Archivio mensile:aprile 2023

Il ritardo sui decreti attuativi blocca 17 miliardi Governo e parlamento

Il ritardo sui decreti attuativi blocca 17 miliardi  Governo e parlamento

Da febbraio ad aprile è aumentato il numero dei decreti attuativi mancanti. Una situazione di cui è responsabile il governo e che comporta il “blocco” di miliardi di euro di risorse stanziate.

 

Nelle ultime settimane il governo ha ripreso a produrre un numero significativo di decreti legge e altri ne sono già stati annunciati. In molti casi queste misure stanziano fondi a favore di istituzioni, imprese e cittadini.

Spesso però le risorse messe a disposizione con gli atti aventi forza di legge necessitano di ulteriori indicazioni per poter essere erogate ai soggetti beneficiari. Tali indicazioni solitamente sono contenute nei cosiddetti decreti attuativi.

Dopo il lavoro del parlamento, l’implementazione di una legge passa nelle mani di ministeri e agenzie pubbliche. Un secondo tempo delle leggi spesso ignorato, ma che lascia molte norme incomplete. Vai a “Che cosa sono i decreti attuativi”

La mancanza di queste norme di secondo livello di fatto fa sì che le risorse già stanziate rimangano solo sulla carta e che i soggetti beneficiari non ne possano usufruire. Nonostante il lavoro fatto negli ultimi anni per cercare di smaltire l’arretrato, alla data del 20 aprile erano ancora più di 400 i decreti di questo tipo che mancavano all’appello. Valore peraltro in aumento rispetto allo scorso febbraio. In molti casi questi atti rappresentano un indispensabile passaggio propedeutico per l’assegnazione dei fondi stanziati.

17,2 miliardi € le risorse già stanziate ma non erogabili per la mancanza di decreti attuativi. 

Nella maggior parte dei casi la pubblicazione di questi atti ricade sotto la responsabilità dei ministeri. Il monitoraggio di questa dinamica è quindi un elemento molto importante per valutare l’azione del governo. In questo senso l’aumento dei decreti attuativi richiesti e non ancora pubblicati rappresenta un campanello d’allarme che non deve essere sottovalutato.

Quanti sono i decreti attuativi mancanti

Ma quanti sono in totale i decreti attuativi che mancano all’appello? Grazie alle informazioni fornite dall’ufficio per il programma di governo (Upg), sappiamo che alla data del 20 aprile scorso il totale delle attuazioni richieste, tenendo conto anche di quelle “ereditate” dalla precedente legislatura, era arrivato a 1.975. Quelle già adottate risultavano essere 1.496.

I decreti attuativi richiesti dalle norme varate dal governo Meloni sono in totale 210. Di questi 173 devono ancora essere pubblicati. La quota più consistente di attuazioni che devono ancora essere emanate però risale a norme varate dal governo Draghi (221) mentre 85 sono eredità dei due governi Conte.

82,4% i decreti attuativi richiesti da norme varate dal governo Meloni che devono ancora essere pubblicati.

Purtroppo i dati tornano indietro solo fino alla precedente legislatura. Tuttavia una relazione (aggiornata al 30 marzo) predisposta recentemente dallo stesso Upg ci dice che rimangono ancora da adottare anche dei provvedimenti legati a norme risalenti alla XVII legislatura (2013-2018). Alla data di insediamento dell’attuale esecutivo questo stock di provvedimenti ancora da adottare ammontava a 44 unità. Alla data del 30 marzo, ne erano stati smaltiti soltanto 2.

521 i decreti attuativi che ancora mancano all’appello considerando le norme varate nella XVII, XVIII e XIX legislatura.

L’esplosione dei decreti attuativi

Come anticipato, il numero totale dei decreti attuativi che mancano all’appello è in aumento rispetto alla nostra ultima rilevazione. Alla fine di febbraio infatti i provvedimenti di secondo livello che risultavano ancora da adottare erano 470 in totale (escludendo dal conteggio i 44 risalenti alla XVII legislatura di cui non si hanno informazioni dettagliate). Dopo circa due mesi, alla data del 20 aprile, questo numero è cresciuto di 9 unità. Ciò nonostante che nello stesso periodo i vari ministeri coinvolti abbiano emanato diverse decine di provvedimenti.

45 i decreti attuativi pubblicati dal governo Meloni tra il 16 febbraio e il 20 marzo 2023.

Questo è dovuto al fatto che nel periodo intercorso sono stati prodotti nuovi atti aventi forza di legge. In particolare le nuove leggi approvate in questo periodo sono state 9 di cui 6 conversioni di decreti legge, una legge delega, una ratifica di un protocollo internazionale e l’istituzione di una commissione parlamentare d’inchiesta. Senza dimenticare che altri 6 decreti legge devono completare l’iter di conversione.

A ciò si deve aggiungere che, durante l’iter di approvazione di una norma, deputati e senatori possono prevedere l’introduzione di misure ulteriori rispetto a quelle previste dall’esecutivo. Spesso però si rimanda al dicastero di competenza la responsabilità di individuare le modalità di attuazione di tale norma.

Il numero di nuove attuazioni richieste ha quindi superato la capacità dei singoli ministeri di smaltire gli arretrati.

Risorse bloccate

Un elemento particolarmente rilevante quando si parla di decreti attuativi è quello delle risorse già stanziate ma che non possono essere erogate a causa della mancanza di tali atti. Infatti governo e parlamento possono prevedere dei fondi a favore di determinate categorie di soggetti (altre istituzioni, enti locali, imprese, cittadini colpiti da calamità naturali e via dicendo). In questi casi però spesso le risorse per poter essere effettivamente erogate necessitano di indicazioni ulteriori.

Ai decreti attuativi è demandato il compito di individuare, ad esempio, le modalità di selezione dei soggetti beneficiari delle risorse e anche come queste dovranno essere erogate. Senza tali indicazioni l’ammontare di fondi messo a disposizione di fatto rimane solo sulla carta.

In base alle informazioni disponibili alla data del 20 aprile, i fondi già stanziati ma che risultano inutilizzabili a causa della mancanza dei decreti attuativi ammontano a circa 17 miliardi di euro. Considerando le varie norme che risultano avere risorse bloccate, possiamo osservare che quella più rilevante è la legge di bilancio per il 2023. In questo caso i fondi non erogabili per il momento ammontano a circa 5,7 miliardi di euro. C’è da dire che in questo caso la norma è relativamente recente, di conseguenza è probabile che molte attuazioni saranno emanate nei prossimi mesi.

Al secondo posto troviamo il decreto aiuti ter che vede un ammontare di circa 2 miliardi di euro ancora da sbloccare. Al terzo posto invece il decreto infrastrutture e mobilità sostenibili risalente al governo Draghi. Una misura che, oltre a riorganizzare la struttura ministeriale, prevedeva anche investimenti consistenti per il recupero del divario infrastrutturale, con investimenti specie nel mezzogiorno.

