Archivi giornalieri: 16 ottobre 2012

L’Inca Franci

L’Inca Francia e il progetto Esopo

 

Il progetto “Esopo”rappresenta la continuità naturale dell’importante lavoro sviluppato nel 2011/2012 dall’Inca Belgio e dalle altre associazioni Inca e partner sindacali impegnati nella realizzazione del progetto europeo “Tesse” .
 
Una continuità naturale a partire dal comune obiettivo di favorire una più ampia conoscenza dei regolamenti comunitari sul coordinamento della sicurezza sociale e dei conseguenti diritti-doveri delle persone che vivono e si spostano nell’Unione europea. Stesso obiettivo, dunque, ma due metodi diversi e complementari. 
 
Se nel progetto Tesse l’attenzione era soprattutto sui regolamenti europei (punti di forza e di debolezza, aspetti poco chiari, proposte di miglioramento, ecc.), Esopo ha messo l’accento sulle persone, attraverso un’importante verifica sul campo della effettiva conoscenza delle norme europee da parte di coloro che dovrebbero beneficiarne.
 
In entrambi i progetti il punto di partenza è stato il nuovo Regolamento (CE) n. 883/2004 che, appunto, si pone l’obiettivo di modernizzare le norme di coordinamento dei regimi nazionali di sicurezza sociale degli Stati membri, precisando le misure e le procedure necessarie per garantirne la semplificazione e l’attuazione a beneficio ultimo delle persone.
 
Il progetto Tesse, da parte sua, ha ben evidenziato le due condizioni fondamentali per il buon funzionamento delle regole comunitarie: da un lato una cooperazione più efficace e più stretta tra le istituzioni di sicurezza sociale, dall’altro la diffusione di informazioni chiare e accessibili sul regolamento stesso. 
 
Il valore aggiunto del progetto Esopo sta nel fatto che fino ad oggi l’effettiva conoscenza delle norme comunitarie era un dato stimato ma mai rilevato concretamente attraverso una consultazione delle persone direttamente interessate. Un ambito poco conosciuto e regolato fondamentalmente da un paradigma: le norme ci sono, la loro conoscenza è determinata semplicemente dalla necessità che si produce al manifestarsi di un determinato evento. E i risultati della ricerca confermano questo elemento.
 
Noi sosteniamo invece che, in un campo delicatissimo quale quello della sicurezza sociale, il contesto legislativo e regolamentare non può divenire noto solo perchè si determina un evento concreto, sia esso dovuto a malattia, a pensionamento, a incidente sul lavoro, a disoccupazione, a malattia professionale o altro. 
 
E, in effetti, la condizione dominante in questo specifico contesto che emerge dalla lettura dei dati è proprio questa: “non conosco perché non ne ho immediata necessità, mi informerò quando dovesse servirmi”. La conseguenza immediata di tale situazione è quella che si potrebbe definire “una minorazione delle opportunità determinate dal corpo legislativo dell’Unione europea in materia di libera circolazione delle persone”. Ne consegue anche la negazione del concetto stesso di “previdenza” (prévoyance in francese): che indica appunto l’essere previdente, il prevedere per tempo i possibili eventi futuri e il provvedervi opportunamente. 
 
Ancora, tale condizione è la sconfessione del principio che “la legge non amette ignoranza” in quanto se la legge non è portata a conoscenza preventiva ai cittadini, l’ignoranza e la conseguente inapplicazione della legge ne sono la concreta ricaduta.

Per questi motivi il progetto Esopo, partendo dai casi di malattia, infortunio e malattia professionale, ha voluto sondare l’effettiva conoscenza, capacità di accesso alle prestazioni e qualità percepita delle prestazioni stesse. E lo ha fatto attraverso questionari, interviste e gruppi focus, ossia rivolgendo delle domande concrete ad un campione di 900 persone, donne e uomini di ogni età, a vario titolo “migranti”, che vivono o lavorano in un paese diverso da quello di origine. 
 
I tre temi che sono stati oggetto dell’indagine nel progetto Esopo (cure mediche, infortunio e malattia professionale) mostrano chiaramente esperienze diverse nei diversi Stati membri. Queste differenze sono il risultato non solo delle rispettive leggi nazionali, ma anche dei diversi concetti di qualità sociale e delle differenti modalità attraverso cui i diritti sociali individuali si sono definiti e strutturati nella condizione di sviluppo socioeconomico dei diversi Paesi.
 
Promuovere la libera circolazione e al tempo stesso, assicurare il coordinamento tra le diverse condizioni di partenza dei migranti, rappresenta un notevole sforzo, essenziale per un’auspicabile armonizzazione che faccia perno sulle esperienze dei Paesi socialmente più avanzati.
 
