Archivio mensile:giugno 2023

Sant’ Ireneo di Lione

 

Sant’ Ireneo di Lione


Nome: Sant’ Ireneo di Lione
Titolo: Vescovo e martire
Nascita: 121 , Smirne
Morte: 202, Lione
Ricorrenza: 28 giugno
Martirologio: edizione 2004
Tipologia: Commemorazione
Il nome di S. Ireneo è legato alla schiera numerosa di quegli eroi che col martirio illustrarono la Chiesa di Lione. Nato l’anno 121 nelle vicinanze di. Smirne, ebbe per primo precettore l’illustre vescovo di quella città S. Policarpo. Da questo insigne maestro succhiò lo spirito apostolico ed apprese quella scienza che Io rese uno dei più belli ornamenti della Chiesa, in quei tempi di lotta e di sangue. Ancora giovane, erudito in ogni scienza e dotato di meravigliosa facondia, diede un primo assalto alle vituperose dottrine degli Gnostici e Valentiniani che avevano corrotto la dottrina di Cristo. Ma il desiderio di approfondire negli studi lo spinse a Roma, dove insegnavano i più celebri maestri del suo tempo, e fu tale il progresso che fece in queste scuole, che al fine dei corsi poteva ormai gareggiare con i suoi precettori.

Recatosi nelle Gallie fissò la sua dimora a Lione dove era. vescovo S. Potino. Questi, conosciuti i talenti e le virtù, eminenti del giovane, lo propose agli ordini sacri e al sacerdozio.

Da quell’istante lo zelo del novello levita non ebbe più misura. La sua parola penetrava i cuori e conquistava: cadevano gli idoli e i templi, e la luce della verità illuminava le menti degli idolatri che a schiere chiedevano il S. Battesimo.

Alla predicazione Ireneo aggiunse numerosissimi scritti, fonti inesauribili di dottrina e di sapienza. Scritti che, secondo S. Girolamo, erano una barriera insormontabile contro la quale si infrangevano gli sforzi ed i sofismi dei nemici di Cristo e della Chiesa. Alcuni di essi andarono perduti, ma molti si conservano, tra i quali i cinque libri contro gli eresiarchi, che sono una delle più belle analogie della dottrina cristiana. A questo lavoro egli seppe pure accoppiare una profonda pietà dando i più, ammirabili, esempi di virtù.

Essendo stato martirizzato il, santo. vescovo Potino, il popolo lionese, unanime, .elesse alla sede vescovile.
S. Ireneo, il quale recatosi a Roma per la consacrazione, portò al Papa S. Eleuterio una lettera ridondante del più forte attaccamento al Vicario di Gesù Cristo, e ri tornò alla sua sede confortato dalla benedizione del Sommo Pastore.

Conscio della nuova missione che il Signore gli aveva affidato, non si concesse un istante di riposo. Predicò con la parola, con l’esempio e con la potenza dei miracoli. Sorta in quel tempo la questione circa la celebrazione della Pasqua, il Papa Vittore minacciò la scomunica ai vescovi dell’Asia che su questo punto dissentivano dai loro fratelli nell’episcopato. S. Ireneo intervenne colla sua autorità e portò la pace. Dopo tutto questo sigillò sotto Settimio Severo, col sangue, quella fede che aveva predicato e per la quale aveva tanto sofferto. Benedetto XV ne estese la festa a tutta la Chiesa, cingendolo dell’aureola di dottore.

PRATICA. Impariamo da S. Ireneo l’attaccamento al Papa e con lui sappiamo combattere da veri soldati per essere degni del nome di cristiani.

PREGHIERA. O Dio, che desti al beato martire e vescovo Ireneo la grazia di espugnare l’eresia e consolidare la pace nella Chiesa, deh! concedi al tuo popolo forza e costanza nella santa religione.

MARTIROLOGIO ROMANO. Memoria di sant’Ireneo, vescovo, che, come attesta san Girolamo, fu, da piccolo, discepolo di san Policarpo di Smirne e custodì fedelmente la memoria dell’età apostolica; fattosi sacerdote del clero di Lione, succedette al vescovo san Potino e si tramanda che come lui sia stato coronato da glorioso martirio. Molto disputò al riguardo della tradizione apostolica e pubblicò una celebre opera contro le eresie a difesa della fede cattolica.

