Archivi giornalieri: 9 aprile 2023

Pasqua di Risurrezione del Signore

 

Pasqua di Risurrezione del Signore


Domenica di Pasqua

autore: Noël Coypel anno: 1700 titolo: La resurrezione di Cristo luogo: Museo delle Belle Arti, Francia
Nome: Domenica di Pasqua
Titolo: Risurrezione del Signore
Ricorrenza: 9 aprile
Martirologio: edizione 2004
Tipologia: Solennità
Patrono di:
Cherasco

Alla sera del venerdì, appena Gesù aveva reso lo spirito un soldato per assicurarsi che era veramente morto gli aveva passato il cuore con una lancia. Giuseppe d’Arimatea, nobile decurione, e Nicodemo chiesero a Pilato il corpo adorabile di Gesù e, ottenutolo, lo avvolsero in una sindone con aromi e lo deposero in un sepolcro nuovo, scavato nel vivo sasso. Il giorno seguente i Principi dei Sacerdoti, ricordandosi che Gesù aveva detto che dopo tre giorni sarebbe risuscitato, domandarono a Pilato che ne facesse custodire il sepolcro per tre giorni, affinchè, dicevano essi, non vengano i suoi discepoli a rapirne il corpo, e poi dicano ch’è risorto. Pilato acconsentì, e furono posti i soldati a guardia del sepolcro, e venne suggellata la pietra. Al terzo giorno, di buon mattino, si sentì un gran terremoto; un Angelo sfolgoreggiante di luce discese dal cielo, rovesciò la pietra del sepolcro e vi sedette sopra. Gesù vincitore della morte e dell’inferno era risorto come aveva promesso. Le guardie sbigottite caddero come morte, ma poi riavutesi, corsero in città a dar l’avviso dell’accaduta ai Principi dei Sacerdoti. Questi però diedero loro del denaro, affinchè dicessero che mentre esse dormivano erano venuti i discepoli, e ne avevano portato via il corpo.

Al mattino presto (le donne) si recarono al sepolcro, portando con sé gli aromi che avevano preparato. Trovarono che la pietra era stata rimossa dal sepolcro e, entrate, non trovarono il corpo del Signore Gesù. Mentre si domandavano che senso avesse tutto questo, ecco due uomini presentarsi a loro in abito sfolgorante. Le donne, impaurite, tenevano il volto chinato a terra, ma quelli dissero loro: «Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui, è risorto. Ricordatevi come vi parlò quando era ancora in Galilea e diceva: “Bisogna che il Figlio dell’uomo sia consegnato in mano ai peccatori, sia crocifisso e risorga il terzo giorno”».

È ancora buio e le donne si recano al sepolcro di Gesù, le mani cariche di aromi. Vanno a prendersi cura del suo corpo, con ciò che hanno, come solo loro sanno. Sono quelle donne che l’avevano seguito dalla Galilea, sostenendolo con i loro beni in ciò che era necessario. Con lui avevano assaporato la ricchezza del «più che necessario», giorni di libertà felice, germogli di un mondo nuovo. Sono quelle che stavano sotto la croce. L’avevano guardato morire. E nessuno a soccorrerlo. Ora vanno al sepolcro: ciò che le muove non è un atto di fede nella divinità di Gesù, non una speranza segreta, ma un atto d’amore. Lo amano ancora, semplicemente, ma è ciò che rimette in marcia la vita: «non è possibile amare la divinità di Cristo se non amando prima la sua umanità» (Heidewick di Anversa).

Il racconto di Luca è di estrema sobrietà: «entrarono e non trovarono il corpo del Signore». Tutto si blocca, l’assenza del corpo di Gesù entra dolorosamente in loro come uno smarrimento, un vuoto pieno solo di domande. E alla desolazione si aggiunge paura: due uomini vestiti di lampi. Come è contrastata la fede di Pasqua! Quasi fossero doglie di parto. Si innesta su di una ferita, su di una assenza patita dolorosamente, su di una perdita.

Perché cercate tra i morti colui che è vivo?

Voi state cercando il vostro tesoro perduto, avete fame di colui che vi ha riempito di senso le vite.

Perché cercate colui che è vivo?

Bellissimo nome di Gesù: Lui è il vivente. Non solo è vivo adesso, come uno che non è più un morto, ma è il vivente, colui che continuamente vive, cui appartiene il vivere, l’autore della vita: la sua missione, la sua azione è germinare vita, fiorire vita.

Non è qui, è risuscitato, si è alzato.

I Vangeli raccontano la risurrezione di Gesù con i due verbi del mattino dell’uomo, svegliarsi e alzarsi. Come se i nostri giorni fossero una piccola risurrezione quotidiana, e la Pasqua un giorno senza più tramonto. Ma la tomba vuota non basta, gli angeli non bastano perché la fede venga alla luce: Ricordatevi come vi parlò: bisogna che io sia crocifisso e risorga… ed esse ricordarono le sue parole.
Adesso tutto esplode. Le donne ricordano, credono perché ricordano, credono non per le parole degli angeli, ma per la parola di Gesù. Credono prima di vedere. Non sono le apparizioni che fanno credere, né le vesti sfolgoranti, ciò che fa credere è sempre la sua Parola, Vangelo custodito anche nei giorni della perdita e dell’assenza. Le donne hanno conservato quelle parole perché le amano, perché nell’uomo si imprime e persiste solo ciò che ci sta davvero a cuore. Principio di ogni incontro con il Vivente è, anche per noi, la custodia amorosa della sua Parola.

MASSIMA. Il nostro Agnello pasquale, Cristo, è stato immolato. Perciò facciam festa non col vecchia lievito della malizia, ma con gli azimi della parità e della verità. S. Paolo ai Corinti.

PRATICA. La solennità di tutte le solennità che la Provvidenza ha voluto assegnarvi in questo mese, sollevi al cielo il vostro spirito, la mente ed il cuore: tutto quello che non è pel cielo, è tutto perduto. O Adamo, felice il tuo peccato Che un sì gran Redentor ci ha meritato!

MARTIROLOGIO ROMANO. In questo giorno, che il Signore ha fatto, solennità delle solennità e nostra Pasqua: Risurrezione del nostro Salvatore Gesù Cristo secondo la carne.

