Cassazione sentenza 18211/2012

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Fonte: Cassazione: va riconosciuto stress da lavoro al portiere che fa il turno di notte 

 

Cassazione : fare il portiere di notte è un lavoro usurante e deve risarcirsi il danno

 

Cassazione Sezione Lavoro – Sentenza n. 18211/2012

 

Questa sentenza tratta la storia di un portiere di notte che, dopo aver svolto il proprio lavoro epr oltre 20 anni (dal 1974 al 1997 tutti i giorni dalle 21 alle 9 del mattino successivo) ha chiesto alla società per cui lavorava di essere spostato al turno diurno ma, per tutta risposta, è stato licenziato.

 


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La Società faceva presente al lavoratore di avere già altri due portieri per il turno di giorno e, pertanto, non si poteva esaudire la richiesta di cambio orario.

 

Si aprono le porte del Tribunale e innanzi al giudice del lavoro il portiere ne esce “mezzo vittorioso” in quanto la sentenza di primo grado stabilisce lalegittimità del licenziamento ma, allo stesso tempo, riconosce nei suoi confronti 25 mila euro per la sindrome ansioso-depressiva di cui soffriva. In appello la Corte riconosce al lavoratore la ulteriore somma di 1292 euro a titolo di differenze retributive ma la battaglia legale ancora non è terminata.

 

La società non ritiene usurante il lavoro di portiere anche per le <<pause di inattività>> che il lavoro stesso permette e, pertanto, non era intenzionata apagare queste somme.

 

Il processo si trasferisce dunque dentro il Palazzaccio e, in quest’ultima fase i giudici con l’ermellino spiegano che «in base al principio della ‘ragionevolezza´ l’orario di lavoro deve rispettare i limiti della tutela del diritto alla salute» e che tale principio <<si applica anche alle mansioni discontinue o di semplice attesa>>.

 

I giudici hanno quindi bocciato il ricorso presentato dalla società hanno chiarito che «il criterio distintivo tra riposo intermedio, non computabile ai fini della determinazione della durata del lavoro, e la semplice temporanea inattività, computabile, invece a tali fini, e che trova applicazione anche nel lavoro discontinuo, consiste nella diversa condizione in cui si trova il lavoratore, il quale nel primo caso può disporre liberamente di se stesso per un certo periodo di tempo anche se è costretto a rimanere nella sede del lavoro o a subire qualche limitazione, mentre, nel secondo, pur restando inoperoso, è obbligato a tenere costantemente la propria forza di lavoro per ogni necessità».

 

Infine, hanno fatto notare che «legittimamente la Corte d’appello ha osservato che la società aveva imposto al lavoratore ritmi lavorativi gravosi come tali incidenti sull’equilibrio psico-fisico del medesimo» e, per questi motivi ilsuper lavoro è stato ritenuto «concausa della sindrome nevrotica ansiosa» del lavoratore.


Cassazione sentenza 18211/2012ultima modifica: 2012-10-30T12:37:00+01:00da vitegabry
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