A livello di singoli decreti attuativi, possiamo osservare che ce ne sono 6 tra quelli che ancora mancano all’appello che bloccano complessivamente risorse per almeno un miliardo di euro.

Tra questi il più consistente è un decreto di competenza del ministero dell’università che avrebbe dovuto stabilire termini e modalità di riparto delle risorse, pari a circa 2 miliardi di euro, per la realizzazione di nuovi posti letto in alloggi o residenze per studenti universitari. Misura peraltro finanziata con i fondi del piano nazionale di ripresa e resilienza.

Il secondo intervento più consistente mancante è relativo al già citato Dl infrastrutture. In questo caso la responsabilità è della presidenza del consiglio dei ministri e del ministero per il sud e la coesione territoriale che avrebbero dovuto emanare un decreto con i criteri per la selezione di interventi su strade, autostrade, ferrovie, porti e aeroporti. L’individuazione di tali criteri è propedeutica all’assegnazione di risorse pari a 1,4 miliardi. Tale atto era atteso entro la fine di marzo ma ancora manca all’appello.

Il terzo decreto attuativo più consistente in termini di risorse bloccate è di responsabilità del ministero delle imprese e del made in Italy e riguarda l’indicazione dei criteri e delle modalità di riparto del fondo istituito per la ricerca e lo sviluppo di tecnologie innovative. Anche in questo caso il termine per l’attuazione è già scaduto. Tali indicazioni infatti erano attese entro l’1 aprile. In questo caso i fondi bloccati ammontano a 1,15 miliardi di euro.

Attuazioni già scadute

Come abbiamo visto nel precedente paragrafo, in alcuni casi il parlamento, durante l’iter di approvazione di una norma, può disporre che il dicastero responsabile per una certa attuazione emetta l’atto richiesto entro uno specifico limite di tempo. 

Non ci sono conseguenze per i ministeri meno efficienti nella pubblicazione dei decreti attuativi.

Purtroppo tale indicazione non sempre viene rispettata. Questo però non comporta nessuna conseguenza negativa per la struttura inadempiente che quindi non ha nessuno stimolo a velocizzare le procedure. Ciò a meno che non vi sia una spinta in questo senso dalla componente politica del ministero.

Da questo punto di vista possiamo osservare che dei 479 decreti attuativi che ancora mancano all’appello, 239 prevedevano un termine di scadenza. Per 180 attuazioni questa è già sopravvenuta. In alcuni casi il ritardo accumulato è anche di anni. Tra i decreti attuativi ancora da pubblicare infatti 4 avevano una scadenza fissata nel 2019, 11 nel 2020 e 22 nel 2021. Per quanto riguarda i provvedimenti emanati dal governo attualmente in carica invece i decreti attuativi il cui termine per la pubblicazione è già scaduto sono 48.

7,4 miliardi € le risorse bloccate a causa di decreti attuativi mancanti il cui termine per la pubblicazione è già scaduto.

Queste risorse sono vincolate dalla mancanza di 61 decreti attuativi che avrebbero già dovuto essere pubblicati.

I ministeri coinvolti

Un ultimo elemento interessante da analizzare riguarda quanto i singoli ministeri sono coinvolti nella pubblicazione dei decreti attuativi. Da questo punto di vista, la struttura a cui è richiesto il maggior numero di attuazioni è il dicastero dell’economia (Mef, 296), seguito dai ministeri delle infrastrutture (Mit, 218), dell’interno (156) e della salute (152). Il numero più consistente in termini di attuazioni ancora da smaltire però è in capo al ministero dell’ambiente (69). Seguono Mef (63) e Mit (61). 

Se però si considera la percentuale di attuazioni ancora da adottare rispetto al totale di quelle richieste a ogni dicastero, notiamo che la struttura meno efficiente è rappresentata dai diversi uffici e dipartimenti della presidenza del consiglio che fanno riferimento al ministro per il sud, gli affari europei, la coesione territoriale e il Pnrr Raffaele Fitto. In questo caso infatti nessuno dei 7 decreti attuativi richiesti è stato ancora pubblicato.

100% le attuazioni mancanti sotto la responsabilità del ministro Fitto.

Al secondo posto troviamo il già citato ministero dell’ambiente (51,5% di attuazioni ancora da pubblicare rispetto a quelle richieste). Seguono dipartimento per lo sport (40,5%) e ministero della giustizia (39,3%). Da notare che 31 decreti attuativi richiedono la compartecipazione di più dicasteri. In questo caso quelli che ancora mancano all’appello sono 13, pari al 41,9% del totale.

Foto: Governo – Licenza

 

Santa Zita

 

Santa Zita


Nome: Santa Zita
Titolo: Vergine
Nascita: 1218, Toscana
Morte: 7 aprile 1272, Lucca
Ricorrenza: 27 aprile
Martirologio: edizione 2004
Tipologia: Commemorazione
Canonizzazione:
5 settembre 1696, Roma, papa Innocenzo XII
Nel linguaggio medievale, « zita » equivaleva a quella che, nei dialetti toscani, è ancora detta « cita » o « citta ». Voleva dire cioè « ragazza », e il diminutivo di quel termine esiste ancora nel vocabolario italiano: « zitella », cioè non maritata.

Santa Zita è dunque la santa ragazza, ed è l’unica Santa di questo nome che ancora viene ripetuto in Toscana, e specialmente in Lucchesia. Santa Zita, infatti, è la Santa di Lucca, e già Dante, per indicare i magistrati della città di Lucca, parlava degli « anziani di Santa Zita ».

Zita era nata vicino a Lucca, a Monsagrati, nel 1218, in una famiglia contadina. Non ebbe nessuna particolare istruzione, ma fin da bambina si dette una regola di condotta religiosa chiedendosi semplicemente: « Questo piace al Signore? Questo dispiace a Gesù? ». Con questa linea di condotta crebbe devota e utile, aiutando i genitori a vendere in città i prodotti dei loro campi. A 18 anni entrò a servizio, a Lucca, nella casa dei Fatinelli, anzi nel palazzo di quella famiglia, che era una delle più ricche della città.

Le tentazioni della città avrebbero potuto aver facile presa nell’anima della semplice campagnola, ma la linea di condotta impostasi dalla fanciulla, pur nella sua ingenuità, non consentiva né errori né distrazioni. « Questo piace a Gesù? E questo gli dispiace? ».