ICONOGRAFIA

L’iconografia della Resurrezione di Cristo vanta di tantissime opere d’arte quasi sempre raffiguranti il Cristo che risorge dal sepolcro con una bandiera crociata simbolo della resurrezione, insieme a lui in basso quasi sempre troviamo i soldati che erano di guardia al sepolcro, in molte rappresentazioni sono presenti anche le donne che portarono gli aromi sulla tomba del Signore, Maria Maddalena, Maria di Cleofa e Giovanna la Mirofora o Maria Solome. Una delle più celebri rappresentazioni della resurrezione è sicuramente quella di Raffaello che con i suoi meravigliosi colori esalta la forza e la bellezza della scena dove oltre ai tipici soggetti sono visibili anche due splendidi angeli che sono i primi testimoni e gli interpreti del Risorto e che aprono la strada all’annuncio di vittoria sulla morte e avranno un ruolo importante nell’incontro con le Tre Marie

Resurrezione di Crist

titolo Resurrezione di Crist
autore Raffaello anno 1501-1502

Anche la magnifica opera di Piero della Francesca conservata nel Museo Civico di Sansepolcro è una grande rappresentazione della scena con i soldati che sono addormentati.

Resurrezione

titolo Resurrezione
autore Piero Della Francesca anno 1458-1474

Anche la celebre opera di Peter Paul Rubens conservata a Palazzo Pitti di Firenze rappresenta come Cristo si leva trionfante, reggendo il vessillo crociato, con un angelo che lo scopre e due putti che gli reggono la corona di spine.

Resurrezione di Cristo

titolo Resurrezione di Cristo
autore Pieter Paul Rubens anno 1616 circa

Di notevole fascino anche l’opera di Domenico Ghirlandaio artista del XV sec

Resurrezione di Cristo

titolo Resurrezione di Cristo
autore Domenico Ghirlandaio anno 1490-1498

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Milano si conferma la città che spende di più per i trasporti Bilanci dei comuni

Milano si conferma la città che spende di più per i trasporti Bilanci dei comuni

I comuni possono investire parte del loro bilancio per potenziare la rete di trasporto pubblico locale. Una scelta che dipende in gran parte dalle dimensioni dei territori.

 

Garantire la mobilità significa anche predisporre servizi capillari ed efficienti di trasporto pubblico. È fondamentale permettere a tutti i cittadini di spostarsi nella loro quotidianità, a un costo accessibile e con mezzi funzionanti. Non solo, offrire una rete di trasporto efficiente scoraggia l’utilizzo di mezzi a motore privati, con notevoli vantaggi in termini di sostenibilità ambientale. Data la prossimità del servizio di trasporto pubblico locale alla vita dei cittadini, garantirlo a livello di mobilità urbana è considerata una delle funzioni fondamentali dei comuni (legge 42/2009).

18,6% popolazione con 14 o più anni che ha usato almeno una volta un mezzo pubblico nel 2021.

Autobus, filobus e tram vengono usati principalmente nei comuni più urbanizzati, dove è circa la metà dei residenti a usufruirne. Nei territori più piccoli, questi valori calano fino a raggiungere il 6,4% dei comuni con meno di 2.000 abitanti. Va sottolineato però che i centri urbani più piccoli solitamente non dispongono di un proprio servizio di trasporto pubblico urbano. Gli spostamenti avvengono perlopiù attraverso un sistema extraurbano, che collega comuni diversi e che non è di diretta titolarità degli stessi. Alla luce di queste differenze, è interessante osservare le uscite di bilancio sostenute dagli enti locali per contribuire o garantire il funzionamento del trasporto pubblico locale.

Le spese dei comuni per il trasporto pubblico locale

A livello normativo, la materia è regolamentata dal decreto legislativo 422/1997. Nel dettaglio, lo stato dispone di un fondo nazionale per il trasporto pubblico locale, che viene suddiviso e distribuito alle regioni italiane. A loro volta, gli enti regionali erogano dei finanziamenti per il sostegno del servizio a province e comuni ma, allo stesso tempo, sono tenuti a garantire un livello minimo di trasporti nei territori comunali. Se questo servizio non è sufficiente, come nel caso di grandi città e centri urbani, sta poi ai comuni sostenere una spesa aggiuntiva per potenziarlo. Una struttura che comunque può variare da regione a regione.

Sono conferiti alle regioni e agli enti locali […] tutti i compiti e tutte le funzioni relativi al servizio pubblico di trasporto di interesse regionale e locale, in atto esercitati da qualunque organo o amministrazione dello Stato, centrale o periferica, anche tramite enti o altri soggetti pubblici, tranne quelli espressamente mantenuti allo Stato […]

La voce dedicata al trasporto pubblico locale è comprensiva delle spese per la costruzione e la manutenzione delle infrastrutture per il trasporto urbano e extraurbano. Nello specifico, si interviene sul trasporto su gomma, autofiloviario, metropolitano, tranviario e funiviario. Sono anche previste in questa voce le spese per la vigilanza dell’utenza e quelle per la gestione e il monitoraggio dei contratti di servizio con gli enti e le società affidatarie.

GRAFICO
DA SAPERE

I dati mostrano la spesa per cassa riportata nella voce dedicata al trasporto pubblico locale. Spese maggiori o minori non implicano necessariamente una gestione positiva o negativa della materia. Da notare che spesso i comuni non inseriscono le spese relative a un determinato ambito nella voce dedicata, a discapito di un’analisi completa. Le uscite di una missione o di un programma possono essere relative a più assessorati. Tra le città italiane con più di 200mila abitanti non sono disponibili i dati di Palermo perché alla data di pubblicazione non risulta accessibile il bilancio consuntivo 2021.

FONTE: openbilanci – consuntivi 2021
(consultati: martedì 28 Marzo 2023)

 

Tra le grandi città, caratterizzate dal maggior utilizzo dei servizi di trasporto pubblico locale, spicca la spesa di Milano con 866,87 euro pro capite. Una cifra che è quasi il doppio di Venezia, al secondo posto con 455,83 euro per abitante. Seguono Roma (322,82) e Firenze (163,84). Sono invece tre i comuni in cui le uscite non superano i 100 euro a persona: Torino (66,3 euro pro capite), Bologna (21,39) e Trieste (0,19).

La spesa del comune di Milano è storicamente più alta rispetto a quella di altre zone. Si tratta di uscite in crescita che passano da 690,1 euro pro capite nel 2016 a 866,87 nel 2021. Tra questi grandi comuni, quello che registra la variazione maggiore è però Venezia (+51,42%). Seguono Padova (+42,7%), Milano (+25,61%) e Roma (+15,32%). Firenze invece è l’unica in cui si registra un calo (-32,63%).

