Archivi giornalieri: 13 aprile 2023

Assegno unico: l’Osservatorio di marzo 2023

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Assegno unico: l’Osservatorio di marzo 2023

I dati relativi alle domande di Assegno unico presentate all’INPS e ai pagamenti

Pubblicazione: 13 aprile 2023

È stato pubblicato l’Osservatorio statistico sull’Assegno unico e universale di marzo, con i dati relativi alle domande presentate dal 1° gennaio 2022 al 28 febbraio 2023 e ai pagamenti nel periodo marzo 2022-febbraio 2023.

A febbraio 2023 sono pervenute 86.102 domande di Assegno unico. Il numero dei richiedenti pagati è pari a 5.396.124, per 8.563.007 figli.

L’importo medio mensile per richiedente è di 260 euro, pari in media a 164 euro mensili per figlio.

A febbraio 2023, la concentrazione di importi più elevati si ha al Sud, dove si rileva un valore medio mensile di 176 euro a figlio (il valore massimo pari a 186 euro si registra in Calabria). Gli importi meno consistenti si registrano al Nord, dove si ha complessivamente un importo medio per figlio di 157 euro (con un valore minimo di 152 euro in Valle d’Aosta).

Nel caso di percettori di Reddito di Cittadinanza, analizzando il numero di nuclei e i figli per i quali a febbraio 2023 sono state calcolate le integrazioni dovute al riconoscimento dell’Assegno unico, la spesa effettiva complessiva risulta di 721,2 milioni di euro, erogati a 356.780 nuclei al mese percettori di RdC, con riferimento a 588.587 figli.

Venerdì 21 aprile sciopero generale: possibili disagi

Venerdì 21 aprile sciopero generale: possibili disagi

La Confederazione Unitaria di Base (CUB) ha indetto uno sciopero generale in tutti i settori pubblici e privati

Pubblicazione: 13 aprile 2023

Il prossimo venerdì 21 aprile, la Confederazione Unitaria di Base (CUB) ha indetto uno sciopero generale delle lavoratrici e lavoratori di tutti i settori pubblici e privati.

In relazione all’eventuale partecipazione dei lavoratori INPS a tale sciopero potrebbero verificarsi disagi causati dalla ridotta attività.

Portale delle famiglie: online la nuova versione

Portale delle famiglie: online la nuova versione

Il Portale delle Famiglie è stato integrato con i dati relativi ai bonus sociali per chi si trova in una situazione di disagio economico

Pubblicazione: 12 aprile 2023

L’Istituto, con il messaggio 11 aprile 2023, n. 1349, comunica che è stata rilasciata la nuova versione del Portale delle Famiglie. L’iniziativa ricade nell’ambito delle attività finanziate dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) per la creazione di una piattaforma integrata per la genitorialità. Il Portale è stato integrato con i dati relativi ai bonus sociali per chi si trova in una situazione di disagio economico.

Il Portale, accessibile dal sito INPS con le proprie credenziali digitali SPID, CIE o CNS, consente di consultare diverse informazioni in relazione a bonus, domande, pagamenti, documentazione ISEE e prestazioni familiari.

All’interno del Portale è stata integrata la nuova funzionalità “Informazioni Bonus Sociali”, che permette all’utente di conoscere la data effettiva di trasmissione della propria DSU, che determina il diritto alla fruizione del bonus sociale.

L’utente potrà così visualizzare in maniera semplice e immediata tutte le informazioni di interesse sui bonus sociali. Se l’utente è in possesso dei requisiti per usufruire dei bonus nell’anno in corso, la riga relativa sarà visibile solo quando la DSU sarà stata trasmessa. 

Portale delle famiglie: online la nuova versione

Portale delle famiglie: online la nuova versione

Il Portale delle Famiglie è stato integrato con i dati relativi ai bonus sociali per chi si trova in una situazione di disagio economico

Pubblicazione: 12 aprile 2023

L’Istituto, con il messaggio 11 aprile 2023, n. 1349, comunica che è stata rilasciata la nuova versione del Portale delle Famiglie. L’iniziativa ricade nell’ambito delle attività finanziate dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) per la creazione di una piattaforma integrata per la genitorialità. Il Portale è stato integrato con i dati relativi ai bonus sociali per chi si trova in una situazione di disagio economico.

Il Portale, accessibile dal sito INPS con le proprie credenziali digitali SPID, CIE o CNS, consente di consultare diverse informazioni in relazione a bonus, domande, pagamenti, documentazione ISEE e prestazioni familiari.

All’interno del Portale è stata integrata la nuova funzionalità “Informazioni Bonus Sociali”, che permette all’utente di conoscere la data effettiva di trasmissione della propria DSU, che determina il diritto alla fruizione del bonus sociale.

L’utente potrà così visualizzare in maniera semplice e immediata tutte le informazioni di interesse sui bonus sociali. Se l’utente è in possesso dei requisiti per usufruire dei bonus nell’anno in corso, la riga relativa sarà visibile solo quando la DSU sarà stata trasmessa. 

Online il nuovo Portale unico ISEE

Online il nuovo Portale unico ISEE

Le varie modalità di acquisizione dell’ISEE in un unico punto di accesso

Pubblicazione: 12 aprile 2023

È disponibile online il nuovo Portale unico ISEE, che semplifica la presentazione dell’Indicatore della Situazione Economica Equivalente (ISEE) attraverso il progetto “ISEE Precompilato”, realizzato nell’ambito del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR).

Il nuovo Portale unico ISEE riunisce le varie modalità di acquisizione dell’ISEE, precompilato e non, in un unico punto di accesso, sostituendo i portali precedenti.

Il messaggio 11 aprile 2023, n. 1345 illustra le semplificazioni apportate dal nuovo Portale, che renderà ancora più agevole il rilascio dell’ISEE, privilegiando l’uso della modalità precompilata, e riepiloga tutti gli interventi già realizzati.

