Archivi giornalieri: 24 gennaio 2015

San Francesco di Sales

San Francesco di Sales


San Francesco di Sales

Nome: San Francesco di Sales
Titolo: Vescovo e dottore della Chiesa
Ricorrenza: 24 gennaio

Francesco nacque l’anno 1567 nel castello di Sales, diocesi di Ginevra, da Francesco, conte di Sales, e da Francesca di Sionas.

Fin dai primi anni mostrò spiccata inclinazione al bene, e una grande docilità.

Fece i suoi primi studi ad Annecy, e di qui fu mandato a Parigi. Qui studiò retorica, filosofia e teologia presso i PP. Gesuiti. La sua vita era ritirata : frequentava la chiesa e i Sacramenti: fin d’allora fece il voto di castità.

Compiuti gli studi a Parigi, fu dal padre mandato a Padova per addottorarsi in legge. Quivi Francesco fu esposto a grandi pericoli, cui scampò felicemente con la sua forte volontà e l’aiuto di Dio in cui sempre confidava.

Il padre di Francesco aveva pensato di fare del suo figlio uno dei più stimati gentiluomini della società e gli aveva già ottenuto un posto distinto nel senato di Chambery, mentre gli andava preparando un ricco partito. Francesco invece era chiamato a ben altro, e svelò ogni cosa al suo precettore, incaricandolo di farne consapevole il padre. Molti furono gli ostacoli che i genitori gli opposero, ma vedendolo fermo nel suo proposito acconsentirono alla volontà di Dio.

Fatto Sacerdote, il Vescovo di Ginevra lo delegò a combattere l’eresia di Calvino, che infestava tutto il Chiablese. Il nostro Santo ebbe da faticare e soffrire molto per quegli eretici, e corse pericolo più volte di essere assassinato, ma la sua grande dolcezza, unita ad uno zelo instancabile e ad una pietà esemplare, vinse i più ostinati calvinisti tanto da convertirne, dicono, 72 mila. Morto il vescovo di Ginevra Mons. Granier, Francesco fu eletto a succedergli.

Nel 1610 fondò l’ordine delle Suore della Visitazione, coadiuvato dalla S. Madre di Chantal. Quando sentì di non aver più le forze d’un tempo e che la sua salute deperiva, chiese un aiuto per il governo della diocesi. Nonostante fosse ammalato, salì per l’ultima volta il pulpito di Lione nella vigilia del S. Natale 1622, ma il giorno dopo dovette mettersi a letto, con segni manifesti di apoplessia progressiva. Chiese subito gli ultimi Sacramenti, indi con fervore serafico ripetè alcuni passi della S. Scrittura, finchè il male gli tolse la parola e la vita, la sera del 28 dicembre. Non contava ancora 56 anni d’età, 20 dei quali passati nell’episcopato.

Egli è celebre per la sua incomparabile dolcezza, e per i libri che scrisse, ripieni di unzione divina.

PRATICA. Possiede la carità in grado più perfetto chi procura di condurre a Dio più anime che può, essendo lo zelo della salvezza delle anime il sacrificio più accetto che possiamo fare a Dio (S. Agostino). 

PREGHIERA. O Signore, che per la salvezza delle anime, hai voluto che il tuo beato confessore e vescovo Francesco si facesse tutto a tutti, concedi, propizio, che noi ripieni della dolcezza della sua carità, diretti dai suoi insegnamenti e sostenuti dai suoi meriti, conseguiamo i gaudii eterni.

Casula: ecco i film che hanno raccontato il Novecento

Casula: ecco i film che hanno raccontato il Novecento
 
 
 
Lucia Capuzzi
27 dicembre 2014
  
​Una scena di Metropolis di Fritz Lang (1927)
 

Poliedrico, sfaccettato, multiforme. Inafferrabile con le parole, destinate a coglierne solo frammenti, incapaci di ingabbiarlo in una definizione univoca. È il secolo delle antinomie, il Novecento. E perfino questa enunciazione non è che un rimando alle sue molteplici chiavi interpretative. Ci si può concentrare sulle guerre feroci – con un bilancio al ribasso di cento milioni di morti – che l’hanno dilaniato, sui totalitarismi e i troppi genocidi. O, per contro, si può sottolineare come, nel corso del suo svolgimento, si siano create le condizioni materiali e ideali per inedite potenzialità di benessere e libertà. 
Come sintetizzare una simile complessità senza mutilarla? Aiutandosi con la macchina da presa è la proposta contenuta nel saggio 
Insegnare il Novecento. Chiavi di lettura e casi studio con percorsi di storia e cinema di Carlo Felice Casula, appena pubblicato dall’Editoriale Anicia (pagine 336, pagine 22,00). Il cinema, con la sua potenza evocativa, è uno strumento imprescindibile per narrare questo momento così intenso della storia umana. «È l’occhio sul e del Novecento: finestra su ciò che è accaduto ma anche specchio delle sue tensioni. Un film consente una sorta di “doppio tuffo nel passato”: lo spettatore si immerge nella storia raccontata ma anche in quella di quanti – perché è una colossale opera collettiva – la raccontano, nella prospettiva culturale loro e del loro tempo. Lo straordinario Bronte. Cronaca di un massacro di Florestano Vancini narra certo il Risorgimento. Ma anche il post Sessantotto, periodo in cui è stato realizzato, e potrebbe essere incluso in un ciclo di proiezioni sulla “contestazione”, a fianco diFragole e sangue».