Cos’è la politica europea di coesione

Cos’è la politica europea di coesione

Sono tutti gli investimenti attuati tramite i fondi strutturali europei che hanno l’obiettivo di ridurre i divari economici e sociali tra i territori.

Definizione

A livello europeo, sono previsti investimenti per sostenere le economie degli stati membri, con una forte attenzione alla riduzione dei divari tra le regioni. L’insieme di norme, fondi e interventi che hanno questa funzione specifica è definito dalla politica di coesione. L’espressione “coesione” viene intesa sotto tre aspetti principali: quello economico, quello sociale e quello territoriale.

Questo è il principale piano di investimento europeo, che si innesta su tutta una serie di fondi legati a diversi settori, come ad esempio il fondo europeo di sviluppo regionale (che promuove lo sviluppo economico) e il fondo sociale europeo (che comprende incentivi all’occupazione). Ha le sue basi giuridiche all’interno degli articoli che vanno dal 174 al 178 del trattato sul funzionamento dell’unione europea (Tfeu).

Per promuovere uno sviluppo armonioso dell’insieme dell’Unione, questa sviluppa e prosegue la propria azione intesa a realizzare il rafforzamento della sua coesione economica, sociale e territoriale.

Sono due gli ambiti specifici su cui insiste la politica di coesione:

  • Investimenti a favore dell’occupazione e della crescita;
  • cooperazione territoriale europea.

Una particolare attenzione viene riservata alle zone rurali e a quelle che presentano rilevanti svantaggi demografici come le aree a bassa densità demografica e le regioni insulari, transfrontaliere e di montagna.

Dati

Per quel che riguarda il periodo 2021-2027, la politica di coesione verrà finanziata attraverso il quadro finanziario pluriennale, che viene redatto per definire i budget dei fondi strutturali.

392 miliardi le risorse complessive della politica di coesione 2021-2027.

Di questi, circa 11,3 miliardi saranno trasferiti al meccanismo per collegare l’Europa, un sistema di sostegno alle infrastrutture dei trasporti, e 2,5 invece avranno lo scopo di finanziare le funzioni tecniche e di supporto dei programmi. Sono quindi 378 miliardi quelli che verranno utilizzati per il finanziamento dei progetti e il raggiungimento degli obiettivi europei.

Di questi fondi, la maggior parte è destinata agli investimenti legati al primo obiettivo, quello relativo agli investimenti e alla crescita, con circa 369 miliardi. Per quel che riguarda i contributi del fondo europeo di sviluppo regionale e il fondo sociale europeo (complessivamente l’85% di questo primo obiettivo), vengono allocati seguendo un criterio di classificazione regionale. I territori sono quindi stati divisi a seconda del grado di sviluppo economico in modo da comprendere verso quali aree veicolare i fondi.

Le zone considerate meno sviluppate dal punto di vista economico si trovano in particolare nelle aree orientali e meridionali dell’Unione. Si può vedere come per numerosi casi sia la regione della capitale ad essere quella più avanzata, come nel caso di Bucarest e dell’area metropolitana di Lisbona. In Italia, le regioni meno sviluppate sono tutte quelle del mezzogiorno ad eccezione dell’Abruzzo che è in transizione.

Per quel che riguarda invece il secondo obiettivo, risultano stanziati complessivamente 9 miliardi di euro. Sono implementati principalmente nei programmi di cooperazione tra frontiere, transnazionali, interregionali e tra le regioni più esterne.

Analisi

Gli strumenti della politica di coesione hanno portato ad alcuni risultati, principalmente nelle aree dell’Europa orientale in cui i livelli di reddito erano più bassi. Istat rileva che per le altre zone non è avvenuto questo processo di convergenza, comprese quelle italiane. Si evidenzia invece che tutte le regioni si stanno generalmente allontanando dalla media europea.

Non si è verificato il processo di convergenza delle regioni italiane classificate come “meno sviluppate” (pressoché quasi tutto il Mezzogiorno d’Italia ad eccezione dell’Abruzzo), che hanno continuato a crescere sempre molto meno della media dei Paesi dell’Ue27. Ma è l’intero sistema Paese Italia che si è contraddistinto per un processo di progressivo allontanamento dal dato medio europeo: nel 2000 erano ben 10 le regioni italiane fra le prime 50 per Pil pro capite in ppa e nessuna fra le ultime 50. Nel 2021 fra le prime 50 ne sono rimaste solo quattro (Provincia autonoma di Bolzano/Bozen, Lombardia, Provincia autonoma di Trento e Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste), mentre fra le ultime 50 ora se ne trovano ben quattro (Puglia, Campania, Sicilia e Calabria).

