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E’ fragile il sistema italiano di accoglienza dei profughi e richiedenti asilo: lo denuncia il Dossier Statistico Immigrazione 2012 di Caritas e Migrantes, presentato oggi, che ricorda come l’Italia sia una terra d’asilo, visto che dal dopoguerra a oggi le domande di accoglienza al nostro Paese sono state piu’ di mezzo milione.
Nel 2011 le domande sono state presentate in prevalenza da persone provenienti dall’Europa dell’Est e dal martoriato continente africano; quasi un terzo (30%) delle richieste prese in esame (24.150) e’ stato definito positivamente.
In Italia – informa il dossier – per far fronte alle esigenze di accoglienza, si dispone di 3 mila posti che fanno capo al Servizio per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar) in collaborazione con Enti locali, Regioni e mondo sociale, e di 2 mila posti assicurati dai Centri di accoglienza per richiedenti asilo (Cara), mentre è di altri 3 mila posti la capienza dei Centri di accoglienza per immigrati. Oltre a questa rete di servizi già esistente, le Regioni – con il coordinamento della Protezione Civile – hanno dichiarato la disponibilità di altri 50 mila posti, di cui la metà è stata effettivamente utilizzata per accogliere le persone in fuga dal Nord Africa, che sono state in tutto circa 60 mila tra Tunisia e Libia.
Manca dunque, sottolinea il rapporto, un sistema unificato e stabile, basato sul coordinamento di tutte le strutture coinvolte, anche per riuscire a garantire una maggiore attenzione alle categorie piu’ vulnerabili, a partire dai minori. In effetti, nel 2011, dice il dossier, ben 7.431 persone (numero peraltro sottostimato) sono rimaste in lista d’attesa per accedere allo Sprar e poter fruire cosi’ di un percorso di accoglienza.
Gli immigrati, dice il rapporto, sono concentrati nelle fasce piu’ basse del mercato del lavoro: mentre fra gli italiani, ad esempio, gli operai sono il 40%, la quota sale all’83% fra gli immigrati comunitari e al 90% tra quelli non comunitari. Inoltre, essi sono piu’ esposti al rischio di infortuni: tra gli stranieri, in controtendenza rispetto all’andamento generale, gli infortuni sono cresciuti raggiungendo un’incidenza media del 15,9% sugli infortuni complessivi (15% nel 2010). Sono oltre un milione, poi, gli stranieri iscritti ai sindacati.
La categoria piu’ numerosa è quella dei collaboratori familiari (poco piu’ di 750 mila quelli iscritti all’Inps).
Infine, gli introiti che gli immigrati assicurano alle casse pubbliche sono più elevati rispetto a quanto si spende per loro: il bilancio tra costi e benefici, per le casse dello Stato, derivanti dal lavoro degli immigrati, secondo le stime del dossier è positivo per 1,7 miliardi di euro.
“Bisogna fare con urgenza la massima chiarezza sulle dinamiche dell’incidente, e sulle relative responsabilità che, nel caso di questo tipo di accadimenti, non sono mai vaghe o non accertabili”. E’ quanto afferma il segretario confederale della Cgil Elena Lattuada, in merito all’incidente mortale avvenuto oggi nello stabilimento Ilva di Taranto.
“Inoltre – prosegue la dirigente sindacale – vogliamo esprimere il nostro cordoglio e la nostra vicinanza alla famiglia e ai colleghi di lavoro del giovanissimo operaio morto oggi, insieme a tutto il nostro appoggio alle iniziative che si svolgeranno oggi e nei prossimi giorni nello stabilimento.”
Secondo Lattuada “ancora una volta bisogna pretendere rispetto per la vita umana e per le condizioni di lavoro delle persone, che non devono essere sacrificate ad una logica di profitto a tutti i costi e nel mancato rispetto delle norme. Ciò vale per le norme di salvaguardia della sicurezza, così come per quelle della protezione della salute e dell’ambiente, come abbiamo sempre detto in merito alla vicenda più complessiva dell’Ilva.”
Fonte: Cassazione: va riconosciuto stress da lavoro al portiere che fa il turno di notte
Cassazione : fare il portiere di notte è un lavoro usurante e deve risarcirsi il danno
Cassazione Sezione Lavoro – Sentenza n. 18211/2012
Questa sentenza tratta la storia di un portiere di notte che, dopo aver svolto il proprio lavoro epr oltre 20 anni (dal 1974 al 1997 tutti i giorni dalle 21 alle 9 del mattino successivo) ha chiesto alla società per cui lavorava di essere spostato al turno diurno ma, per tutta risposta, è stato licenziato.
La Società faceva presente al lavoratore di avere già altri due portieri per il turno di giorno e, pertanto, non si poteva esaudire la richiesta di cambio orario.