Se ampliamo l’analisi a tutti i comuni italiani, la spesa media è pari a 5,15 euro pro capite. Questo valore risente della quantità di piccoli territori presente in Italia. Molto spesso non viene infatti predisposto un servizio di trasporto a livello comunale per centri molto piccoli e periferici. Le regioni in cui le amministrazioni hanno le spese maggiori sono Lazio (19,48 euro a persona), provincia autonoma di Bolzano (17,38) e Valle d’Aosta (15,31). Valori minori invece si registrano per i comuni sardi (1,64) friulani e giuliani (0,81) e calabresi (0,35).

GRAFICO
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DESCRIZIONE

Per sapere quanto viene speso nel tuo territorio, clicca sulla casella Cerca… e digita il nome del tuo comune. Puoi cambiare l’ordine della tabella cliccando sull’intestazione delle colonne.

DA SAPERE

I dati mostrano la spesa per cassa riportata nella voce dedicata al trasporto pubblico locale. Spese maggiori o minori non implicano necessariamente una gestione positiva o negativa della materia. Da notare che spesso i comuni non inseriscono le spese relative a un determinato ambito nella voce dedicata, a discapito di un’analisi completa. Le uscite di una missione o di un programma possono essere relative a più assessorati.

FONTE: openbilanci – consuntivi 2021
(consultati: martedì 28 Marzo 2023)

 

Le uscite del capoluogo lombardo sono ingenti anche se messe a confronto con tutti gli altri comuni italiani. Si tratta infatti della quarta amministrazione per spesa pro capite. Quella che spende di più è però Moggio, in provincia di Lecco, con 2.044,20 euro a persona. Seguono Chamois (Aosta, 932,58) e Sestriere (Torino, 898,47). Tra le prime dieci amministrazioni italiane figura un altro grande comune: Venezia.

Scarica, condividi e riutilizza i dati

I contenuti di questa rubrica sono realizzati a partire da Openbilanci, la nostra piattaforma online sui bilanci comunali. Ogni anno i comuni inviano i propri bilanci alla Ragioneria Generale dello Stato, che mette a disposizione i dati nella Banca dati amministrazioni pubbliche (Bdap). Noi estraiamo i dati, li elaboriamo e li rendiamo disponibili sulla piattaforma. I dati possono essere liberamente navigati, scaricati e utilizzati per analisi, finalizzate al data journalism o alla consultazione. Attraverso openbilanci svolgiamo un’attività di monitoraggio civico dei dati, con l’obiettivo di verificare anche il lavoro di redazione dei bilanci da parte delle amministrazioni. Lo scopo è aumentare la conoscenza sulla gestione delle risorse pubbliche.

Foto: Al Emes – licenza

 

In Italia e in altri paesi Ue sono aumentati i divari di reddito Europa

In Italia e in altri paesi Ue sono aumentati i divari di reddito Europa

Nonostante le condizioni materiali siano mediamente migliorate, la disuguaglianze nella distribuzione della ricchezza sono rimaste pressoché invariate in Europa. L’Italia non costituisce un’eccezione.

 

La ricchezza aumenta e le condizioni di vita migliorano. Tuttavia questo progresso non è distribuito equamente né tra i vari paesi che compongono l’Unione europea né, al loro interno, tra le diverse classi socio-economiche. Se in alcuni stati membri la situazione è migliorata, in altri si è verificato un marcato peggioramento, e nel complesso la situazione dell’Ue è rimasta sostanzialmente invariata.

Lo stesso si può dire dell’Italia, dove oggi è ancora visibile una marcata divisione tra una maggioranza di persone che dichiara di guadagnare poco (meno di 20mila euro lordi l’anno) e una minoranza che afferma di guadagnare molto (poco più dell’1% dei cittadini guadagna più di 100mila euro l’anno).

Le disuguaglianze sono ancora un problema in Europa

Le disuguaglianze a livello economico possono essere definite da diversi fattori. Per esempio il reddito oppure il capitale accumulato ereditato per via familiare, o ancora le proprietà immobili. Il principale indicatore della disuguaglianza si riferisce alla distribuzione del reddito all’interno di una società: si tratta dell’indice di Gini. Esso indica le differenze tra i redditi percepiti.

Per misurare le differenze che sussistono tra i redditi percepiti, si utilizza l’indice di Gini. Vai a “Cos’è l’indice di Gini”

Tale indicatore può avere valori compresi tra 0% e 100%. Più è basso, più ci si avvicina a una situazione di perfetta uguaglianza in cui tutte le persone hanno il medesimo reddito. Più è alto invece più i redditi sono concentrati in un piccolo gruppo di persone. Se l’indice è pari a 100% significa che un’unica persona possiede tutto il reddito del gruppo considerato.

Come riporta la banca mondiale, in Europa mediamente i salari sono aumentati e le condizioni di vita sono migliorate nel corso degli ultimi decenni. Tuttavia ciò non ha comportato un parallelo appianamento delle disuguaglianze tra i cittadini. Soprattutto a partire dalla crisi finanziaria del 2008. Questo fenomeno si manifesta in particolare attraverso l’aumento relativo degli stipendi più alti e il calo di quelli più bassi, in alcuni stati come quelli dell’Europa centro-orientale. Altrove, gli stipendi bassi sono comunque aumentati poco e lentamente rispetto a quelli medi e alti.

A questo si aggiunge il fatto che il capitale e le ricchezze si sono progressivamente concentrate all’interno di un numero minore di persone, in particolare negli stati più ricchi. Questi due fenomeni entrano in una dinamica di circolo vizioso, condizionandosi a vicenda. Il Covid ha dato poi un ulteriore contributo, penalizzando soprattutto i paesi economicamente più fragili e, all’interno dei singoli stati, le persone più vulnerabili o con le situazioni lavorative più difficili.

Certo si tratta di una dinamica che non ha riguardato soltanto l’Europa e che anzi ha colpito l’Europa in misura minore rispetto ad altri paesi ricchi e sviluppati come gli Stati Uniti.

Le disuguaglianze nella ricchezza sono lesive dei valori democratici.

Tuttavia la stagnazione se non l’incremento delle disuguaglianze pone una serie di problemi. Per esempio la questione di come alcuni meccanismi del nostro sistema economico ledano i valori democratici. A maggior ragione se consideriamo che, se non verranno implementate specifiche politiche per affrontare questo problema, esso è destinato ad aumentare. O almeno a lasciare alle proprie spalle pesanti strascichi e conseguenze. Infatti i bambini che nascono in contesti svantaggiati hanno meno opportunità nella vita, e quindi le disuguaglianze economiche sono in tutto e per tutto un circolo vizioso.