Partendo da questa convinzione, Casula, storico dell’Università di Roma Tre, propone un percorso per immagini – in movimento – per trasmettere la memoria del secolo appena trascorso. Un atto «necessario e doveroso per avere conoscenza e coscienza del tempo presente e anche per poter acquisire una matura e consapevole educazione alla cittadinanza planetaria, democratica e solidale», scrive. 

Professore, quasi cent’anni fa David Wark Griffith, uno dei padri fondatori del cinema, aveva vaticinato la sostituzione dei 
libri di storia con i film. Questo non si è avverato. I giovanissimi, però, conoscono molti fatti del passato più perché li hanno visti al cinema o alla tv che per averli studiati. 
«È segno della potenza descrittivo-evocativa del cinema, in grado di toccare anche la parte emotiva dell’essere umano. Attraverso il film la conoscenza della storia avviene in modo quasi naturale: il pubblico interiorizza i fatti ma anche le varie interpretazioni di questi in modo inconsapevole e, per questo, più efficace». 

È meglio il film di un documentario per raccontare la storia?
 

«La distinzione è più terminologica che sostanziale. Il film è sempre un documento per comprendere il periodo storico in cui è stato girato. E il documentario non è mai indipendente da quest’ultimo. Entrambi hanno una natura duplice: sono oggetto di indagine storica – in quanto prodotto di un’epoca e delle sue contraddizioni – e soggetto di trasmissione di conoscenza storica». 

Perché il cinema è così rilevante per narrare
 proprio il Novecento? 

«Per la complessità di questo secolo. Breve, secondo la fortunata definizione di Eric Hobsbawn, che lo fa iniziare nel primo dopoguerra e terminare con il crollo del Muro di Berlino. Eppure straordinariamente intenso. Prendiamo uno fra i più stridenti paradossi novecenteschi, quello fra guerra e pace. Il secolo appena trascorso ha assistito a due conflitti mondiali oltre a una pluralità di guerre diverse per tipo e gradi di ferocia. Eppure, al contempo, ha visto affermarsi l’idea di pace, non più utopia ma sensibilità diffusa, fondamento costituzionale e progetto concreto di un’organizzazione internazionale: prima la Società delle Nazioni, poi l’Onu. Lo stesso vale per l’antinomia tra libertà – sostanziata nel progressivo riconoscimento dei diritti umani, inclusi quelli sociali – e oppressione, fino all’estremo del totalitarismo». 

Se dovesse raccontare queste antinomie attraverso il cinema, quali film sceglierebbe? 
«Posto che un solo film non può racchiudere il Novecento in tutta la sua complessità, vi sono alcuni titoli in grado di penetrare le pieghe del secolo con particolare profondità. Penso a Tempi moderni di Charlie Chaplin eMetropolis di Fritz Lang. Alcune pellicole, inoltre, sono straordinarie “lezioni di storia” su alcuni grandi fatti che hanno segnato il secolo. Come La grande illusione di Jean Renoir, sulla Prima guerra mondiale, o Il trionfo della volontà di Leni Riefenstahl sul nazismo. Come raccontare in modo più efficace la Rivoluzione d’ottobre in Russia di Ejzenštejn inOttobre? O rendere l’incubo di un’apocalisse nucleare meglio di Stanley Kubrick in Il dottor Stranamore? Ci sono, poi, dei film che, pur concentrandosi su un tema specifico, sono cartine di tornasole delle grandi inquietudini novecentesche. Ad esempio, 
Bread and Roses di Ken Loach, in cui il racconto del sogno-incubo americano dell’indocumentada Maya affronta anche la questione della precarietà del lavoro, della migrazione, della lotta per la propria dignità e i propri diritti. Tutti nodi centrali degli ultimi decenni del secolo. Guardando fuori dagli Usa o dall’Europa, bisogna ricordare Le biciclette di Pechino di Wang Xiaoshuai, Invictus di Clint Eastwood, Vai e vivrai 
di Radu Mihaileanu, City of God di Fernando Meirelles. Il filo rosso che unisce questi titoli è l’aprire una finestra sui nuovi protagonisti della contemporaneità, dalla Cina al Brasile, mostrandoci la complessità della storia in cui siamo immersi. Nello straordinario Train de vie, 
sempre di Mihaileanu, infine, la Shoah viene presentata in chiave poeticosurreale. Il gruppo di ebrei in fuga dalla Romania e capaci di inscenare una finta deportazione è, però, una metafora straordinaria degli incubi che hanno marchiato il Novecento. Ma anche delle speranze di questo secolo e del nuovo millennio».