E piaceva a Gesù che ogni mattina, con il permesso della padrona, Zita si recasse in chiesa, mentre tutti gli altri ancora dormivano. E poi accudisse puntualmente, prima di tutti e meglio di tutti, alle pesanti incombenze casalinghe, alle quali si dedicavano le donne di quei tempi. Ma fu soprattutto la straordinaria generosità verso i poveri che costituì il più delicato profumo della santità della servetta. Ogni venerdì, ella, la più fidata tra le domestiche, aveva il compito di distribuire le elemosine ai poveri. E trovava sempre il modo di aggiungervi qualcosa di suo, risparmiato sul magro cibo, sullo scarso salario e sul modestissimo vestiario. Presto il padrone sospettò che Zita donasse ai poveri più di quanto egli aveva disposto. Era vero, ma quel di più non apparteneva a lui. Rappresentava il superfluo della sua serva incredibilmente sobria.

Un giorno, incontrando Zita con il grembiule gonfio di alimenti, le chiese severamente che cosa portasse. « Fiori e fronde », rispose la ragazza. Disciolto il grembiule. ne caddero davvero fiori e fronde, miracolosi simboli della carità e della generosità, impersonata da Santa Zita. Sempre più amata, rispettata e venerata, visse nella casa dei Fatinelli fin verso i sessant’anni, considerandosi nient’altro che un’umile, obbediente e devota serva. Soltanto dopo la sua morte i cittadini di Lucca le tributarono onori come a una grande Santa, e gli stessi magistrati della città non disdegnarono di essere indicati come « gli anziani di Santa Zita », senza che facesse velo al loro orgoglio l’umile condizione della Santa servetta, delicato fiore della città gentile.

MARTIROLOGIO ROMANO. A Lucca, santa Zita, vergine, che, di umili natali, fu per dodici anni domestica in casa della famiglia Fatinelli e in questo servizio perseverò con straordinaria pazienza fino alla morte.

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San Cleto

 

San Cleto


Nome: San Cleto
Titolo: Papa
Nascita: I secolo , Atene
Morte: 12 luglio 112, Roma
Ricorrenza: 26 aprile
Martirologio: edizione 2004
Tipologia: Commemorazione

S. Anacleto nacque in Atene dopo la metà del primo secolo, destinato da Dio a reggere sapientemente la Chiesa in tempi perniciosissimi.

Datosi presto agli studi, si distinse tosto fra i coetanei per la perspicacia del suo ingegno, per l’amore alla religione ed alle pratiche devote e per la bontà del suo carattere.

Recatosi a Roma, venne consacrato sacerdote. E fu tanto il progresso che fece nelle vie di Dio, che quando la persecuzione privò la Chiesa del Papa S. Clemente, Anacleto, per unanime consenso del popolo, fu eletto a succedergli sul soglio pontificio.

Era L’anno 103, e la Chiesa gemeva sotto la spada dei persecutori.

Nei pochi anni di pace era prosperata straordinariamente. L’eroismo dei primi martiri era stato oggetto di ammirazione in tutto l’impero romano: una religione che vantava assertori così tenaci da sacrificare la vita, incuranti dei più atroci tormenti, non poteva essere falsa. I pagani lo compresero, e tutti quelli che cercavano la verità, correvano a ricevere il battesimo e ad ingrossare le file dei fedeli. Ma una nuova tempesta si avvicinava minacciosa.

Traiano, rigido conservatore delle tradizioni romane, non potendo soffrire che i templi degli idoli venissero abbandonati, lasciò perseguitare i Cristiani. ma il seme del Vangelo, irrorato dal sangue di tanti martiri, si faceva sempre più rigoglioso. La costante confessione di tanti coraggiosi animava fortemente gli infedeli a convertirsi a Cristo.

Essendo dunque i cristiani minacciati continuamente di morte, Anacleto ordinò che alla fine della Messa tutti i presenti si comunicassero e così, dando Gesù Cristo ai suoi figli, li,muniva di forza straordinaria nel caso che fossero stati presi e condannati.

Fu ancora S. Anacleto che disciplinò la consacrazione dei vescovi ed ordinò che i sacerdoti fossero eletti per comune consenso del popolo, affine di consacrare così al servizio dell’altare solo individui dotti e virtuosi.

Nelle sue poche lettere tratta magistralmente dell’autorità pontificia e delle prerogative dell’apostolo Pietro. Nelle due ordinazioni che fece nel mese di dicembre, consacrò sei vescovi, cinque sacerdoti e tre diaconi.

Nel 112 dopo aver governata la Chiesa per nove anni venne incatenato e, perseverando nella confessione della fede, fu ucciso il 19 luglio. Il suo corpo fu sepolto nel Vaticano.

PRATICA. Soltanto chi confessa Gesù davanti agli uomini sarà ricevuto in cielo.

PREGHIERA. O Signore, che con le solerti cure del tuo beato Pontefice Anacleto hai difeso la Chiesa da terribile persecuzione, concedici benignamente che, invocandolo qual nostro protettore, possiamo essere aiutati dai suoi meriti.

MARTIROLOGIO ROMANO. A Roma, commemorazione di san Cleto, papa, che resse la Chiesa di Roma per secondo dopo l’apostolo Pietro.

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Domande Frequenti

  • Quando si festeggia San Cleto?

     

  • Quando nacque San Cleto?

     

  • Dove nacque San Cleto?

     

  • Quando morì San Cleto?

     

  • Dove morì San Cleto?

     

  • Di quali comuni è patrono San Cleto?

     


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Oggi 26 aprile si venera:

San Cleto

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PapaS. Anacleto nacque in Atene dopo la metà del primo secolo, destinato da Dio a reggere sapientemente la Chiesa in tempi perniciosissimi. Datosi presto agli studi, si distinse tosto fra i coetanei per la…

Domani 27 aprile si venera:

Santa Zita

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Oggi 26 aprile nasceva:

Santa Mariam Thresia Chiramel Mankidyan

Santa Mariam Thresia Chiramel Mankidyan
Religiosa e FondatriceMariam Thresia Chiramel Mankidiyan nacque a Puthenchira il 26 aprile 1876. Cresciuta in una famiglia cattolica con cinque fratelli e sorelle – Mariam era la terza – ricevette fin dall’infanzia un’educazione…

Oggi 26 aprile si recita la novena a:

– Santa Caterina da Siena
I. Per quello spirito di orazione che voi aveste fin da bambina, per cui in essa metteste tutte le vostre delizie, e con l’angelica salutazione tante volte da voi ripetuta quanti erano i gradini delle…
– Santa Gianna Beretta Molla
O Dio, nostro Padre, tu hai donato alla tua Chiesa santa Gianna Beretta Molla, che nella sua giovinezza ha cercato amorevolmente te, e a te ha portato altre giovani, impegnandole apostolicamente in testimonianza…
– Santi Filippo e Giacomo
I. s. Giacomo, che fino dai più teneri anni menaste una vita sì austera e sì santa da essere comunemente qualificato per Giusto, e faceste dell’orazione la vostra delizia per modo che lo vostre ginocchia…
– San Luigi Maria Grignion da Montfort
1. O grande apostolo del regno di Gesù per Maria, tu che indicasti alle anime i sentieri della vita cristiana suggerendo l’osservanza delle promesse battesimali e insegnasti come un segreto di santità…
– San Giuseppe
1. O S. Giuseppe, mio protettore ed avvocato, a te ricorro, affinché m’implori la grazia, per la quale mi vedi gemere e supplicare davanti a te. E’ vero che i presenti dispiaceri e le amarezze sono forse…
 

Quale 25 Aprile

QUALE 25 APRILE

di Francesco Casula

Per i morti, per tutti i morti non possiamo che nutrire e riversare tutta intera la nostra pietas. E la pietas cristiana da parte dei credenti.
Ma per favore senza metter sullo stesso piano oppressi e oppressori, vittime e carnefici; chi si batteva per la libertà e chi invece ce la voleva togliere ed eliminare.

Tener viva la memoria, la verità, significa ricordare a chi lo dimentica e a chi non l’ha mai saputo cos’è stato il fascismo, compreso il suo epilogo con la RSI (Repubblica sociale italiana di Salò): fu uno stato fondato sulla tortura, sulla persecuzione razziale e politica, sulla distruzione fisica degli avversari, sulla delazione: né sessanta né cento anni bastano a cancellare tutto questo.

Né basteranno per farci dimenticare i ben 900 campi di sterminio e di concentramento disseminati soprattutto in Germania e nell’Europa orientale ma anche in Italia (Fossoli, Bolzano, Trieste, Borgo San Dalmazzo-Cuneo), con milioni di innocenti sterminati.

Si dirà che è roba vecchia, consegnata ormai al passato remoto; che il fascismo è morto e dunque serve solo all’antifascismo per vivere di rendita, parassitariamente.

Può darsi.
Ma pensiamo veramente che siano morte e sepolte le coordinate ideologiche, culturali e persino economiche e sociali che hanno fatto nascere, alimentato e fatto crescere e vivere il fascismo? Pensiamo sul serio che la cultura – o meglio l’incultura – della guerra e della violenza, del sopruso e della sopraffazione, dell’esclusione e dell’intolleranza, dell’ipocrisia e del perbenismo, del servilismo e dell’informazione addomesticata e velinara, sia morta per sempre?

E gli inquietanti fenomeni – soprattutto giovanili – di rinascita e affermazione di Movimenti che si ispirano al nazifascismo? Roba vecchia anche questa o drammaticamente nuova e attuale?

Si dirà che comunque il Fascismo ha realizzato opere meritorie e importanti, ad iniziare dalla Sardegna: ma, di grazia, quali?

A tal proposito, ecco quanto sostiene nella sua bella e interessante “Storia della Sardegna” (pag.914) Raimondo Carta-Raspi :”Anche della Sardegna appariranno, in libri e riviste, descrizioni e fotografie delle ”opere del regime” durante il ventennio. Favole per l’oltremare, per chi non conosceva le condizioni dell’Isola. V’erano sempre incluse la diga del Tirso, già in potenza dal 1923, le Bonifiche d’Arborea, iniziate fin dal 1919 e perfino il Palazzo comunale di Cagliari, costruito nel 1927. Capolavoro del fascismo fu invece la creazione di Carbonia, per l’estrazione del carbone autarchico, che non doveva apportare alcun beneficio all’Isola e doveva costare centinaia di milioni e poi miliardi che tanto meglio si sarebbero potuti investire in Sardegna, anche per la trasformazione del Sulcis in zona di colonizzazione agraria…più volte Mussolini aveva fatto grandi promesse alla Sardegna e aveva pure stanziato un miliardo da rateare in dieci anni. Era stato tutto fumo, anche perché né i ras né i gerarchi e i deputati isolani osarono chiedergli fede alle promesse”.

Che si continui dunque nella celebrazione del 25 Aprile come Festa della Liberazione, ma soprattutto come momento e occasione di studio, di discussione sul nostro passato che non possiamo né rimuovere, né recidere né dimenticare.
Dobbiamo anzi disseppellirlo, non per riproporre vecchie divisioni e steccati ormai anacronistici e superati ma per creare concordia e unità: però nella chiarezza: evitando dunque il pericolo e il rischio, corso spesso negli anni, di ridurre il 25 aprile a rito unanimistico o, peggio, a semplice liturgia celebrativa. Magari accompagnato dal tricolore e dall’orrendo bolso e vieto Inno guerresco di Fratelli d’Italia.

Come il 25 aprile è diventata festa nazionale

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Come il 25 aprile è diventato festa nazionale

Foto di Serghei Topor da Pixabay

La Festa della Liberazione, quest’anno, è stata preceduta da discussioni e polemiche in occasione della ricorrenza dell’Eccidio delle Fosse ardeatine, il 24 marzo scorso, del quale anche “In Terris” ha ricostruito le complesse dinamiche. Se la seconda carica dello Stato, Ignazio La Russa, ha scambiato i giovani soldati del Battaglione Bozen che sfilavano per via Rasella, per anziani componenti di una banda musicale, uccisi dai partigiani romani, la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, pur definendo l’eccidio delle Fosse Ardeatine “una delle ferite più profonde e dolorose inferte alla nostra comunità nazionale”, ha parlato di “335 italiani innocenti massacrati solo perché italiani”. Ha omesso, o forse ignorava, che tra le vittime ci furono 9 stranieri. Come da esplicita e pubblicizzata dichiarazione tedesca, furono trucidati in quanto “comunisti badogliani”, termine dispregiativo con il quale si catalogavano gli antifascisti tutti. Per il vero, poi, delle 335 vittime ben 75 erano ebrei e 42 militari delle diverse armi.

Non vale neppure il ricorso alla logica della rappresaglia in tempo di guerra, in un paese nemico occupato, perché la città di Roma faceva parte della mussoliniana Repubblica Sociale Italiana, alleata della Germania nazista. E sono state proprio le autorità italiane, il questore Pietro Caruso in testa, a compilare la lista dei condannati. Paradosso ulteriore: italiani giuridicamente erano anche i giovani del Battaglione Bozen, appartenente alla “Ordnungspolizei”, creata in Alto Adige, dopo la sua occupazione e illegale annessione alla Germania, nell’autunno del 1943, così come le province del confine orientale.