Bonus asilo nido: prorogata scadenza per invio ricevute pagamenti

Bonus asilo nido: prorogata scadenza per invio ricevute pagamenti

Il termine per la presentazione delle ricevute dei pagamenti delle rette è stato prorogato al 30 giugno 2023

Pubblicazione: 12 aprile 2023

Il bonus asilo nido è un contributo per il pagamento di rette per la frequenza di asili nido pubblici e privati autorizzati. La domanda deve essere presentata dal genitore che sostiene la spesa, indicando le mensilità dei periodi di frequenza scolastica per le quali si intende ottenere il beneficio. Il contributo viene erogato dopo la presentazione dei documenti che attestano l’avvenuto pagamento delle rette.

Con il messaggio 11 aprile 2023, n. 1346 l’INPS comunica che, per le domande presentate lo scorso anno e riferite alle mensilità comprese tra gennaio e dicembre 2022, il termine per la presentazione delle ricevute dei pagamenti delle rette, inizialmente fissato al 1° aprile 2023, è stato prorogato al 30 giugno 2023.

Nel messaggio vengono precisati gli adempimenti relativi alla documentazione da inoltrare, esclusivamente online, tramite il servizio “Bonus asilo nido e forme di supporto presso la propria abitazione”, disponibile anche nell’app INPS Mobile.

Dimissioni e congedo di paternità: versamento ticket di licenziamento

Dimissioni e congedo di paternità: versamento ticket di licenziamento

Le precisazioni sugli aspetti contributivi e le istruzioni operative contabili

Pubblicazione: 12 aprile 2023

Il decreto legislativo 105/2022 ha stabilito che in caso di dimissioni del lavoratore padre che ha fruito del congedo obbligatorio, entro l’anno di nascita del figlio, il datore di lavoro deve pagare il ticket di licenziamento. Allo stesso tempo il lavoratore ha diritto all’indennità di disoccupazione NASpI, qualora ricorrano tutti gli altri requisiti legislativamente previsti.

La circolare INPS 20 marzo 2023, n. 32, ha spiegato gli effetti delle modifiche al testo unico sulla maternità operate dal decreto legislativo 105/2022

L’Istituto, con il messaggio 12 aprile 2023, n.1356, fornisce precisazioni sugli aspetti contributivi, nonché le istruzioni operative per la compilazione dei flussi UniEmens.

La maggioranza e i presidenti delle commissioni permanenti Mappe del potere

La maggioranza e i presidenti delle commissioni permanenti Mappe del potere

Le commissioni permanenti sono organi fondamentali per il funzionamento delle camere. Per questo il presidente di commissione è considerato tra i ruoli chiave in parlamento. Anche se la sua attività raramente viene posta sotto i riflettori.

 

Quando si forma una maggioranza sono molte le posizioni di potere che i suoi esponenti sono chiamati a ricoprire. Dai ruoli di governo a quelli parlamentari, alcuni incarichi sono più esposti mediaticamente, come quelli dei ministri o dei capigruppo in aula. Altri invece sono meno noti all’opinione pubblica. Tra questi anche i presidenti delle commissioni parlamentari, nonostante ricoprano un ruolo di grande importanza nel funzionamento e nella gestione della macchina parlamentare.

Dei diversi organi interni alle aule, le commissioni permanenti sono il luogo in cui si svolge la maggior parte del lavoro sulle norme, in cui si cercano convergenze politiche e in cui il dibattito entra realmente nel merito delle questioni.

Le commissioni permanenti sono il centro dell’attività legislativa del parlamento. Vai a “Cosa sono le commissioni parlamentari e perché sono importanti”

In questo contesto il presidente rappresenta la commissione, la convoca formandone l’ordine del giorno, ne presiede le sedute e ne convoca l’ufficio di presidenza. Generalmente viene affidata loro la relazione dei provvedimenti più importanti discussi e approvati in commissione, nonché la presentazione del testo all’aula.

Come abbiamo avuto modo di osservare in passati approfondimenti la posizione di un presidente su un provvedimento può incidere in modo determinante sul suo iter in commissione. Anche per questo è considerato uno dei ruoli chiave in parlamento.

Gruppi e presidenti di commissione

Alla camera dei deputati le commissioni permanenti sono ancora 14, come nella scorsa legislatura e in quelle precedenti. Con il taglio dei parlamentari invece il regolamento del senato è stato modificato e ora le commissioni permanenti sono 10. Questo vuol dire che alcune commissioni di palazzo Madama svolgono compiti di cui a Montecitorio si occupano due commissioni distinte.

24 le commissioni permanenti del parlamento, 14 alla camera e 10 al senato.

Esattamente la metà dei presidenti di commissione è espressione di Fratelli d’Italia (FdI), mentre l’altra metà è suddiviso tra Lega (che ne esprime un po’ di più) e Forza Italia (FI).

Un’equazione che si ripropone esattamente sia alla camera (dove FdI ha 7 presidenti su 14) che al senato (5 su 10).

Solo 2 di questi incarichi, l’8,3%, sono ricoperti da una donna, in entrambi i casi al senato. Una è Giulia Bongiorno, esponente della Lega e presidente della commissione giustizia. L’altra è Stefania Craxi, esponente di Forza Italia che presiede la commissione esteri. Solo uomini invece per Fratelli d’Italia.

Presidenti alle prime armi

Data l’importanza del ruolo i gruppi devono valutare attentamente a chi conferire le presidenze. Tra i vari elementi bisogna sicuramente considerare l’esperienza delle figure politiche scelte, sia rispetto alla materia di competenza della commissione che ai meccanismi parlamentari che i presidenti sono tenuti a conoscere e far rispettare.

Da questo punto di vista bisogna innanzitutto sottolineare come alcuni dei presidenti di commissione siano alla loro prima esperienza parlamentare.

i presidenti di commissione senza alcuna esperienza parlamentare alle spalle.

Si tratta del presidente della commissione politiche dell’Unione europea del senato, Giulio Maria Terzi di Sant’Agata (FdI), e del presidente della commissione agricoltura della camera, Mirco Carloni (Lega).

