Quell’occhio visionario

 

· Gustave Doré in mostra al Museo d’Orsay ·

02 aprile 2014

  

Le immagini di Gustave Doré colpiscono. Ricordiamo tutti il frontespizio in bianco e nero della Bibbia illustrata, dove il Dio creatore fa vedere per la prima volta il suo volto.

Conserviamo pure un ricordo d’infanzia dell’astuto Gatto con gli stivali al quale l’illustratore attribuisce per sempre il pennacchio con le piume, gli stivali con il risvolto e la grande cintura, con appesi topi e ratti come trofei, mentre se ne va a conquistare il mondo. Il nostro sguardo attribuisce ancora agli abissi infernali l’immagine che ha saputo creare per loro l’artista interpretando il decimo canto dell’Inferno di Dante Alighieri. Il Museo d’Orsay a Parigi dedica fino all’11 maggio un’importante retrospettiva a quello che è stato l’incontrastato maestro dell’illustrazione nel XIX secolo. Trent’anni dopo le mostre di Strasburgo e di Parigi, l’esposizione «Gustave Doré, l’imaginaire au pouvoir» raccoglie la sfida di presentare, guidati dall’esperienza del curatore Philippe Kaenel, un compendium dell’opera dell’artista.

Migliaia di incisioni — a trentatré anni l’illustratore diceva di aver finito appena 100mila disegni — ma anche dipinti e sculture: in una vita Gustave Doré ha costruito una vera e propria summa. Questa equivale ai grandi testi che l’artista si è dedicato ad illustrare — i racconti di Perrault, Dante, la Bibbia — e che in breve tempo lo hanno reso famoso. Disegnatore precoce, all’età di quindici anni viene assunto a Parigi dall’editore Charles Philippon che comincia a pubblicare le sue caricature nel «Journal pour rire».

Ma presto Gustave aspirerà a mettere la sua matita al servizio di «tutti i capolavori della letteratura», da Gargantua a don Chisciotte. Comincia a farlo illustrando nel 1854 Rabelais e poi nel 1856 la Légende du juif errant. Al servizio di questi capolavori sceglie due procedure a cui non rinuncerà mai: la xilografia o incisione su legno — e non la moderna litografia — e il formato in folio, maestoso, monumentale. Crea lui stesso, così, un capolavoro. Alcuni suoi contemporanei non si ingannano. Di Doré Théophile Gautier dice già nel 1856: «Vede con quell’occhio visionario di cui parla Victor Hugo riferendosi al vecchio Albert Dürer». Gustave Doré sembra in effetti provenire da quella stirpe di “uomini oceano” di cui Victor Hugo diceva, descrivendo le loro gesta: «Queste onde, questi flussi e riflussi, questo andirivieni terribile, questo rumore di tutti i respiri, queste oscurità e queste trasparenze, queste vegetazioni proprie dell’abisso, questa demagogia delle nuvole in pieno uragano, queste aquile nella schiuma (…) questo insondabile, tutto questo può essere in una mente, e allora questa mente si chiama genio».

Quell’occhio visionarioultima modifica: 2014-04-03T14:51:46+02:00da vitegabry
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