Vale la pena, allora, ricostruire preliminarmente come il 25 aprile è divenuto festa nazionale. Con la legge 260, “disposizioni in materia di ricorrenza festiva” del 27 maggio 1947, si stabiliva che oltre le domeniche, dovevano essere considerati giorni festivi (ben 15), oltre le più importanti ricorrenze religiose, anche il 25 aprile, “anniversario della liberazione”, il 1° maggio, “festa del lavoro”, il 2 giugno, “festa nazionale”, e il 4 novembre, “giorno dell’unità nazionale”. Si stabiliva anche che erano “considerate solennità civili, agli effetti dell’orario ridotto negli uffici pubblici e dell’imbandieramento dei pubblici edifici” l’11 febbraio, “anniversario della stipulazione del Trattato e del Concordato con la santa Sede” e il 28 settembre, “anniversario dell’insurrezione popolare di Napoli”.

Per il vero già il 22 aprile del 1946 a un anno quasi esatto dall’entrata vittoriosa e festante delle brigate partigiane a Milano, il governo presieduto da Alcide De Gasperi, con un decreto firmato dal Luogotenente del Regno, Umberto di Savoia, stabilisce che “a celebrazione della totale liberazione del territorio italiano, il 25 aprile è dichiarato festa nazionale”.

È significativo che anche dopo la le dimissioni del presidente del Consiglio, Alcide De Gasperi, il 12 maggio del 1947, che portò alla fine del governo di unità nazionale e all’estromissione dalla maggioranza fine dei governi di unità nazionale e l’estromissione dei socialisti e comunisti dal governo, la ricorrenza del 25 aprile è confermata solennemente come “festa nazionale” assieme al 2 giugno, giorno della vittoria della Repubblica nel referendum istituzionale del 1946.

Il 25 aprile è divenuto, dunque nel tempo, giorno di vacanza a scuola, di astensione dal lavoro, di cerimonie celebrative ufficiali e anche d’incontri e manifestazioni popolari, esaltate dalla prossimità temporale e tematica con le ricorrenze del Primo Maggio e della festa della Repubblica. Si ricorda e si riflette in primo luogo sulla fine in Italia di una guerra lunga e sanguinosa, per la prima volta nella storia, totale, mondiale, che provoca ben 50 milioni di vittime, delle quali oltre la metà civili, oltre che immani distruzioni d’infrastrutture e abitazioni civili.

Una guerra che si configura come scontro politico militare e ideale, con un nuovo ricorso massiccio alla propaganda che sfrutta anche le straordinarie capacità suggestive del cinema, che vede contrapposti l’universo degli Stati democratici parlamentari assieme all’Unione Sovietica contro la Germani nazista, l’Italia fascista e il Giappone, compartecipi del terrificante progetto di un “ordine nuovo”, europeo e mondiale, fondato sull’asservimento di popoli ritenuti inferiori, come gli Slavi in Europa e i Cinesi in Asia, sullo sterminio di minoranze come egli Ebrei e dei Rom e Sinti e, in generale su modelli di Stati ostili e sprezzanti nei confronti delle istituzioni parlamentari e dei diritti delle persone e delle comunità.

La festa del 25 aprile ricorda in Italia, quindi, la finale liberazione dagli occupanti tedeschi e dai loro subalterni collaboratori della mussoliniana Repubblica sociale, dispregiativamente denominati “repubblichini”, che nel rigidissimo inverno del 1944-45 avevano inasprito la repressione della Resistenza armata e della società civile nelle regioni del Centro nord. In questo senso il 25 aprile è da considerarsi, ancor più del 2 giugno, come la data fondante della nuova Italia democratica.

Eppure il 25 aprile non è mai pienamente divenuto festa civile nazionalpopolare sul modello, per fare degli esempi comparativi, del 14 luglio in Francia, per ricordare la presa della Bastiglia, del Giorno del ringraziamento negli Stati Uniti, il quarto giovedì di novembre, per ricordare lo sbarco dei Padri pellegrini o, anche, del Giorno della vittoria della Grande guerra patriottica, il 9 maggio 1945, nell’Unione Sovietica fino al 1991 e della Federazione Russa successivamente.

Per il vero nella storia d’Italia unita diverse altre ricorrenze, in momenti diversi istituite come feste nazionali, non sono riuscite ad assurgere a questo ruolo: non il giorno della proclamazione del Regno d’Italia, 5 maggio 1861, non la presa di Porta Pia, 20 settembre 1870, non la vittoria della Prima guerra mondiale, 4 novembre 1918, né tantomeno la Marcia su Roma, 28 ottobre1922 o la firma dei Patti Lateranensi, 11 febbraio 1929.

Un dato di fondo della storia del nostro paese è stato sempre, infatti, la limitata maturazione di una identità nazionale diffusa e interiorizzata: il “paese reale”, per usare un’espressione pregnante del cattolicesimo intransigente ottocentesco, coniata da padre Carlo Maria Curci della Civiltà Cattolica, rimane separato e diffidente, talvolta addirittura ostile nei confronti del “paese reale”.  In decenni a noi più vicini, Pier Paolo Pasolini, del quale quest’anno celebriamo il centenario della nascita, ha inventato la fortunata metafora del “palazzo”, lontano dagli interessi e dai bisogni della gente per constatare il perdurare del fenomeno.

Eppure la Resistenza, la cui moralità è non compromessa ma esaltata, qualora la si rivisiti non retoricamente come “Secondo Risorgimento”, bensì, partendo dal vissuto degli Italiani, come un complesso precipitato di guerra nazionale di liberazione, lotta di classe e anche penosa guerra civile, è la stagione storica nella quale forte e sentita è stata la partecipazione alla vita politica del nostro paese e anche la convinzione di poter contare e decidere.

La Resistenza, secondo i più documentati e maturi studi – primo fra tutti la magistrale volume, del 2006, di Claudio Pavone, Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità della Resistenza, non si esaurisce nella lotta armata, nella quale, in ogni caso si era sempre rigorosamente attenti a evitare il coinvolgimento della popolazione civile in feroci rappresaglie; riguarda anche la “resilienza” popolare – le donne in primo luogo – che accompagna e sostiene i partigiani combattenti: Arrigo Boldrini, il geniale inventore della lotta partigiana in pianura, ha calcolato che ogni partigiano in armi necessitava del sostegno  attivo e non privo di rischi, di almeno cinque civili. Ancor più, nelle campagne come nelle citta, di fronte alle devastazioni, alle rappresaglie, alle ripetute stragi e, soprattutto, alle penose, perduranti condizioni di scarsi approvvigionamenti alimentari e di interruzione dei servizi essenziali, la resilienza popolare permette di conservare e anche estendere creative forme diffuse di solidarietà, evitando la caduta in spirali di cannibalismo sociale.