In questo scenario si inserisce anche lo strumento del Next generation Eu (Ngeu), che contribuisce alla coesione economica, sociale e territoriale dei paesi dell’Unione. A fianco dei fondi ordinari si affianca quindi anche questa componente straordinaria che è stata definita dal piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) che ogni singolo stato ha dovuto compilare.

Analisi dei fabbisogni e competenze sono la chiave per raggiungere una convergenza economica.

Sono quindi numerose le possibilità di finanziamento per avere un avanzamento delle infrastrutture degli stati membri, ciascuna con le sue clausole e regole particolari. Si rivelano quindi cruciali il personale e le competenze per seguire i bandi europei e per presentare dei progetti che risultino ammissibili a finanziamento. Solitamente, è più facile per le aree sviluppate accedere a questi fondi proprio per questi motivi: senza lavoratori formati per seguire questi aspetti, si rischia di ampliare il divario invece che appianarlo. Ma in questo anche l’analisi dei fabbisogni gioca un ruolo fondamentale: in ambito politica agricola comunitaria (Pac), la corte dei conti europea ha puntualizzato che una delle complessità maggiori nella gestione dei fondi è data dal poco utilizzo di dati disaggregati, cruciali nella definizione delle aree locali più piccole in cui è necessario un intervento.

 

La parità di genere al vertice dei ministeri si è ridotta Mappe del potere

La parità di genere al vertice dei ministeri si è ridotta Mappe del potere

Negli ultimi anni la quota di donne che ricopre incarichi apicali presso i ministeri o la presidenza del consiglio si è molto ridotta. Un fenomeno che ha riguardato almeno gli ultimi 3 esecutivi ma che ha accelerato nel corso dell’ultimo anno.

 

Negli ultimi anni il numero di donne in posizioni apicali nella pubblica amministrazione si è ridotto. Un fenomeno che ha coinvolto almeno gli ultimi 3 esecutivi e che risulta evidente per quanto riguarda i vertici dei ministeri.

Una condizione di squilibrio di genere nei ruoli apicali è presente in praticamente tutti i dicasteri, anche se in misura diversa. In alcune strutture in effetti non si trovano proprio donne in posizione di vertice. In altri casi invece è stato registrato un aumento della presenza femminile in controtendenza rispetto al dato generale.

Le donne ai vertici della pubblica amministrazione

Per verificare i trend relativi alla disparità di genere nei vertici della pubblica amministrazione bisogna innanzitutto delimitare il perimetro dell’analisi.

In questo caso ad esempio ci limiteremo alle posizioni apicali dei ministeri e della presidenza del consiglio. Nei ministeri organizzati per dipartimenti verificheremo quindi la presenza femminile tra i capi dipartimento. In quelli organizzati per direzioni generali invece terremo in considerazione sia i direttori generali che i segretari generali. Non sono state considerate le unità di missione Pnrr istituite ad hoc che rimarranno attive solo fino al completamento del piano (2026).

Adottato questo criterio possiamo dunque dire che a oggi le donne in carica in queste posizioni sono 37 su un totale di ben 122.

30,3% la quota di donne in posizioni apicali nei ministeri o presso la presidenza del consiglio.

Meno di un terzo delle posizioni più importanti della pubblica amministrazione è occupato da una donna.

Questo dato è in buona parte conseguenza di scelte compite dal governo Meloni, ma non completamente. In linea generale infatti i segretari generali e i capi dipartimento sono sottoposti a spoils system. La scelta sul loro incarico dunque ha in ogni caso riguardato il nuovo esecutivo, che si sia trattato di una nuova nomina o di una conferma. Questa disciplina però non si applica ai direttori generali. La loro sostituzione o conferma avviene in modo più graduale, mano a mano che i loro incarichi arrivano a scadenza. Discorso un po’ diverso riguarda i ministeri dell’interno, degli esteri e della difesa. Qui infatti non si applica lo spoils system ma, se il ministro lo ritiene necessario, i dirigenti di queste strutture possono sempre essere ricollocati.

In ogni caso attualmente sono 72 gli incarichi tra quelli descritti che hanno ricevuto una prima nomina o una conferma dopo l’entrata incarica del governo Meloni.

