza da parte di tutti i Partiti italiani sarà del tutto negativa: il PCI, da sempre antifederalista lo osteggia apertamente; la DC è più possibilista ma ritiene che il federalismo non sia praticabile in quanto oramai avversato dagli orientamenti di tutte le forze politiche.
Lo schema di Statuto che prevarrà, si ispirerà a quello elaborato dal democristiano Venturino Castaldi. Presentato alla Consulta sarda e ai deputati sardi eletti alla Costituente, verrà approvato il 29 aprile 1947.
La posizioni sardiste avranno un’influenza minima. Ma c’è di più: il progetto di Statuto approvato dalla Consulta, in sede di Costituente, dai parlamentari italiani sarà viepiù “castrato” e svuotato di poteri.
E nascerà su un crinale biecamente “economicistico”. Alla cultura, alla lingua, alla storia, nostra specificità etno-nazionale, nessun riferimento: nonostante gli avvertimenti di Lussu sulla necessità di sancire l’obbligo dell’insegnamento della lingua sarda nelle scuole in quanto “essa è patrimonio millenario che occorre conservare”. E nonostante i consigli di IGiovanni Lilliu che suggeriva ai Costituenti sardi di rivendicare per la Sardegna competenze primarie ed esclusive almeno per quanto riguardava “I Beni culturali”.
E se il PSD’Az, per ricordare e festeggiare il suo centesimo anniversario, avesse un sussulto, culturale e politico, riprendendo il suo vecchio Progetto di Statuto di 75 anni fa?

Pensioni

 

Pensioni, Quota 100 addio: ecco cosa cambierà

Concorsi pubblici.

Lavoro e Diritti – La tua guida facile su lavoro, pensioni, fisco e welfare

Concorsi pubblici e titoli di preferenza: quali sono e finalità. Analisi e lista completa

I titoli di preferenza nei concorsi pubblici servono ad assegnare un posto di lavoro nella PA, a parità di titoli e merito. Lista completa.

Le regole in tema di concorsi pubblici – si sa – sono assai dettagliate, e a parte un corpus per così dire generale, nel dettaglio variano a seconda della tipologia di posti di lavoro assegnati ai vincitori della selezione.

Tutti coloro che intendono cimentarsi con i concorsi pubblici, debbono sapere in anticipo che si tratta di un ambiente assai competitivo e nient’affatto semplice. Come ben noto, infatti, la maggior parte dei concorsi pubblici statali o delle amministrazioni locali – come ad es. i Comuni – vedono in lizza moltissimi iscritti, per pochissimi posti. Per avere chance di superare uno dei concorsi pubblici banditi delle Pubbliche Amministrazioni, è scontata l’essenzialità di essere ben preparati e ferrati anche sulle ultime novità normative.

Non solo: è importante aver ben chiare le regole di funzionamento del concorso, come ad es. quelle relative ai cosiddetti titoli di preferenza. Che cosa sono in concreto? Perchè sono così rilevanti nella selezione? Scopriamolo di seguito.

Titoli di preferenza nei concorsi pubblici: il D.P.R. n. 487 del 1994 come fonte di riferimento

Prima di soffermarci sui titoli di preferenza per vederli da vicino, non possiamo non rimarcare che oggigiorno la normativa principale di riferimento per i concorsi pubblici è il D.P.R. n.487 del 1994. Si tratta di una vera e propria fonte-guida, nella quale sia ‘gli addetti ai lavori’ che i candidati ai concorsi stessi, possono trovare tutte le norme rilevanti sull’accesso all’impiego nelle PA e sulle modalità di svolgimento dei concorsi pubblici.

Le tipologie di concorso previste dal legislatore

In particolare, sulla scorta delle regole contenute in questo regolamento, i concorsi possono pubblici essere catalogati come di seguito esposto:
  • Concorsi pubblici per titoli: in queste ipotesi, le graduatorie dei partecipanti saranno stilate sulla base dei titoli posseduti alla data di effettuazione della domanda;
  • Concorsi pubblici per esami: comportano varie prove scritte, tra cui una eventualmente di carattere teorico-pratico, e una prova orale che include altresì l’accertamento della lingua straniera di cui dal bando di selezione. Il punteggio finale sarà rappresentato dalla somma della media dei voti ottenuti nelle prove scritte  o pratiche o teorico-pratiche e dalla votazione che si ottiene poi nel colloquio orale.
  • Concorsi pubblici per titoli ed esami: si tratta di una selezione ‘mista’, che somma i criteri appena visti. Infatti,  per mettere nero su bianco la graduatoria, gli organizzatori considereranno non soltanto le votazioni ottenute nelle prove d’esame, ma anche i titoli ottenuti alla data della domanda: ad es. titolo di laurea triennale o magistrale, master, eventuali dottorati, e così via;
  • Corso-concorso: questa è una ipotesi forse non conosciuta ai più. Fondamentalmente consiste in due distinte fasi di selezione: un corso di formazione in prima battuta, e poi una prova d’esame. La prassi in queste circostanze ci indica che l’organizzazione è assegnata ad enti esterni;
  • Concorsi unici: predisposti dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della Funzione Pubblica, che si occupa previamente anche della ricognizione dei fabbisogni.