La distribuzione del reddito nei paesi Ue

Come accennato, il principale indicatore per misurare le disuguaglianze è il coefficiente di Gini. Mediamente in Europa il valore si attesta al 30,1% nel 2021, con un calo molto lieve rispetto a 10 anni prima.

-0,3 punti percentuali il coefficiente di Gini in Ue tra 2012 e 2021.

Analizziamo i dati relativi ai paesi membri, per vedere quanto la ricchezza risulta equamente distribuita nei vari contesti nazionali, e se la situazione è cambiata negli ultimi anni.

Dei 27 paesi membri dell’Ue, in 11 l’indice di Gini è aumentato negli ultimi 10 anni. Tra questi anche l’Italia (+0,5 punti percentuali). L’aumento più marcato si è registrato in Bulgaria (+6,1 punti percentuali). Mentre il calo maggiore si è verificato in Slovacchia (-4,4, dove però il dato più recente è relativo al 2020) e in Polonia (-4,1).

Nel complesso, nel 2021 il dato più alto è quello bulgaro che sfiora il 40%. Seguito da quello della Lettonia e della Lituania (al di sopra del 35%). Mentre il più basso è quello slovacco (21%). L’Italia è da questo punto di vista lievemente al di sopra della media Ue (30,1%), attestandosi, nel 2021, al 33%.

In Italia i redditi sono ancora distribuiti in modo diseguale

Come accennato, l’Italia ha un coefficiente di Gini leggermente superiore alla media Ue, che, come in vari altri stati membri, è lievemente aumentato nel corso dell’ultimo decennio.

Anche analizzando i dati relativi alle dichiarazioni dei redditi forniti dal ministero dell’economia e delle finanze, si può constatare che nel nostro paese gli stipendi sono molto lontani dall’essere equamente distribuiti. Sono ancora molti infatti i contribuenti che guadagnano meno di mille euro lordi al mese, prima di qualsiasi detrazione fiscale. E oltre la metà di tutti i contribuenti che dichiarano il proprio reddito non arriva comunque a 20mila euro annui.

57% dei contribuenti in Italia dichiara di guadagnare meno di 20mila euro lordi l’anno.

La fascia più rappresentata è quella dei redditi compresi tra i 10mila e i 20mila euro l’anno. Tuttavia sono quasi 12 milioni gli italiani che guadagnano meno di 10mila euro l’anno, il 29,6% del totale.

Mentre meno del 3% di tutti i contribuenti guadagna più di 70mila euro, una quota che arriva poco sopra l’1% nel caso di chi dichiara più di 100mila euro (meno di mezzo di milione di persone in tutto il paese). Oltre 1 milione di persone afferma di guadagnare zero o addirittura di avere un reddito negativo.

Si tratta comunque di dati che vanno considerati con attenzione, in quanto si riferiscono esclusivamente al reddito dichiarato e quindi non tengono conto di fenomeni come il lavoro in nero o l’evasione fiscale o la sotto-dichiarazione, e in generale tutto ciò che avviene nell’ambito dell’economia sommersa, che le istituzioni non riescono a rilevare e che da sola ha registrato un valore pari a 203 miliardi di euro nel 2019.

Foto: Elyse Chia – licenza

 

Che cos’è la commissione di vigilanza Rai

Che cos’è la commissione di vigilanza Rai

La commissione di vigilanza Rai è l’organo bicamerale del parlamento italiano che formula gli indirizzi generali che dovranno essere seguiti dal servizio pubblico radiotelevisivo e ne controlla il rispetto.

La commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi, più comunemente nota come commissione di vigilanza Rai, è una commissione parlamentare bicamerale.

La sua prima istituzione ha origine già in un decreto del capo provvisorio dello stato del 1947 (Dcps 428/1947). Nel 1975 però il parlamento è intervenuto con una legge sulla diffusione radiofonica e televisiva stabilendo compiti e poteri della commissione parlamentare.

formula gli indirizzi generali […]; controlla il rispetto degli indirizzi e adotta tempestivamente le deliberazioni necessarie per la loro osservanza;

L’approvazione della legge avvenne su impulso della corte costituzionale che in un’ordinanza dell’anno precedente aveva delineato alcuni elementi chiave. Tra questi il fatto che la legge attribuisse al parlamento i poteri necessari a fornire direttive e controllarne il rispetto (ordinanza n. 225/1974). Secondo la stessa logica, che vede il parlamento come l’espressione più compiuta della volontà popolare, molti anni più tardi (ord. 61/2008) la consulta ha riaffermato l’importanza della commissione a garanzia del pluralismo dell’informazione e per evitare il controllo governativo del mezzo pubblico radiotelevisivo.

Nonostante questo la riforma del 2015 (L.220/2015) ha ridotto le sue competenze, in particolare per quanto riguarda la nomina del consiglio di amministrazione (Cda). In precedenza infatti era direttamente la commissione a eleggere la maggioranza dei consiglieri (10 su 16). Dopo la riforma invece questo potere è stato trasferito alle aule parlamentari. Inoltre la quota di consiglieri eletta dal parlamento è stata ridotta, a tutto vantaggio del governo.

Dei 7 membri del Cda Rai, le aule parlamentari ne eleggono 2 ciascuna, il consiglio dei ministri altri 2, mentre 1 è scelto dall’assemblea dei dipendenti Rai. Vai a “Come vengono nominati i vertici Rai”

La commissione però dispone comunque di un significativo potere di veto rispetto alla scelta del presidente del consiglio di amministrazione. Questo viene eletto dal Cda tra i suoi componenti. Tuttavia la nomina diviene effettiva solo dopo che la commissione ha espresso parere favorevole con un maggioranza di almeno 2/3 dei componenti.

D’altra parte la funzione di indirizzo generale e di vigilanza è stata confermata dalla nuova disciplina. Ogni 6 mesi ad esempio, prima dell’approvazione del bilancio, il Cda Rai deve riferire alla commissione. In questa sede il consiglio di amministrazione espone l’attività della concessionaria e consegna alla commissione l’elenco di tutti gli ospiti che hanno partecipato alle trasmissioni (testo unico dei servizi audiovisivi, art. 63).

Inoltre nel corso degli anni alla commissione sono state attribuite diverse competenze in materia di comunicazione politica e di parità di accesso ai mezzi di informazione in particolare durante fasi elettorali o referendarie, ma non solo (L. 515/1993 e L.28/2000). Si tratta di regolare quella che è comunemente nota come par condicio.

