Archivi giornalieri: 28 giugno 2023

Osservatorio sui lavoratori autonomi: i dati 2022

Osservatorio sui lavoratori autonomi: i dati 2022

L’Osservatorio sui lavoratori autonomi, con i dati su artigiani e commercianti.

È stato pubblicato l’Osservatorio sui lavoratori autonomi (artigiani e commercianti) con i dati del 2022.

ARTIGIANI

Nel 2022 risultano iscritti all’INPS 1.542.299 artigiani, il 2,2% in meno rispetto al 2021. Relativamente alla qualifica, si nota una marcata prevalenza di titolari che, con 1.432.836 iscritti, costituiscono il 92,9% del totale.

Nel 2022 i titolari maschi, con 1.158.084 iscritti, costituiscono l’80,8% del totale contro il 19,2% (274.752) delle titolari femmine. Tra i collaboratori i maschi, con 61.723 iscritti, sono poco più della metà del totale dei collaboratori (56,4%), contro 47.740 femmine.

Il 56,1% degli artigiani si trova nelle regioni del Nord. Il Nord-Ovest, con il 31,2%, è l’area geografica che presenta il maggior numero di artigiani, seguito dal Nord-Est con il 24,9%, dal Centro con il 20,5%, dal Sud con il 15,7% e dalle Isole con il 7,7%.

Il 33% degli artigiani ha una età tra i 50 e i 59 anni; il 26,2% ha tra i 40 e i 49 anni; gli ultrasessantenni sono il 21,4% e solo il 4,8% ha meno di 30 anni di età.

COMMERCIANTI

I commercianti iscritti nel 2022 sono 2.084.186, numero stabile rispetto al 2021 e al 2020 con -0,1%.

Anche tra i commercianti prevalgono i lavoratori maschi, che nel 2022 costituiscono il 65,3%, in lieve aumento nel corso del tempo. Risultano titolari dell’azienda il 92,4% degli iscritti.

Dal punto di vista territoriale, il 26,3% dei commercianti si trova nel Nord-Ovest, il 19,5% nel Nord-Est, il 21,1% si trova al Centro, il 23,3% al Sud e solo il 9,8% nelle Isole.

Il 29,9% dei commercianti ha una età tra i 50 e i 59 anni; il 25% ha tra i 40 e i 49 anni; gli ultrasessantenni sono il 22,6%, e solo il 6,4% ha meno di 30 anni di età.

Domanda di integrazione salariale ordinaria: online il nuovo servizio

Domanda di integrazione salariale ordinaria: online il nuovo servizio

Il servizio è caratterizzato da una modalità di compilazione semplificata e assistita, che guida l’utente e ne riduce la possibilità di trasmettere dati e informazioni errate.

Pubblicazione: 27 giugno 2023

Nell’ambito dei progetti legati al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), è prevista la realizzazione di una piattaforma unica delle integrazioni salariali, denominata “OMNIA IS”. All’interno di questa piattaforma è disponibile il nuovo servizio di presentazione della domanda di Cassa Integrazione Guadagni Ordinaria (CIGO).

Il servizio, come spiega l’INPS nel messaggio 26 giugno 2023, n. 2372, è caratterizzato da una modalità di compilazione semplificata e fortemente assistita, che guida l’utente e ne riduce la possibilità di trasmettere dati e informazioni errate.

È possibile accedere al nuovo servizio di invio della domanda di integrazione salariale ordinaria tramite l’area tematica “Accesso ai servizi per aziende e consulenti”. Dopo avere effettuato l’autenticazione, selezionare l’applicazione “CIG e Fondi di solidarietà”, quindi scegliere la voce “OMNIA integrazioni salariali”

Sant’ Ireneo di Lione

 

Sant’ Ireneo di Lione


Nome: Sant’ Ireneo di Lione
Titolo: Vescovo e martire
Nascita: 121 , Smirne
Morte: 202, Lione
Ricorrenza: 28 giugno
Martirologio: edizione 2004
Tipologia: Commemorazione
Il nome di S. Ireneo è legato alla schiera numerosa di quegli eroi che col martirio illustrarono la Chiesa di Lione. Nato l’anno 121 nelle vicinanze di. Smirne, ebbe per primo precettore l’illustre vescovo di quella città S. Policarpo. Da questo insigne maestro succhiò lo spirito apostolico ed apprese quella scienza che Io rese uno dei più belli ornamenti della Chiesa, in quei tempi di lotta e di sangue. Ancora giovane, erudito in ogni scienza e dotato di meravigliosa facondia, diede un primo assalto alle vituperose dottrine degli Gnostici e Valentiniani che avevano corrotto la dottrina di Cristo. Ma il desiderio di approfondire negli studi lo spinse a Roma, dove insegnavano i più celebri maestri del suo tempo, e fu tale il progresso che fece in queste scuole, che al fine dei corsi poteva ormai gareggiare con i suoi precettori.