Proprio negli ultimi giorni, il neo ministro per la Pubblica Amministrazione, Renato Brunetta, ha annunciato quella che definisce una ‘piccola rivoluzione‘ negli uffici delle Amministrazioni: in vista un possibile pensionamento anticipato dei dipendenti pubblici e un maxi-piano assunzioni di forze fresche, con tanti posti a concorso nei prossimi mesi.

Titoli di preferenza: che cosa sono?

Il citato DPR n.487 del 1994 regola  – lo abbiamo rimarcato – l’accesso agli impieghi nelle Pubbliche Amministrazioni. In particolare, all’art. 5, comma 4, si occupa dei titoli che “danno diritto alla preferenza a parità di merito“.

In buona sostanza, parafrasando quanto nel testo del suddetto regolamento, a parità di merito, entrano in gioco i cd. titoli di preferenza, ossia alcune particolari condizioni nelle quali se i cittadini candidati rientrano, possono di seguito contare su una  preferenza nell’assegnazione del posto.

In sintesi, se due o più candidati ad un certo punto della selezione, hanno lo stesso punteggio numerico in graduatoria, il candidato che può vantare titoli di preferenza, potrà avere la precedenza nell’assegnazione del posto di lavoro, rispetto ai candidati senza detti titoli. I titoli di preferenza subentrano dunque laddove vi sia una situazione di parità di merito e parità di titoli (ad es. laurea triennale).

La differenza tra riserva di posti e titoli di preferenza

Attenzione però a non confondere il concetto di titoli di preferenza con quello di riserva dei posti nella PA, anch’esso rilevante nell’ambito dei concorsi pubblici. La riserva consiste in un certo numero di posti assegnati soltanto a specifiche categorie di cittadini, come ad es. personale interno, volontari delle Forze Armate o categorie protette. Le percentuali di riferimento, in tema di quote di riserva, sono fissate dalla legislazione vigente.

La PA è dunque tenuta ad assumere persone disabili nella quota d’obbligo di legge. Anzi, per le assunzioni nel pubblico impiego, per cui è obbligatoria svolgere la prova selettiva – ossia il concorso pubblico – i soggetti con disabilità iscritte nelle liste speciali, hanno diritto alla riserva dei posti, ma nei limiti della complessiva quota d’obbligo e fino al 50% dei posti in concorso. Così dispone l’art. 7, comma 2 della legge n. 68 del 1999, che reca norme sul diritto al lavoro dei disabili.

Quali sono i titoli di preferenza nei concorsi pubblici: ecco la lista

Poco sopra, abbiamo ricordato che a parità di titoli (ad es. diploma di maturità) e a parità di merito (stesso esito delle prove selettive) la priorità tra candidati è definita dai cd. titoli di preferenza. Ma quali sono in concreto? Vediamoli nella sintetica lista che segue:

  • gli insigniti di medaglia al valor militare;
  • i mutilati ed invalidi di guerra ex combattenti; per fatto di guerra; o per servizio nel settore pubblico e privato;
  • gli orfani di guerra; dei caduti per fatto di guerra; dei caduti per servizio nel settore pubblico e privato;
  • i feriti in combattimento;
  • gli insigniti di croce di guerra o di altra attestazione speciale di merito di guerra, nonché i capi di famiglia numerosa;
  • figli dei mutilati e degli invalidi di guerra ex combattenti;  dei mutilati e degli invalidi per fatto di guerra;  dei mutilati e degli invalidi per servizio nel settore pubblico e privato;
  • genitori vedovi non risposati, i coniugi non risposati e le sorelle ed i fratelli vedovi o non sposati dei caduti in guerra;
  • genitori vedovi non risposati, i coniugi non risposati e le sorelle ed i fratelli vedovi o non sposati dei caduti per fatto di guerra;
  • vedovi non risposati, i coniugi non risposati e le sorelle ed i fratelli vedovi o non sposati dei caduti per servizio nel settore pubblico e privato;
  • coloro che abbiano prestato servizio militare come combattenti;
  • coloro che abbiano prestato lodevole servizio a qualunque titolo, per non meno di un anno nell’amministrazione che ha indetto il concorso;
  • i coniugati e i non coniugati con riguardo al numero dei figli a carico;
  • gli invalidi ed i mutilati civili;
  • militari volontari delle Forze armate congedati senza demerito al termine della ferma o rafferma.