Il nostro progetto si è sviluppato attorno l’idea che l’Ue, per non essere solo una favola ma una realtà “a lieto fine”, deve assumere, con maggiore incisività,  la difesa e il sostegno dei diritti delle persone siano essi individuali o collettivi. Ciò implica la messa in atto di tutte le azioni conseguenti per diffondere, difendere e affermare tale principio nell’Europa dei 27 dovendo tener conto dell’insieme di diverse culture, esperienze, condizioni consolidate. 
 
Ognuna di queste diversità è il patrimonio della storia dell’Unione europea e rappresenta la sua ricchezza, il suo dinamismo, la sua capacità costante di affrontare nuove sfide. Sappiamo quanto sia complesso mettere in primo piano i diritti e il benessere delle persone, nella loro specifica condizione di genere, di età, di condizione professionale, di stato di salute eccetera. È un’impresa certamente complessa ma non impossibile se, a fronte  di tante diversità, l’Europa sociale assumesse una rilevanza almeno paragonabile a quella dell’Europa della finanza.

In questo panorama, è di strategica importanza l’azione di mediazione, di rappresentanza e di tutela, individuale e collettiva, svolta in tutti i paesi, con diverse modalità, dai sindacati e dalle organizzazioni ad essi collegate. L’esperienza italiana dei “patronati” qui rappresentata dal più antico e dal più grande, l’Inca Cgil, costituisce una modalità che andrebbe meglio studiata nell’insieme dei Paesi dell’Ue in particolare per il ruolo di intermediazione “universale” (ossia senza vincoli di affiliazione o limiti di appartenenza) tra la singola persona e i sistemi istituzionali di protezione sociale. 
 
Anche negli altri Paesi esistono certamente strumenti associativi di aiuto alla persona, ma nella maggioranza dei casi si tratta di strutture che o mancano di un riconoscimento istituzionale, oppure circoscrivono la loro azione alla tutela dei propri affiliati . E i risultati della ricerca mostrano bene come, in assenza di soggetti intermedi riconosciuti ed autorevoli, la persona in difficoltà è sola e quindi più debole dal punto di vista sia economico sia sociale.
 
Monitorare il grado d’informazione delle persone che vivono in un paese dell’Ue diverso da quello di origine, per quel che riguarda tutta la vastissima casisitica legislativa sulla libera circolazione e sull’accesso alla protezione sociale, è un’operazione che richiederebbe tempi e risorse enormi. Il progetto Esopo si è concentrato quindi su tre condizioni di facile identificazione e di generale interesse per le persone che si spostano all’interno dell’Ue: cure mediche, infortuni sul lavoro, malattie professionali. 
 
Abbiamo fin qui usato l’espressione “persone” anziché “cittadini”, per sottolineare che nell’Ue il numero di migranti non cittadini comunitari è in costante crescita e anche a loro si applicano le norme europee sul coordinamento della sicurezza sociale, a condizione di aver risieduto e lavorato “legalmente” in almeno 2 Stati membri.
 
Rimane quindi aperto il problema dei cittadini non regolari che vivono e lavorano nei diversi Paesi. Sono uomini e donne spesso esclusi dal mercato del lavoro regolare, persone sfruttate e abbandonate a se stesse e per le quali qualsiasi evento già normalmente stressante – una malattia comune o da lavoro, un infortunio, ma anche l’accesso ad un alloggio, alla scuola, al credito, ecc. – può costituire un un dramma insormontabile, spesso tenuto nascosto dalla persona stessa per paura di ulteriori conseguenze sulla loro condizione, già irregolare, di migrante.
 
In questi casi anche i metodi della ricerca sociale sono delicati e difficili da usare. Siamo riusciti tuttavia a coglierne alcuni aspetti importanti, e cercheremo di metterli in evidenza proprio per sollecitare azioni che favoriscano l’emersione dalla irregolarità con gli evidenti e naturali benefici che ne possono derivare per la singola persona e anche per le stesse economie, nazionali ed europee.
 
Le modalità di lavoro prescelte hanno permesso, anche se ancora in termini articolati e in alcuni casi non soddisfacenti, di far crescere la consapevolezza che soltanto migliorando le relazioni tra gli attori sociali può crescere la consapevolezza e la conoscenza della reale condizione di accesso ai diritti sociali per le persone migranti. Le tre aree d’intervento interessano in modo trasversale tutti gli strati delle popolazioni migranti nelle loro diverse condizioni sociali e demografiche e indipendentemente  dalle ragioni del loro percorso migratorio: studio, lavoro, riposo, eccetera.
 
Contestualmente, proprio le tre aree specifiche di analisi sono caratterizzate da condizioni nazionali diversificate, norme applicative articolate, qualità delle prestazioni che riflettono le condizioni socioeconomiche dei diversi Paesi, qualità globale della protezione sociale frutto di storie radicate nella cultura di ciascun popolo.
 