Recatosi nelle Gallie fissò la sua dimora a Lione dove era. vescovo S. Potino. Questi, conosciuti i talenti e le virtù, eminenti del giovane, lo propose agli ordini sacri e al sacerdozio.

Da quell’istante lo zelo del novello levita non ebbe più misura. La sua parola penetrava i cuori e conquistava: cadevano gli idoli e i templi, e la luce della verità illuminava le menti degli idolatri che a schiere chiedevano il S. Battesimo.

Alla predicazione Ireneo aggiunse numerosissimi scritti, fonti inesauribili di dottrina e di sapienza. Scritti che, secondo S. Girolamo, erano una barriera insormontabile contro la quale si infrangevano gli sforzi ed i sofismi dei nemici di Cristo e della Chiesa. Alcuni di essi andarono perduti, ma molti si conservano, tra i quali i cinque libri contro gli eresiarchi, che sono una delle più belle analogie della dottrina cristiana. A questo lavoro egli seppe pure accoppiare una profonda pietà dando i più, ammirabili, esempi di virtù.

Essendo stato martirizzato il, santo. vescovo Potino, il popolo lionese, unanime, .elesse alla sede vescovile.
S. Ireneo, il quale recatosi a Roma per la consacrazione, portò al Papa S. Eleuterio una lettera ridondante del più forte attaccamento al Vicario di Gesù Cristo, e ri tornò alla sua sede confortato dalla benedizione del Sommo Pastore.

Conscio della nuova missione che il Signore gli aveva affidato, non si concesse un istante di riposo. Predicò con la parola, con l’esempio e con la potenza dei miracoli. Sorta in quel tempo la questione circa la celebrazione della Pasqua, il Papa Vittore minacciò la scomunica ai vescovi dell’Asia che su questo punto dissentivano dai loro fratelli nell’episcopato. S. Ireneo intervenne colla sua autorità e portò la pace. Dopo tutto questo sigillò sotto Settimio Severo, col sangue, quella fede che aveva predicato e per la quale aveva tanto sofferto. Benedetto XV ne estese la festa a tutta la Chiesa, cingendolo dell’aureola di dottore.

PRATICA. Impariamo da S. Ireneo l’attaccamento al Papa e con lui sappiamo combattere da veri soldati per essere degni del nome di cristiani.

PREGHIERA. O Dio, che desti al beato martire e vescovo Ireneo la grazia di espugnare l’eresia e consolidare la pace nella Chiesa, deh! concedi al tuo popolo forza e costanza nella santa religione.

MARTIROLOGIO ROMANO. Memoria di sant’Ireneo, vescovo, che, come attesta san Girolamo, fu, da piccolo, discepolo di san Policarpo di Smirne e custodì fedelmente la memoria dell’età apostolica; fattosi sacerdote del clero di Lione, succedette al vescovo san Potino e si tramanda che come lui sia stato coronato da glorioso martirio. Molto disputò al riguardo della tradizione apostolica e pubblicò una celebre opera contro le eresie a difesa della fede cattolica.

Cos’è la politica europea di coesione

Cos’è la politica europea di coesione

Sono tutti gli investimenti attuati tramite i fondi strutturali europei che hanno l’obiettivo di ridurre i divari economici e sociali tra i territori.

Definizione

A livello europeo, sono previsti investimenti per sostenere le economie degli stati membri, con una forte attenzione alla riduzione dei divari tra le regioni. L’insieme di norme, fondi e interventi che hanno questa funzione specifica è definito dalla politica di coesione. L’espressione “coesione” viene intesa sotto tre aspetti principali: quello economico, quello sociale e quello territoriale.