Gli ulteriori sotto-criteri di riferimento

Come si può notare, la lista di coloro che possono far valere detti titoli di preferenza è assai ampia. Ma non è finita qui: infatti, in ipotesi di ulteriore parità, la preferenza per l’assegnazione di un certo posto di lavoro è definita da uno di questi tre criteri supplementari:

  • numero dei figli a carico, essendo irrilevante il fatto che il candidato sia sposato o no;
  • aver prestato lodevole servizio nelle PA;
  • maggior età.

Concludendo, ricordiamo altresì che i candidati interessati, possono sfruttare i titoli di preferenza, senza dover contestualmente essere in stato di disoccupazione o essere iscritti al centro per l’impiego del proprio territorio.

Onere di riscatto della laurea con il sistema contributivo: chiarimenti INPS

Onere di riscatto della laurea con il sistema contributivo: chiarimenti INPS

L’INPS fornisce chiarimenti sui periodi riscattati con il sistema contributivo, fornendo le istruzioni in merito all’ambito di applicazione

L’onere di riscatto della laurea è determinato secondo il “criterio del calcolo a percentuale”, allorquando la liquidazione della pensione debba avvenire esclusivamente con il sistema contributivo. In particolare, ci si riferisce a tutte le tipologie di riscatto il cui onere sarebbe stato determinato con il “criterio della riserva matematica” in considerazione:

  • del sistema di calcolo della pensione applicabile;
  • della collocazione temporale del periodo da riscattare.

Esemplificando, qualora si intenda riscattare un periodo di lavoro subordinato svolto all’estero anteriormente al 1° gennaio 1996, l’onere del riscatto si determina col criterio ordinario della riserva matematica.

Per effetto dell’esercizio della facoltà di opzione al sistema contributivo e della conseguente applicazione del sistema di calcolo della pensione interamente contributivo, l’onere di riscatto sarà invece determinato con il “criterio a percentuale”.

A specificarlo è l’INPS con la Circolare n. 54 del 6 aprile 2021.

Onere di riscatto a percentuale: riscatto del corso universitario di studio

La modalità di calcolo dell’onere con il criterio a percentuale cd. “agevolato” si applica soltanto al riscatto del corso universitario di studi da valutare nel sistema contributivo.

Pertanto, nel caso in cui il corso di studi si collochi temporalmente nel periodo da valorizzare ai fini del calcolo della pensione, in parte con il sistema retributivo e in parte con il sistema contributivo, l’onere di riscatto è quantificato utilizzando le seguenti due modalità:

  • per i periodi che si collochino nel sistema di calcolo retributivo della pensione, si utilizzerà il metodo della riserva matematica;
  • per i periodi che si collochino nel sistema di calcolo contributivo della pensione, si utilizzerà il metodo di calcolo a percentuale.

In quest’ultimo caso, si applicherà il criterio scelto dall’interessato tra quelli di seguito indicati:

  • retribuzione assoggettata a contribuzione nei 12 mesi meno remoti rispetto alla data della domanda e aliquota contributiva di finanziamento vigente nel regime ove il riscatto opera alla data di presentazione della domanda;
  • livello minimo imponibile annuo, moltiplicato per l’aliquota di computo delle prestazioni pensionistiche dell’Ago per i lavoratori dipendenti.

Onere di riscatto della laurea: opzione per il sistema di calcolo contributivo della pensione

L’opzione per il sistema contributivo può essere esercitata nel corso della vita lavorativa o contestualmente alla domanda di pensione ed è subordinata al perfezionamento dei seguenti requisiti contributivi:

  • meno di 936 settimane (pari a 18 anni) al 31 dicembre 1995;
  • almeno 780 settimane (pari a 15 anni) di cui almeno 260 settimane (pari a 5 anni) dal 1° gennaio 1996;
  • almeno un contributo anteriormente al 1° gennaio 1996.

