“Io credo che l’Inca è impossibile immaginarlo senza la Cgil, ma è altrettanto impossibile immaginare la Cgil senza l’Inca” (Luciano Lama, 30 aprile 1985).
Polesine, Ribolla, Vajont, e poi Marcinelle, il Belice, l’alluvione di Firenze, e ancora Casale Monferrato e Seveso. L’Inca c’era sempre. In primo piano, prima degli altri. Una attitudine così marcata verso una tutela a così ampio raggio si trova origine “nella cultura stessa della tutela del Patronato Inca a partire dalla sua nascita nel 1945. Nei valori della solidarietà e del mutuo soccorso che il sindacato rappresentato dalla Cgil ha trasfuso nel suo patronato quando ha deciso di costituirlo, perché assumesse l’onere dell’assistenza e della tutela dei lavoratori e dei pensionati. Nella puntigliosa volontà di raggiungere traguardi di tutela sempre più elevati. Nell’attenzione alla professionalità dei suoi operatori coniugata alla militanza sindacale” (in “Stato sociale e mondo del lavoro. Storia del patronato Inca-Cgil” tesi di laurea di Andrea Simoni).
La storia del patronato si intreccia indissolubilmente con quella del sindacato di Giuseppe Di Vittorio. Fu proprio la sua grande sensibilità per i temi della tutela dei lavoratori che consentì all’Inca di superare una lunga serie di difficoltà: un Paese ancora martoriato dalla guerra, la carenza di personale specializzato, la scarsa sensibilità dell’amministrazione ministeriale ai temi della sicurezza, e poi le tensioni che portarono alla scissione del sindacato nel 1948. “Di Vittorio individuò in quello dell’assistenza e della previdenza uno dei problemi prioritari da affrontare per il progresso e l’emancipazione dei lavoratori, a partire da quelli più deboli”. (Andrea Gianfagna in “Tutele e diritti dei lavoratori – Giuseppe Di Vittorio costruttore del patronato Inca”).
L’idea di patronato non nasceva certo dal nulla. Le prime preistoriche tracce di una disciplina sugli istituti di patronato, infatti, risalgono a inizio Novecento. In particolare il decreto 1450 del 1917 tentava una prima ricognizione e definizione degli “istituti di patronato e di assistenza sociale che si propongono di prestare ai fini della presente legge la loro opera ai lavoratori colpiti da infortunio sul lavoro o ai loro aventi causa”. Durante il ventennio fascista il mutualismo delle origini confluì progressivamente in un’unica formazione, denominata Patronato nazionale per l’assistenza sociale (Pnas). Un unico ente attraverso cui il regime di fatto soppresse una miriade di associazioni che erano spuntate dal basso nella Penisola. Da notare che all’inizio del 1925 risultavano autorizzati 63 istituti di patronato e assistenza. Di questi soltanto 22 agivano presso i sindacati fascisti. Con la fine della guerra si torna al pluralismo, con l’attività dei patronati Acli e con quella dell’Inca.
Il dopoguerra
L’idea di fondare l’Inca nacque durante i lavori del primo congresso della risorta Cgil che si tenne a Napoli nel gennaio del 1945. L’atto costitutivo è di un mese più tardi, e fu firmato, nello spirito dell’unità sindacale, da Achille Grandi, Aladino Bibolotti, Oreste Lizzadri e Raffaele Pastore. Il principio fondamentale è quello di assicurare l’assistenza sociale a tutti i lavoratori, senza distinzione di fede politica e religiosa, anche se non iscritti al sindacato. Bibolotti, il primo presidente dell’istituto, descrive così la funzione del patronato nel primo numero della rivista L’assistenza sociale del 1947: “L’assistenza sociale dà calore all’azione sindacale, la completa, le dà un volto scorrevole e umano e la arricchisce di un più alto valore spirituale”. La “filosofia” dell’azione di patronato del sindacato unitario viene riassunta dal presidente di allora nel suo intervento al primo congresso della Cgil unitaria, a Firenze nel 1947. “Fin da quel momento (della nascita dell’Inca, ndr) si affermò la necessità che l’assistenza sociale dovesse estendersi a tutti i lavoratori italiani senza distinzione di tessera politica, indipendentemente dalla loro appartenenza o meno al sindacato, senza distinzione di sesso, di razza, di concezione religiosa, e che nessun organismo meglio del sindacato potesse assolvere a questa funzione altamente umana, perché non v’è assistenza sociale se non è ispirata, confortata dall’altissimo senso della solidarietà e della fraternità umana” (citato in “Ci chiamavano gli avvocati dei poveri” di Stefano Agnoletto).