Particolare attenzione è stata dedicata al lavoro frontaliero. Interessante, come vedremo, è stata anche la scelta di dedicare un approfondimento specifico al caso dei lavoratori frontalieri tra Slovenia e Italia e tra Italia e Francia, paesi “di frontiera” caratterizzati da una notevole mobilità e con una legislazione sociale che presenta interessanti elementi di armonizzazione e altrettante specifiche particolarità.

In questo contesto, è chiaro che una conoscenza superficiale delle regole di coordinamento determina la “mancata fruibilità dei diritti”, e quindi un peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro dei migranti e una limitazione consistente del diritto alla libera circolazione delle persone.

Il lavoro svolto, i risultati della ricerca sviluppatri dall’IRES, il contributo professionale dell’INCA Nazionale e dell’area che si occupa dei danni da lavoro, i risultati dei 6 atelier nazionali e l’apporti di tutti i partner, permetteranno di sviluppare raccomandazioni e proposizioni da consegnare alle Istituzioni europee, a quelle nazionali e alle parti sociali, soffermandosi sui punti di forza e debolezza che rendono le regole di coordinamento più o meno congruenti, adeguate o inadeguate, conosciute o  sconosciute, anche in relazione ai cambiamenti del lavoro, dello studio, della terza età.

Italo Stellon
Presidente INCA Francia

L’immigrazione in tempi di crisi

L’immigrazione in tempi di crisi

 

Gli stranieri rappresentano una risorsa per il territorio nazionale soprattutto in questo periodo di crisi: in Italia si contano oltre 2 milioni di lavoratori immigrati (il 9,8% del totale degli occupati), in sede di dichiarazione dei redditi notificano al fisco 41,6 miliardi di € (pari al 5,3% del totale dichiarato) e pagano di Irpef 6,2 miliardi di € (pari al 4,1% del totale dell’imposta netta). Ma rappresentano la parte di popolazione che maggiormente ha subìto gli effetti negativi della crisi (il tasso di disoccupazione straniero è passato dall’8,5% del 2008 all’12,1% del 2011), mostrano livelli di povertà più elevati (il 42,2% delle famiglie straniere vive al di sotto della soglia di povertà) e le loro retribuzioni sono inferiori di oltre 300 € rispetto ai lavoratori italiani.

Questi alcuni dei risultati raccolti nel Rapporto Annuale sull’Economia dell’Immigrazione 2012 realizzato dalla Fondazione Leone Moressa e patrocinato dall’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) e dal Ministero degli Affari Esteri, presentato ieri presso il Polo Umanistico dell’Università Ca’Foscari di Venezia.

“Nonostante il periodo di crisi”, ha affermato il Direttore dell’Ufficio di Coordinamento per il Mediterraneo dell’OIM, José Angel Oropeza, “nessuno può negare il contributo che gli immigrati hanno dato e danno all’Italia e allo sviluppo del Paese. D’altronde la migrazione è un fenomeno epocale che riguarda tutto il mondo e di fronte al quale è necessario che i governi scelgano cosa fare: adottare una politica di chiusura o, come suggeriamo noi, promuovere invece una politica di apertura, riconoscendo il ruolo delle migrazioni come parte integrante dell’economia mondiale e i migranti come componenti essenziali per la piena ripresa dalla crisi economica contemporanea”

regolarizzazione immigrati

Cgil: regolarizzazione immigrati, serve la proroga.

Troppi immigrati ancora esclusi

 “Siamo ormai agli ultimi tre giorni della regolarizzazione dei lavoratori e delle lavoratrici immigrati irregolari e le domande pervenute sono poco meno di 100.000.

A giudicare da come è stato architettato e gestito questo provvedimento, è quasi un miracolo, ma ora serve una proroga”. Lo affermano Vera Lamonica, segretario confederale della Cgil e Pietro Soldini, responsabile immigrazione della confederazione a proposito dei tempi della regolarizzazione degli immigrati.

“Appena qualche giorno fa – spiega Vera Lamonica – a nove giorni dalla scadenza dei termini, è giunto un parziale chiarimento su quali sono gli organismi pubblici che possono certificare la prova di presenza in Italia. Già solo questo renderebbe necessaria appunto la proroga della scadenza ed è inaccettabile che a tale richiesta il governo non risponda.

Ciò significa che un consistente numero di immigrati rimarrà irregolare, e continuerà  ad essere vittima di lavoro nero e super sfruttamento. A chi giova una situazione di questo genere?”