Il modo più corretto e proficuo di ricordare e dare valore attuale al 25 aprile, che comportò la liberazione per tutti compresi i fascisti, è quello di riviverlo come fondamento di una storia comune che non annulla i contrasti ma neppure interpella continuamente una storia giustiziera, che possa insomma servire a costruire un nuovo più maturo e moderno lessico civile.

Nel tempo presente, infine, della perdurante terribile guerra nel cuore dell’Europa, nella martoriata Ucraina, di fronte alla martellante campagna dei media che solleticano pericolose pulsioni belliciste, occorre ricordare che, in Italia, in Europa e in Asia, nella Resistenza contro il Nazifascismo e il feroce militarismo giapponese, milioni di civili furono costretti a impugnare le armi per porre fine a regimi oppressivi e inumani e, sulle loro rovine, costruire un mondo di giustizia e di pace per “salvare le future generazioni dal flagello della guerra” come recita la Carta delle nazioni Unite. Nel nostro paese, in particolare, la riflessione comune sulla tragica esperienza vissuta spinse i padri e le madri costituenti a sancire solennemente nell’articolo 11 della Costituzione che “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”.

Giovagnoli (Unicatt): “Il 25 aprile significa rinascita di pace e democrazia”

 
L’Anniversario della Liberazione d’Italia, noto anche come Festa della Liberazione, è una festa nazionale della Repubblica Italiana, che si celebra ogni 25 aprile per…

Assegno unico: il convegno a un anno dall’introduzione della misura

Assegno unico: il convegno a un anno dall’introduzione della misura

Assegno Unico: in un anno erogati 16,5 miliardi di euro a più di 6 milioni di nuclei familiari

Pubblicazione: 24 aprile 2023

In un anno sono stati distribuiti 16,5 miliardi di euro a più di 6 milioni di nuclei familiari in tutta Italia. Sono questi i dati che emergono dal convegno dedicato ai risultati dell’Assegno unico e universale, andato in scena a Roma lo scorso 20 aprile a Palazzo Wedekind, per tracciare un primo bilancio dell’impatto della misura a sostegno delle famiglie.

“L’AUU è la misura di welfare più inclusiva e capillare esistente – ha detto il direttore generale dell’INPS, Vincenzo Caridi, all’apertura dell’evento -. Abbiamo voluto investire sull’innovazione partendo dalla costruzione di una domanda semplice, oggi il rinnovo dell’assegno unico è automatico, senza più bisogno di presentare la domanda da parte dell’utente, grazie all’interoperabilità tra l’Istituto e le altre amministrazioni”. Nel corso dell’evento è stato trasmesso un videomessaggio della ministra per la Famiglia, la Natalità e le Pari Opportunità Eugenia Roccella. “Si tratta di una delle misure in campo in una strategia più ampia e organica, che investe anche il piano fiscale e la conciliazione tra famiglia e lavoro – ha sottolineato la ministra Roccella -, in cui il governo è impegnato direttamente ma per la quale intende coinvolgere in uno sforzo comune tutti gli attori: aziende, enti locali, parti sociali, non profit”.

Ha concluso la giornata di confronto il presidente dell’INPS, Pasquale Tridico. “Il bilancio è molto positivo, in un anno abbiamo raggiunto oltre 9,6 milioni di ragazzi, con un assegno medio mensile di 168 euro – ha spiegato il presidente Tridico -. Una misura che ha come obiettivo l’incentivo alla natalità. E un ulteriore passo in avanti è stato fatto dal Governo che, in Legge di Bilancio, ha deciso giustamente di rafforzare l’intervento per le famiglie numerose e per i disabili. L’INPS ha brillantemente superato la prova dell’erogazione di questa importante misura, le lezioni apprese diventeranno un patrimonio comune nella reingegnerizzazione di tanti altri servizi erogati anche in una modalità di maggiore proattività da parte dell’Istituto”.

Al convegno sono intervenuti anche: Martina Lo Conte ed Eleonora Meli (ISTAT), Carmeliana Franzese (DC Inclusione Sociale INPS), Elisabetta Di Tommaso (Coordinamento Generale Statistico Attuariale INPS), Maria De Paola (DC Studi e Ricerche INPS), Emanuele Di Carlo (Banca d’Italia) e Giampaolo Arachi (Ufficio Parlamentare di Bilancio).

A seguire si è svolta una tavola rotonda alla quale hanno partecipato: Elena Bonetti (Deputata della Repubblica), Nino Sutera (Rappresentante del Forum delle associazioni familiari), Mariolina Castellone (Vicepresidente del Senato della Repubblica), Tommaso Nannicini (Professore ordinario di economia politica Università Bocconi), Emmanuele Pavolini (Coordinatore di Alleanza per l’infanzia) e Pietro Rizza (Economista Banca D’Italia).

Malattia, maternità/paternità: salari medi e convenzionali per il 2023

Malattia, maternità/paternità: salari medi e convenzionali per il 2023

Le retribuzioni e gli importi per il calcolo delle indennità per i lavoratori dipendenti

Pubblicazione: 24 aprile 2023

La circolare INPS 21 aprile 2023, n. 43 indica, per il 2023, la misura del limite minimo di retribuzione giornaliera e degli altri valori per il calcolo delle contribuzioni dovute per i lavoratori dipendenti.

In particolare, vengono precisate le retribuzioni di riferimento nel 2023, per l’erogazione delle prestazioni economiche di malattia, di maternità/paternità e di tubercolosi, relativamente alle seguenti categorie di lavoratori:

  • lavoratori soci di società e di enti cooperativi, anche di fatto (malattia, maternità/paternità e tubercolosi);
  • lavoratori agricoli a tempo determinato (malattia, maternità/paternità e tubercolosi);
  • compartecipanti familiari e piccoli coloni (malattia, maternità/paternità e tubercolosi);
  • lavoratori italiani operanti all’estero in paesi extracomunitari (malattia, maternità/paternità e tubercolosi);
  • lavoratori italiani e stranieri addetti ai servizi domestici e familiari (maternità/paternità);
  • lavoratori autonomi: artigiani, commercianti, coltivatori diretti, coloni, mezzadri, imprenditori agricoli professionali,
    pescatori autonomi della piccola pesca marittima e delle acque interne (maternità/paternità).

Sono indicati, inoltre, gli importi da prendere a riferimento, sempre nel 2023, per altre prestazioni: il congedo parentale, gli Assegni per il Nucleo Familiare, la malattia e degenza ospedaliera, l’assegno di maternità dei Comuni, l’assegno di maternità dello Stato, l’indennità economica e l’accredito figurativo per i periodi di congedo in favore dei familiari di disabili in situazione di gravità.