L’Inca pensa subito a darsi una struttura capillarmente presente su tutto il territorio. Nei primi anni di vita si affiancò al patronato Acli, con cui si sviluppò una vera concorrenza sul territorio. La questione emerge esplicitamente al congresso di Firenze. A parlarne è lo stesso Di Vittorio. “So che è stato diffuso un certo malessere nelle nostre organizzazioni a proposito delle attività delle Acli…..Ebbene amici, permettetemi che io vi dica con tutta lealtà e franchezza il mio pensiero in merito. Per me non è giusto che vi siano posizioni di monopolio nell’assistenza dei lavoratori. Credo quindi che sia un bene che vi siano più organismi autorizzati e controllati dalla legge… premesso ciò penso che in questo campo una competizione possa essere un bene, sempreché si sviluppi una gara di emulazione tra i due organismi, a chi assiste meglio il lavoratore. Che cosa dobbiamo ottenere? Dobbiamo ottenere che l’importanza e l’efficienza dei singoli organismi venga stabilita sulla base di principi democratici, per numero di assistiti. Non sarebbe giusto, non sarebbe democratico, non sarebbe tollerabile che un piccolo istituto eventualmente volesse essere paragonato artificialmente al grande istituto di assistenza che è l’Inca”. (ibidem) I due patronati, quello cattolico e l’altro della Cgil ottengono il riconoscimento giuridico con un decreto ministeriale del dicembre 1947, che dà efficacia al decreto 804 del luglio dello stesso anno, il testo base in cui si regolamentava l’esercizio dell’assistenza e tutela dei lavoratori e dei loro familiari.
Alla fine degli anni ’40 l’attività dell’Inca è già molto significativa, con oltre un milione di lavoratori assistiti. Il bilancio è per circa il 90% a carico delle camere del lavoro, perché la legge 804, pur riconoscendo una funzione pubblica, non finanzia in modo sufficiente gli enti. Da subito la questione finanziaria diventa centrale. Di Vittorio pone così il tema sulla neonata rivista “L’Assistenza sociale”. “Le Camere del Lavoro spendono parecchi milioni per assicurare i servizi dell’Inca, mentre il ministero sostiene che nientemeno l’Inca utilizzerebbe i fondi pubblici per sostenere le camere del lavoro”. Il segretario denuncia i ritardi nei trasferimenti e aggiunge: “ (Quei fondi) sono fondi dei lavoratori, che debbono essere per legge erogati all’ Istituto. La Cgil deve agire perché si ponga fine a questo abuso illegale”. In quel periodo il patronato ebbe come missione quella di combattere le piaghe sociali del dopoguerra. Molto sviluppata era la consulenza medico legale, con la costituzione di ambulatori negli uffici Inca. Si organizzarono mense e asili per minori. Si è ancora nella fase pionieristica, che ha il “colore” dell’epopea. Di Vittorio incita gli operatori dalle pagine della stessa rivista”, ad abbandonare un atteggiamento burocratico, che “uccide lo spirito militante, missionario, che deve animare chiunque abbia l’onere di essere al servizio del popolo lavoratore”. (citazioni in “Stato sociale e mondo del lavoro” tesi di laurea di Andrea Simone). Le attività crescono a ritmo continuo, ma a pesare sono le divisioni nel mondo del sindacato: tre anni più tardi nasce l’Inas, il patronato della Cisl.
Nel 1955 i lavoratori assistiti dall’Inca erano già saliti a 10 milioni. Sono gli anni dell’espansione all’estero della struttura, al seguito dei lavoratori emigranti. Gli anni della tragedia di Marcinelle che segnerà profondamente l’attività dell’Istituto, e che ancora oggi costituisce un pilastro nella storia del patronato. Già prima del disastro nella miniera del Bois du Cazier del 1956, circa 500 lavoratori italiani avevano trovato la morte nelle miniere belghe. Un’emergenza tanto forte che l’Inca creò il suo primo ufficio in Belgio già nel 1954, in maniera sostanzialmente clandestina. Poi, la grande esplosione, con 262 morti, di cui 136 italiani. La tragedia aveva lasciato dietro di sé una lunga scia di dolore e di nuove emergenze, con 183 vedove e più di 400 orfani a cui pensare. L’Inca Belgio avrebbe avuto un ruolo centrale, come promotore e coordinatore della difesa degli interessi dei minatori.
Gli anni del dopoguerra sono anche quelli dell’impegno in favore dei lavoratori agricoli e delle donne, in particolare delle mondine. In questo periodo si lancia la campagna per il rispetto delle leggi sociali nel Mezzogiorno, mentre a sostegno de piano del lavoro della Cgil si organizzano corsi di alfabetizzazione per i lavoratori.