59% gli incarichi ricevuti su nomina del governo Meloni.

Quindi se da un lato l’esecutivo in carica non può essere considerato come unico responsabile della situazione attuale, dall’altro le nomine su cui ha avuto un ruolo sono ben più della metà.

Il calo della presenza femminile nei ruoli apicali

D’altronde il calo del numero di donne al vertice dei ministeri è iniziato già da alcuni anni. Alla fine del 2019 infatti la percentuale di donne in posizione apicale era più alta di oltre 11 punti percentuali (41,4%). Si trattava allora di un dato importante perché il 40% è generalmente considerata la quota entro la quale è garantito almeno in parte l’equilibrio di genere.

Negli anni successivi, con al potere prima il secondo governo Conte e poi il governo Draghi, questo dato si è ridotto, anche se in maniera contenuta. Il minimo è stato raggiunto a fine 2021, con il 35,9%, poi risalito al 37,6% nel giugno successivo.

Tuttavia con l’entrata in carica del governo Meloni, nel giro di un anno, questa percentuale è calata drasticamente (-7 punti percentuali) arrivando ora a un valore inferiore a un terzo del totale.

La dirigenza femminile nei ministeri

A questo punto conviene verificare in quali strutture si sia espresso più marcatamente questo fenomeno.

Tra i 15 ministeri e la presidenza del consiglio sono 9 le strutture in cui si è ridotta la presenza femminile.

i ministeri in cui si è ridotta la presenza femminile nelle posizioni apicali.

Uno dei dicasteri in cui la riduzione è stata maggiore è quello della giustizia che è passato da 2 capi dipartimento donne su 4 a 0 su 5 (nel corso dell’anno è stato istituito un nuovo dipartimento).

Sono invece passate da 2 a 1 (-50%) le dirigenti dei ministeri delle infrastrutture, dell’economia e delle imprese. Il ministero della cultura invece aveva ben 5 direttrici generali nel 2022 contro le attuali 2. Si segnala però che qui diverse posizioni risultano ancora vacanti e non è detto che la situazione non si modifichi nei prossimi mesi. Sono invece passati da 3 a 2 donne in posizioni di vertice i ministeri dell’ambiente, della difesa e dell’interno.

Infine, anche presso la presidenza del consiglio si è registrata una riduzione. Le donne alla guida dei dipartimenti e degli uffici di palazzo Chigi infatti sono passate da 15 a 13 nel corso dell’ultimo anno.

Nessuna variazione invece presso i ministeri dell’università, della salute e dell’agricoltura. Questo tuttavia non rappresenta necessariamente un dato positivo. Presso il ministero della salute ad esempio le donne con il ruolo di direttore generale (o segretario generale) sono solo 2 su 11. Presso il ministero dell’agricoltura invece nessuno dei 3 dipartimenti è guidato da una donna. Anche al ministero del lavoro il numero di donne al vertice non è cambiato, ma a causa di una posizione vacante la proporzione di genere è, almeno momentaneamente, migliorata.

Sono 3 invece i ministeri in cui si è registrato un miglioramento. In ciascuna di queste strutture però l’aumento è stato molto contenuto e la situazione resta distante da una condizione di equilibrio. Sia presso il ministero dell’istruzione che in quello del turismo infatti fino allo scorso anno non risultavano donne al vertice delle strutture amministrative (ora sono rispettivamente 1 su 2 e 1 su 4). Al ministero degli esteri invece lo scorso anno si trovava una sola direttrice generale mentre ora sono 2.

Ministri, genere e appartenenza politica

Guardando al rapporto tra nominante e nominati, ovvero tra il genere del ministro e la quota di donne in posizione di vertice non si osserva una precisa corrispondenza.

Il ministero con la quota più elevata di dirigenti donne ad esempio è quello dell’agricoltura, guidato dal ministro Gilberto Pichetto Fratin. Il ministero del lavoro, al secondo posto, è invece guidato dalla ministra Marina Elvira Calderone e i 4 che seguono hanno nuovamente un uomo al loro vertice politico.

Allo stesso tempo però si può osservare come, ad eccezione del dicastero del turismo, guidato dalla ministra Santanché, tutti gli altri ministeri con una quota di donne nel ruolo di dirigente inferiore al 30% hanno un uomo al proprio vertice politico.

