L’Inca Francia e il progetto Esopo
Il progetto “Esopo”rappresenta la continuità naturale dell’importante lavoro sviluppato nel 2011/2012 dall’Inca Belgio e dalle altre associazioni Inca e partner sindacali impegnati nella realizzazione del progetto europeo “Tesse” .
Una continuità naturale a partire dal comune obiettivo di favorire una più ampia conoscenza dei regolamenti comunitari sul coordinamento della sicurezza sociale e dei conseguenti diritti-doveri delle persone che vivono e si spostano nell’Unione europea. Stesso obiettivo, dunque, ma due metodi diversi e complementari.
Se nel progetto Tesse l’attenzione era soprattutto sui regolamenti europei (punti di forza e di debolezza, aspetti poco chiari, proposte di miglioramento, ecc.), Esopo ha messo l’accento sulle persone, attraverso un’importante verifica sul campo della effettiva conoscenza delle norme europee da parte di coloro che dovrebbero beneficiarne.
In entrambi i progetti il punto di partenza è stato il nuovo Regolamento (CE) n. 883/2004 che, appunto, si pone l’obiettivo di modernizzare le norme di coordinamento dei regimi nazionali di sicurezza sociale degli Stati membri, precisando le misure e le procedure necessarie per garantirne la semplificazione e l’attuazione a beneficio ultimo delle persone.
Il progetto Tesse, da parte sua, ha ben evidenziato le due condizioni fondamentali per il buon funzionamento delle regole comunitarie: da un lato una cooperazione più efficace e più stretta tra le istituzioni di sicurezza sociale, dall’altro la diffusione di informazioni chiare e accessibili sul regolamento stesso.
Il valore aggiunto del progetto Esopo sta nel fatto che fino ad oggi l’effettiva conoscenza delle norme comunitarie era un dato stimato ma mai rilevato concretamente attraverso una consultazione delle persone direttamente interessate. Un ambito poco conosciuto e regolato fondamentalmente da un paradigma: le norme ci sono, la loro conoscenza è determinata semplicemente dalla necessità che si produce al manifestarsi di un determinato evento. E i risultati della ricerca confermano questo elemento.
Noi sosteniamo invece che, in un campo delicatissimo quale quello della sicurezza sociale, il contesto legislativo e regolamentare non può divenire noto solo perchè si determina un evento concreto, sia esso dovuto a malattia, a pensionamento, a incidente sul lavoro, a disoccupazione, a malattia professionale o altro.
E, in effetti, la condizione dominante in questo specifico contesto che emerge dalla lettura dei dati è proprio questa: “non conosco perché non ne ho immediata necessità, mi informerò quando dovesse servirmi”. La conseguenza immediata di tale situazione è quella che si potrebbe definire “una minorazione delle opportunità determinate dal corpo legislativo dell’Unione europea in materia di libera circolazione delle persone”. Ne consegue anche la negazione del concetto stesso di “previdenza” (prévoyance in francese): che indica appunto l’essere previdente, il prevedere per tempo i possibili eventi futuri e il provvedervi opportunamente.
Ancora, tale condizione è la sconfessione del principio che “la legge non amette ignoranza” in quanto se la legge non è portata a conoscenza preventiva ai cittadini, l’ignoranza e la conseguente inapplicazione della legge ne sono la concreta ricaduta.
Per questi motivi il progetto Esopo, partendo dai casi di malattia, infortunio e malattia professionale, ha voluto sondare l’effettiva conoscenza, capacità di accesso alle prestazioni e qualità percepita delle prestazioni stesse. E lo ha fatto attraverso questionari, interviste e gruppi focus, ossia rivolgendo delle domande concrete ad un campione di 900 persone, donne e uomini di ogni età, a vario titolo “migranti”, che vivono o lavorano in un paese diverso da quello di origine.
I tre temi che sono stati oggetto dell’indagine nel progetto Esopo (cure mediche, infortunio e malattia professionale) mostrano chiaramente esperienze diverse nei diversi Stati membri. Queste differenze sono il risultato non solo delle rispettive leggi nazionali, ma anche dei diversi concetti di qualità sociale e delle differenti modalità attraverso cui i diritti sociali individuali si sono definiti e strutturati nella condizione di sviluppo socioeconomico dei diversi Paesi.
Promuovere la libera circolazione e al tempo stesso, assicurare il coordinamento tra le diverse condizioni di partenza dei migranti, rappresenta un notevole sforzo, essenziale per un’auspicabile armonizzazione che faccia perno sulle esperienze dei Paesi socialmente più avanzati.
Il nostro progetto si è sviluppato attorno l’idea che l’Ue, per non essere solo una favola ma una realtà “a lieto fine”, deve assumere, con maggiore incisività, la difesa e il sostegno dei diritti delle persone siano essi individuali o collettivi. Ciò implica la messa in atto di tutte le azioni conseguenti per diffondere, difendere e affermare tale principio nell’Europa dei 27 dovendo tener conto dell’insieme di diverse culture, esperienze, condizioni consolidate.
Ognuna di queste diversità è il patrimonio della storia dell’Unione europea e rappresenta la sua ricchezza, il suo dinamismo, la sua capacità costante di affrontare nuove sfide. Sappiamo quanto sia complesso mettere in primo piano i diritti e il benessere delle persone, nella loro specifica condizione di genere, di età, di condizione professionale, di stato di salute eccetera. È un’impresa certamente complessa ma non impossibile se, a fronte di tante diversità, l’Europa sociale assumesse una rilevanza almeno paragonabile a quella dell’Europa della finanza.