Certo i profili di questi due politici sono comunque molto diversi. L’ex ambasciatore Terzi di Sant’Agata infatti, pur non avendo alcun trascorso in parlamento, ha una lunga carriera diplomatica alle spalle. Senza contare che nel corso del governo Monti ha direttamente ricoperto il ruolo di ministro degli esteri. Si tratta dunque di un presidente con una elevatissima conoscenza delle materie della sua commissione, anche se meno dei meccanismi parlamentari.

Diverso invece il percorso di Mirco Carloni. Oltre a svariati mandati in giunte e consigli comunali, Carloni è arrivato al consiglio regionale dell’Umbria nel 2020, venendo poi nominato vicepresidente e assessore alle attività produttiveL’esperienza politico amministrativa dunque non manca a Carloni, che tuttavia è ora chiamato a svolgere un ruolo molto diverso.

Altri 12 presidenti di commissione invece hanno avuto una sola esperienza parlamentare prima di quella attuale. La maggior parte sono di Fratelli d’Italia (nelle commissioni giustizia, cultura, finanze, ambiente e trasporti alla camera, affari sociali e bilancio al senato), ma alcuni anche di Forza Italia (bilancio, affari costituzionali e affari sociali alla camera) e Lega (attività produttive e politiche europee alla camera).

Esperienza e coerenza nei percorsi dei presidenti

Dunque 22 presidenti di commissione su 24 hanno almeno un mandato parlamentare alle spalle. Questo però non vuol dire che nella scorsa legislatura svolgessero il proprio mandato nell’ambito della commissione che ora presiedono. In effetti questo caso riguarda meno della metà dei presidenti.

10 i parlamentari che nella scorsa legislatura facevano parte della stessa commissione che ora presiedono.

Tra questi è incluso anche Nazario Pagano (FI), presidente della commissione affari costituzionali della camera, che fino a pochi mesi fa era vicepresidente dell’omonima commissione del senato.

Tra i gruppi di maggioranza quello con più presidenti con un’esperienza coerente è Fratelli d’Italia. Esattamente la metà infatti nella scorsa legislatura si occupava delle stesse materie (giustizia, cultura, finanze e lavoro alla camera e affari sociali e bilancio al senato). Molti meno per Lega (politiche europee alla camera e giustizia al senato) e Forza Italia (affari costituzionali alla camera e esteri e difesa al senato).

Oltre a Pagano infatti il gruppo forzista esprime la presidente della commissione esteri e difesa del Senato, Stefania Craxi che nella scorsa legislatura era vicepresidente. Inoltre alcuni anni prima, durante il quarto governo Berlusconi, ha svolto anche il ruolo di sottosegretario agli esteri.

Perché nonostante la sua esperienza Tremonti è stato eletto presidente della commissione esteri piuttosto che bilancio o finanze?

Ma anche altri presidenti di commissione hanno avuto dei ruoli nell’esecutivo. Il presidente della commissione esteri della camera Tremonti ad esempio è stato più volte ministro. Certo in quella veste si è sempre occupato di economia ma non c’è dubbio che abbia anche accumulato molta esperienza in campo internazionale. In questi termini dunque non appare inappropriato che una persona con il suo profilo ricopra questo incarico. Allo stesso tempo c’è da interrogarsi sul perché la maggioranza non gli abbia attribuito la presidenza di una commissione più naturalmente affine al suo percorso professionale e politico (bilancio o finanze).

Alla commissione Finanze di palazzo Madama invece Garavaglia ci è arrivato dopo essere stato oltre che ministro del turismo, viceministro dell’economia nel primo governo Conte. La presidente della commissione giustizia Giulia Bongiorno come sottosegretaria si è invece occupata di pubblica amministrazione. Tuttavia la sua conoscenza della materia è fuori discussione data la sua rinomata esperienza di avvocato.

Da segnalare infine altri due presidenti con una notevole esperienza alle spalle anche se non nella commissione che oggi presiedono. Il senatore Alberto Balboni (FdI), presidente della commissione affari costituzionali, è giunto ormai alla sua quinta legislatura ma negli scorsi anni si era occupato di temi quali la giustizia, gli affari esteri o le finanze. Anche il senatore Claudio Fazzone (FI) è alla sua quinta legislatura e al contrario di Balboni in passato è stato varie volte in commissione affari costituzionali. In questa occasione però è diventato presidente della commissione ambiente che invece non risulta nel suo curriculum precedente.

Foto: Galleria Fontana – Camera

 

Divieto di doppie imposizioni: chiarimenti Agenzia Entrate

Divieto di doppie imposizioni: chiarimenti Agenzia Entrate

Con la risposta n. 100/2023, l’Agenzia delle Entrate ha disposto dei chiarimenti in tema di imposizioni, nel territorio dello Stato, inerente i trattamenti pensionistici percepiti da soggetto non residente.

Agenzia delle Entrate risposta n. 100/2023

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1. Il caso di specie

Nel caso in scrutinio l’istante residente in Portogallo, iscritto all’AIRE e beneficiario di pensione INPS nella qualità di ex dipendente di un’azienda del trasporto pubblico, investe l’AE circa il corretto trattamento degli emolumenti pensionistici.
Premesso che il contribuente aveva presentato apposita istanza all’INPS al fine di beneficiare della rimozione della doppia imposizione, sulla scorta della normativa prevista dalla Convenzione tra l’Italia ed il Portogallo per evitare le doppie imposizioni (siglata a Roma il 14 maggio 1980 e ratificata dalla legge 10 luglio 1982, n. 562), il ricorrente vedeva rigettata la propria istanza dall’ente previdenziale.
Nello specifico l’INPS ha ritenuto inquadrabile in seno all’art. 19, paragrafo 2, della suddetta Convenzione il trattamento pensionistico, applicando le ritenute alla fonte del medesimo emolumento.