Si aprono le porte del Tribunale e innanzi al giudice del lavoro il portiere ne esce “mezzo vittorioso” in quanto la sentenza di primo grado stabilisce lalegittimità del licenziamento ma, allo stesso tempo, riconosce nei suoi confronti 25 mila euro per la sindrome ansioso-depressiva di cui soffriva. In appello la Corte riconosce al lavoratore la ulteriore somma di 1292 euro a titolo di differenze retributive ma la battaglia legale ancora non è terminata.
La società non ritiene usurante il lavoro di portiere anche per le <<pause di inattività>> che il lavoro stesso permette e, pertanto, non era intenzionata apagare queste somme.
Il processo si trasferisce dunque dentro il Palazzaccio e, in quest’ultima fase i giudici con l’ermellino spiegano che «in base al principio della ‘ragionevolezza´ l’orario di lavoro deve rispettare i limiti della tutela del diritto alla salute» e che tale principio <<si applica anche alle mansioni discontinue o di semplice attesa>>.
I giudici hanno quindi bocciato il ricorso presentato dalla società hanno chiarito che «il criterio distintivo tra riposo intermedio, non computabile ai fini della determinazione della durata del lavoro, e la semplice temporanea inattività, computabile, invece a tali fini, e che trova applicazione anche nel lavoro discontinuo, consiste nella diversa condizione in cui si trova il lavoratore, il quale nel primo caso può disporre liberamente di se stesso per un certo periodo di tempo anche se è costretto a rimanere nella sede del lavoro o a subire qualche limitazione, mentre, nel secondo, pur restando inoperoso, è obbligato a tenere costantemente la propria forza di lavoro per ogni necessità».
Infine, hanno fatto notare che «legittimamente la Corte d’appello ha osservato che la società aveva imposto al lavoratore ritmi lavorativi gravosi come tali incidenti sull’equilibrio psico-fisico del medesimo» e, per questi motivi ilsuper lavoro è stato ritenuto «concausa della sindrome nevrotica ansiosa» del lavoratore.
I lavoratori che hanno subito un infortunio o contratto una malattia professionale a causa del lavoro, sono assistiti e tutelati dal patronato INCA nei confronti degli Enti assicuratori (INAIL, IPSEMA, ENPAIA).Per fare questo l’INCA si avvale di una rete legale e medico-legale di qualita’, del rapporto con i Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza (RLS) e con le Rappresentanze Sindacali Unitarie (RSU) nei luoghi di lavoro.
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“Riteniamo necessario che le Commissioni parlamentari chiamate ad esprimere un parere sul decreto armonizzazioni, rivedano la norma che alza l’età di pensionamento per diverse tipologie lavorative”. Lo afferma Vera Lamonica, segretario confederale della Cgil, secondo la quale la norma introduce ulteriori discriminazioni e ingiustizie nei confronti in particolare di una parte del mondo del lavoro.
“E’ inaccettabile ad esempio – spiega la sindacalista – alzare l’età di pensionamento per minatori e cavatori che svolgono mansioni gravose e che, proprio per questa ragione, hanno un’aspettativa di vita molto più bassa della media”.
“Inoltre – prosegue Lamonica – come dimostrano le vicende recenti del Sulcis, questi lavoratori subiscono pesantemente i colpi della crisi. Proprio per questo la decisione del governo a proposito dell’innalzamento dell’età pensionabile per queste categorie di lavoratori risulta particolarmente vessatoria e va al più presto rivista”.
Il Consiglio dei ministri ha approvato l’aumento dell’età pensionabile dei minatori, da 55 a 56 anni, nella riunione di venerdì 26 ottobre.
Mercoledì 31 ottobre la rete “Cresce il welfare cresce l’Italia” si mobilita in piazza Montecitorio dalle 11 alle 13, mentre delegazioni delle 50 organizzazioni promotrici incontreranno esponenti della politica e delle istituzioni. Alle 13 è prevista una conferenza stampa nella sala del Capranichetta, sito sulla stessa piazza Montecitorio.
Le cinquanta organizzazioni del terzo settore e del mondo sindacale raccolte nella rete “Cresce il welfare, cresce l’Italia” si sono date appuntamento a Roma per dire al governo Monti che è sbagliato contrapporre welfare e crescita economica, anzi che proprio il welfare rappresenta un motore di sviluppo per far ripartire il nostro Paese. I contenuti e gli obiettivi della mobilitazione sono raccolti in una piattaforma comune che è stata sottoscritta dalle organizzazioni promotrici ed aderenti, disponibile sul sito www.cresceilwelfare.it, oltre che sui siti delle organizzazioni promotrici e aderenti.