NASpI: nuovo servizio per presentare la domanda

NASpI: nuovo servizio per presentare la domanda

È disponibile, in via sperimentale, il nuovo servizio per la domanda di disoccupazione NASpI

Pubblicazione: 21 aprile 2023

Con il messaggio 21 aprile 2023, n. 1488 l’INPS comunica che è disponibile, in via sperimentale, il nuovo servizio per presentare la domanda per l’accesso all’indennità di disoccupazione NASpI.

Il nuovo servizio, accessibile dalla pagina “NASpI: indennità mensile di disoccupazione”, seguendo le indicazioni fornite dal messaggio, rientra tra i progetti realizzati nell’ambito del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR).

Il servizio utilizzato finora resterà attivo e accessibile per tutta la durata del periodo di sperimentazione. Al termine di questo periodo, per la presentazione della domanda NASpI sarà possibile utilizzare solo il nuovo servizio.

San Fedele da Sigmaringen

 

San Fedele da Sigmaringen


San Fedele da Sigmaringen

autore: Ambito toscano anno: sec. XVIII titolo: San Fedele da Sigmaringen luogo: Gambassi Terme
Nome: San Fedele da Sigmaringen
Titolo: Sacerdote e martire
Nome di battesimo: Markus Roy
Nascita: 1577, Sigmaringa, Germania
Morte: 21 aprile 1622, Seewis, Svizzera
Ricorrenza: 24 aprile
Martirologio: edizione 2004
Tipologia: Commemorazione
Beatificazione:
24 marzo 1729, Roma, papa Benedetto XIII
Canonizzazione:
29 giugno 1746, Roma, papa Benedetto XIV
Nacque nel 1577 nella città di Sigmaringa. Il nome di nascita era Marco, cambiato poi in Fedele nella professione religiosa. Nel dargli questo nome, il maestro dei novizi gli disse queste parole dell’Apocalisse: « Sii fedele sino alla morte e ti darò la corona della vita ».

La natura e la grazia lo favorirono dei loro doni e il nostro giovane fece in breve tempo sì ammirabili progressi nella scienza, da essere indicato come esempio ai suoi condiscepoli, ed insieme fiorì meravigliosamente in lui il fiore d’ogni virtù, così da giungere presto all’apice della santità.

Studiò filosofia nell’università di Friburgo, e ottenne con brillante esito la laurea dottorale a Villigen, ove esercitò poi l’avvocatura.

Ma questa carica, occasione continua di peccato, fu presto abbandonata da quell’anima assetata di giustizia, la quale scelse una via più sicura per la sua eterna salvezza, passando nella famiglia del serafico S. Francesco: si fece religioso cappuccino.

In religione fu luminoso esempio a tutti i confratelli nell’osservanza delle regole, nello spirito d’orazione e nell’unione con Dio. Elevato alle più alte cariche del convento, tutte le disimpegnò con prudenza, giustizia, mansuetudine e umiltà ammirabili.

Distinguendosi nel ministero della predicazione e ardendogli in cuore il desiderio di dare il suo sangue per la fede, fu scelto a capo di una missione, la quale si portava nella Rezia per’ la conversione degli eretici.

Predicò a Sevis, ove con zelo apostolico e con accento paterno, esortava i Cattolici a serbare immacolata la loro fede, a non dare ascolto ai violatori del sacro patrimonio, ai lupi rapaci, seminatori della zizzania calvinista.

Ogni giorno più, particolarmente nel celebrare la S. Messa, il desiderio del martirio si accendeva in lui; ogni giorno ripeteva al Signore la sua supplica, e Gesù infine lo appagò.

Un giorno, mentre celebrava, un eretico sacrilegamente gli sparò contro; ciò visto, i fedeli lo pregarono a porsi in salvo, ma egli protestò di non temere la morte, e di essere pronto a sacrificare la sua vita per Gesù e la Chiesa.

Invitato con inganno dagli eretici a predicare loro la verità, simulandosi desiderosi di conversione, S. Fedele, il 21 aprile del 1622 si portava a Cruch, quando fu assalito dai suoi nemici, i quali barbaramente lo trucidarono, abbandonandolo in una pozza di sangue.

Martirio di San Fedele da Sammaringa

titolo Martirio di San Fedele da Sammaringa
autore Boccanera Giacinto anno 1730 – 1746

S. Fedele consacrò le primizie dei Martiri del suo ordine. Da quel giorno prodigi e miracoli lo resero illustre, specie a Coira e a Veldkrich, dove si conservano le sue reliquie e dove è tenuto in somma venerazione dal popolo. Fu canonizzato dal Papa Benedetto XIV.

PRATICA. S. Fedele ci dà esempio di costanza e fedeltà nel servizio del Signore: siamo anche noi fedeli, e costanti, qualunque sia la nostra missione.

PREGHIERA. Dio, che nella propagazione della fede ti sei degnato decorare della palma del martirio e di gloriosi miracoli il beato Fedele, deh! per i suoi meriti ed intercessione, confermaci così nella fede e nella carità, che meritiamo d’essere trovati fedeli nel tuo servizio fino alla morte.

MARTIROLOGIO ROMANO. A Sèvis, nella Svizzera, san Fedéle da Sigmaringa, Sacerdote dell’Ordine dei Minori Cappuccini e Martire, il quale, mandato là a predicare la fede cattolica, nello stesso luogo, ucciso dagli eretici, compì il martirio, e dal Papa Benedétto decimoquarto fu annoverato fra i santi Martiri

San Giorgio

 

 

San Giorgio


San Giorgio

autore: Nicola Monti da Ascoli anno: 1794 titolo: S.Giorgio che salva una fanciulla uccidendo il drago luogo: Chiesa di Santa Maria Assunta, Cossignano
Nome: San Giorgio
Titolo: Martire di Lydda
Nascita: 275 circa, Cappadocia
Morte: 23 aprile 303, Lydda (Palestina)
Ricorrenza: 23 aprile
Martirologio: edizione 2004
Tipologia: Commemorazione
Luogo reliquie:Duomo di San Giorgio

S. Giorgio visse nel III secolo, sotto l’impero di Diocleziano. Di questo Santo, tanto venerato ovunque, e specialmente in Inghilterra, si hanno poche notizie, tuttavia sappiamo che egli fu onorato in tutta l’antichità quale soldato valoroso e martire illustre, e invocato patrono della milizia cristiana.

Nacque in Cappadocia da genitori cristiani e come il Maestro Divino, crebbe in sapienza, in età ed in grazia presso Dio e gli uomini.

Arruolato nella milizia imperiale, grazie alla sua perizia nelle armi e al suo valore salì al grado di capitano.