2. Il ragionamento normativo e la decisione dell’Agenzia delle Entrate

Ad avviso dell’Amministrazione Finanziaria, sulla scorta della residenza portoghese dell’istante, in merito all’assoggettamento al regime fiscale italiano dei redditi in commento, si osserva la disposizione di cui all’art. 3, co. 1 del TUIR. Tale disposizione, testualmente, statuisce che: “l’imposta si applica sul reddito complessivo del soggetto formato per i residenti da tutti i redditi posseduti al netto degli oneri deducibili indicati nell’articolo 10 e per i non residenti soltanto da quelli prodotti nel territorio dello Stato”. 
La summenzionata norma va letta in combinato disposto con l’art. 23, co. 2, lettera a) del TUIR secondo la quale i trattamenti pensionistici di cui beneficiano soggetti non residenti si calcolano come prodotti nel territorio dello Stato e, pertanto, ivi soggette a tassazione, allorché corrisposte dallo Stato, da soggetti residenti nel territorio dello Stato nonché da stabili organizzazioni nel territorio stesso di soggetti non residenti.
Sicché, sulla scorta della disciplina del TUIR, il trattamento pensionistico in scrutinio erogato dall’Ente di Previdenza Sociale alla persona residente in Italia dev’essere soggetto ad imposizione nel nostro Paese.
Fatta questa doverosa disamina della disciplina interna, l’Amministrazione Finanziaria osserva che l’art. 18 del Trattato tra Italia e Portogallo sancisce, come disposizione generale, l’unicità della tassazione dei redditi derivanti da pensione, erogati a seguito della prestazione di un’attività di lavoro dipendente, nello Stato dove risiede il beneficiario del medesimo trattamento. L’eccezione principale a tale norma generale è determinata dal dettato normativo di cui all’art. 19, paragrafo 2, della Convenzione. Sulla scorta della lettera a), invero, “le pensioni corrisposte da uno Stato contraente o da una sua suddivisione politica o amministrativa, o da un suo ente locale, sia direttamente sia mediante prelevamento da fondi da essi costituiti, ad una persona fisica in corrispettivo di servizi resi a detto Stato od ente locale, sono assoggettate ad imposizione esclusiva nello Stato della fonte della pensione”. La portata di tale eccezione trova un argine nella lettera b) del medesimo art. 19 paragrafo 2 che sancisce l’esclusività della tassazione nello Stato dove risiede il pensionato dei trattamenti previdenziali, laddove il beneficiario abbia acquisito la cittadinanza dello Stato di residenza.
L’AE, per ultimo, richiama il dettato normativo del paragrafo 3 dell’art. 19 del Trattato, dove si statuisce che i trattamenti pensionistici erogati “in corrispettivo di servizi resi nell’ambito di una attività industriale o commerciale esercitata da uno Stato contraente o da una suddivisione politica  o amministrativa o da un suo ente locale”, soggiacciono alla portata normativa di cui all’art. 18 e sono, pertanto, soggetti (allo stesso modo delle pensioni private) a tassazione esclusiva nello Stato di residenza del pensionato.
Una volta esaurita l’ampia disamina della disciplina settoriale, l’Amministrazione Finanziaria, sulla scorta degli elementi in proprio possesso, acclarato che: 1) trattasi di una pensione erogata ad una persona fisica a fronte dello svolgimento di un’attività di lavoro dipendente (art. 19, paragrafo 2, lett. a) della Convenzione);
2) che la medesima prestazione viene erogata da un ente pubblico non economico (INPS), istituito dallo Stato, con la finalità di provvedere al pagamento dei trattamenti pensionistici aventi natura previdenziale e assistenziale;
3) ricondotto il trattamento pensionistico in scrutinio nell’alveo delle pensioni pubbliche di cui all’art. 19 del Trattato, occorre valutare la soggezione per il caso di specie all’eccezione prevista dal summenzionato art. 19, paragrafo 3, della Convenzione italo-portoghese che si riallaccia alle statuizioni di cui all’art. 18 del medesimo Trattato internazionale con susseguente soggezione ad esclusiva tassazione, del trattamento pensionistico, ad opera del Portogallo in quanto Stato di residenza dell’istante.

 

Rifiuto chemioterapia a minorenne: condannati i genitori

Rifiuto chemioterapia a minorenne: condannati i genitori

La Quarta Sezione della Corte di Cassazione penale ha pronunciato la sentenza n. 12124 del 23 marzo 2023, con la quale ha confermato la condanna per omicidio colposo a carico di una coppia di genitori che ha rifiutato la chemioterapia alla figlia minore, affetta da leucemia linfoblastica acuta e successivamente deceduta a causa della malattia.
La scelta di rifiutare le cure era in verità stata presa dalla minore stessa, ma secondo la Suprema Corte sarebbe stata determinata dall’atteggiamento dei genitori, convinti antagonisti della “lobby delle case farmaceutiche” e sostenitori delle cure con vitamina C.
La morte della ragazza, dunque, è stata cagionata dalla volontà e dalle idee dei genitori, cui la minore aveva aderito supinamente, in violazione degli obblighi di garanzia su di loro gravanti.

