Cassazione

Cassazione – Non si può ridurre l’indennità di maternità

Ai sensi del Testo Unico su maternità e paternità le lavoratrici gestanti devono obbligatoriamente assentarsi dal lavoro per un periodo che va dai due mesi precedenti il parto ai tre mesi dopo il parto (astensione obbligatoria).

E’ però possibile prolungare la permanenza al lavoro sino all’ottavo mese di gravidanza, fruendo di un mese di astensione in più nel periodo successivo al parto. E’ evidente che la prosecuzione è concessa solo in presenza della necessaria certificazione del medico aziendale competente che deve attestare l’assenza di rischi. Una volta autorizzata la prosecuzione dell’attività il datore di lavoro non eroga più la retribuzione e l’Inps paga l’indennità di maternità.

Nel caso deciso dalla Corte di Cassazione la donna giunta all’ottavo mese di gravidanza aveva continuato a lavorare pur non avendo presentato la certificazione medica necessaria e l’Inps aveva rifiutato di pagare l’indennità per il periodo successivo al terzo mese dopo la nascita. L’Inps aveva dunque rifiutato di riconoscere il diritto al congedo flessibile.

Tale decisione, secondo la suprema Corte non poteva essere adottata in quanto non è possibile ipotizzare alcuna conseguenza di carattere sanzionatorio a carico della lavoratrice che è destinataria della tutela prevista dalla legge, ma non delle sanzioni.

La sentenza si conclude con un’osservazione molto dura a carico dell’Istituto di previdenza affermando che la riduzione di maternità operata dall’Inps non ha fondamento legislativo e si risolve in una sanzione a carico del lavoratore estranea alle regole e alle finalità delle norme che tutelano la maternità.

Cassazioneultima modifica: 2013-05-06T12:06:28+02:00da vitegabry
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