Quanto alla domanda di opzione al sistema contributivo essa è presentata, in via telematica dal portale dell’INPS, con inserimento di PIN e codice fiscale, SPID (Sistema Pubblico di Identità Digitale) almeno di Livello 2, CNS (Carta Nazionale dei Servizi) e Carta di identità elettronica 3.0, seguendo il percorso:

  • “Prestazioni e servizi” > “Servizi” > “Domanda di prestazioni pensionistiche” > “Nuova prestazione pensionistica”, e attivando il successivo sottomenu “certificazioni” > “diritto a pensione” > “opzione contributivo”.

Onere di riscatto della laurea con il sistema contributivo: esercizio della facoltà di totalizzazione

Il criterio di calcolo a percentuale dell’onere di riscatto si applica nel caso di presentazione della domanda di riscatto contestualmente alla domanda di pensione cd. “opzione donna”.

Le suddette indicazioni si estendono alle domande di riscatto presentate contestualmente alla domanda di pensione in totalizzazione da liquidare interamente con il sistema di calcolo contributivo.

Nei casi di presentazione della domanda di riscatto contestualmente alla domanda di pensione in totalizzazione, i periodi da riscattare rilevano ai fini:

  • del perfezionamento del requisito contributivo per il diritto alla pensione;
  • della verifica del perfezionamento di un diritto autonomo a pensione nella gestione presso la quale è stato chiesto il riscatto;
  • della determinazione del sistema di calcolo del pro rata di pensione a carico della gestione presso la quale è stato chiesto il riscatto.

Sconti, deduzioni, detrazioni fiscali e Irpef.

 

Il tema del fisco e di una riforma del Fisco strutturale è assai sentito, specie ora che l’Italia – grazie al Piano di ripresa e resilienza – vuole finalmente avvicinarsi agli aiuti promessi dalle Istituzioni UE. Nei mesi scorsi abbiamo parlato della riforma Irpef, in base a quanto proposto dall’Agenzia delle Entrate. Nelle scorse settimane si è parlato frequentemente di nuova pace fiscale per imprese e partite Iva, attraverso il Decreto Sostegni, come abbiamo già avuto modo di notare. Infatti, da qui ai prossimi mesi  lo Stato intende articolare un progetto di ampio respiro, mirato a semplificare la vita ai contribuenti; anzi, consentendo loro di chiudere cartelle e debiti nei confronti del fisco, in maniera agevolata e senza l’applicazione di sanzioni ed interessi.

Ma non è soltanto questo a tener banco sul fronte fiscale. Infatti, gli sconti fiscali sono ormai cruciali anche nei lavori in corso sulla riforma Irpef, nel corso dell’indagine svolta delle commissioni Bilancio di Camera e Senato. E’ necessario, in ogni caso, raccogliere risorse per una riforma che, come rilevato dagli esperti, non può essere oggetto di un nuovo finanziamento con deficit, né con il Recovery Plan.

All’orizzonte, la revisione del sistema degli sconti fiscali appare giustificata da un obiettivo a lungo termine; ossia quello di edificare un sistema fiscale finalmente proporzionato, equo e davvero progressivo. In linea insomma con gli standard delle moderne democrazie.

Riforma del Fisco: gli sconti fiscali sono un tassello importante

I lavori delle commissioni citate, sul tema degli sconti fiscali, sono ormai in dirittura d’arrivo; l’ultima tappa è la proposta parlamentare alle Camere. Tanti i contributi finora espressi, da parte delle principali istituzioni; associazioni ed esperti. Ora vi saranno gli incontri con il Fondo monetario internazionale, il commissario Ue all’Economia Paolo Gentiloni e con il Ministro dell’Economia Daniele Franco. Si punta ad una soluzione equilibrata anche e soprattutto a livello politico, in modo che la proposta di riforma sia il più possibile unitaria e priva di nodi controversi, al momento di approdare in Parlamento.

In verità non vi sono soltanto gli sconti fiscali tra i temi caldi del progetto di riforma. Gli addetti ai lavori si sono focalizzati su ben dodici diversi argomenti di rilievo fiscale: tra essi, la revisione del complesso sistema delle tasse sui capitali; la riscrittura delle aliquota Irpef; la riorganizzazione della giustizia tributaria secondo criteri di maggior efficienza. Ma, come dicevamo, soprattutto il capitolo ‘riordino sconti fiscali’ è destinato ad essere di rilevanza primaria nelle prossime settimane.

Riforma Irpef: ecco due interessanti strategie

Impostare una riforma fiscale significativa, implica considerare – in ogni caso – l’impatto a livello di costi della stessa. Già un paio d’anni fa, il Ministero dell’Economia aveva sviluppato alcuni modelli o ipotesi di studio, relative alla revisione dell’Irpef.