1. La vicenda processuale

La Corte d’Appello di Venezia, con sentenza del 21 aprile 2021, confermava la condanna per omicidio colposo di G. e S., genitori di V. (iniziali di fantasia), i quali, secondo la ricostruzione effettuata dal Giudice di seconde cure, avrebbero indotto la figlia, affetta da leucemia linfoblastica acuta, a rifiutare di sottoporsi a chemioterapia: la cura era stata considerata essenziale dai medici per tentare di contrastare il peggioramento della malattia e per assicurare la sopravvivenza della giovane.
Secondo quanto ritenuto dalla Corte, i genitori avrebbero instillato nella minore la convinzione che il trattamento chemioterapico fosse non solo privo di effetti, ma addirittura nocivo per il suo fisico ed in tal modo avrebbero convinto la figlia a rifiutare le cure prima proposte dai medici e successivamente ordinate dal Tribunale dei Minori di Venezia con l’ordinanza 4/3/2016.
Secondo i genitori la malattia non era altro che un modo di rigenerazione cellulare del corpo e con la chemioterapia questo processo sarebbe stato interrotto. Inoltre, i medici, sempre secondo il convincimento dei due adulti, non prescrivevano la vitamina C (che secondo il padre avrebbe potuto curare la figlia) perché vittime della pressione delle case farmaceutiche e nella fase terminale della malattia i genitori si sarebbero opposti anche alle cure palliative antidolorifiche, fino a giungere all’arresto cardiaco che causava la morte della minore.
Il Tribunale dei minori aveva sospeso la responsabilità genitoriale di G. e S., affidando V. ai servizi sociali, ma, sempre esercitando pressione psicologica sulla ragazza, i genitori trasferivano la minore all’estero, per poi rientrare in Italia senza dare alcuna comunicazione agli assistenti sociali e all’ospedale.
A seguito della sentenza sfavorevole della Corte d’Appello (che confermava in toto la condanna dei genitori in primo grado), gli imputati proponevano ricorso per Cassazione.

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2. Il ricorso per Cassazione

La triste vicenda veniva portata dinnanzi alla Suprema Corte con tre motivi di ricorso.
Con il primo motivo, la difesa degli imputati eccepiva la violazione di legge e il vizio di motivazione in riferimento all’obbligo di informare il paziente, incombente solo sui sanitari e non anche sui genitori della minore.
In altre parole, i ricorrenti affermavano che solo sui sanitari, e non anche su di loro, gravava l’onere di informare debitamente la minore circa gli effetti salvavita della chemioterapia e le conseguenze in caso di mancata cura, stante il fatto che la minore, pur se legalmente incapace, aveva comunque l’età per capire e decidere in autonomia e pertanto era con lei che i medici avrebbero dovuto interloquire e solo su di loro gravava detto onere di informazione.
La conseguenza che la difesa di G. e S. traeva era che non competeva ai genitori spiegare alla figlia la tipologia di malattia, il suo decorso e le sue cure, in quanto soggetti privi di competenze medico-scientifiche; inoltre, la minore poteva scegliere autonomamente che la malattia facesse il suo corso ed avendo scelto in piena libertà e consapevolezza di rifiutare le cure, i genitori non avrebbero fatto altro che adeguarsi alle decisioni della figlia e rispettarne la volontà.
La Cassazione respingeva il motivo, rilevando come, dalla ricostruzione probatoria effettuata in appello, era emerso senza alcun dubbio che i genitori si fossero opposti fin dall’inizio alle cure, manifestando la convinzione che la malattia di V. fosse nient’altro che un processo di rigenerazione cellulare, processo che sarebbe stato distrutto dalla chemioterapia, che invece di curare la figlia, l’avrebbe sicuramente uccisa. Dalle prove dibattimentali, inoltre, era anche emerso che la madre aveva espressamente chiesto di non parlare della malattia davanti alla figlia, che a suo dire era già traumatizzata dalla morte del fratello e di un’amica.
La Corte di Cassazione perciò, nell’ipotesi in esame, negava rilevanza al diritto della minore di esprimere il rifiuto delle cure, rilevanza che si sarebbe al limite potuta configurare che V. avesse spontaneamente rifiutato la chemio e i genitori si fossero invece adoperati concretamente per convincerla del contrario. Ipotesi che non solo non verificata, ma anzi veniva data prova dell’esatto opposto.
Il primo motivo di ricorso veniva dunque respinto.
Con il secondo motivo, i genitori rilevavano che il Tribunale dei Minori aveva sospeso la loro potestà genitoriale già dal 2016, di fatto esonerandoli da ogni responsabilità in merito alle scelte terapiche della figlia ed esautorandoli da ogni potere, giuridico e pratico, di convincerla a sottoporsi alla chemioterapia.
Anche questo motivo veniva respinto dagli ermellini, che rilevavano invece come l’ordinanza del Tribunale dei minori non fosse mai stata attuata, avendo i genitori continuato in pratica a gestire la figlia in ogni aspetto, arrivando persino a portarla con loro all’estero, proprio al fine di sottrarla alla chemioterapia, per poi fare ritorno in Italia senza avvisare i servizi sociali o l’ospedale.
Il rifiuto della cura salvavita e delle cure palliative anche nella fase più acuta e terminale della malattia era da ascriversi quindi integralmente ai genitori, che anche dopo l’ordinanza del Tribunale dei minori di fatto proseguivano a gestire la situazione della figlia.
Anche il secondo motivo di ricorso veniva quindi respinto.
Con il terzo motivo di ricorso, gli imputati lamentavano la mancanza di nesso causale tra condotta ed evento morte della figlia, data l’assenza di dimostrazione del fatto che, se essi avessero assunto un atteggiamento conciliativo nei confronti della chemio, la ragazza avrebbe accettato di sottoporsi alla terapia. Attenzione: il giudizio controfattuale (tipico dei ricorsi per Cassazione) non voleva accertare se l’attivazione del protocollo chemioterapico avrebbe impedito il decesso o rallentato il decorso della malattia, ma solo se la ragazza si sarebbe sottoposta alle cure, quand’anche i genitori avessero espresso un atteggiamento favorevole in merito.
Secondo la Corte di legittimità, il motivo di ricorso risultava inconferente rispetto ai rapporti familiari ed ai fatti come ricostruiti de accertati in prima e seconda istanza: la minore, infatti, aveva sempre fatto cieco affidamento sulle convinzioni dei genitori, a cui si era assuefatta e che aveva fatto proprie, in ragione della giovane età, senza mai avere la reale percezione del fatto che avrebbe potuto morire.
In conclusione, la ragazza aveva rifiutato le terapie perché aveva aderito pienamente alle idee dei genitori, compromettendo totalmente il rapporto fiduciario tra la malata e i medici curanti, che non avevano più alcun ascendente sulla giovane. Le idee degli imputati ingeneravano nella minore un falso convincimento che i trattamenti fossero dannosi per lei, determinando la formazione di una volontà viziata.
Per questi motivi, la Corte di Cassazione confermava le sentenze di primo e secondo grado, condannando i due genitori per omicidio colposo ai danni della figlia.