La giornata di mobilitazione comincerà in mattinata: verrà allestito un palco e si alterneranno testimonianze dal sociale e musica. Qui confluiranno gruppi di volontari e attivisti delle organizzazioni sociali che daranno vita a flash mob in vari punti della città. Contemporaneamente verranno formate delegazioni con rappresentanti della rete “Cresce il welfare, cresce l’Italia” che saranno ricevute da esponenti delle istituzioni e dei gruppi parlamentari.
Organizzazioni promotrici e aderenti:
Altramente; ANPAS – Associazione Nazionale Pubbliche Assistenze; ARCI; Arciragazzi; ASC – Arci Servizio Civile Nazionale; Associazione Antigone; Associazione Nuovo Welfare; Auser; CGIL; Cilap-Eapn Italia; Cittadinanzattiva; CNCA; Conferenza Permanente per la Salute Mentale nel Mondo “Franco Basaglia”; Consiglio Nazionale Ordine Assistenti Sociali; Coordinamento Nazionale Nuove Droghe; Federconsumatori; FISH – Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap; Fondazione Franca e Franco Basaglia; Forum Droghe; Forum Nazionale Salute Mentale; FP-CGIL; Gruppo Abele; Grusol – Gruppo Solidarietà; Handy Cup Onlus; INCA; IRES; Itaca – Associazione Europea degli Operatori Professionali delle Tossicodipendenze; Jesuit Social Network Italia Onlus; La Bottega del Possibile; La Rivista delle Politiche Sociali; Legacoopsociali; Mama Africa Onlus; Opera Don Calabria; Psichiatria Democratica; SOS Sanità; SPI-CGIL; Stop OPG; UIL; Uisp; UNASAM; Università Del Terzo Settore.
Al tempo della sua approvazione il Testo Unico sugli infortuni e malattie professionali (Dpr 1124/65) ha rappresentato certamente un grande passo in avanti nel campo delle tutele assicurative nei confronti dei lavoratori vittime di infortuni e malattie, ma seppur modificato nel corso del tempo oggi mostra con sempre maggiore evidenza segni di inadeguatezza rispetto alle esigenze della società contemporanea. Per questo motivo è stata presentata una proposta di legge dall’on.le Schirru del Pd tendente a rendere la normativa più attuale e conforme alle reali esigenze della società italiana contemporanea, intervenendo sull’articolo 4 (categorie di persone comprese nell’Assicurazione) e sull’articolo 85 (disciplina del risarcimento dovuto ai superstiti di persone decedute a seguito di infortunio sul lavoro).
Nell’articolo 4, la modifica richiesta è volta a estendere la copertura assicurativa agli insegnanti e alunni delle scuole o istituti di istruzione di qualsiasi ordine e grado, restituendo un margine di serenità a un ambiente che negli ultimi anni, anziché essere supportato è stato posto in difficili condizioni operative. Da non dimenticare anche che il DL n. 201/2011 (art. 6) ha abolito per i dipendenti pubblici, la causa di Servizio, una prestazione che veniva erogata in caso di infortunio o malattia insorta a seguito delle mansioni svolte, eccezion fatta per i Militari, i Carabinieri, la Polizia di Stato, la Polizia Forestale, la Polizia Penitenziaria, la Guardia di Finanza e i Vigili del Fuoco.
La seconda correzione riguardante l’articolo 85 si pone l’obiettivo di modernizzare la norma e renderla più “civile” e al passo coi tempi, equiparando il convivente more uxorio al coniuge superstite, consentendogli di usufruire degli stessi diritti spettanti a quest’ultimo. Inoltre, prevede anche di consentire ai genitori delle vittime che non abbiano coniugi, conviventi o figli, di usufruire della rendita loro spettante anche se non a carico del defunto.
In merito alla proposta – Franca Gasparri, della Presidenza dell’Inca – ritengo che sia condivisibile in tutte le sue parti in special modo laddove si rivolge ai diritti delle coppie di fatto che attualmente rappresentano nel nostro Paese una realtà cospicua. Secondo l’Istat infatti sono circa 500.000, ma la stima è certamente al ribasso se la rapportiamo alla percentuale delle nascite avvenute fuori dal matrimonio. Basti pensare che erano appena l’8% nel 2001, mentre oggi sono più che raddoppiati, arrivando al +23% a dimostrazione – continua Gasparri – che le coppie di fatto non sono più una patologia, ma una fisiologia del nostro Paese e dunque è necessario che il Parlamento risolva queste problematiche in favore di quei diritti civili, previdenziali e assistenziali che non possono più attendere, ma che vedranno il patronato della Cgil, sempre in prima linea a fianco dei più emarginati per ribadire ancora una volta la sua funzione di rappresentanza e tutela individuale in favore di tutti i cittadini.