In questo panorama, è di strategica importanza l’azione di mediazione, di rappresentanza e di tutela, individuale e collettiva, svolta in tutti i paesi, con diverse modalità, dai sindacati e dalle organizzazioni ad essi collegate. L’esperienza italiana dei “patronati” qui rappresentata dal più antico e dal più grande, l’Inca Cgil, costituisce una modalità che andrebbe meglio studiata nell’insieme dei Paesi dell’Ue in particolare per il ruolo di intermediazione “universale” (ossia senza vincoli di affiliazione o limiti di appartenenza) tra la singola persona e i sistemi istituzionali di protezione sociale.
Anche negli altri Paesi esistono certamente strumenti associativi di aiuto alla persona, ma nella maggioranza dei casi si tratta di strutture che o mancano di un riconoscimento istituzionale, oppure circoscrivono la loro azione alla tutela dei propri affiliati . E i risultati della ricerca mostrano bene come, in assenza di soggetti intermedi riconosciuti ed autorevoli, la persona in difficoltà è sola e quindi più debole dal punto di vista sia economico sia sociale.
Monitorare il grado d’informazione delle persone che vivono in un paese dell’Ue diverso da quello di origine, per quel che riguarda tutta la vastissima casisitica legislativa sulla libera circolazione e sull’accesso alla protezione sociale, è un’operazione che richiederebbe tempi e risorse enormi. Il progetto Esopo si è concentrato quindi su tre condizioni di facile identificazione e di generale interesse per le persone che si spostano all’interno dell’Ue: cure mediche, infortuni sul lavoro, malattie professionali.
Abbiamo fin qui usato l’espressione “persone” anziché “cittadini”, per sottolineare che nell’Ue il numero di migranti non cittadini comunitari è in costante crescita e anche a loro si applicano le norme europee sul coordinamento della sicurezza sociale, a condizione di aver risieduto e lavorato “legalmente” in almeno 2 Stati membri.
Rimane quindi aperto il problema dei cittadini non regolari che vivono e lavorano nei diversi Paesi. Sono uomini e donne spesso esclusi dal mercato del lavoro regolare, persone sfruttate e abbandonate a se stesse e per le quali qualsiasi evento già normalmente stressante – una malattia comune o da lavoro, un infortunio, ma anche l’accesso ad un alloggio, alla scuola, al credito, ecc. – può costituire un un dramma insormontabile, spesso tenuto nascosto dalla persona stessa per paura di ulteriori conseguenze sulla loro condizione, già irregolare, di migrante.
In questi casi anche i metodi della ricerca sociale sono delicati e difficili da usare. Siamo riusciti tuttavia a coglierne alcuni aspetti importanti, e cercheremo di metterli in evidenza proprio per sollecitare azioni che favoriscano l’emersione dalla irregolarità con gli evidenti e naturali benefici che ne possono derivare per la singola persona e anche per le stesse economie, nazionali ed europee.
Le modalità di lavoro prescelte hanno permesso, anche se ancora in termini articolati e in alcuni casi non soddisfacenti, di far crescere la consapevolezza che soltanto migliorando le relazioni tra gli attori sociali può crescere la consapevolezza e la conoscenza della reale condizione di accesso ai diritti sociali per le persone migranti. Le tre aree d’intervento interessano in modo trasversale tutti gli strati delle popolazioni migranti nelle loro diverse condizioni sociali e demografiche e indipendentemente dalle ragioni del loro percorso migratorio: studio, lavoro, riposo, eccetera.
Contestualmente, proprio le tre aree specifiche di analisi sono caratterizzate da condizioni nazionali diversificate, norme applicative articolate, qualità delle prestazioni che riflettono le condizioni socioeconomiche dei diversi Paesi, qualità globale della protezione sociale frutto di storie radicate nella cultura di ciascun popolo.
Particolare attenzione è stata dedicata al lavoro frontaliero. Interessante, come vedremo, è stata anche la scelta di dedicare un approfondimento specifico al caso dei lavoratori frontalieri tra Slovenia e Italia e tra Italia e Francia, paesi “di frontiera” caratterizzati da una notevole mobilità e con una legislazione sociale che presenta interessanti elementi di armonizzazione e altrettante specifiche particolarità.
In questo contesto, è chiaro che una conoscenza superficiale delle regole di coordinamento determina la “mancata fruibilità dei diritti”, e quindi un peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro dei migranti e una limitazione consistente del diritto alla libera circolazione delle persone.
Il lavoro svolto, i risultati della ricerca sviluppatri dall’IRES, il contributo professionale dell’INCA Nazionale e dell’area che si occupa dei danni da lavoro, i risultati dei 6 atelier nazionali e l’apporti di tutti i partner, permetteranno di sviluppare raccomandazioni e proposizioni da consegnare alle Istituzioni europee, a quelle nazionali e alle parti sociali, soffermandosi sui punti di forza e debolezza che rendono le regole di coordinamento più o meno congruenti, adeguate o inadeguate, conosciute o sconosciute, anche in relazione ai cambiamenti del lavoro, dello studio, della terza età.
Italo Stellon
Presidente INCA Francia