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Lavoro minorile: in Italia si stimano 336 mila casi

Lavoro minorile: in Italia si stimano 336 mila casi

Sono diversi i bambini e gli adolescenti impegnati nella ristorazione e nella vendita al dettaglio, nelle attività in campagna, in cantiere e nell’attenzione con continuità di fratelli, sorelle o parenti.

1. Un fenomeno allarmante

Secondo fonti AGI, il lavoro minorile rappresenta un fenomeno di carattere globale che non ha risparmiato l’Italia, dove risulta diffuso ma ancora in larga parte sommerso e invisibile.
Si stima che nel nostro Paese 336 mila minorenni tra i 7 e i 15 anni abbiano avuto esperienze di lavoro, continuative, saltuarie oppure occasionali.
Equivale al 6,8% della popolazione di quell’età, quasi 1 minore su 15, tra i 14 e i 15 anni ha dichiarato di svolgere o avere svolto un’attività di lavoro.
Un cospicuo gruppo, pari al 27,8% ha svolto lavori marcatamente dannosi per i percorsi educativi e per il benessere psicofisico, perché svolti in modo continuativo durante il periodo scolastico, in orari notturni, oppure, perché percepiti dagli stessi intervistati come pericolosi.
Dalle stime effettuate si tratta di circa 58 mila adolescenti.

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2. La ricerca di Save the Children

La ricerca, condotta a dieci anni di distanza dalla presentazione delle notizie relative alle ultime ricerche sul lavoro minorile in Italia da Save the Children, lOrganizzazione internazionale che da più di 100 anni si preoccupa di salvare i bambini e le bambine a rischio e garantire loro un futuro, si propone come obiettivo la definizione dei contorni del fenomeno, la comprensione delle caratteristiche, l’evoluzione nel tempo e le connessioni con la dispersione scolastica, cercando di sopperire almeno in modo parziale alla mancanza di una rilevazione sistemica di informazioni sull’argomento in Italia.
Sono emerse anche altre forme di lavoro online, pari al 5,7%, come la realizzazione di contenuti per social o videogiochi, o il reselling di sneakers, smartphone e pods per sigarette elettroniche.
Nel periodo nel quale lavorano, più della metà degli intervistati lo fa ogni giorno o qualche volta alla settimana e circa 1 su 2 lavora più di 4 ore al giorno.
Le informazioni della ricerca verranno messi a disposizione sul datahub di Save the Children, un portale nato con l’intento di monitorare le disuguaglianze, mappare i territori a rischio, orientare le politiche e l’azione sociale, costruire una conoscenza condivisa del mondo dell’infanzia e dell’adolescenza.
Nello studio portato avanti da parte dell’Organizzazione, è stata indagata anche la relazione tra lavoro e giustizia minorile, mettendo in evidenza un forte legame tra esperienze lavorative molto precoci e coinvolgimento nel circuito penale.
Quasi il 40% dei minorenni e giovani adulti presi in carico dai Servizi della Giustizia Minorile,nello specifico, più di uno su tre, ha affermato di avere svolto attività lavorative prima dell’età legale consentita.
Tra loro, più di un minorenne su dieci, ha iniziato a lavorare all’età di 11 anni o prima e più del 60% ha svolto attività lavorative dannose per lo sviluppo e il benessere fisico e psichico.
I settori nei quali primeggia il fenomeno del lavoro minorile, sono la ristorazione pari al 25,9% e la vendita al dettaglio nei negozi e attività commerciali, pari al 16,2%, seguiti dalle attività in campagna, pari al 9,1%, in cantiere, pari al 7,8%, dalle attività di cura con continuità di fratelli, sorelle o parenti, pari al 7,3%
Sono emerse anche altre forme di lavoro online, pari al 5,7%, come la realizzazione di contenuti per social network o videogiochi, oppure, il reselling di sneakers, smartphone e pods per sigarette elettroniche.
Dall’indagine è emerso che nella maggior parte dei casi gli intervistati che lavorano o hanno lavorato durante l’anno precedente la rilevazione, lo fa durante i giorni di scuola, e tra loro il 4,9% salta le lezioni per recarsi sul luogo di lavoro.
Dalle informazioni raccolte si deduce che sia abbastanza elevata la percentuale di minorenni  bocciata durante il percorso scolastico, ed è stata calcolata come più che doppia la percentuale di minorenni con esperienze lavorative intraprese prima dell’età legale consentita, che hanno interrotto temporaneamente la scuola secondaria di primo o secondo grado, rispetto ai pari età privi di esperienze di carattere lavorativo.

Volume per l’approfondimento

FORMATO CARTACEO

Codice della Famiglia e dei Minori 2023 e legislazione speciale

Questo volume nasce con l’intento di fornire un fondamentale strumento di studio e di lavoro inerente alla disciplina del diritto di famiglia e, in buona parte, anche alla materia delle successioni nonché dei minori e della loro tutela, alla luce della imponente “riforma Cartabia”.Oltre alle norme fondamentali, a quelle dei codici civile e penale e di procedura, nell’opera sono presenti le principali leggi complementari, le direttive e i regolamenti europei, le convenzioni internazionali.Il testo si rivolge specificamente agli avvocati, ai magistrati, ai notai, ai docenti e agli studenti universitari, agli operatori dei servizi sociali, ai concorrenti ai pubblici concorsi.La ripartizione per argomenti ordinati alfabeticamente consente un’agevole consultazione del testo.Fra le discipline contenute nel volume, ricordiamo: • Aborto • Adozione • Cittadinanza • Consultori familiari • Diritto internazionale privato • Donazione di organi • Famiglia e regime patrimoniale (family act) • Immigrazione • Legge “dopo di noi” • Locazione immobiliare • Maternità e paternità • Matrimonio concordatario • Mediazione e conciliazione • Morte • Negoziazione assistita • Parità uomo donna • Procreazione assistita • Passaporti • Privacy • Processo minorile • Riforma Cartabia • Scioglimento del matrimonio • Sottrazione e rimpatrio dei minori • Stato civile e anagrafe • Successioni • Testamento biologico • Tutela dei minori • Unioni civili e convivenze • Violenza contro le donne e in famiglia.Chiudono il volume l’indice cronologico e un dettagliato indice analitico.Luigi TramontanoGiurista, già docente a contratto presso la Scuola di Polizia economico-finanziaria della Guardia di Finanza è autore di numerosissime pubblicazioni giuridiche ed esperto di tecnica legislativa, curatore di prestigiose banche dati legislative e direttore scientifico di corsi accreditati di preparazione per l’esame di abilitazione alla professione forense.