Alcune correlazioni possono essere individuate anche riguardo le appartenenze politiche. Non tanto nei ministeri con un maggiore equilibrio di genere, che sono guidati da politici di tutte le forze di maggioranza. Ma i tre che si trovano nella posizione più bassa della classifica sono tutti guidati da esponenti di Fratelli d’Italia. Si tratta del ministero delle imprese (10% di donne dirigenti) e di quelli della giustizia e dell’agricoltura (entrambi senza alcuna donna in posizione di vertice).

Foto: Yanalya (Freepik)

 

ANNIVERSARI : 1409 Sa Batalla di Sanluri e la fine di un sogno

ANNIVERSARI: 1409 Sa Batalla di Sanluri e la fine di un sogno

di Francesco Casula

Il 30 giugno prossimo ricorrerà il 614° anniversario di Sa Batalla di Sanluri: forse la data più infausta dell’intera storia della Sardegna perché segnò l’inizio della fine della indipendenza e della libertà dei Sardi e della Sardegna. Una fine tutt’altro che scontata ed ineluttabile.
Infatti con l’ultimo Marchese di Oristano, Leonardo d’Alagon, (dal 1470 al 1478) sarà ancora scossa e attraversata da momenti di dissenso e di ribellioni nei confronti dei catalano-aragonesi, culminati in opposizione armata prima con la battaglia di Uras (1470) e infine con la sfortunata e definitiva sconfitta di Macomer (1478).
Una data infausta insieme al 238 a.C. che segnò l’inizio dell’occupazione e del brutale dominio romano; al 1297, quando il papa Bonifacio VII, con la Bolla Licentia invadendi, infeudò del regno di Sardegna e Corsica, appositamente e arbitrariamente inventato, Giacomo II d’Aragona, invitandolo di fatto a invadere e occupare militarmente le Isole, cosa che puntualmente avverrà, almeno per la Sardegna; al 1820, quando furono emanati gli Editti delle Chiudende, che posero fine al millenario uso comunitario delle terre da parte di tutto il popolo, usurpate dai nuovi proprietari, in un ciclonico turbinio di inaudite illegalità, sopraffazioni e violenze; al 1847, quando con la Fusione perfetta, la Sardegna fu privata del suo Parlamento.
Il 30 giugno 1409 infatti presso Sanluri, si scontrarono l’esercito siculo-catalano-aragonese, guidato da Martino il giovane, Re di Sicilia e Infante di Aragona, e l’esercito sardo-giudicale, al comando di Guglielmo III visconte di Narbona, ultimo giudice-re del Giudicato d’Arborea, che fu battuto e disfatto in quella atroce battaglia. Finiva così la sovranità e l’indipendenza nazionale della Sardegna che, dopo cruente battaglie i Sardi-Arborensi, prima con Mariano IV e poi con la figlia Eleonora, erano riusciti ad affermare, prevalendo sui Catalano-Aragonesi e dunque riuscendo di fatto a ottenere il controllo su tutto il territorio sardo e coronando in tal modo il sogno, di unificare l’intera nazione sarda.
Il regno d’Arborea infatti dal 1392 al 1409 comprenderà l’intera Isola, eccezion fatta per Castel di Cagliari e di Alghero: Isola governata e gestita sulla base di quella moderna e avanzata Costituzione che fu la Carta de Logu, che promulgata dalla stessa regina Eleonora, rimase in vigore per ben 435 anni, fino al 1827, quando entrò in vigore il Codice feliciano.
Ma ritorniamo alla battaglia di Sanluri: lo scontro finale cominciò all’alba di domenica 30 Giugno del 1409, (al alva de Domingo del mes de Junio: così infatti scrive negli Anales della Corona d’Aragona lo storico aragonese Geronimo Zurita); quando l’esercito siculo-catalano-aragonese, lasciato l’accampamento cominciò ad avanzare ordinatamente (con horden) fino a un miglio a sud est di Sanluri (Sent Luri).