Più in generale comunque si può dire che la commissione esercita la propria attività di indirizzo approvando risoluzioni con le direttive che devono essere seguite dalla società concessionaria, ovvero la Rai.

Da segnalare inoltre come la stessa legge istitutiva preveda (art. 6) l’esistenza di una apposita sottocommissione a cui le realtà della società civile possono presentare richiesta di accesso ottenendo così spazio all’interno del servizio pubblico, ovvero nei programmi dell’accesso.

Dati

I componenti della commissione sono indicati dai presidenti di camera e senato sulla base delle indicazioni fornite dai gruppi, rispettandone la rappresentanza parlamentare. Ogni aula esprime 21 componenti.

42 i componenti della commissione di vigilanza Rai. Scelti per metà tra senatori e per metà tra deputati.

Sono 24 i componenti del consiglio di vigilanza Rai espressione della maggioranza, ovvero il 57,1%. Tra questi la metà sono di Fratelli d’Italia (12) mentre i rimanenti di Lega (6), Forza Italia (4) e Noi moderati (2).

I 18 componenti di opposizione si dividono invece tra Partito democratico (7), Movimento 5 stelle (5) e Azione-Italia viva, Verdi e sinistra e Per le autonomie (ciascuno con 2 esponenti).

Il presidente della commissione è solitamente un esponente di opposizione. Si tratta di una prassi parlamentare iniziata nel 1996, non di una regola scritta. Tuttavia gli ultimi 9 presidenti di commissione sono sempre stati esponenti dell’opposizione.

10 su 18 i presidenti della commissione di vigilanza Rai eletti tra esponenti dell’opposizione dal 1975 a oggi.

Anche nella XIX legislatura il parlamento ha mantenuto questa consuetudine e alla presidenza è stata eletta la senatrice Barbara Floridia del Movimento 5 stelle.

Analisi

Sin dalla pronuncia del 1974 la corte costituzionale ha espresso chiaramente la necessità che la televisione pubblica rifletta e valorizzi le diversità presenti all’interno della società italiana, evitando che l’azienda finisca sotto il controllo esclusivo dell’esecutivo.

A tal proposito la Corte […] ritiene che la legge debba almeno prevedere: a) che gli organi direttivi dell’ente gestore […] non siano costituiti in modo da rappresentare direttamente o indirettamente espressione, esclusiva o preponderante, del potere esecutivo […]; b) che vi siano direttive idonee a garantire che i programmi di informazione […] rispecchino la ricchezza e la molteplicità delle correnti di pensiero; c) che per la concretizzazione di siffatte direttive e per il relativo controllo siano riconosciuti adeguati poteri al Parlamento […]

In questa visione assume particolare rilevanza il ruolo del parlamento che la corte definisce come rappresentante a livello istituzionale dell’intera collettività nazionale. Da qui dunque il forte potere attribuito alla commissione di vigilanza.

Nonostante questa posizione sia stata riaffermata dalla corte anche in anni più recenti (ord. 137/2000) la riforma del 2015 è andata in direzione inversa aumentando il numero di membri del Cda Rai espressi dall’esecutivo piuttosto che dal parlamento. L’aver previsto poi che un componente del Cda sia eletto dall’assemblea dei dipendenti può essere considerato un segno di apertura nei confronti dei lavoratori dell’azienda, ma comunque non verso società civile e il pluralismo.

Più in generale, pur comprendendo l’impostazione della corte, è innegabile che accentrando molti poteri nelle mani di un organo parlamentare si può ridurre l’influenza del governo ma non si va comunque verso la “liberazione della Rai dai partiti” da tutti auspicata almeno a livello formale. Anche per questo negli anni si è più volte parlato di trasferire molti dei poteri oggi attribuiti alla commissione e al governo a un’apposita fondazione. Tali ipotesi, che in alcuni casi si sono anche tradotte in proposte di legge, non sono però mai andate in porto e la commissione di vigilanza Rai ricopre tutt’oggi un ruolo fondamentale nella governance del servizio pubblico radiotelevisivo.

 

La disponibilità per i minori di luoghi dove fare sport dopo il Covid #conibambini

La disponibilità per i minori di luoghi dove fare sport dopo il Covid #conibambini

Con l’emergenza Covid è aumentata la quota di minori sedentari, in controtendenza con il resto della popolazione. Approfondiamo l’offerta di spazi dove fare sport all’aperto nelle città italiane, rispetto ai bambini e ragazzi residenti.

 

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Con la pandemia, è aumentata la quota di bambini e ragazzi che nel tempo libero non praticano sport né svolgono attività fisica. In particolare in alcune fasce d’età. Nel 2019 erano sedentari il 18,5% dei bambini tra 6 e 10 anni. Nel 2021 sono saliti al 24,9%.

1 su 4 bambini tra 6 e 10 anni che non fanno sport nel 2021.

Tra 11 e 14 anni sono cresciuti dal 15,7% al 21,3%: quasi 6 punti percentuali in più. Per gli adolescenti tra 15 e 17 anni la variazione è stata molto più contenuta (dal 18,8% al 19,9%, +1,1 punti), mentre tra i bambini di 3-5 anni la crescita è stata di ben 5,4 punti, passando dal 42,8 al 48,2%.

Mediamente, nonostante il calo post-pandemia, i minori restano la fascia d’età più attiva negli sport. Con l’eccezione dei bambini più piccoli, i sedentari sono infatti molto più frequenti nella popolazione media rispetto a quella giovanile.

Dopo la pandemia sono diminuiti i sedentari, ma tra i minori dove aumentano.

Tuttavia, mentre tra bambini e ragazzi aumentano coloro che non praticano sport, tra gli adulti la quota di sedentari al contrario è diminuita con la pandemia.

Il calo più significativo si registra nella fascia 25-34 anni, passati dal 28,1% di sedentari al 22,8% (-5,3 punti percentuali), seguiti dagli over 55 con una riduzione di oltre 4 punti. Ma le persone che non fanno sport sono diminuite anche nelle altre fasce d’eta: quella tra 35-44 anni (-2 punti), tra 45-54 anni (-3,4 punti) e tra gli over 65 (-2 punti).

Si tratta di un segnale nitido che gli effetti dell’emergenza sono stati asimmetrici tra le generazioni. I più giovani ne hanno risentito maggiormente, anche in termini di accesso allo sport. Diventa perciò essenziale valutare la disponibilità sul territorio nazionale di luoghi dove praticarlo.