 

Luigi Tramontano | Maggioli Editore 2023

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Annullata sanzione Garante a carico dell’INPS in Cassazione

Annullata sanzione Garante a carico dell’INPS in Cassazione

Con sentenza n. 6177 del 1/3/2023 la prima sezione civile della Corte di Cassazione ha riformato una sentenza che confermava l’ordinanza ingiunzione comminata dal Garante per la protezione dei dati personali ai danni dell’INPS, accogliendo due dei cinque motivi di ricorso presentati dall’Istituto.

1. Il provvedimento

Con provvedimento n. 492 del 29 novembre 2018, infatti, il Garante per la protezione dei dati personali aveva irrogato una sanzione amministrativa pecuniaria da € 40.000 all’Istituto nazionale della previdenza sociale, ritenendo che lo stesso avesse trattato illecitamente i dati di 12,6 milioni di lavoratori privati assenti per malattia, nel periodo compreso dal febbraio 2011 al marzo 2018. L’illecito, secondo l’Autorità, consisteva nell’utilizzo di un software che attribuiva uno “score di probabilità” al certificato medico riferito al lavoratore così da indirizzare in modo mirato e più efficiente il sistema dei controlli medico-legali «effettuando così un trattamento automatizzato di dati personali, anche idonei a rivelare lo stato di salute, raffrontando le informazioni contenute nel predetto certificato con le altre contenute […] in ulteriori archivi amministrativi dell’Istituto.»
Secondo il Garante privacy, tale trattamento:

  • era stato effettuato in violazione di quanto statuito dal Codice in materia di protezione dei dati personali (violazione avvenuta ante GDPR);
  • configurava una vera e propria profilazione, a fronte della quale l’INPS non aveva provveduto ad effettuare la notificazione al Garante ai sensi dell’art. 37 del Codice (ante obbligo di valutazione di impatto);
  • era stato effettuato senza che venisse resa agli interessati, ai sensi dell’art. 22, comma 2 del Codice, la prescritta informativa in violazione dell’art. 13 del Codice, con riferimento ai dati sensibili (oggi categorie particolari ex art. 9 GDPR, e informativa ex art. 13 GDPR).

Avverso la sanzione, l’Istituto ha proposto opposizione all’Autorità Giudiziaria ordinaria, ma il Tribunale ha ritenuto provate le condotte illecite sanzionate col provvedimento dal Garante, respingendo il ricorso e confermando in toto la sanzione.
Non volendosi arrendere, l’INPS ha presentato ricorso per Cassazione, sulla base di cinque motivi, ottenendo l’accoglimento di due doglianze.

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2. La sentenza Cassazione civile sez. I, 01/03/2023, n. 6177