Questo è il principale piano di investimento europeo, che si innesta su tutta una serie di fondi legati a diversi settori, come ad esempio il fondo europeo di sviluppo regionale (che promuove lo sviluppo economico) e il fondo sociale europeo (che comprende incentivi all’occupazione). Ha le sue basi giuridiche all’interno degli articoli che vanno dal 174 al 178 del trattato sul funzionamento dell’unione europea (Tfeu).

Per promuovere uno sviluppo armonioso dell’insieme dell’Unione, questa sviluppa e prosegue la propria azione intesa a realizzare il rafforzamento della sua coesione economica, sociale e territoriale.

Sono due gli ambiti specifici su cui insiste la politica di coesione:

  • Investimenti a favore dell’occupazione e della crescita;
  • cooperazione territoriale europea.

Una particolare attenzione viene riservata alle zone rurali e a quelle che presentano rilevanti svantaggi demografici come le aree a bassa densità demografica e le regioni insulari, transfrontaliere e di montagna.

Dati

Per quel che riguarda il periodo 2021-2027, la politica di coesione verrà finanziata attraverso il quadro finanziario pluriennale, che viene redatto per definire i budget dei fondi strutturali.

392 miliardi le risorse complessive della politica di coesione 2021-2027.

Di questi, circa 11,3 miliardi saranno trasferiti al meccanismo per collegare l’Europa, un sistema di sostegno alle infrastrutture dei trasporti, e 2,5 invece avranno lo scopo di finanziare le funzioni tecniche e di supporto dei programmi. Sono quindi 378 miliardi quelli che verranno utilizzati per il finanziamento dei progetti e il raggiungimento degli obiettivi europei.

Di questi fondi, la maggior parte è destinata agli investimenti legati al primo obiettivo, quello relativo agli investimenti e alla crescita, con circa 369 miliardi. Per quel che riguarda i contributi del fondo europeo di sviluppo regionale e il fondo sociale europeo (complessivamente l’85% di questo primo obiettivo), vengono allocati seguendo un criterio di classificazione regionale. I territori sono quindi stati divisi a seconda del grado di sviluppo economico in modo da comprendere verso quali aree veicolare i fondi.

Le zone considerate meno sviluppate dal punto di vista economico si trovano in particolare nelle aree orientali e meridionali dell’Unione. Si può vedere come per numerosi casi sia la regione della capitale ad essere quella più avanzata, come nel caso di Bucarest e dell’area metropolitana di Lisbona. In Italia, le regioni meno sviluppate sono tutte quelle del mezzogiorno ad eccezione dell’Abruzzo che è in transizione.

Per quel che riguarda invece il secondo obiettivo, risultano stanziati complessivamente 9 miliardi di euro. Sono implementati principalmente nei programmi di cooperazione tra frontiere, transnazionali, interregionali e tra le regioni più esterne.

Analisi

Gli strumenti della politica di coesione hanno portato ad alcuni risultati, principalmente nelle aree dell’Europa orientale in cui i livelli di reddito erano più bassi. Istat rileva che per le altre zone non è avvenuto questo processo di convergenza, comprese quelle italiane. Si evidenzia invece che tutte le regioni si stanno generalmente allontanando dalla media europea.

Non si è verificato il processo di convergenza delle regioni italiane classificate come “meno sviluppate” (pressoché quasi tutto il Mezzogiorno d’Italia ad eccezione dell’Abruzzo), che hanno continuato a crescere sempre molto meno della media dei Paesi dell’Ue27. Ma è l’intero sistema Paese Italia che si è contraddistinto per un processo di progressivo allontanamento dal dato medio europeo: nel 2000 erano ben 10 le regioni italiane fra le prime 50 per Pil pro capite in ppa e nessuna fra le ultime 50. Nel 2021 fra le prime 50 ne sono rimaste solo quattro (Provincia autonoma di Bolzano/Bozen, Lombardia, Provincia autonoma di Trento e Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste), mentre fra le ultime 50 ora se ne trovano ben quattro (Puglia, Campania, Sicilia e Calabria).

In questo scenario si inserisce anche lo strumento del Next generation Eu (Ngeu), che contribuisce alla coesione economica, sociale e territoriale dei paesi dell’Unione. A fianco dei fondi ordinari si affianca quindi anche questa componente straordinaria che è stata definita dal piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) che ogni singolo stato ha dovuto compilare.