Gli anni tra il ’60 e l’80: un trentennio di crescita
Con gli anni ’60 arrivano le grandi fabbriche. Si sviluppa una legislazione importante sul fronte della sicurezza nei luoghi di lavoro e dell’invalidità. L’Inca contribuisce fattivamente alla stesura del Testo Unico in materia di infortuni e malattie professionali. Al congresso della Cgil di Livorno del 1969 si discutono le linee di sviluppo del patronato. Nel frattempo, nella contrattazione aziendale entrano a pieno titolo temi sulla salute e la sicurezza nel lavoro. Finisce l’epoca degli indennizzi per gli effetti nocivi dell’ambiente di lavoro: d’ora in poi i datori di lavoro saranno chiamati a rendere le condizioni dei lavoratori non pericolose. In occasione del trentennale dell’Inca nel 1975 il segretario Cgil Luciano Lama presenta alla stampa il “Manuale enciclopedico della sicurezza sociale”. Nello stesso anno si sviluppa il servizio sociale decentrato, mentre nel 1978 si istituisce il sistema sanitario nazionale, che archivia quello mutualistico. Tutte trasformazioni che hanno coinvolto anche i servizi dell’Inca.
Dal 1970 è in vigore lo Statuto dei lavoratori. All’articolo n.12 di quel testo si consente ai patronati di operare all’interno delle fabbriche e degli altri posti di lavoro: è una svolta. I patronati hanno così la possibilità di verificare direttamente le condizioni reali di lavoro e di affinare la loro capacità di intervento nel campo degli infortuni. Si può dire che lo Statuto dei lavoratori rappresentò la cornice che permise all’Inca di sviluppare le sue attività più tradizionali, dalla previdenza alla difesa della salute e la sicurezza sul lavoro. Nasce assieme allo Statuto anche la riforma delle pensioni, che oltre al sistema retributivo introduce la pensione sociale per i senza-reddito.
Con il 1980 arriva la legge 112 che definisce le funzioni del patronato. L’istituto resta nella sfera delle persone giuridiche private, ma con un’attività che gestisce interessi collettivi. Va sottolineato che la legge 112 riconosce che l’ambito dell’azione dei patronati rientra nell’area dei diritti costituzionali, quali la sanità, la previdenza, l’assistenza sociale. Accanto al tema della definizione giuridica e sociale del patronato, negli anni ’80 si sviluppa il dibattito attorno alla riforma sanitaria, quello dell’assistenza con l’introduzione delle pensioni di invalidità, e anche il tema della tutela in materia di infortuni sul lavoro con la sentenza 179 del febbraio 1988, una delle più importanti promosse dall’Inca. Quella sentenza consentì il riconoscimento di tutte le malattie causate dal lavoro, anche di quelle non incluse nelle tabelle Inail.
Gli anni ’90: il mondo si “allarga”
Sulla scia dei grandi sommovimenti storici degli anni ’90, dalla caduta del muro alla costruzione dell’Unione monetaria europea, il patronato affronta una ridefinizione del suo ruolo sulla base dei nuovi bisogni dei lavoratori e in generale dei cittadini. In primo luogo si supera l’idea di bisogni esclusivamente economici, “aprendo” a nuove richieste legate al recupero dell’handicap, ai servizi per gli anziani, alla formazione e l’istruzione. Con una serie di sentenze della Corte costituzionale nel 1991 (n. 87, 356 e 485), assume grande rilevanza il tema del danno alla salute o danno biologico in riferimento ai suoi effetti sull’assicurazione contro gli infortuni e le malattie professionali. L’Inca attiva una serie di contenziosi medico-legali, anche in collaborazione con lo Spi, per il riconoscimento del diritto in campo previdenziale e sociale da parte degli enti. Negli stessi anni il patronato avvia una forte azione di riorganizzazione, che include anche l’informatizzazione degli uffici. Il varo di diverse riforme previdenziali, infatti, sposta in quegli anni l’attività sul fronte delle consulenze. Comincia il labirinto di norme per la definizione dell’età pensionabile, che proseguirà fino ai nostri giorni.
Il 2001: il nuovo patronato
Numerosi interventi legislativi si sono succeduti dal lontano 1945, con disposizioni che spesso sono arrivate fino a noi. C’è una data, tuttavia, che rappresenta un punto di svolta per la storia del patronato: il 2001. In quell’anno il governo ha varato la legge n.152 che ha innovato profondamente il ruolo degli enti (vedi: Un approfondimento sulla nuova legge sui patronati- di Alessio Graziani). Con questa legge trovano spazio nelle attività del patronato nuove iniziative, oltre a quelle tradizionali di previdenza e assistenza. Fa la sua comparsa l’immigrazione, con tutto il suo carico di nuove tutele e il suo portato antidiscriminatorio in una società ancora monolitica e poco pluralista. In base alla nuova legge i patronati non si occuperanno più solo di pratiche amministrative pensionistiche, ma potranno attivare iniziative più variegate (anche sul piano della sola consulenza) svolgendo anche azioni di sostegno, informativa e assistenza tecnica in settori assolutamente distinti tra loro. Inoltre ai patronati è riconosciuta la possibilità anche di affiancarsi a presenze istituzionali attraverso convenzioni, per svolgere le funzioni nei campi loro assegnati.