Il primo motivo di ricorso accolto riguarda l’omessa informativa agli interessati e la mancata richiesta di autorizzazione preventiva al Garante circa il trattamento dei dati.
Secondo i giudici di legittimità, l’attività di controllo da parte dell’INPS trova fondamento nella legge, che rende superflua la raccolta del consenso al trattamento dell’interessato «con la conseguente legittima adozione della procedura informatica, attesi i compiti istituzionali assegnati all’ente, tali da escludere all’uopo la necessità di informare o acquisire autorizzazioni o consensi da parte degli interessati: si tratta, infatti, di dati personali già acquisiti ex lege alla conoscenza dell’ente per adempiere alle proprie funzioni istituzionali, e che vengono al medesimo trasmessi tramite il certificato di malattia per volontà del lavoratore stesso».
Di conseguenza, secondo la Suprema Corte, essendo un trattamento funzionale rispetto ai compiti istituzionali propri dell’ente, il Tribunale ha sbagliato nel ritenere che l’attività di raccolta dei dati in questione, pur prodromica ai controlli di malattia, non risultasse dovuta per legge o necessitata.
L’informativa, infatti, continua la Corte, non è dovuta, se i dati sono trattati in base ad un obbligo previsto dalla legge. E anche l’art. 24 d.lgs. n. 196 del 2003 ribadisce che il consenso non è richiesto, quando il trattamento sia necessario per adempiere ad un obbligo previsto dalla legge. D’altra parte  l’attività antifrode, connessa alle visite di controllo «non sarebbe efficiente ove ancorata ad una scelta solo casuale, laddove, per evitare abusi e indebite erogazioni con sottrazione di risorse pubbliche, occorre operare mediante una razionale distribuzione dei controlli: il certificato di malattia, presentato dal lavoratore, costituisce una domanda di prestazione economica [la liquidazione dell’indennità di malattia], la quale, per essere istruita, richiede necessariamente il trattamento dei dati – come la durata della prognosi, la qualifica del lavoratore o il settore di attività (ma non la diagnosi)». Trattamento sul quale, appunto, opera la procedura software “incriminata”.
In conclusione, secondo la Corte, non si può sostenere che solo ove l’INPS si serva di procedimenti automatizzati debba ottenere il consenso dell’interessato considerato che, se l’ente ha per legge il potere di effettuare i controlli a fini pubblici, «deve poterlo fare nel miglior modo possibile, secondo il principio di buon andamento della p.a.».
Il secondo motivo di ricorso accolto riguarda l’asserita attività di profilazione individuata dal Garante privacy, chiarendo la nozione stessa di “profilazione” contenuta nell’art. 14 d.lgs. n. 196 del 2003, allora vigente, secondo cui nessun atto o provvedimento giudiziario o amministrativo che implicasse una valutazione del comportamento umano poteva essere fondato unicamente su un trattamento automatizzato di dati personali, volto a definire il profilo o la personalità dell’interessato.
La sentenza rileva l’insussistenza degli elementi costitutivi della profilazione: il lavoratore del quale non si conosce la diagnosi, infatti, «non [veniva] mai individuato o inserito in determinate categorie o “profili”, rilevando soltanto la domanda di indennità di malattia quale prestazione previdenziale richiesta, né, quindi, era predisposta qualsiasi variabile da utilizzare per individuare un singolo lavoratore da sottoporre a controllo».
In sostanza le candidature alla visita medica di controllo ogni volta erano individuate da zero, considerando l’insieme dei certificati in quel momento presenti.
I Giudici di legittimità hanno quindi sottolineato come la procedura automatizzata mediante il software permettesse di assegnare alla domanda di prestazione previdenziale da malattia un indice, scollegato da qualsiasi profilazione soggettiva, ma connesso ad alcune variabili come la durata della prognosi, il luogo di provenienza del certificato, il numero di questi, il settore produttivo, l’età, il genere, la qualifica, la retribuzione, la dimensione dell’azienda, il rapporto di lavoro part-time e a tempo determinato, ecc… Essendo svincolate da qualsiasi profilazione soggettiva, ad esempio, due domande presentate dallo stesso lavoratore presentavano indici diversi che venivano calcolati ogni giorno e mai storicizzati, essendo associati, appunto, alla domanda e non alle persone.
Ogni domanda di prestazione, dunque, riceveva una valutazione del tutto svincolata dalle precedenti.
Associare alle domande di prestazione questo indice poteva costituire un aiuto per il personale medico che avrebbe successivamente dovuto decidere quali controlli effettuare per poi programmare ed effettuare le visite di controllo: oggetto dell’indagine erano le domande di prestazione previdenziale e non i lavoratori.
Di conseguenza, secondo la Suprema Corte, difettava anche la caratteristica del trattamento «unicamente» automatizzato, in quanto gli operatori effettuavano poi tutte le ulteriori verifiche in modo, appunto, non automatizzato, secondo parametri suggeriti dal sistema.
I Giudici di legittimità, poi, esortano a non demonizzare l’utilizzo di procedure informatiche idonee ad incrementare i “beni” della celerità, efficienza, trasparenza, imparzialità e neutralità della p.a., e dunque il «buon andamento», anzi, la pubblica amministrazione deve poter sfruttare le rilevanti potenzialità della c.d. rivoluzione digitale: «la piena ammissibilità di tali strumenti risponde ai canoni di efficienza ed economicità dell’azione amministrativa, i quali, secondo il principio costituzionale di buon andamento dell’azione amministrativa (art. 97 Cost.), impongono all’amministrazione il conseguimento dei propri fini con il minor dispendio di mezzi e risorse e attraverso lo snellimento e l’accelerazione dell’iter procedimentale».
In terzo luogo, non si trattava di valutazione di un «comportamento umano», perché la personalità dei singoli interessati non veniva mai delineata dal sistema, ma solo elementi afferenti alle certificazioni mediche inviate.
Per questi motivi la descritta attività, secondo la Cassazione, non poteva definirsi “profilazione” secondo la nozione conosciuta dall’ordinamento giuridico all’epoca dei fatti di causa.

3. Il principio di diritto enunciato dalla Corte di Cassazione

Sulla base di quanto esposto, ha concluso dunque la Corte che la condotta tenuta dall’ente, nello svolgimento dei propri compiti, anche facendo ricorso al software informatico in questione, non era illecita, ma rientrante nel novero delle condotte ammesse al fine dell’adempimento delle pubbliche funzioni ad esso affidate.
Per tutti questi motivi ha cassato la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti, e, decidendo la causa nel merito, ha accolto l’opposizione e annullato, per l’effetto, l’ordinanza- ingiunzione comminata dal Garante privacy e compensato tra le parti le spese dell’intero giudizio.
Da tutto quanto sopra enunciato possiamo desumere il principio secondo cui le regole sulla tutela dei dati, anche sensibili, vanno coordinate e bilanciate con le disposizioni costituzionali che tutelano altri e prevalenti diritti, tra cui vi è l’interesse pubblico a celerità, trasparenza ed efficacia dell’attività amministrativa.

Volume consigliato

Un approfondimento è dedicato alle sanzioni del Garante, che stanno trovando in queste settimane le prime applicazioni, a seguito dell’entrata in vigore della nuova normativa.

 

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I ricorsi al Garante della privacy

Giunto alla seconda edizione, il volume affronta la disciplina relativa alla tutela dei diritti del titolare dei dati personali, alla luce delle recenti pronunce del Garante della privacy, nonché delle esigenze che nel tempo sono maturate e continuano a maturare, specialmente in ragione dell’utilizzo sempre maggiore della rete. L’opera si completa con una parte di formulario, disponibile online, contenente gli schemi degli atti da redigere per approntare la tutela dei diritti dinanzi all’Autorità competente. Un approfondimento è dedicato alle sanzioni del Garante, che stanno trovando in queste settimane le prime applicazioni, a seguito dell’entrata in vigore della nuova normativa. Michele Iaselli Avvocato, funzionario del Ministero della Difesa, docente a contratto di informatica giuridica all’Università di Cassino e collaboratore della cattedra di informatica giuridica alla LUISS ed alla Federico II, nonché Presidente dell’Associazione Nazionale per la Difesa della Privacy (ANDIP). Relatore in numerosi convegni, ha pubblicato diverse monografie e contribuito ad opere collettanee in materia di privacy, informatica giuridica e diritto dell’informatica con le principali case editrici.

 

Michele Iaselli | Maggioli Editore 2022

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