Perché l’offerta di luoghi per fare sport all’aperto è cruciale

La disponibilità di luoghi dove fare sport all’aperto, dai campetti alle aree sportive, è un fattore cruciale della qualità della vita. Soprattutto per bambini e ragazzi, e a maggior ragione nelle città.

Il diritto al gioco e al tempo libero, prerogativa prevista dalla convenzione sui diritti dell’infanzia, è infatti anche uno di quelli più qualificanti. Come stabilito dall’articolo 31 della convenzione, gli stati devono riconoscere il diritto ad attività ricreative proprie dell’età del minore. Queste, sebbene possano svolgersi in qualsiasi contesto, hanno bisogno di strutture e spazi specifici per poter essere svolte pienamente.

I bambini riescono a giocare ovunque: nei luoghi adibiti al gioco, a scuola, a casa; sia nei paesi sviluppati, che in quelli più poveri.

Le aree verdi, come sottolineato in un recente studio promosso da Unicef, rispondono proprio a questa esigenza. Forniscono uno spazio dove fare attività sportiva sia in modo strutturato, quanto in modo libero, sviluppando il gioco immaginativo.

Tra questi, in particolare le aree sportive all’aperto. Luoghi come campetti, aree di pertinenza di centri sportivi, aule verdi e altri spazi che consentono attività ricreative o ludiche. La disponibilità di tali spazi, anche in relazione ai minori residenti, rappresenta un indicatore effettivo della possibilità per bambini e ragazzi di fare sport all’aperto.

I divari nella disponibilità di aree sportive all’aperto in Italia

Nelle città italiane, le aree per fare sport all’aperto coprono oltre 26 milioni di metri quadri. In rapporto ai quasi 2,7 milioni di residenti con meno di 18 anni nei capoluoghi si tratta di poco meno di 10 metri quadri per minore.

Nei capoluoghi del nord-est si raggiunge la cifra più elevata: 23,8 metri quadri per minore. Quelli del centro Italia e del nord-ovest si attestano al di sotto della media nazionale, rispettivamente con 7,5 e 7,6 metri quadri. 

Molto più lontane le città del sud continentale (5,4) e delle isole (5,2). Queste presentano un dato medio che è quasi la metà di quello rilevato a livello nazionale, molto distanti dagli standard raggiunti dai capoluoghi dell’Italia nord-orientale.

5,2 mq di aree sportive per minore nelle città delle isole. In quelle del nord-est sono quasi 24.

Una simile disparità è particolarmente allarmante se si considera che è proprio nel mezzogiorno che, anche prima della pandemia, si registravano i livelli più bassi di attività sportiva tra bambini e ragazzi.

Come varia l’offerta di aree sportive tra le città italiane

Approfondendo a livello comunale, trova piena conferma il primato delle città del nord-est nell’offrire luoghi dove fare sport.

Sono 10 i capoluoghi che superano i 40 metri quadri di aree sportive all’aperto per minore. Quasi tutti si trovano nel nord-est con l’eccezione di Rieti, Oristano e Cremona.

Questa città della Lombardia sfiora addirittura i 70 metri quadri per minore residente; Ferrara si attesta poco sotto con 66 mq. Seguono Oristano (al terzo posto, con 62,4 mq), Pordenone (59,8), Rovigo (49,2), Ravenna (46,6), Parma (43,1), Piacenza (42,9), Rieti (40,4) e Belluno (40,2).

Sono stati rilevati meno di 2 metri quadri per minore in 23 capoluoghiTredici di questi si trovano nel mezzogiorno, di cui 10 nel sud continentale e 3 nelle isole. Si tratta di Trani, Campobasso, Lecce, Pescara, Isernia, Crotone, Matera, Barletta, Reggio Calabria, Salerno, Catania, Sassari e Siracusa.

Vi sono poi 6 città del centro (Livorno, Roma, Viterbo, Frosinone, Pesaro, Ascoli Piceno) e 4 del nord (Genova, Novara, Bologna e Milano).

Scarica, condividi e riutilizza i dati

I contenuti dell’Osservatorio povertà educativa #conibambini sono realizzati da openpolis con l’impresa sociale Con i Bambini nell’ambito del fondo per il contrasto della povertà educativa minorile. Mettiamo a disposizione in formato aperto i dati utilizzati nell’articolo. Li abbiamo raccolti e trattati così da poterli analizzare in relazione con altri dataset di fonte pubblica, con l’obiettivo di creare un’unica banca dati territoriale sui servizi. Possono essere riutilizzati liberamente per analisi, iniziative di data journalism o anche per semplice consultazione. I dati relativi al verde urbano nelle città sono di fonte Istat e sono aggiornati al 2021.

Foto: Antonio Trogu (Flickr) – Licenza

 

lo stato di salute della maggioranza in parlamento Governo e parlamento

lo stato  di salute della maggioranza in parlamento Governo e parlamento

La coalizione di centrodestra in parlamento ha numeri meno solidi di quello che potrebbe sembrare. In più di 10 “voti chiave” infatti ha rischiato di essere battuta.

 

Nelle ultime settimane il governo è stato al centro di forti critiche. Prima per la tragedia di Cutro e successivamente per i rilievi che la corte di conti e la commissione europea hanno mosso a proposito del Pnrr.

Al di là delle rimostranze mosse dall’opposizione e dai media però, fintanto che ci sarà una maggioranza stabile in parlamento, il governo potrà portare avanti la propria azione. È quindi molto interessante valutare lo stato di salute della coalizione di centrodestra nelle aule di Montecitorio e palazzo Madama.

Per far questo abbiamo selezionato una serie di “voti chiave”, cioè passaggi parlamentari particolarmente rilevanti per le sorti dell’esecutivo. Dall’analisi di quanto accaduto in queste occasioni emerge un quadro meno solido di quello che ci si potrebbe aspettare. In molte occasioni infatti il margine di voti rispetto alla soglia minima richiesta per approvare un provvedimento è stato estremamente ridotto. In 12 casi questo margine di sicurezza è stato inferiore ai 20 suffragi.

L’esecutivo avrebbe potuto andare in difficoltà quindi. L’opposizione però non ha saputo approfittarne. Infatti in 8 di questi 12 casi critici, molti esponenti di minoranza non hanno partecipato al voto perché assenti o in missione. Ciò ha permesso al governo di salvarsi e di portare a casa il provvedimento in discussione. 

