Rischio

I profili di rischio del comparto asfaltatori

Pubblicato dall’ INAIL , Dipartimento di Medicina, Epidemiologia, Igiene del Lavoro ed Ambientale un volume dal titolo “ASFALTATORI. I profili di rischio nei comparti produttivi dell’artigianato, delle piccole e medie industrie e pubblici esercizi”, a cura di Diego De Merich e Massimo Olori (INAIL – Dipartimento di Medicina, Epidemiologia, Igiene del Lavoro ed Ambientale), insieme a Piero Emanuele Cirla e Irene Martinotti (Centro Italiano Medicina Ambiente Lavoro, Gruppo CIMAL), che analizza e fornisce indicazioni di supporto per il processo di valutazione dei rischi per le piccole e medie imprese del comparto asfaltatori. Tra i lavoratori del settore edile  gli addetti alle opere di asfaltatura appaiono costituire un sottogruppo con caratteristiche lavorative e di rischio del tutto peculiari e che fa registrare dei picchi nel carico di lavoro generalmente nei periodi primavera-estate.

Necessaria premessa per potere comprendere a pieno i rischi connessi con il comparto asfaltatori, è prestare la giusta attenzione al significato di alcuni termini fondamentali. In particolare  per “asfalto” o “conglomerato bituminoso” (asphalt mix negli Stati Uniti d’America), si intende una miscela (naturale o artificiale) di bitume ed elementi litici di varia granulometria (materiale inorganico inerte). Il “bitume” (negli Stati Uniti definito asphalt), è invece un materiale legante naturalmente presente in natura e ottenuto in raffineria dalla lavorazione del petrolio greggio. Esso contiene composti organici di origine prevalentemente idrocarburica, con tracce di zolfo, azoto, ossigeno, nichel, ferro e vanadio. In particolare tra i composti organici ad alto peso molecolare sono prevalenti gli idrocarburi con un numero di atomi di carbonio maggiore di 25 e con un alto valore del rapporto C/H, tra cui gli Idrocarburi Policiclici Aromatici. Si tratta di un materiale di colore bruno o nerastro, con comportamento termoplastico, solido o semisolido, non volatile a temperatura ambiente, non solubile in acqua. In commercio si trova oltre che in forma semisolida (che è quella più adoperata), anche sottoforma di bitume liquido o emulsione bituminosa. Lo stato di bitume liquido o di emulsione è provvisorio, desiderato per esigenze applicative ed ottenuto lavorando il bitume con acqua alcalinizzata, additivi e solventi. Con il termine “catrame”, corrispondente all’inglese tar, ci si riferisce invece ad un materiale viscoso che seppur dotato di aspetto simile al bitume, se ne differenzia per origine e composizione chimica. Esso, infatti, è ottenuto tramite un processo industriale di distillazione distruttiva del carbon fossile e rispetto al bitume mostra un contenuto nettamente più elevato di idrocarburi policiclici aromatici (IPA), oltre che numerosi altri composti contenenti ossigeno, azoto e zolfo. In passato, nei paesi sprovvisti di asfalto naturale, come ad esempio l’Inghilterra, il catrame era diffusamente impiegato per la  pavimentazione stradale (tarmacadam), a volte anche in miscela con il bitume. Tale uso, ora del tutto cessato e praticamente sconosciuto in Italia, ha favorito l’attuale confusione esistente ancora tra i termini catrame e bitume nel linguaggio comune ed in molti ambiti professionali.

n 19° 2015 numero newsletter.doc

Rischioultima modifica: 2015-04-30T10:47:21+02:00da vitegabry
Reposta per primo quest’articolo