Davanti stava Pietro Torrelles (en la avanguardia Pedro de Torrellas), il capitano generale, con mille militi e quattromila soldati (con mil hombres de armas, y quatro mil soldados), mentre il re Martino il Giovane, più indietro guidava la cavalleria e il resto formava la retroguardia. A loro si contrapponeva, sbucando improvvisamente da dietro un poggio, appena a Oriente di Sanluri e chiamato ancora oggi Bruncu de sa Batalla, l’esercito giudicale comandato dal re arborense Guglielmo di Narbona-Bas con i fanti e i cavalieri (con toda la gente de cavallo, y de pie), nascosti dietro una collina. Quanto durò esattamente la battaglia non ci è dato di sapere, Geronimo Zurita parla genericamente di “por buen espacio”.
Certamente fu dura e accanita. E, purtroppo, perdente per i Sardi. La tattica degli Aragonesi infatti, il cui esercito assunse una formazione a cuneo, sfondò il fronte delle forze sardo-arborensi che investite al centro, fu diviso in due tronconi. La parte sinistra si divise a sua volta in due parti: la prima ripiegò a Sanluri dove trovò rifugio nel borgo fortificato e nel castello di Eleonora; le mura però non resistettero all’assalto e le forze aragonesi irruppero massacrando a fil di spada gran parte della popolazione civile, senza distinzione di sesso e di età, mentre 300 donne furono fatte prigioniere. La seconda parte, guidata dal re Guglielmo III, si rifugiò nel castello di Monreale, a poche miglia di distanza, senza che gli Aragonesi riuscissero a inseguirli. Così: “el Vizconde con los que escaparon huiendo de la batalla, al castillo de Monreal” si salvò.
Morirono invece sul campo ben cinquemila Sardi (y murieron en el campo hasta cinco mil)mentre quattromila furono catturati: sempre secondo i dati di fonte storica aragonese e dunque da prendere prudentemente, cum grano salis. Di contro solo pochissimi nobili iberici persero la vita ((Murieron en esta batalla de la
Parte del Rey muy pocos, y los mas senalados fueron, el vizconde de Orta, don Pedro Galceran de Pinos, y mossen Ivan de Vilacausa). Le fonti aragonesi non riportano alcun dato sui soldati semplici: evidentemente contano poco o, niente.
La località, una collinetta subito dopo il bivio “Villa Santa” guardando verso Furtei, dove avvenne una vera e propria strage conserva ancora oggi, in lingua sarda, un nome sinistro e tristo: Su occidroxiu. Ovvero il mattatoio: dove insieme a migliaia di sardi fu “macellata” non solo la sovranità e l’indipendenza nazionale della Sardegna ma la stessa libertà dei Sardi.
Ci sarebbe, a fronte di tutto ciò, da chiedersi cosa ci sia da “celebrare” in occasione della ricorrenza del 30 Giugno, segnatamente a Sanluri, come da anni avviene. Da celebrare niente. Molto invece da rievocare per conoscere la nostra storia: nelle sconfitte come nelle vittorie. Per conoscere il nostro passato, per troppo tempo sepolto, nascosto e rimosso: dissotterrandolo. Perché diventi fatto nuovo che interroga l’esperienza del tempo attuale, per affrontare il presente nella sua drammatica attualità, per definire un orizzonte di senso, per situarci e per abitare, aperti al suo respiro, il mondo, lottando contro il tempo della dimenticanza e della smemoratezza.
Proite unu populu chi non connoschet s’istoria sua, su tempus colau, non tenet ne oje nen cras.