Però servì assai più generosamente a Dio; e combattè sotto una ben più nobile bandiera, quella divina. Fu il campione intrepido di Gesù Cristo, il nemico giurato di Satana: non per nulla è rappresentato in atto di sconfiggere colla lancia il dragone, mentre legata ad un palo sta in atto supplichevole una fanciulla. La Leggenda Aurea narra che a Silena (città della Libia) vi era un drago (raffigurazione del male) che veniva soddisfatto quotidianamente tramite il sacrificio di due pecore ma, quando queste cominciarono a scarseggiare, furono costretti a offrirgli una pecora e un giovane tirato a sorte. Il giorno in cui il caso scelse Silene la figlia del re, Giorgio la salvò dal drago e ordinò al popolo di convertirsi per rendere docile il mostruoso animale. Allora il re e la popolazione si convertirono e il cavaliere uccise il drago e lo fece portare fuori dalla città, trascinato da quattro paia di buoi.

Onde osserva il cardinale Baronio, che quest’antica usanza di rappresentare S. Giorgio non è che un simbolo della sua potente protezione contro le tentazioni del demonio.

Nella terribile persecuzione di Diocleziano, il nostro santo guerriero animava i Cristiani perseguitati a ricevere con fortezza il martirio, a non cedere alle lusinghe dei tiranni, a professare sinceramente Gesù Cristo.

L’imperatore gli impose di cessare questo suo ministero e di piegarsi davanti agli dèi di Roma imperiale; ma S. Giorgio francamente gli rispose: « Rispetto le tue leggi, ma non piego le ginocchia a terrene e false divinità ». Infuriato a tale risposta, il tiranno lo degradò, lo condannò a molti terribili supplizi, ma Giorgio miracolosamente rimase illeso, finché gli fu troncato il capo e cadde martire di Cristo il 23 aprile del 303.

Martirio di San Giorgio

titolo Martirio di San Giorgio
autore Paolo Veronese anno 1566

Nella notte precedente al martirio, gli era apparso in sogno Gesù, il quale, ponendogli sul capo una corona, gli aveva detto: « Ah! Giorgio, tu sei degno di regnare meco in eterno ».

PRATICA. S. Giorgio ci è esempio di perfetta carità; egli ci insegna le opere di misericordia: consigliare i dubbiosi, confortare gli afflitti e i travagliati, fortificare i deboli nella fede e aiutare il prossimo in tutte le sue necessità, ricordandoci che in Cristo siamo tutti fratelli.

PREGHIERA. Dio, che ci aiuti con i meriti e l’intercessione del tuo beato martire Giorgio, concedici propizio, che mentre domandiamo per suo mezzo i tuoi bene fizi, li conseguiamo abbondantemente.

MARTIROLOGIO ROMANO. Natale di san Giorgio Martire, il cui illustre martirio si venera dalla Chiesa di Dio tra le corone dei Martiri.

ICONOGRAFIA

Una delle più antiche rappresentazioni di san Giorgio si trova in Armenia e risale alla prima metà del X secolo, nella chiesa della Santa Croce eretta sull’isola Akdamar. Qui un bassorilievo mostra tre santi a cavallo tra cui San Giorgio, raffigurato mentre trafigge con la sua lancia non un drago, bensì una figura antopomorfa. Al centro vi è san Sergio che uccide un animale feroce a sinistra san Teodoro alle prese – lui sì – con un drago.

San Giorgio Armenia

Fino all’XI secolo nelle rappresentazioni di san Giorgio non c’era alcun riferimento all’uccisione di un drago: il santo era venerato semplicemente come soldato-martire che aveva convertito i popoli infedeli. Per questo fino ad allora l’immagine tradizionale che lo rappresentava era di un cavaliere intento a trafiggere un uomo, simbolo del persecutore pagano e dell’eresia.

La credenza che anche Giorgio avesse fronteggiato un mostro prese corpo in Oriente fu spinta successivamente dalle stesse rappresentazioni figurative. Negli affreschi e nei rilievi orientali infatti il santo era sempre affiancato da Teodoro, quest’ultimo in lotta con un drago: una prossimità che a un certo punto indusse gli artisti a far convergere verso il mostro entrambi i santi, fino a che Giorgio non “assorbì” del tutto il tema figurativo del drago.

Così l’immagine di san Giorgio che uccide il drago iniziò a definirsi una storia vera e propria. I primi testi che narrano l’episodio risalgono alla fine dell’XI secolo e contengono già tutti gli elementi che conosciamo: il mostro lacustre, la principessa salvata, l’addomesticamento del drago condotto in città, la conversione del popolo. La storia di san Giorgio e del drago si affermò definitivamente con le Crociate. I cristiani si identificarono facilmente nel santo vittorioso che aveva liberato una terra in mano agli infedeli: come santo protettore dei crociati, nessuno era più adatto di san Giorgio. In tempi rapidissimi il culto di san Giorgio si diffuse in tutta Europa, e con esso la rappresentazione del cavaliere che uccide il drago.

S. Giorgio ed il dragone

titolo S. Giorgio ed il dragone
autore Pieter Pauwel Rubens anno 1606-08

S. Giorgio a cavallo

titolo S. Giorgio a cavallo
autore Mattia Preti anno 1658

Sono davvero tantissime le opere su San Giorgio con il drago sia sopra il cavallo o al suo fianco ma sempre di colore rigorosamente di colore bianco per differenziarlo da quello di San Demetrio o di San Teodoro. Spesso sono presenti anche putti come nel dipinto di Scannavini.

S. Giorgio e il drago

titolo S. Giorgio e il drago
autore Scannavini M. anno 1682

Ma San Giorgio non è solo raffigurato nel suo momento di gloria ma spesso anche nei sui ultimi momenti della vita ossia durante il suo martirio che gli fu inflitto per la sua fede nel Signore.

Martirio di S. Giorgio

titolo Martirio di S. Giorgio
autore Mattia Preti anno 1630

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Alcune dedicazioni a San Giorgio

Duomo di San Giorgio

Duomo di San Giorgio
Chiesa madre della città di ModicaIl Duomo di Modica, in Sicilia, è dedicato ai martiri San Giorgio e Ippolito ed è un bellissimo esempio di arte barocca, nonché il monumento più imponente…

Domande Frequenti

  • Quando si festeggia San Giorgio?

     

  • Chi è il santo protettore degli scout?

     

  • Quando nacque San Giorgio?

     

  • Dove nacque San Giorgio?

     

  • Quando morì San Giorgio?

     

  • Dove morì San Giorgio?

     

  • Di quali comuni è patrono San Giorgio?

     

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Martire di LyddaS. Giorgio visse nel III secolo, sotto l’impero di Diocleziano. Di questo Santo, tanto venerato ovunque, e specialmente in Inghilterra, si hanno poche notizie, tuttavia sappiamo che egli fu onorato in…

Domani 24 aprile si venera:

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Oggi 23 aprile nasceva:

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Oggi 23 aprile si recita la novena a:

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