Analisi dei fabbisogni e competenze sono la chiave per raggiungere una convergenza economica.

Sono quindi numerose le possibilità di finanziamento per avere un avanzamento delle infrastrutture degli stati membri, ciascuna con le sue clausole e regole particolari. Si rivelano quindi cruciali il personale e le competenze per seguire i bandi europei e per presentare dei progetti che risultino ammissibili a finanziamento. Solitamente, è più facile per le aree sviluppate accedere a questi fondi proprio per questi motivi: senza lavoratori formati per seguire questi aspetti, si rischia di ampliare il divario invece che appianarlo. Ma in questo anche l’analisi dei fabbisogni gioca un ruolo fondamentale: in ambito politica agricola comunitaria (Pac), la corte dei conti europea ha puntualizzato che una delle complessità maggiori nella gestione dei fondi è data dal poco utilizzo di dati disaggregati, cruciali nella definizione delle aree locali più piccole in cui è necessario un intervento.

 

La parità di genere al vertice dei ministeri si è ridotta Mappe del potere

La parità di genere al vertice dei ministeri si è ridotta Mappe del potere

Negli ultimi anni la quota di donne che ricopre incarichi apicali presso i ministeri o la presidenza del consiglio si è molto ridotta. Un fenomeno che ha riguardato almeno gli ultimi 3 esecutivi ma che ha accelerato nel corso dell’ultimo anno.

 

Negli ultimi anni il numero di donne in posizioni apicali nella pubblica amministrazione si è ridotto. Un fenomeno che ha coinvolto almeno gli ultimi 3 esecutivi e che risulta evidente per quanto riguarda i vertici dei ministeri.

Una condizione di squilibrio di genere nei ruoli apicali è presente in praticamente tutti i dicasteri, anche se in misura diversa. In alcune strutture in effetti non si trovano proprio donne in posizione di vertice. In altri casi invece è stato registrato un aumento della presenza femminile in controtendenza rispetto al dato generale.

Le donne ai vertici della pubblica amministrazione

Per verificare i trend relativi alla disparità di genere nei vertici della pubblica amministrazione bisogna innanzitutto delimitare il perimetro dell’analisi.

In questo caso ad esempio ci limiteremo alle posizioni apicali dei ministeri e della presidenza del consiglio. Nei ministeri organizzati per dipartimenti verificheremo quindi la presenza femminile tra i capi dipartimento. In quelli organizzati per direzioni generali invece terremo in considerazione sia i direttori generali che i segretari generali. Non sono state considerate le unità di missione Pnrr istituite ad hoc che rimarranno attive solo fino al completamento del piano (2026).

Adottato questo criterio possiamo dunque dire che a oggi le donne in carica in queste posizioni sono 37 su un totale di ben 122.

30,3% la quota di donne in posizioni apicali nei ministeri o presso la presidenza del consiglio.

Meno di un terzo delle posizioni più importanti della pubblica amministrazione è occupato da una donna.

Questo dato è in buona parte conseguenza di scelte compite dal governo Meloni, ma non completamente. In linea generale infatti i segretari generali e i capi dipartimento sono sottoposti a spoils system. La scelta sul loro incarico dunque ha in ogni caso riguardato il nuovo esecutivo, che si sia trattato di una nuova nomina o di una conferma. Questa disciplina però non si applica ai direttori generali. La loro sostituzione o conferma avviene in modo più graduale, mano a mano che i loro incarichi arrivano a scadenza. Discorso un po’ diverso riguarda i ministeri dell’interno, degli esteri e della difesa. Qui infatti non si applica lo spoils system ma, se il ministro lo ritiene necessario, i dirigenti di queste strutture possono sempre essere ricollocati.

In ogni caso attualmente sono 72 gli incarichi tra quelli descritti che hanno ricevuto una prima nomina o una conferma dopo l’entrata incarica del governo Meloni.

59% gli incarichi ricevuti su nomina del governo Meloni.

Quindi se da un lato l’esecutivo in carica non può essere considerato come unico responsabile della situazione attuale, dall’altro le nomine su cui ha avuto un ruolo sono ben più della metà.

Il calo della presenza femminile nei ruoli apicali

D’altronde il calo del numero di donne al vertice dei ministeri è iniziato già da alcuni anni. Alla fine del 2019 infatti la percentuale di donne in posizione apicale era più alta di oltre 11 punti percentuali (41,4%). Si trattava allora di un dato importante perché il 40% è generalmente considerata la quota entro la quale è garantito almeno in parte l’equilibrio di genere.