Cosa sono i “voti chiave” e quanti sono

Come abbiamo spiegato in questo articolo dall’inizio della legislatura in parlamento si sono già tenute migliaia di votazioni. Non tutte però hanno la stessa rilevanza da un punto di vista politico.

Ad esempio, un voto su un disegno di legge (Ddl) è più importante di uno su semplici atti di indirizzo come mozioni, risoluzioni e ordini del giorno. Un voto finale su un provvedimento sarà a sua volta più rilevante di uno per l’approvazione di un singolo articolo. Un voto su un Ddl per la conversione di un decreto legge del governo sarà ancora più rilevante. Così come particolarmente rilevanti saranno i voti sulle questioni di fiducia che in caso di bocciatura da parte dell’aula comportano automaticamente le dimissioni dell’esecutivo.

I “voti chiave” sono passaggi parlamentari particolarmente rilevanti per le sorti della maggioranza.

Abbiamo così individuato una serie di “voti chiave”. Cioè passaggi parlamentari particolarmente rilevanti per le sorti del governo e utili per valutare lo stato di salute della maggioranza che lo sostiene in aula. Dall’inizio della legislatura alla data del 7 marzo 2023 ne abbiamo selezionati 47 che coincidono sostanzialmente con le votazioni finali di alcuni disegni di legge (generalmente le conversioni dei decreti legge) e con i passaggi in cui il governo ha posto la fiducia.

Logicamente la coalizione di centrodestra, che ha vinto le elezioni, può contare su un numero maggiore di esponenti in parlamento. Non ha quindi molto senso confrontare lo scarto degli scrutini della maggioranza rispetto a quelli espressi dall’opposizione che, a meno di una spaccatura nell’alleanza di governo, saranno sempre in numero inferiore.

È molto più interessante valutare il margine che la coalizione di governo ha potuto vantare rispetto al numero minimo di voti richiesti per l’approvazione di un singolo provvedimento. Infatti, a meno che non siano previste maggioranze qualificate, questa soglia è variabile e dipende dal numero di parlamentari presenti in aula al momento della votazione. Come possiamo vedere anche dal grafico, ci sono state diverse occasioni in cui questo margine è stato particolarmente ridotto e la maggioranza ha rischiato di non avere i numeri.

Alla camera i voti chiave che abbiamo individuato sono stati 27. La maggioranza ha espresso in media 194,6 voti favorevoli con un margine medio rispetto alla soglia minima richiesta di 55 suffragi. Al senato i passaggi chiave invece sono stati 20. La maggioranza in media ha espresso 108 voti favorevoli e un margine medio di 35,3. In 12 occasioni in particolare (9 al senato e 3 alla camera) il margine è stato inferiore ai 20 voti. Tra questi il voto al senato sul tanto discusso decreto rave ha fatto registrare il margine più ridotto in assoluto.

il margine di voti di maggioranza più ridotto registrato dall’inizio della XIX legislatura.

Sempre al senato la conversione del decreto impianti strategici ha fatto registrare un margine di 10 voti. Quello sul decreto flussi 11 mentre quelli sui decreti milleproroghe e riordino ministeri 12. La conversione in legge su quest’ultimo Dl è stata quella in cui si è registrato il margine più ridotto alla camera (16 voti).

È interessante notare che al senato rientra tra i “voti critici” anche la stessa fiducia al governo espressa il 26 ottobre del 2022. In questo caso, con l’aula piena (c’erano solo 2 assenze), il governo ha incassato la fiducia con un margine di appena 17 voti. Un chiaro campanello d’allarme.

Il peso delle assenze nell’opposizione

Come abbiamo appena detto la quota di voti richiesta per l’approvazione di un provvedimento non è fissa ma varia a seconda del numero di presenti in aula. La maggioranza può fare affidamento su un numero di parlamentari maggiore ma è anche quella più esposta a defezioni. Molti esponenti del centrodestra infatti ricoprono anche altri incarichi. C’è chi ha un ruolo nel governo, chi è presidente di una commissione e via dicendo.

I parlamentari che per altri impegni istituzionali non partecipano alle sedute d’aula sono considerati come “in missione”. In questi casi l’assenza è giustificata e non viene conteggiata ai fini del raggiungimento del numero legale.

Per fare degli esempi, al senato, in occasione del voto sul decreto impianti strategici tra le file della maggioranza si sono registrati 29 esponenti in missione (il 14% dell’aula) e solo 3 assenti. In occasione della conversione del decreto flussi i senatori di centrodestra in missione erano invece 24 (11,7%).

In queste situazioni le distanze tra maggioranza e opposizione tendono ad assottigliarsi. Queste sarebbero occasioni che le minoranze potrebbero sfruttare per mettere in difficoltà la coalizione di governo. In diversi casi però le assenze e le missioni tra le file dell’opposizione hanno contribuito a salvare la maggioranza e a far approvare i vari provvedimenti.

16,75 la media di parlamentari di opposizione assenti o in missione in occasione delle “votazioni critiche”.

In particolare in 8 casi su 12 votazioni critiche, se le opposizioni fossero state compattamente presenti in aula avrebbero potuto bloccare l’approvazione di norme su cui hanno espresso una posizione chiaramente contraria. Questo perché un loro voto contrario avrebbe anche fatto aumentare la soglia richiesta per approvare il provvedimento.

La scarsa compattezza dell’opposizione ha contribuito a salvare la maggioranza.

Nel già citato caso del decreto rave al senato abbiamo visto che il margine della maggioranza era stato di appena 8 voti ma le defezioni nell’opposizione erano state 9. Sul Dl impianti strategici il margine era di 10 voti ma le assenze e le missioni dell’opposizione sono state 17. Sul Dl flussi il margine era di 11 voti e le defezioni della minoranza 19. Altri casi simili sono avvenuti in occasione delle votazioni per la conversione dei decreti milleproroghe e riordino ministeri. A conferma del fatto che i numeri della maggioranza al senato sono tutt’altro che solidi.

Ci sono stati 3 casi simili a quelli che abbiamo appena descritto però anche alla camera. Si tratta in particolare delle votazioni in occasione della conversione del decreto riordino ministeri, del Dl aiuti quater e del Dl impianti strategici.

 

I nostri nuovi open data sui bandi del Pnrr #OpenPNRR

I nostri nuovi open data sui bandi del Pnrr #OpenPNRR

Sono disponibili su OpenPNRR nuovi dati su tutti i bandi finanziati dal piano, grazie alla condivisione di Anac. Si tratta di aspetti che finora non erano accessibili in modo aggregato, in un’unica base dati liberamente scaricabile e riutilizzabile.