Ebbene, con una strategia di revisione dell’imposta, avrebbe luogo la riduzione da 5 a 3 del numero delle aliquote (23%, 33%, 43%); una seconda strategia, invece, fa riferimento al modello della cd. progressività continua alla tedesca. Secondo gli studi effettuati, pare che servendosi della prima strategia, i benefici sarebbero quantificabili dai 481 euro per i redditi fra 8 -5mila euro, ai 1.012 euro nella fascia 40-55mila.

Per quanto riguarda il secondo modello, vi sarebbe invece un beneficio medio da 805 euro, con riflessi sul Pil. Il punto di fondo di queste che sono ipotesi tecniche e non proposte politiche di riforma fiscale, è e resta la spesa in gioco. E’ stato stimato che, per ambo le strategie di revisione del Fisco, servirebbero non meno di 20 miliardi di euro. Un ammontare che, in verità, può essere quasi dimezzato con una revisione degli sconti fiscali.

Necessaria una revisione generale del fisco italiano

Sono le parole utilizzate, recentemente, dal presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, a ben chiarire il quadro della situazione, e la necessità di spingere verso la riforma del Fisco, che include anche la delicata materia degli sconti fiscali.

Per Bonomi: “L’Italia  è prigioniera da 25 anni di una visione di cui non riesce a liberarsi che ha concorso a ogni crisi esogena a farci perdere più punti di pil dei nostri partner e a recuperarli più lentamente, a una produttività stagnante, a un reddito pro capite che, depurato della componente nominale, è tornato a 26 anni fa“. Non solo: “Il conto di tutto ciò è riversato sui soggetti deboli della nostra società: giovani; donne; famiglie a minor reddito“, sono le parole utilizzate dal numero uno di Confindustria, durante un intervento al Sustainable Economy Forum organizzato insieme alla Fondazione San Patrignano.

I punti essenziali su cui puntare per un Fisco che funzioni davvero

Tuttavia, Carlo Bonomi si è soffermato anche sugli aspetti positivi del nuovo Esecutivo Draghi. “L’assegno unico votato in questi giorni dal Parlamento ha il merito di riunire sotto un unico ombrello la molteplicità caotica di troppo disomogenei sgravi per famiglia e figli“, ha aggiunto, sottolineando altresì che “senza una revisione complessiva dell’Irpef, che sani le attuali gravi iniquità orizzontali e verticali accumulate con bonus e forfait; senza un generale riordino di detrazioni e deduzioni per imprese e famiglie; senza una valutazione unitaria dei disincentivi al lavoro e al reddito posti in essere dall’attuale fisco nel nostro paese; continueremo a disporre decine di miliardi di benefici che non vanno a chi davvero soffre il prezzo di 25 anni di scelte sbagliate”.

Parole cristalline ed inequivocabili, che aiutano a comprendere la situazione del fisco in Italia; il quale necessita di un riforma di ampio respiro, inclusiva – come detto – anche del riordino degli sconti fiscali.

Proprio sul tema degli sconti fiscali, Confindustria chiede di prevedere modalità di verifica ex post degli sconti fiscali, per valutarne l’impatto effettivo sull’economia e fare le modifiche ritenute opportune, se non addirittura cancellare ciò che non va.

Sconti fiscali a tempo e revisione di deduzioni e detrazioni

Negli studi finora svolti, una proposta di riforma in materia di attuali deduzioni e detrazioni prevedrebbe la loro trasformazione in crediti di imposta (ad es. del 10%). Ciò evidentemente al duplice scopo di facilitarne l’utilizzo concreto, consentendone la spesa all’atto del pagamento; e di concentrarne gli effetti sulle mere spese effettuate con modalità tracciabili dal Fisco.

Un’altra ipotesi allo studio invece imporrebbe di rendere temporanei alcuni sconti fiscali. La giustificazione sarebbe nel fatto che se da un lato sono necessari a spingere alcuni settori economici, come stiamo vedendo in questo periodo; dall’altro, se previsti a tempo illimitato, rischierebbero di alimentare distorsioni di vario tipo (pensiamo ad es. nel mondo dell’edilizia, con i bonus e superbonus per riqualificazioni energetiche e ristrutturazione immobili).

Concludendo, resta da vedere quanto – a livello politico – si spingerà nei prossimi mesi sull’acceleratore, con l’obiettivo di una effettiva ed efficace riforma del fisco e degli sconti fiscali. Molteplici interessi di parte si mescolano con quelli generali; e trovare un compromesso in una credibile riforma non è facile, ma sta di fatto che ciò è e resta indispensabile per il futuro economico del Paese.