“Per la Cgil – conclude la dirigente sindacale – la battaglia continua perché il lavoro nero è una delle vere emergenze del Paese. La direttiva 52 apre nuovi spazi di iniziativa sindacale per la regolarizzazione e la Cgil li userà tutti”

Infortuni sul lavoro

Infortuni sul lavoro. Per l’Inail agli orfani superstiti di genitori divorziati spettano gli stessi diritti previsti per i figli natural

Il quesito è stato sollevato dall’Inca all’Istituto assicuratore che, rispetto alla decisione dell’Inail, esprime soddisfazione

In caso di infortunio mortale sul lavoro, ai minori di genitori divorziati spetta una rendita pari al 40 per cento e non al 20 della retribuzione, cioè la stessa tutela prevista per i figli naturali superstiti. 

Lo ha stabilito in via definitiva l’Inail che, nella circolare interpretativa dell’11 ottobre scorso, ha accolto le osservazioni sollevate dall’Inca in merito all’applicazione della normativa riguardante gli indennizzi e i risarcimenti dovuti ai familiari superstiti delle vittime del lavoro.

Nello specifico, il caso segnalato dalla sede Inca di Faenza, riguardava un minore di un genitore divorziato deceduto a seguito di un infortunio sul lavoro, al quale, applicando alla lettera la normativa (art. 85 T.U.1124/1965) non sarebbe spettata la stessa quota di rendita applicata ai figli naturali superstiti a seguito di una sentenza della Corte Costituzionale. 

L’obiezione sollevata dall’inca verso l’Inail scaturisce dalla considerazione che così come la Consulta (con la sentenza n. 86 del 2000), riconoscendo ingiustificato il diverso trattamento previsto fra un figlio orfano di entrambi i genitori, regolarmente sposati, e il minore di una coppia di fatto, ha fatto scaturire il diritto all’indennizzo del 40 per cento della retribuzione anche ai figli naturali, altrettanto dovrebbe accadere per gli orfani di genitori divorziati che si troverebbero nelle stesse condizioni.

Infatti, in caso di infortunio mortale di uno dei due genitori divorziati, poiché al coniuge superstite non viene riconosciuto alcun indennizzo, il trattamento del minore, se non equiparato a quello riservato ai figli naturali, sarebbe discriminatorio.

A seguito della decisione assunta ufficialmente nella circolare interpretativa n.55 dell’11 ottobre, l’Inail ha dato disposizioni precise alle proprie sedi affinché riconoscano il diritto all’indennizzo, pari al 40% della retribuzione del genitore deceduto, anche al minore superstite di genitori divorziati.              

Si tratta di un risultato importante – è il commento di Franca Gasparri, della presidenza dell’Inca –  che, riconoscendo il valore sociale del nostro lavoro a tutela dei diritti delle persone, contribuisce e arricchisce la collaborazione tra patronati e istituzioni, grazie alla quale si possono evitare inutili, quanto onerosi, ricorsi alla magistratura

Legge di Stabilità

NEWS

Legge di Stabilità: Cgil, misure contro disabili sono mostruosità inqualificabile

 

“Una mostruosità che provoca la mancanza di respiro. Non ci sono altre parole per qualificare un provvedimento, e nello specifico le misure che colpiscono le persone con disabilità, di un cinismo inimmaginabile”.  Così la responsabile dell’Ufficio disabilità della Cgil Nazionale, Nina Daita, commenta i provvedimenti contenuti nel disegno di legge stabilità relativi al mondo della disabilità.

Secondo la dirigente sindacale “è rivoltante soltanto immaginare di tassare i cani dei ciechi, così come l’interprete dei sordomuti. Due beni essenziali che permettono alle persone con disabilità di poter espletare una funzione fondamentale: quella di poter vivere, di poter camminare e di poter sentire. Come si può soltanto pensare a misure del genere, venate di un crudele cinismo che ci riporta indietro di secoli?”. 

Per Daita, le misure allo studio del governo sulla disabilità, “sono un modo irresponsabile per dare la stura ai sentimenti peggiori, quelli della pancia per cui gli invalidi sono tutti dei falsi invalidi, alzando così un muro tra le persone cosiddette normali e i disabili. Così li si ghettizza, facendoli sentire un costo per la società e non una risorsa, che è ciò che sono”.

Questo governo, prosegue la sindacalista, “non ha chiaro che i disabili non godono di sussidi ma di ausili per l’integrazione. L’indennità di accompagnamento non è tassabile perché è il risarcimento di un danno ricevuto, è un diritto perfetto, come stabilito dalla Suprema Corte. Pensare di ripianare il bilancio dello Stato facendo cassa sui più deboli, invece di adottare una patrimoniale sulle grandi ricchezze, è una mostruosità nei confronti della quale opporremo una estrema resistenza. Fino a quando – conclude – questo governo abuserà della pazienza delle persone con disabilità?”