Negli anni successivi, con al potere prima il secondo governo Conte e poi il governo Draghi, questo dato si è ridotto, anche se in maniera contenuta. Il minimo è stato raggiunto a fine 2021, con il 35,9%, poi risalito al 37,6% nel giugno successivo.

Tuttavia con l’entrata in carica del governo Meloni, nel giro di un anno, questa percentuale è calata drasticamente (-7 punti percentuali) arrivando ora a un valore inferiore a un terzo del totale.

La dirigenza femminile nei ministeri

A questo punto conviene verificare in quali strutture si sia espresso più marcatamente questo fenomeno.

Tra i 15 ministeri e la presidenza del consiglio sono 9 le strutture in cui si è ridotta la presenza femminile.

i ministeri in cui si è ridotta la presenza femminile nelle posizioni apicali.

Uno dei dicasteri in cui la riduzione è stata maggiore è quello della giustizia che è passato da 2 capi dipartimento donne su 4 a 0 su 5 (nel corso dell’anno è stato istituito un nuovo dipartimento).

Sono invece passate da 2 a 1 (-50%) le dirigenti dei ministeri delle infrastrutture, dell’economia e delle imprese. Il ministero della cultura invece aveva ben 5 direttrici generali nel 2022 contro le attuali 2. Si segnala però che qui diverse posizioni risultano ancora vacanti e non è detto che la situazione non si modifichi nei prossimi mesi. Sono invece passati da 3 a 2 donne in posizioni di vertice i ministeri dell’ambiente, della difesa e dell’interno.

Infine, anche presso la presidenza del consiglio si è registrata una riduzione. Le donne alla guida dei dipartimenti e degli uffici di palazzo Chigi infatti sono passate da 15 a 13 nel corso dell’ultimo anno.

Nessuna variazione invece presso i ministeri dell’università, della salute e dell’agricoltura. Questo tuttavia non rappresenta necessariamente un dato positivo. Presso il ministero della salute ad esempio le donne con il ruolo di direttore generale (o segretario generale) sono solo 2 su 11. Presso il ministero dell’agricoltura invece nessuno dei 3 dipartimenti è guidato da una donna. Anche al ministero del lavoro il numero di donne al vertice non è cambiato, ma a causa di una posizione vacante la proporzione di genere è, almeno momentaneamente, migliorata.

Sono 3 invece i ministeri in cui si è registrato un miglioramento. In ciascuna di queste strutture però l’aumento è stato molto contenuto e la situazione resta distante da una condizione di equilibrio. Sia presso il ministero dell’istruzione che in quello del turismo infatti fino allo scorso anno non risultavano donne al vertice delle strutture amministrative (ora sono rispettivamente 1 su 2 e 1 su 4). Al ministero degli esteri invece lo scorso anno si trovava una sola direttrice generale mentre ora sono 2.

Ministri, genere e appartenenza politica

Guardando al rapporto tra nominante e nominati, ovvero tra il genere del ministro e la quota di donne in posizione di vertice non si osserva una precisa corrispondenza.

Il ministero con la quota più elevata di dirigenti donne ad esempio è quello dell’agricoltura, guidato dal ministro Gilberto Pichetto Fratin. Il ministero del lavoro, al secondo posto, è invece guidato dalla ministra Marina Elvira Calderone e i 4 che seguono hanno nuovamente un uomo al loro vertice politico.

Allo stesso tempo però si può osservare come, ad eccezione del dicastero del turismo, guidato dalla ministra Santanché, tutti gli altri ministeri con una quota di donne nel ruolo di dirigente inferiore al 30% hanno un uomo al proprio vertice politico.

Alcune correlazioni possono essere individuate anche riguardo le appartenenze politiche. Non tanto nei ministeri con un maggiore equilibrio di genere, che sono guidati da politici di tutte le forze di maggioranza. Ma i tre che si trovano nella posizione più bassa della classifica sono tutti guidati da esponenti di Fratelli d’Italia. Si tratta del ministero delle imprese (10% di donne dirigenti) e di quelli della giustizia e dell’agricoltura (entrambi senza alcuna donna in posizione di vertice).

Foto: Yanalya (Freepik)