Un’ atera tontesa subra sa limba sarda:

Un’atera tontesa subra sa limba sarda:

Il sardo è una lingua “arcaica” inadatto a esprimere la “modernità”!

Il sardo secondo alcuni sarebbe rimasto “bloccato”, cioè ancorato
alla tradizione agropastorale, perciò incapace di esprimere
la cultura moderna: da quella scientifica a quella tecnologica, dalla filosofia alla medicina ecc. ecc.
Intanto non è vero che il sardo sia completamente “bloccato”:
termini e modi di dire dell’italiano dovuti allo sviluppo culturale
scientifico e sociale impetuoso negli ultimi decenni sono entrati nella lingua sarda, così come termini e modi di dire stranieri – soprattutto inglesi – sono entrati nella lingua italiana che li ha giustamente assimilati.
Questo “scambio” è una cosa normalissima e avviene
in tutte le lingue e tutti i sistemi linguistici, sia quelli di società “più
avanzate”, scientificamente ed economicamente, sia di società “più
arretrate” sono in grado di esprimere i più moderni concetti e le più
moderne e complesse teorie, prendendo in prestito terminologia e
lessico da chi li possiede: come il contadino, che se ha finito l’acqua
del proprio pozzo, l’attinge dal pozzo del vicino.
A rispondere, del resto, a chi parla di “blocco” e di incapacità di
alcune lingue a esprimere l’intero universo culturale moderno, sono
due intellettuali e linguisti di prestigio. Scrive Sergio Salvi, gran
conoscitore della Sardegna e delle minoranze etniche e linguistiche:
“La rimozione de “blocco” è pienamente possibile. Farò soltanto
l’esempio, così significativo ed eloquente della lingua vietnamita,
storicamente e politicamente dominata, fino a tempi recenti, prima dalla
cinese e poi dal francese, una lingua che non solo ha brillantemente
rimosso il proprio “blocco” dialettale, ma che pur non possedendo
ancora un completo vocabolario tecnico-scientifico, ha creato “una
grande corrente di pensiero”, eppure settant’anni fa il vietnamita era
soltanto un “dialetto” o meglio un gruppo di dialetti”.
Sullo stesso crinale si muove e risponde l’americano Joshua Aaron
Fishman, il più grande studioso del bilinguismo a base etnica (è il caso
della Sardegna) che scrive: “Qualunque lingua è pienamente adeguata
a esprimere le attività e gli interessi che i suoi parlanti affrontano.
Quando questi cambiano, cambia e cresce anche la lingua. In un
periodo relativamente breve, la lingua precedentemente usata solo
a fini familiari, può essere fornita di ciò che le manca per l’uso nella
tecnologia, nell’Amministrazione Pubblica, nell’Istruzione”.
Il problema se una lingua “arcaica” possa o no esprimere concetti
moderni è dunque un falso problema.Ogni lingua può “parlare” l’Universo.
Anche quella della più sperduta tribù dell’Africa, immaginiamo una lingua neolatina come quella sarda. !n più c’è da rilevare che in ogni lingua “egemone” o “ufficiale” o “media” (che chiameremo per la complessità della sua struttura Macro lingua) si formano dei linguaggi “specifici”, i tecnoletti,che tendono sempre più a internazionalizzarsi, per mezzo di una terminologia che si esprime per parole “rigide”, per formule, in termini greco-latini o inglesi. I tecnoletti si caratterizzano per essere costituti da segni linguistici depurati da qualsiasi connotazione. I tecnoletti sono monosemici e referenziali, uniti da un legame biunivoco a un concetto ben determinato. Esso infatti deve significare una cosa ben precisa e non veicolare significati collaterali di nessun genere, ad esempio la linguistica moderna ha elaborato una serie di termini internazionali: struttura, funzione, significante, significato, diacronico, incronico ecc: oppure li ha presi in prestito. In questi casi si possono operare dei traslati come è avvenuto dall’inglese all’italiano. Nessun problema quindi: il sardo può acquisire e prendere a prestito parole e modi di dire elaborati altrove.

Francesco Casula

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Trattamento di Fine Servizio (TFS): riliquidazione per variazione dati

Precisazioni sulle riliquidazioni del TFS attraverso il canale telematico.

Pubblicazione: 22 giugno 2023

L’INPS, con il messaggio 21 giugno 2023, n. 2296, fornisce alcuni chiarimenti relativi alla corretta lavorazione dei Trattamenti di Fine Servizio telematici, in caso di variazione dei dati giuridici ed economici in una pratica TFS già trasmessa, in modalità cartacea e telematica, alla struttura territoriale di competenza.

Il messaggio riepiloga le modalità operative che l’amministrazione o ente pubblico dovrà seguire per comunicare le variazioni.

San Vigilio

 

San Vigilio


San Vigilio

autore: Giuseppe Alberti anno: 1673 titolo: San Vigilio in estasi luogo: Museo Diocesano Tridentino, Trento
Nome: San Vigilio
Titolo: Vescovo e martire
Nascita: IV secolo, Trento
Morte: IV secolo, Trento
Ricorrenza: 26 giugno
Martirologio: edizione 2004
Tipologia: Commemorazione

Patrono del Trentino e dell’Alto Adige, Vigilio fu colui che maggiormente operò, con successo, per la conversione al cristianesimo di quelle popolazioni.

Nato a Trento da una famiglia romana, vissuta nell’Urbe a sufficienza per acquistare i diritti della cittadinanza, fu mandato a studiare ad Atene; ritornato a Trento fu consacrato vescovo in età così precoce da risultare inusuale anche per quei tempi. Costruì una chiesa che dedicò ai SS. Gervasio e Protasio (19 giu.), ricevendo da S. Ambrogio le reliquie.