La nuova legge interviene su un settore di straordinaria rilevanza nel nostro Paese: i patronati lavorano quasi il 70% delle pratiche previdenziali dell’Inps e dispongono di una capillare presenza sul territorio, con almeno 1.500 sedi provinciali e 4.000 zonali. La legge del 2001 conferma alcuni pilastri della storia Inca: la gratuità dell’attività di consulenza, il riconoscimento del valore di pubblica utilità per gli istituti più strutturati sul territorio. Oltre a stabilire l’ampliamento delle attività, le nuove norme prevedono l’obbligo per i patronati di impiegare personale dipendente regolarmente assunto con contratto subordinato e a tempo indeterminato. Infine la legge intende favorire la corretta gestione degli istituti e la sicura destinazione dei fondi erogati.
Bilancio sociale dell’Inca 2013
L’Inca ha una sede nazionale, 21 sedi regionali, 122 sedi comprensoriali, 842 sedi zonali e 108 sedi all’estero, dislocate in quattro Continenti.
Gli operatori dell’Inca sono:
• in Italia: 1.942
• nel mondo: 150
• 2.427 collaboratori volontari
• professionisti convenzionati: 270 medici e 300 legali. Le attività di consulenza medica e legale dell’INCA rappresentano una parte importante per la tutela dei diritti delle persone che si rivolgono a noi. L’intervento del Patronato, esercitato anche in sede giudiziaria in Italia come all’estero, produce effetti positivi sul singolo e sulla collettività. Negli anni si sono ottenuti risultati di grande rilievo che hanno contribuito a migliorare il quadro legislativo e a promuovere riforme in materia di previdenza, salute, assistenza.
Attività di formazione
L’Inca organizza numerosi corsi di formazione, di specializzazione e di aggiornamento professionale finalizzati a garantire un’adeguata competenza dei suoi operatori in Italia e all’estero. Ogni anno promuove e realizza approfondimenti sulla legislazione in materia di lavoro, previdenza, assistenza socio-sanitaria, tutela degli infortuni e delle malattie professionali e immigrazione.
Prestazioni 2013
Pensionistiche 2.223.570
Invalidità civile e accompagnamento 287.913
Danno alla persona 176.177
Immigrazione 142.866
Prestazioni extra paniere ministeriale 538.568
Altro 10.626
TOTALE 3.379.720
A causa della crisi economica e occupazionale, tra il 2010 e il 2013 si è registrato un aumento consistente delle pratiche legate a richieste per il sostegno al reddito. Di seguito alcuni dati significativi che hanno interessato alcune tra le principali regioni.
Lombardia da 23.333 a 90.417
Lazio da 11.489 a 41.727
Piemonte da 11.819 a 32.963
Sicilia da 41.364 a 67.722
Veneto da 24.147 a 62.957
Emilia Romagna da 71.283 a 106.099
Toscana da 35.973 a 79.510
Scheda sul finanziamento degli enti di patronati
I patronati vengono finanziati attraverso un fondo del ministero del Lavoro, il “Fondo Patronati”, regolato dall’articolo 13 della legge 152 del 2001, che viene alimentato con una quota parte dei contributi previdenziali obbligatori versati da lavoratori e imprese. Con la legge di Stabilità 2015, l’aliquota spettante al Fondo patronati è passata dallo 0,226% allo 0,207%. Il metodo di ripartizione è stabilito dal decreto 193/08. Il testo individua una serie di pratiche finanziate dal fondo, a cui viene attribuito un punteggio che varia a seconda della tipologia di prestazione. Poiché a molte pratiche viene riconosciuto un punteggio 0, pur rientrando tra quelle che obbligatoriamente devono essere espletate dai patronati, ne consegue una riduzione del numero effettivamente finanziato. Il rimborso ministeriale, infatti, mediamente copre solo il 30 per cento dell’attività effettivamente svolta. Alle attività svolte in Italia è destinato l’80% dei rimborsi, a quelle all’estero il 9,9%. Una quota pari all’8% è destinata all’organizzazione in Italia e il 2% a quella nei Paesi stranieri. Lo 0,1% del fondo è trattenuto dal ministero del Lavoro per il controllo delle sedi all’estero.
Tratto da Libro “Fermo immagine sul Patronato” di Bianca Di Giovanni, edizioni EditCoop