 

È dal 2021 che denunciamo la scarsa trasparenza da parte dei governi italiani riguardo al piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Mancano numerose informazioni su diversi aspetti. In particolare quelli più concreti, legati a come il nostro paese stia spendendo le risorse e concretizzando gli interventi.

I principali dati che mancano all’appello riguardano: i bandi e gli avvisi sin qui pubblicati con i relativi esiti; le informazioni relative alla localizzazione delle risorse, dei progetti e dei soggetti attuatori coinvolti; i progetti finanziati, il loro stato di avanzamento e l’ammontare di risorse economiche spese.

Questo vuoto informativo è grave perché non permette a cittadini, giornalisti e società civile di conoscere lo stato di avanzamento del piano, di verificare come lo stato stia spendendo queste ingenti risorse, dove e per realizzare cosa. Abbiamo già presentato ben 2 richieste di accesso generalizzato (Foia) affinché il governo adempisse agli obblighi di legge previsti in materia di trasparenza.

Il Foia o diritto di accesso generalizzato è uno strumento per ottenere dati e documenti di interesse pubblico in possesso delle amministrazioni. Vai a “Che cos’è il Foia”

Purtroppo la risposta dell’esecutivo è stata insoddisfacente e questi dati a oggi ancora non sono accessibili. Per questo abbiamo cercato altre strade per poter condividere e rendere accessibili a tutti, dati ufficiali sul Pnrr.

Abbiamo pubblicato su OpenPNRR i dati sui bandiSiamo ora in grado di pubblicare un nuovo dataset, già online nella sezione open data di OpenPNRR, grazie alle informazioni che l’autorità nazionale anticorruzione (Anac) ci ha trasmesso nel quadro del comune protocollo di collaborazione che prevede la condivisione di dati e analisi.

Abbiamo pubblicato dati aperti sui bandi Pnrr, finora inaccessibili.

Si tratta di aspetti che finora non erano accessibili in modo aggregato, in un’unica base dati liberamente scaricabile e riutilizzabile. In particolare il dataset contiene le seguenti informazioni:

  • bandi di gara aperti finora nell’ambito del Pnrr, con il rispettivo codice identificativo;
  • presenza o meno per ciascun bando, della clausola che prevede una quota occupazionale minima di giovani e donne;
  • presenza o meno per ciascun bando, di misure premiali per le quote di giovani e donne.
Trasparenza, informazione, monitoraggio e valutazione del PNRRIl tuo accesso personalizzato al Piano nazionale di ripresa e resilienza

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Le clausole sulle assunzioni di giovani e donneCome noto, il Pnrr prevede tra le sue priorità trasversali interventi a favore dell’emancipazione di giovani e donne. E intende conseguirlo principalmente attraverso l’aumento del tasso di occupazione giovanile e femminile.

Per questo l’articolo 47 del decreto legge 77/2021 ha disposto che vi fosse un vincolo per gli operatori economici (aziende, cooperative, società) interessati a partecipare alle gare d’appalto per i progetti finanziati con le risorse del Pnrr. In particolare l’articolo prevede che almeno il 30% delle assunzioni legate alla vittoria dell’appalto sia destinata a giovani sotto i 36 anni e donne. Sostanzialmente per gli operatori economici questo vincolo si sostanzia, al momento della stipula del contratto, nel deposito di una dichiarazione con cui l’azienda aggiudicataria si impegna ad assumere giovani e donne in quantità tale da rispettare la quota.

Come abbiamo verificato dai dati Anac, l’ampia maggioranza (69%) dei bandi Pnrr pubblicati fin qui non prevede clausole occupazionali per giovani e donne. Ciò significa che in queste gare non viene neanche chiesto alle aziende di rispettare i vincoli di assunzione previsti.

28% gli avvisi pubblici che prevedono il vincolo di assunzioni di almeno il 30% di donne e giovani. Si tratta di meno di 1 bando su 3.

Il restante 3% prevede delle quote occupazionali per giovani e donne, ma in diverse misure che non necessariamente sono uguali o superiori al 30%.

Il rispetto delle clausole da parte delle aziende

Alla già scarsa presenza di queste clausole negli avvisi pubblici, si aggiungono le eccezioni per cui le aziende non sono sempre tenute a rispettare le quote. Sono infatti ammissibili deroghe qualora l’oggetto del contratto, la tipologia, la natura del progetto o altri elementi indicati dalla stazione appaltante (come il tipo di procedura, il mercato di riferimento, l’entità dell’importo) rendano la clausola inapplicabile o contrastante con determinati obiettivi. Cioè quelli di universalità, socialità, efficienza, economicità e qualità del servizio, nonché di ottimale impiego delle risorse pubbliche. Sta alla stazione appaltante decidere di avvalersi o meno della deroga e comunicare la sua decisione ad Anac, specificando le motivazioni che l’hanno portata a questa decisione.

Le deroghe troppo ampie rendono inefficace la clausola.

È evidente che le circostanze in cui è ammessa la deroga alla quota di assunzioni sono troppo ampie e di fatto rendono inefficace la clausola. Già nel 2022 una relazione del Cnel (consiglio nazionale dell’economia e del lavoro) parlava di deroghe “troppo generiche e tali da fornire ampi margini di disapplicazione”. A ciò si deve aggiungere che, anche dove prevista, questa clausola ha comportato dei problemi. In molti casi infatti le gare sono andate deserte specie nel settore edilizio, dove generalmente la presenza di manodopera in particolare femminile è abbastanza ridotta. Per questo motivo è importante mantenere alta l’attenzione su questi aspetti, fondamentali per raggiungere gli obiettivi che il nostro paese si è posto a proposito di giovani e donne.

Il nostro osservatorio sul PnrrQuesto articolo rientra nel progetto di monitoraggio civico OpenPNRR, realizzato per analizzare e approfondire il piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Ogni lunedì pubblichiamo un nuovo articolo sulle misure previste dal piano e sullo stato di avanzamento dei lavori (vedi tutti gli articoli). Tutti i dati sono liberamente consultabili online sulla nostra piattaforma openpnrr.it, che offre anche la possibilità di attivare un monitoraggio personalizzato e ricevere notifiche ad hoc. Mettiamo inoltre a disposizione i nostri open data che possono essere riutilizzati liberamente per analisi, iniziative di data.

Foto: Unsplash – Saad Salim