È tuttora conservata una lettera di Ambrogio, metropolita della regione, a Vigilia, dove il vescovo di Milano invita quello di Trento a opporsi all’usura, a scoraggiare i matrimoni tra cristiani e pagani, a dare ospitalità agli stranieri, specialmente ai pellegrini. Nelle vallate trentine e dell’Alto Adige c’erano ancora molti pagani cui Vigilie predicava di persona; Ambrogio gli mandò in aiuto tre missionari — Sisinnio, Martirio e Alessandro (29 mag.) — che subirono il martirio nel 395. Dopo questo fatto Vigilie inviò una breve lettera a S. Simpliciano (16 ago.), vescovo di Milano succeduto ad Ambrogio, e una più dettagliata a S. Giovanni Crisostomo (13 set.), che forse aveva conosciuto ad Atene, in cui descriveva l’accaduto. In queste lettere diceva quanto egli invidiasse questi martiri e lamentava che la sua indegnità gli precludesse la condivisione di una simile sorte. Subì il martirio dieci anni più tardi: nel 405 stava predicando nella remota Val Rendena, quando abbatté una statua di Saturno, il dio dell’agricoltura; i contadini infuriati, timorosi di perdere il raccolto, lo lapidarono. Trento rivendica il possesso delle sue reliquie insieme a quelle di sua madre e dei suoi fratelli, ma è probabile che siano state traslate a Milano nel xv secolo.

MARTIROLOGIO ROMANO. A Trento, san Vigilio, vescovo, che, ricevute da sant’Ambrogio di Milano le insegne del suo mandato e una istruzione pastorale, si adoperò per consolidare nel suo territorio l’opera di evangelizzazione ed estirpare a fondo i residui di idolatria; si tramanda poi che abbia subito il martirio per la fede in Cristo, colpito a morte da rozzi pagani.

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Domande Frequenti

  • Quando si festeggia San Vigilio?

     

  • Quando nacque San Vigilio?

     

  • Dove nacque San Vigilio?

     

  • Quando morì San Vigilio?

     

  • Dove morì San Vigilio?

     

  • Di quali comuni è patrono San Vigilio?

     

  • Chi era San Vigilio?

     


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San Vigilio

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VergineGiulia, il suo nome di battesimo, nacque ad Aosta da una famiglia di lavoratori. Sua madre morì giovanissima e il padre la affidò, insieme al fratello, alle cure di alcuni zii paterni di Aosta, poi ai…

Oggi 26 giugno si recita la novena a:

– San Paolo
I. O glorioso s. Paolo, che quanto foste terribile nel perseguitare, altrettanto poi foste fervoroso nello zelare la gloria del Cristianesimo, otteneteci, vi preghiamo, la grazia di edificar tanto i nostri…
– San Pietro
I. O glorioso s. Pietro, che aveste in Gesù Cristo una fede così viva da confessare per primo che egli era il Figliuolo di Dio vivo, e da lui solo procedevano parole di vita eterna, quindi obbediente al…
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I. Per quel favore distintissimo che voi, o glorioso s. Tommaso, riceveste da Gesù Cristo, allorquando per accertarvi della sua risurrezione vi degnò d’una apposita apparizione, invitandovi a metter il…
 

 

 

 

 

Alluvione, ammortizzatore unico: istruzioni UNIEMENS

Alluvione, ammortizzatore unico: istruzioni UNIEMENS

Le modalità di esposizione nei flussi di denuncia UNIEMENS dei nuovi codici evento.

Pubblicazione: 22 giugno 2023

La circolare INPS 8 giugno 2023, n. 53 ha illustrato l’ammortizzatore unico, il nuovo strumento di sostegno al reddito per datori di lavoro e lavoratori dipendenti del settore privato colpiti dalle alluvioni di maggio, introdotto con il decreto-legge 1° giugno 2023, n. 61.

La nuova misura è correlata da contribuzione figurativa utile ai fini del diritto e della misura della pensione. Il messaggio 22 giugno 2023, n. 2325 chiarisce le modalità di esposizione nei flussi di denuncia UNIEMENS dei nuovi codici evento, istituiti in relazione all’ammortizzatore sociale unico.

L’accreditamento della contribuzione figurativa avverrà dopo la verifica dell’esattezza dei dati trasmessi in fase di pagamento del beneficio.